9.
Due
figure sinistre si
stavano aggirando tra i sobborghi di Seresix
con aria
furtiva. Uno era vestito completamente di nero, l’altra
indossava un abito blu
pieno di veli che le coprivano anche il viso, rendendola
imperscrutabile.
Fenna,
dopo il momento di
indecisione, si era convinta a visitare i portali. Dopo cena Thesel li aveva condotti di
nascosto verso un’uscita
secondaria, quella che doveva essere usata in caso di evacuazione del
palazzo.
Prima di lasciarli andare, aveva trattenuto la principessa per
raccomandarle di
fare attenzione e Dannick
si era intromesso in modo
raggiante: «Non succederà niente a Fen finché
starà
con me.» C’era da dire che dopo essersi fatto
restituire il fucile BP-Laser si
sentiva ancora più forte e sicuro.
I
due si erano allontanati fianco a fianco a passo svelto in direzione
dell’intrico di viuzze, palazzi e pontili che si diramavano
per tutta la città.
Il sole stava calando e, quindi, tra gli edifici più alti la
luce già non
arrivava più, lasciando il percorso in penombra. Quando
furono abbastanza
lontani dal palazzo, Dannick
si fermò e si rivolse a Fenna:
«Sai come si arriva alla stazione?»
Si
era sentito uno sprovveduto ponendo quella domanda. Fenna,
comunque, si limitò a scuotere la testa. Continuava a
guardarsi in giro con
aria affascinata come se non fosse mai uscita dal palazzo in vita sua.
Dannick
tirò fuori dalla tasca la blusfera.
Considerando che si
erano infilati in un percorso diverso da quello che lo aveva condotto
lì
all’inizio, doveva fare affidamento esclusivamente nelle sue
percezioni.
Imboccarono
una viuzza laterale tra due edifici altissimi: il passaggio era
così stretto
che dovettero camminare uno dietro l’altra. Alla fine,
sbucarono in uno dei
grandi canyon artificiali tipici di Seresix,
in cui
le pareti erano i palazzi stessi ammassati uno su l’altro: un
parapetto in
ferro battuto proteggeva i due avventurieri dal vuoto.
«Questo
posto è bellissimo», commentò Fenna. «Avevo sempre
sentito parlare delle fondamenta di Seresix,
ma dalle
descrizioni non riuscivo a immaginarmele bene.»
Dannick
si girò a guardarla sorpreso e lei continuò:
«Le fondamenta sono tratti di marciapiede
che costeggiano i canyon, come questo. Si dice che durante il solstizio
d’estate, se il cielo è sereno, guardando in basso
si possono vedere dei canali
pieni d’acqua cristallina.»
«Non
sei mai uscita dal palazzo prima d’ora?»,
s’informò il ragazzo.
Fenna
rise. «Certo che sono
uscita dal palazzo! Sono stata al Sacro Memoralium
e poi
sono andata con i sovrani a qualche visita politica estera. In quei
casi, però,
usavamo sempre l’eliporto reale. Non ho mai percorso queste
strade comuni.»
Dannick
si sentì meglio sapendo che i suoi genitori
l’avevano portata con loro
all’estero. Per un attimo aveva temuto che
l’avessero sempre tenuta segregata.
«Ora
che stiamo andando ai portali dovresti sentire crescere una certa
energia in
te», le disse. «Riesci a imbrigliarla in modo da
capire in che direzione
andare?»
Fenna
guardò prima destra e
poi a sinistra. In quest’ultima direzione le abitazioni
diventavano più scure,
la parete era piena di tubi metallici e di recipienti che sembravano
serbatoi.
Alcune valvole sbuffavano un fumo nero e denso che aveva impregnato
l’intonaco
dei palazzi fino a un’altezza di qualche piano.
Dall’altra parte, l’aria
sembrava più pulita: la parete era bianca e spiccavano le
vetrine lucide di
alcuni negozi. Tuttavia, la ragazza non sentiva l’impulso di
andare in nessuna
delle due direzioni. Si guardò in avanti e, oltre il vuoto
al di là del
parapetto, la sua attenzione fu subito catturata da due vetrate a mezza
luna
che facevano parte di un elaborato edificio in stile barocco.
«Credo
che dovremo trovare un ponte e passare dall’altra
parte.»
«Penso
che tu abbia ragione», disse Dannick
dopo aver
cercato conferma nella blusfera.
Il
fatto che la principessa avesse intuito la strada giusta lo mise ancor
più di
buon umore. Considerò quello un segno propizio: forse il
dono di Fenna si stava
finalmente manifestando.
In
meno di mezz’ora si trovarono di fronte al piazzale della
stazione. La sera era
ormai calata e i finestroni illuminati dello stabile davano
l’impressione di
celare un luogo caldo e accogliente.
La
giovane prese la mano del sensitivo e la strinse. Nelle viuzze
secondarie, che
avevano percorso fino a un momento fa, non avevano incontrato molta
gente, ma
lì c’erano fiotti di persone che andavano e
venivano.
Dannick
cercò di tranquillizzarla: «Probabilmente non si
accorgerebbero di te nemmeno
se andassi in giro vestita con l’abito principesco. Sono
così impegnati nei
loro affari che per distrarli servirebbe un terremoto.»
«Forse
hai ragione», si convinse la ragazza.
Assieme
entrarono nell’atrio. In fondo si vedevano già i
tre portali e Fenna fu
colta da un entusiasmo crescente.
Poiché
erano obbligati a passare sotto i tre grandi archi solo coloro che
entravano in
città, era difficile avvicinarsi
a essi.
Il flusso di persone in arrivo era impossibile da contrastare. Andare
contro
corrente sarebbe stata un’impresa.
Dannick
si mise a cercare indicazioni per capire da che parte andare per
raggiungere le
piattaforme magnetiche, ma ad un certo punto si distrasse. I suoi
pensieri si
spostarono su Fenna,
che nonostante l’eccitazione per
aver raggiunto la meta, gli stava appiccicata e sembrava intimorita
dalla
confusione del luogo. Pensò che finora era andato tutto bene
e che a breve
avrebbe dovuto ricondurre la principessa verso il palazzo. In cuor suo,
però,
non aveva voglia di tornare. Gli baluginò nella mente una
scena: Fenna
smascherata che doveva fuggire saltando su un treno
assieme a lui. Non appena ebbe formulato il pensiero qualcuno
calpestò il lungo
velo del marakasha che
la ragazza indossava. Dannick
la vide barcollare all’indietro e riuscì ad
afferrarla appena in tempo, evitandole una brutta caduta. Tuttavia, la
stoffa
leggera che gli copriva il capo e parte del viso era stata strappata
dal colpo,
rivelando la sua vera identità. Fenna
assunse
un’espressione spaventata. Durante gli interminabili secondi
in cui cercò di
recuperare il velo, nessuno sembrò accorgersi di lei.
Ciò
che i due non sapevano era che nella stazione c’erano
telecamere a circuito
chiuso, programmate per il riconoscimento facciale di chiunque entrasse
o
uscisse da lì. Quasi certamente nessuno dei viaggiatori
avrebbe fatto caso a
lei, impegnati com’erano a raggiungere le proprie
destinazioni, tanto più che molti
di essi venivano da fuori e non la conoscevano. Ma quando il software
delle
telecamere riconobbe i tratti del viso della principessa,
cercò tra i dati un
permesso che giustificasse la sua presenza nel posto e, non trovandolo,
attivò
l’allarme. Per qualche istante i due restarono imbambolati
senza capire ciò che
stava succedendo. Poi a Dannick
parve di scorgere
delle guardie farsi largo tra la folla verso di loro, allora prese Fenna per mano e la costrinse a
correre: impresa alquanto
complessa con l’abito lungo che lei si ritrovava addosso.
Alla
fine, il ragazzo trovò un varco tra la confusione e la
condusse nella zona
delle piattaforme magnetiche dove si fermò per permettere
alla giovane di
riprendere fiato.
«Magari…»,
iniziò Fenna
tra una boccata d’aria e l’altra,
«l’allarme non era per me».
Deglutì e prese un altro profondo respiro. «Infine
non abbiamo fatto nulla di male.»
«È stata colpa mia», disse il ragazzo.
«In
che senso?», gli lanciò un’occhiata
confusa.
«Ti spiegherò tutto più tardi. La nostra via di fuga se ne sta andando senza di noi», disse ricominciando a correre e trascinando la ragazza con sé. Un treno merci su una piattaforma magnetica vicina si era appena messo in movimento. Dannick aiutò Fenna a salire la scaletta che conduceva sul tetto del mezzo e poi si arrampicò a sua volta prima che il convoglio prendesse velocità.
"La principessa e il sensitivo"
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie