Capitolo XVIII – La scoperta di Condor
Da
quando in qua Chichi sapeva volare?
Yamcha
pensava di conoscere la principessa abbastanza bene, ma evidentemente
la bella guerriera gli aveva nascosto questa verità.
Già,
ma a che pro?
Forse
nemmeno lei si fidava completamente di lui?
L’idea
di essere stato in un certo modo preso in giro da Chichi non gli
piaceva per niente: Yamcha era ancora talmente disgustato dal
trattamento che gli aveva riservato Bulma che ormai vedeva come un
affronto personale praticamente ogni cosa che gli venisse detta.
O
taciuta.
Persino
i colpi infertigli da Kakaroth gli dolevano meno al confronto.
Ecco,
appunto.
Kakaroth.
Da
quanto poteva scorgere attraverso il suo sguardo confuso, nemmeno lui
sapeva che Chichi fosse in grado di volare.
Benissimo:
erano stati presi in giro entrambi.
Tra
l’altro, sebbene ancora Yamcha non riuscisse a scorgere la sua
figura nel cielo, si era reso conto benissimo che la principessa
stava volando a una velocità piuttosto sostenuta. Un essere umano
normale non avrebbe potuto arrivare a tanto.
Come
accidenti era possibile?
Dal
canto suo, Kakaroth aveva finalmente deciso di lasciar perdere la
faccia martoriata di Yamcha per dirigere il suo sguardo – e la sua
attenzione – verso la giovane donna che stava arrivando.
No,
ne era certo: Chichi non aveva quella capacità.
Se
ne fosse stata in grado, avrebbe certamente utilizzato quella tecnica
anche durante i loro allenamenti. Tuttavia, era chiaro che qualcosa
non quadrava: una strana aura avvolgeva la principessa e lui riusciva
percepirla senza alcuna difficoltà. Non era certo, però, che fosse
la sua.
Anzi,
sicuramente non lo era.
C’era
qualcosa di anomalo e di magico nella strana forza che stava
percependo nell’aria, e più diventava forte quell’energia, più
era tentato di spiccare anch’egli il volo e di raggiungere la bella
guerriera.
Ma
l’arrivo repentino di quest’ultima gli fece accantonare il
proposito e gli fece venire voglia, al contempo, di imprecare contro
di lei e contro quella maledetta nuvola sulla quale era seduta.
Già,
una fottutissima nuvola volante.
Chichi
aveva il fiatone.
Certo:
non aveva fatto alcuno sforzo fisico per raggiungere il suo
protettore
presso
la Kame
House,
ma l’ansia di trovare Yamcha esanime sulla spiaggia dell’isola di
Muten le aveva messo in corpo talmente tanta angoscia che il suo
cuore aveva preso a tamburellare all’impazzata.
Per
fortuna che si era ricordata del dono che tanti anni prima le aveva
fatto sua madre prima di morire.
Se
non avesse avuto a disposizione la nuvola
Kinton,
non avrebbe mai fatto in tempo a salvare il suo amico.
E
a impedire al suo protettore
di
commettere un gravissimo errore.
Gli
sguardi sbigottiti che si era vista piovere addosso le avevano dato
la certezza che gli eventi non erano ancora precipitati. Yamcha era
malconcio, certo, ma esattamente come tutti gli altri la stava
fissando incredulo, con la faccia di chi aveva appena visto qualcosa
di sconvolgente.
E
la sua preziosissima nuvola d’oro senz’altro lo era.
Ma
a dare le dovute spiegazioni su quel meraviglioso oggetto ci avrebbe
pensato in un secondo momento, ammesso che ne avrebbe avuta
l’occasione.
«Sei completamente impazzito, Goku? Volevi forse ammazzarlo?»
La ragazza scese velocemente dalla nuvola e corse incontro al suo amico, a terra e sanguinante, ma comunque ancora lucido.
«Ah, Yamcha! Temevo di non fare in tempo, accidenti! Prendi un senzu, avanti.»
«Un… cosa?»
Lo
sguardo sbigottito dell’uomo si posò su un minuscolo fagiolo
stretto nella mano della principessa.
Che
diavolo avrebbe dovuto fare con quello stupido legume?
Mangiarlo,
certo; ma a che pro? Era forse un oggetto miracoloso anche quello?
In
fondo, da una ragazza che volava in groppa a una nuvola, avrebbe
potuto aspettarsi anche questo.
«Mangialo, Yamcha! Non è il momento di fare domande questo!»
Il
guerriero strappò il fagiolo dalle mani della principessa e lo
ingurgitò.
Assurdo,
davvero assurdo!
Probabilmente
non avrebbe dimenticato quella giornata per tutto il resto della sua
vita. Prima era stato attaccato senza motivo da un alieno venuto
sulla Terra per fottere le preziose sfere
del drago
alla sua protetta;
poi, la donzella in questione era venuta a salvarlo a cavallo di una
dannata nuvola volante; infine, la stessa fanciulla pretendeva di
alleviare le sofferenze patite per colpa di quel farabutto del suo
protettore
somministrandogli
uno stupidissimo fagiolo.
Se
ciò che stava accadendo non lo stesse vivendo sulla propria pelle,
senz’altro avrebbe riso della trama ridicola di quell’ipotetico
romanzo.
Ma
era tutto incredibilmente vero, così come era vero che quel senzu
–
o come lo aveva chiamato Chichi – aveva il potere di guarire in
fretta le persone.
Yamcha
era di nuovo in piedi.
Le
ferite sul suo volto si erano rapidamente e completamente
rimarginate.
Chichi
era riuscita a guarirlo con chissà quale medicina e, come se ciò
non bastasse, lo aveva fatto ignorando completamente il suo sguardo
minaccioso.
Quella
stupida ragazzina non si era curata quasi per nulla di lui e si era
precipitata a salvare la vita all’uomo che aveva rubato le sfere
del drago.
Ridicolo.
Pazzesco
e ridicolo.
Chichi
doveva essere una masochista; oppure non doveva interessarle poi
tanto delle sue preziose sfere. Kakaroth avrebbe voluto sbraitare
dalla rabbia, ma il viso atterrito della principessa lo confuse non
poco. Che cosa stava succedendo a quella maledetta ragazza? Egli non
poté non notare il tremolio della sua voce e i residui di lacrime
che le erano evidentemente scivolati sul viso.
Possibile
che si fosse ridotta a piangere per Yamcha?
Teneva
davvero alla sua vita fino a quel punto?
Un
moto di gelosia gli attraversò ogni singola fibra del corpo. A lui
non interessava niente di quella stupida principessa dal carattere un
po’ troppo pepato,
però lei
era la sua protetta
e Goku sapeva di aver fatto breccia nel suo cuore. O, per lo meno,
così credeva.
Che
avesse esagerato?
Che
il suo comportamento l’avesse spinta a ricredersi?
Probabilmente
sì; ma, tutto sommato, perché avrebbe dovuto dolersi per una cosa
del genere?
Lui
non era interessato a Chichi.
No.
Eppure…
«Chichi, vuoi spiegarmi che cosa ci fai qui e… Che diavolo è quella cosa?»
«Ah, Yamcha! Invece di pensare a me, dovresti prestare più attenzione alle persone che ti ronzano intorno! Si può sapere come ti è saltato in mente di metterti in combutta con gli allievi di Condor? Il tuo maestro ti aveva avvertito su quanto quel tizio fosse poco raccomandabile!»
«Oh, cavolo! Non ti ci mettere anche tu! Ci ha già pensato Bulma a farmi la ramanzina!»
«Ne aveva tutte le ragioni, accidenti! Ma come hai potuto abbandonare Furipan senza lasciare alcuna traccia? Così facendo hai solo destato inutili sospetti.»
Yamcha sbatté un pugno a terra.
Il sollievo di aver visto Chichi arrivare e il fatto che quest’ultima l’avesse salvata da una fine certa svanirono in men che non si dica. Ci era riuscita: aveva rovinato tutto rivolgendogli delle stupidissime e subdole accuse. Possibile che non si rendesse conto che non aveva avuto altra scelta? Possibile che non capisse quanto per lui quella scelta fosse stata difficile e obbligata?
«Chichi, se ben ricordi io ho cercato di mettervi in guardia fin da subito sul conto del tuo protettore. Eppure, né tu, né nessun altro mi avete ascoltato! Cos’altro credi che potessi fare se non allearmi con le uniche persone che sembravano pensarla come me? Io ho provato a mettermi in contatto con Bulma, ma…»
«Sei un idiota!»
L’urlo
rancoroso di Chichi interruppe bruscamente le parole del guerriero.
La
ragazza era furente, con sé stessa, con Yamcha, con Kakaroth, con
Bardack e, soprattutto, con Mamanu. Era colma di rabbia a tal punto
che avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro. Il discorso
di Yamcha aveva un senso, certo; ma proprio per questo lei si sentiva
ancora più in colpa e, di conseguenza più inviperita. Non avrebbe
dovuto diffidare dei sospetti dell’allievo di Muten. Era stato
molto ingenuo da parte sua fidarsi ciecamente di un perfetto
sconosciuto.
Chichi
non aveva mai sbagliato in maniera tanto clamorosa e la
consapevolezza di essere stata in parte responsabile
dell’allontanamento di Yamcha, seppur in maniera indiretta, fece
crollare ancora di più la sua già precaria autostima.
Certo,
lui avrebbe potuto agire in maniera molto più razionale, ma il
discorso che quel ragazzo aveva proferito in propria difesa non
faceva, purtroppo, una sola piega.
Erano
stati gli eventi a spingerlo nella rete di Tensinhan e lui, lasciato
completamente solo, non aveva potuto fare altro che caderci dentro.
Chichi
prese a guardare dritto davanti a sé.
Prima
i suoi occhi incontrarono quelli furenti e sbigottiti di Goku, poi si
posarono su quelli sconvolti di Tensinhan.
Ella
capì dallo sguardo colpevole dell’allievo di Condor che Mamanu
aveva detto la verità: era stato lui a prendere le sfere
del drago,
e sempre lui le aveva fatte sparire, forse addirittura all’insaputa
di Yamcha.
Jaozi
era terrorizzato e si stringeva con forza alla schiena di Tensinhan.
A
Chichi quel piccoletto faceva una gran pena e, nonostante ella
sapesse bene quanto in realtà egli fosse pericoloso grazie ai suoi
poteri psichici, non poteva non ignorare la sua debolezza fisica.
Aveva
paura, e ne aveva ben ragione.
Tremava
di terrore e sudava freddo, mentre aumentava con forza la vigorosa
stretta intorno all’amico.
«Sei davvero un gran bel farabutto, Tensinhan» proferì la principessa, non nascondendo tutto il suo astio. «Grazie alla tua bravata, hai messo nei guai non solo me e Goku, ma anche Yamcha e il tuo amico Jaozi. Come accidenti hai potuto? Che cosa diavolo speravi di ottenere rubando le sfere del drago?»
Sia
Kakaroth che Yamcha si voltarono di scatto verso Tensinhan.
Ora
era tutto chiaro: a far sparire le sfere era stato l’allievo di
Condor.
In
effetti, non faceva una piega: Yamcha doveva aver insegnato a
Tensinhan come azzerare l’aura e lui, approfittando dell’ingenuità
del predone
del deserto,
si era recato di soppiatto presso la dimora di quello scansafatiche
del Supremo, rubandogli i preziosi oggetti da sotto il naso.
Già;
ma come aveva fatto Chichi a scoprirlo?
Kakaroth
tornò a guarda la principessa.
Il
viso gonfio e le gote leggermente arrossate tradivano sicuramente una
caduta di copiose lacrime. Chichi aveva pianto – quello era certo –
ma Kakaroth non era più tanto convinto che quel pianto fosse stato
causato dalla sorte di Yamcha.
«Sei sicura di quello che dici, Chichi? È stato davvero lui?»
«Sì, Gok… Kakaroth. Come vedi hai preso un granchio: Yamcha non c’entra niente.»
«E tu come accidenti fai a saperlo?»
Chichi
trattenne a stento un moto di disgusto sul volto.
Quella
domanda le aveva fatto tornare in menti gli avvenimenti della
mattina: lei che si precipita con Crilin verso la camera di Bardack,
Mamanu nella stanza del generale, la rivelazione sulla scomparsa
delle sfere, il messaggio di Bulma…
Già,
Bulma.
Se
la principessa non avesse convinto Tensinhan a parlare alla svelta,
il principe dei saiyan avrebbe messo le mani sulle sfere
del drago prima
di loro.
«Te lo spiego più tardi. Ora dobbiamo assolutamente recuperare le sfere prima che Vegeta le faccia sparire. Il padre di Bulma ha costruito un radar apposito per localizzarle e il principe e la scienziata stanno andando nella Città dell’Ovest a recuperarlo.»
Il
silenzio che avvolse l’isola di Muten fu paragonabile solo al senso
di shock provato da Chichi poche ore prima quando scorse la sua
matrigna insieme al padre di Goku.
Tutti
erano rimasti attoniti, sconvolti dall’ultima rivelazione della
principessa.
Persino
Tensinhan antepose il terrore per il fatto che Vegeta avesse potuto
trovare le sfere al fatto che egli stesso fosse stato smascherato.
Non
lo aveva previsto; in nessun modo avrebbe potuto immaginare che
quella maledetta scienziata avrebbe finito per mettere nelle mani del
sovrano dei malvagi
uno
strumento in grado di localizzare le sfere del drago.
Tutti
i suoi sforzi per sottrarle alla custodia del Supremo erano stato
inutili: qualcuno, molto più abilmente di lui, senza neppure muovere
un dito le avrebbe presto fatte sue, semplicemente approfittando del
genio di una donna apparentemente inutile.
E
ora, Tensinhan doveva decidere se collaborare con la principessa,
oppure allearsi con i saiyan.
***
Giumaho
si sentiva debole.
Molto
debole.
Erano
giorni che non si concedeva un pasto decente e il fatto che si fosse
quasi lasciato avvincere dalla depressione lo aveva reso ancora più
instabile e vulnerabile.
Ma
Mamanu aveva ragione: lui era il padre della principessa, e finché
sua figlia non fosse diventata a tutti gli effetti la sovrana di
Furipan, spettava a lui proteggere la sua terra e i suoi abitanti da
qualunque minaccia si fosse ravvisata all’orizzonte.
E
i saiyan erano una minaccia terribile.
Sebbene
sentisse di non essere pienamente in forze, lo stregone
del toro si
decise finalmente ad alzarsi in piedi e a uscire dalla sua stanza.
Aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare al di fuori delle
quattro mura in cui era stato rinchiuso per giorni, ma sapeva di non
avere altra scelta: sua figlia non era in grado di gestire da sola
quella terribile situazione e se, come aveva detto Mamanu, la
presenza di Goku l’aveva mandata in confusione, spettava a lui
cercare di riprendere in mano le redini del destino della
principessa.
Giumaho
si chiuse la porta alle spalle e prese a girovagare quasi senza meta
all’interno del palazzo.
Per
la verità, non aveva la più pallida idea di dove andare e di chi
cercare.
Troppe
cose gli erano sfuggite durante quei lunghissimi e difficili giorni
ed egli si sentiva come se brancolasse nel buio.
Già;
ma le sfere
del drago erano
scomparse, e Chichi era nei guai fino al collo.
In
un modo o nell’altro avrebbe dovuto assolutamente fare qualcosa.
Il
castello sembrava essere deserto. In cucina non c’era nessuno, e
anche la sala da pranzo era completamente vuota. Giumaho si recò
persino nella palestra, ma all’interno non vi trovò anima viva.
Possibile che tutti avessero abbandonato la reggia?
E
per quale motivo?
Che
fine aveva fatto Mamanu?
Lo
stregone
del toro tornò
indietro, rientrò a palazzo ed effettuò un altro rapido giro.
Non
era possibile che fosse completamente solo lì dentro!
Vegeta,
da quel poco che aveva capito, si allontanava assai raramente da
quella che considerava la sua nuova dimora, e Bulma…
«Ah, Bulma!» esclamò Giumaho, improvvisamente colto da un’illuminazione.
L’uomo
accelerò il passo e si diresse verso il vecchio sgabuzzino del
seminterrato.
Chichi
stessa lo aveva informato del fatto che il principe dei saiyan aveva
fatto prigioniera Bulma e che l’aveva rinchiusa lì dentro per
farle mettere a punto qualche diavoleria tecnologica.
Probabilmente,
la scienziata doveva aver adibito quella stanza ormai vecchia e
logora in una sorta di laboratorio di fortuna.
Quando
l’uomo arrivò, si accorse che effettivamente la porta era aperta.
Non
poteva sbagliare: lì dentro c’era ancora qualcuno.
Condor
non aveva fatto in tempo a scappare.
Preso
com’era dalla faccenda della Luna, aveva temporeggiato più del
dovuto nel laboratorio della scienziata.
Ma
ormai era troppo tardi per darsela a gambe: Giumaho era lì, davanti
a lui, e lo guardava con fare irato.
Il
proprietario del castello era furente e, a ben vedere, ne aveva anche
tutte le ragioni. Egli aveva messo piede in quel laboratorio
elargendo un enorme sorriso, convinto, evidentemente, di trovarsi poi
di fronte una persona diversa.
Cercava
la figlia di Brief, certo, e scoprire che invece a trafugare tra
quelle scartoffie c’era l’acerrimo nemico del suo ex compagno di
allenamenti lo aveva fatto infuriare.
D’altra
parte, sebbene si fosse introdotto lì dentro in maniera indegna,
l’anziano maestro di arti marziali era comunque incappato in roba
grossa. Bulma aveva riesumato dai vecchi archivi di quel pazzoide di
suo padre degli studi quanto meno anomali sulla Luna. Condor non
credeva certo che tutto ciò fosse un caso: lei era lì, in quel
maledetto castello, per assecondare le idee folli del principe dei
saiyan e se sul suo dannato tavolo c’erano dei calcoli inerenti
alla Luna, evidentemente l’argomento doveva interessare a Vegeta.
Senza
ombra di dubbio.
«Miserabile farabutto!»
«Non ti arrabbiare, Giumaho! Prima lasciami spiegare!»
«Che diavolo ci fai qui, eh? Questo non è forse il laboratorio della scienziata?»
Condor si avvicinò allo stregone del toro sventolando tra le mani le carte di Bulma.
«Esatto; e guarda un po’ qua? La tua cara scienziata è in combutta con i saiyan per qualcosa di grosso!»
Giumaho
prese a osservare Condor con aria sospetta.
Non
si era mai fidato di lui e, a meno di essere clamorosamente smentito,
non vedeva alcuna buona ragione per la quale iniziare proprio in quel
momento. Quel vecchio maestro viveva di malvagità e di inganni e,
per quanto la situazione fosse confusa e disperata, lo stregone non
avrebbe avuto alcun motivo di pensare che Bulma stesse collaborando
spontaneamente con i malvagi.
Senza
troppi preamboli, Giumaho strappò dalle mani di Condor i documenti
che teneva in mano e prese a visionarli.
Lui
non ci capiva niente di scienza e di tecnologia, ma era chiaro che in
quei fogli ci fossero dei dati inerenti a una luna.
Anzi,
quella era proprio la luna
terrestre,
scomparsa dai cieli notturni circa una quindicina di anni prima.
«Stai forse cercando di prendermi in giro? Ma quale combutta con i saiyan: questi sono dei vecchi studi sulla Luna! La carta oltretutto è logora: non è nemmeno roba recente! Anzi, a dirla tutta, non credo nemmeno che questa sia roba della scienziata.»
«Certo, idiota! Quei documenti li ha stesi di suo pugno il dottor Brief!»
«Appunto, e questo cosa credi che c’entri con i saiyan?»
«Be’, forse nei giorni di clausura che ti sei concesso, ti è sfuggito un piccolo particolare: Bulma sta lavorando per Vegeta! Se quelle carte erano sulla sua scrivania, vuol dire che i saiyan sono interessati all’argomento.»
Giumaho
preso a ridere di gusto.
Per
chi lo aveva preso?
Credeva
davvero che sarebbe stato così sciocco a credere a una simile
baggianata?
«La verità, mio caro, è che non avevi una scusa migliore per giustificare la tua presenza qui dentro e hai tirato fuori la prima scusa che ti è saltata in mente. Rimetti quei fogli al loro posto e esci da qui.»
«Ti si è fuso il cervello, per caso? Prova a ragionare, accidenti! Alcuni di questi appunti sono recentissimi e ci sono due grafie visibilmente diverse. Per qualche strana ragione, Bulma ha ripreso in mano gli studi sulla Luna e lo ha sicuramente fatto per ordine di Vegeta!»
«Andiamo, è ridicolo! Per quale assurdo motivo ai saiyan dovrebbe interessare una cosa del genere? Persino noi umani, ormai, ci siamo dimenticati della Luna!»
Condor
incrinò le labbra in una evidente smorfia di stizza.
No,
stavolta Giumaho stava prendendo un grosso abbaglio e, sebbene non
gli piacesse l’idea di collaborare con il migliore amico di Muten,
doveva in qualche modo convincerlo ad aprire gli occhi.
«Quanto tempo fa è scomparsa la luna, caro il mio stregone?»
«Circa quindici anni fa, se proprio ti interessa saperlo.»
«Oh, Bene. E, dimmi un po’, quanto tempo fa è morto Son Gohan?»
***
«Mi…
Mi dispiace molto, Mamanu.»
Crilin
non sapeva cos’altro dire.
Era
vero: gli dispiaceva; ma i sentimenti che egli provava in quel
momento andavano ben oltre questo. Era sconvolto – inutile negarlo
– e per quanto quella donna accasciata a terra e in lacrime gli
facesse una gran pena, il giovane guerriero non era sicuro che ella
meritasse anche la sua pietà.
In
fondo, se l’era cercata.
E
si era anche messa in un guaio non da poco.
Ma
che diavolo le era saltato in mente di iniziare una relazione
clandestina con Bardack?
Lei
era la moglie di Giuaho, accidenti, ed era anche una delle persone
più influenti di Furipan.
Quella
bravata, oltretutto, l’aveva messa ancora di più in cattiva luce
con la principessa. Non che quest’ultima, a dire il vero, avesse la
coscienza del tutto pulita, ma se non altro Chichi era soltanto una
ragazzina: la sua leggerezza nei confronti di Gok… di Kakaroth
poteva anche imputarsi all’ingeuità.
Ma
quali scuse aveva Mamanu?
Nessuna;
né tanto meno spettava a lui trovargliene qualcuna.
In
un’altra occasione, probabilmente, il valoroso, onesto, generoso
Crilin avrebbe tentato con maggiore convinzione di tirare su il
morale affranto di un amico; ma in quel momento egli sentiva di non
provare alcun interesse nel volerlo fare.
Era
stanco, deluso e terribilmente preoccupato.
Da
qualche parte sul suo bel pianeta si stavano per abbattere le furie
scatenate dei guerrieri più potenti dell’universo e la cosa
peggiore era che i saiyan stavano per combattere tra di loro l’uno
contro l’altro.
Che
diavolo poteva importargliene del cuore infranto di Mamanu e della
rabbia che Chichi avrebbe potuto scatenare verso di lei? Se Bardack
non fosse riuscito a frenare i propositi di Vegeta, avrebbero fatto
tutti quanti una brutta fine ancor prima che la principessa avesse la
possibilità di prendere a schiaffi l’impudica matrigna.
Eppure,
nonostante ciò, Crilin non riusciva a non provare compassione per
lei e di sottecchi continuava a fissare il suo viso mentre gli occhi
riversavano lacrime.
Mamanu
aveva sbagliato, certo, ma non spettava certamente a lui giudicare il
suo comportamento. Cosa ne sapeva, in fondo, di come andasse il suo
matrimonio con Giumaho? Tra i due coniugi c’era qualche anno di
differenza e lo stregone
del toro
in quei giorni aveva dimostrato di essere un uomo dalla mole tanto
minacciosa quanto dall’indole docile e remissiva.
Un
debole,
insomma.
Crilin
non poteva di certo negare che, al contrario di Giumaho, Mamanu si
fosse data enormemente da fare per salvare Furipan e i suoi abitante,
sebbene, tutto sommato, non fosse nemmeno suo interesse o competenza.
L’atteggiamento arrendevole di suo marito poteva averla delusa a
tal punto da spingerla tra le braccia di un altro uomo?
Perché
no; in fondo, per quel poco che aveva potuto capire, la scelta di
sposare Giumaho non fu presa dalla stessa Mamanu ma da suo padre. Era
probabile, dunque, che tra quei due non ci fosse poi chissà quale
forte sentimento a unirli, a parte il rispetto reciproco.
Rispetto
che però, evidentemente, con quel tradimento era venuto meno.
«Non
giudicarmi per quello che ho fatto.»
La
voce di Mamanu era tremolante, seria, rotta dal pianto.
Si
vergognava, e anche molto, per essere stata smascherata in quel modo,
ma la cosa che più la faceva star male era che proprio non riusciva
a pentirsi di ciò che aveva fatto.
«Non lo sto facendo, infatti.»
Le
labbra della donna si incurvarono in un sorriso sarcastico.
Certo,
come no.
Chiunque
l’avrebbe tacciata di essere una puttana.
Chiunque.
Perché
Crilin avrebbe dovuto esimersi? In fondo, lui l’aveva quasi colta
sul fatto e ciò che era accaduto in quella stanza tra lei e il
generale prima dell’arrivo del guerriero e della principessa era a
dir poco inequivocabile.
«Io lo amo, lo capisci? Non l’ho fatto per convenienza o per noia, e nemmeno per placare gli ormoni. Non so cosa accidenti mi abbia fatto quell’uomo, ma io mi sono innamorata di lui.»
«Ah, questa poi! E si può sapere perché accidenti vieni a dirlo proprio a me? Per chi mi hai preso? Io non sono il tuo confidente e, te lo ripeto, non ti sto giudicando. Questa faccenda riguarda solo te e tuo marito.»
In
un attimo di ritrovata lucidità, Mamanu si vergognò di quello sfogo
tanto infantile.
Non
era da lei.
Ma
la verità era che la moglie di Giumaho era stanca di ricoprire
perennemente il ruolo della consolatrice e della confidente. Alle
volte desiderava che qualcuno si comportasse con lei come lei faceva
con gli altri. In quel momento aveva la disperata necessità di
sfogarsi e di essere consolata e, chissà perché, Crilin le aveva
sempre dato l’impressione di essere un potenziale buon ascoltatore.
Ma
quel ragazzo, evidentemente, era ormai giunto al limite della
sopportazione. Quante ne aveva passate da quando i malvagi erano
arrivati a corte? Mamanu sapeva che spettava proprio a lui testare
tutte le invenzioni che Bulma creava per il principe dei saiyan e, da
quel poco che aveva potuto cogliere dei lavori della scienziata, il
lavoro non doveva essere affatto semplice.
Anche
lui, d’altra parte, aveva cercato di mettere un freno, per quanto
gli fosse possibile, all’istinto ribelle degli abitanti di Furipan.
E
di quello di Chichi specialmente.
Evidentemente,
però, aveva fallito.
«Hai ragione. Non è con te che dovrei chiarire la questione.»
«Già. Sei in un bel guaio, lo sai? E lo è anche il tuo generale. E anche Kakaroth e la principessa. Per non parlare di Bul...»
«Ah, se solo… Se solo riuscissi a evitare lo scontro tra Bardack e Vegeta, forse… Forse potrei scongiurare la catastrofe.»
Crilin abbozzò un mezzo sorriso.
«Perdonami la franchezza, Mamanu, ma a questo punto forse sarebbe meglio se tu ti facessi da parte.»
«E perché dovrei? Ormai sono dentro a questa situazione fino al collo.»
«Perché non hai detto subito chi avesse preso le sfere del drago?»
«Per evitare un inutile spargimento di sangue. Tensinhan non mi ha rivelato dove le abbia nascoste, per cui...»
«Certo, capisco.»
Il
giovane guerriero sbuffò.
No,
questa volta Mamanu stava mentendo. Se non aveva detto niente era
perché non voleva schierarsi.
Sciocca.
In
quel dannato cotesto, per quanto tempo ancora sperava di riuscire a
tenere il piede in due staffe?
Le
staffe, a dire il vero, erano anche tre o quattro.
Egli
faticava a capire se lei avesse agito così per ignavia o col sincero
proposito di tenere gli animi il più possibile a freno ma, in ogni
caso, la sua strategia si era rivelata assolutamente perdente.
«In ogni caso, Mamanu, non ho altra scelta che raggiungere la Capsule Corporation e vedere com’è la situazione. Tu resta qui e, per favore, non dire niente a nessuno.»
«Si può sapere che diavolo sta succedendo, nanerottolo? Cos’è che la regina non dovrebbe dire?»
I
due terrestri si voltarono di scatto verso la porta ancora
spalancata.
Merda.
Napa
era lì, poggiato allo stipite, che guardava Crilin e Mamanu con
l’aria collerica di chi sapeva di essere stato ingannato.
Quei
maledetti esseri inferiori gli stavano nascondendo qualcosa.
Qualcosa
di grosso.
E
a giudicare dagli strani movimenti a palazzo degli ultimi giorni,
dovevano essere coinvolti anche il principe, il generale e quella
mezza checca di suo figlio.
Perché
lui era stato tenuto all’oscuro di tutto?
Tutta questa omertà lo stava facendo innervosire parecchio.
«Na… Napa!?»
«In persona, zucca pelata. Che cosa ci fate voi due nella stanza di Bardack?»
CONTINUA
Angolo
dell’autrice
Innanzitutto, mi scuso per aver interrotto la long per così tanto tempo. Non sto qui a darvi troppe spiegazioni perché ciò significherebbe raccontarvi come è trascorsa la mia vita negli ultimi due anni, ma avevo sinceramente bisogno di staccare la spina da EFP (anche se, lo ammetto, non ho mai del tutto abbandonato questo sito).
Per poter buttare giù i capitolo in questione, ho dovuto rileggere tutta la storia o quasi, poiché di fatto avevo perso il filo degli eventi; dunque, anche se l’idea di tornare a pubblicare era in cantiere da molto tempo, ho dovuto rimandare di qualche settimana.
Questo è un capitolo più che altro di transizione: mi è servito per riprendere confidenza con alcuni personaggi e per fare un piccolo passo avanti nel racconto. Spero che la caratterizzazione non abbia risentito troppo della mia lunga assenza da questo fandom e dalla storia.
Nel prossimo capitolo – che spero di pubblicare regolarmente la prossima settimana – torneranno Vegeta, Bulma, Bardack e i coniugi Brief. Volevo inserirli già in questo capitolo ma… mi sentivo arrugginita a tal punto che non avrei saputo come impostare il paragrafo!
Spero abbiate pietà di me.
Un forte abbraccio a tutti :*
9dolina0
PS: sto rileggendo anche i capitoli già pubblicati di Nova Spes. Conto di aggiornare al più presto anche questa storia.