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Autore: thewise    16/02/2017    3 recensioni
Ahsoka Tano è una giovane togruta di diciott'anni, è lontana dal suo pianeta d'origine, lontana da quella che ha sempre considerato la sua famiglia, lontano da tutti e lontana da tutto. La guerra giunge al termine ed ogni cosa sembra apparentemente riprendere il suo corso, anche se non nel modo sperato: la Repubblica cade, sorge l'Impero. Ahsoka Tano è lontana, non sa più chi è, chi è stata e cosa diventerà. Ma c'è una cosa di cui Ahsoka è certa, una cosa che sicuramente sa di non essere: un Jedi.
( INCOMPLETA )
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Anakin Skywalker/Darth Vader, Nuovo personaggio, Obi-Wan Kenobi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 02.

No family, no home, no one

 
" there's no home. 
I understood by leaving it. "
  
nine years ago
 
La terra iniziò a tremare e Makenna si fermò. Gli alberi tutt’intorno fremettero, le foglie e i rami scossi dalla potenza di un vento improvviso, come un lampo, l’esplosione della caduta di un fulmine e poi… niente. Ogni cosa tacque, tornò immobile.
La ragazzina si volse un paio di volte, controllò la situazione con un germoglio di panico nelle occhiate guardinghe. Percorreva quel sentiero quotidianamente, era persino arrivata al punto da non dover più cercare indizi per sventare il timore di perdersi: Makenna avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi, passo dopo passo, dal centro del villaggio alla piccola dimora in cui viveva con suo padre e sua madre.
Ma come conosceva bene ogni radice, ogni albero ed ogni dislivello del terreno, Makenna sapeva altrettanto bene quanto alte fossero le possibilità d’imbattersi in individui poco raccomandabili. Il villaggio era un posto tranquillo, il pianeta era dannatamente pacifico rispetto alla guerra che imperversava in tutta la galassia e ciò lo rendeva anche meta appetibile per chi, per egoismo o timore, decideva di ritirarsi dalla scena. Molti fuorilegge, soldati, reietti e cacciatori avevano fatto di **** la loro dimora e tanti altri ancora ne sarebbero arrivati.
Makenna riprese il cammino, reggendo con più forza la sacca di tela pesante per via delle provviste. Un rumore basso simile ad una sirena d’allarme si diffuse nell’aria d’un tratto, facendo sobbalzare la ragazzina.
Non pensò nemmeno per un istante di lasciare quel punto a gambe levate, correre a perdi fiato fino a casa. S’immobilizzò, spaventata e senza sapere cosa fosse meglio fare in situazioni simili – suo padre le aveva insegnato a seminare i cacciatori, a nascondersi tra le fronde, a scappare silenziosamente. Non le aveva mai detto niente riguardo a strani avvenimenti, frastuoni dal cielo, tremori della terra e dell’aria. Cosa doveva fare? Ma, soprattutto, cosa stava succedendo?
Makenna alzò lo sguardo verso il grigio sovrastante, avvertendo il tremolio precedente moltiplicato in maniera esponenziale. Poi, all’improvviso, qualcosa volò sopra il bosco, sfrecciò ad una velocità tale da risultare irriconoscibile e la ragazzina riuscì a carpirne solo la densa scia di fumo scuro lasciata dietro.
« Makenna! », gridò la voce di sua madre in lontananza, proveniente dalla stessa direzione dell’oggetto volante.
La ragazzina partì di corsa alla ricerca della donna, noncurante del fatto che stesse andando incontro proprio alla causa del vento, del tremolio, del panico di chissà quanti abitanti. Passò tra un albero e l’altro, issando la sacca in spalla, e saltando ogni qualvolta temesse d’inciampare su radici sollevate dal terreno.
Interruppe la corsa solo quando ci fu una scossa più violenta, un frastuono spaventoso di qualcosa che atterrava bruscamente al suolo e finiva in mille pezzi. Pensò alla voce della madre, al villaggio che si trovava proprio lì, all’oggetto volante e al fumo.
Riprese, Makenna, il fiatone più per il panico di trovare il posto distrutto che per la fatica. Corse, corse come solo una volta le era accaduto nella sua giovane età, corse ancora, corse veloce.
Non seppe quanto tempo passò, distratta da tutt’altri pensieri, ma giunse in fine fuori dal bosco e di fronte ad una scena insolita e raccapricciante. L’oggetto volante era una nave, con fori e bruciature su gran parte della superficie, da cui ancora fuoriusciva del fumo. L’aria era poco respirabile, contaminata dall’odore del metallo abbrustolito, surriscaldato.
Makenna fissò l’evento ad occhi sgranati e labbra spalancate. C’erano due casette, in quel punto, prima che la nave le schiacciasse e le abbattesse. Aveva udito la voce di sua madre, potevano esserci delle persone, chiunque, morto nello schianto…
« Makenna! Andiamo via! », esclamò la donna, sbucando dalla foresta e accerchiando il corpicino della bambina con le braccia. « Non è sicuro rimanere qui! »
Entrambe fissavano la nave precipitata allarmate, Makenna era pietrificata. La madre alle sue spalle aveva smesso di cercare di trascinarla via, osservava anch’ella la nuvola grigia e le macerie.
D’un tratto, un’esplosione aprì un varco sul fianco, catapultando a distanza un pezzo metallico dalle dimensioni non modeste, e le due si ritrassero. Le mani della donna avevano coperto istintivamente il volto della figlia, la teneva stretta a sé con fare protettivo, accentuato dallo spuntare di una figura dall’apertura creatasi.
La madre di Makenna assottigliò lo sguardo, un po’ per mettere meglio a fuoco e un po’ per il fumo che pian piano si diffondeva nell’atmosfera. Vide un uomo, o così ipotizzò, cercare di farsi strada per scendere dalla navetta. Indossava un casco scuro da cacciatore di taglie, una tuta e un giubbino di pelle malconcio. Chiunque egli fosse, era del tutto fuori posto in mezzo alle foreste e alle abitazioni rurali.
Lo straniero toccò il suolo barcollando appena, stabilizzandosi con le braccia spalancate. Si volse verso il passaggio da cui era uscito e fece un cenno con le mani. Parole confuse provenivano da sotto il casco, incomprensibili sia a Makenna che sua madre, immobili. Quando se ne liberò, si accorse della loro presenza e parve stupito, consapevole di aver causato danni notevoli, nonostante aleggiasse sul suo viso un velo di furbizia (del tutto innocua).
« Oh, salve! Mi dispiace molto per… quello. Sono davvero dispiaciuto e mortificato – mi chiamo Drake. Drake Leafson. »
 
 
present day
 
« Hai fatto cosa?! »
« Papà, non capisci… »              
« No, no, no! Capisco benissimo, solo non capisco come ti sia potuta venire in mente un’idea così – stupida! »
La voce di Drake Leafson tuonava incredula e piuttosto furiosa oltre la porta chiusa. Ahsoka guardava la soglia di sottecchi, come se temesse d’essere scoperta a origliare una conversazione segretissima, quando di fatto chiunque avrebbe potuto udire gli strilli dell’uomo – sarebbe stato interessante vedere fino a che punto.
« Non sappiamo niente di lei! Potrebbe essere una cacciatrice, una fuggitiva, una mietitrice o un’assassina da loro assoldata! »
« Papà… »
« No, no, no, non tentare di guardarmi in quel modo, con quegli occhi e quello sguardo. Non funziona con me, lo sai. »
« Stai esagerando. Ha dato una lezione a Neely. Mi ha salvato, puoi chiedere a Makenna, gli fatto il cu– »
« Modera il linguaggio, signorino! Chi è che ti insegna a parlare in questo modo… guarda un po’, dove andremo a finire… »
« Ehm, credo tu ti riferisca a te, papà. »
« Questo non è un dettaglio di mio interesse! », ribatté Drake dopo un lungo attimo di silenzio. « Ora va a chiudere tutto e sistemare la baracca per la notte, qui me la vedo io. Intesi? »
Dalla stanza provenne uno sbuffo sonoro, seguito da altre vivide proteste di Marek.
Era lui, Marek, il ragazzo che aveva spinto Carter Neely ed era finito a terra. Ahsoka ripeté mentalmente gli eventi un paio di volte prima di arrivare a capire appieno come si era lasciata coinvolgere in quella situazione. La sua coscienza l’aveva reclamato, e l’aveva reclamato anche a gran voce: la voce del suo Maestro. 
« Dobbiamo essere più prudenti, ora. Neely potrebbe decidere di venire a riscuotere e, no, non mi riferisco solamente al lavoro che gli ho promesso… »
« Che ti ha ricattato a fare, volevi dire. »
« Bè, è lo stesso. »
« No, non lo è! Non capisco perché dobbiamo vivere così, papà. Con la paura di questo prepotente che si diverte a rendere la vita di tutti un inferno, compresa la nostra. »
« Ehi, sai bene che non è per questo che lo facciamo. »
« Ah no? La mamma non lo vorrebbe… »
« Bè, lei non è più qui! », tuonò la voce di Drake, improvvisamente alterata.
Ahsoka abbassò lo sguardo sulle proprie mani, sentendosi in colpa. Quella che in apparenza era iniziata come una strigliata del figlio da parte del padre si stava trasformando in qualcosa di più, in una conversazione troppo personale per poter essere intercettata da una sconosciuta come lei.
Non sapeva nulla di quelle persone e loro non sapevano niente di Ahsoka, neppure il suo nome. “Ashla”, aveva risposto, decisa a mantenere la sua invisibilità al mondo come un fantasma, non rintracciabile. Ma era solo questa la ragione dell’abbandono del proprio nome? Prudenza? Cautela? Astuzia? Non c’era forse dell’altro, radicato negli abissi più bui della sua persona?
« Mi dispiace, Marek, io non… »
La stanza calò di nuovo nel silenzio, che avvolse con le sue braccia l’intera dimora. Dovettero passare altri lunghi ed interminabili secondi prima che la voce del ragazzo spezzasse la pesantezza di quell’equilibrio precario, in cui nessuno aveva la benché minima idea di cosa dire, la mente improvvisamente svuotata.
« No, va bene, ho capito. Vado a chiudere le imposte. »
La porta si spalancò, attirando lo sguardo di Ahsoka. Marek uscì a passi quasi lenti, un’espressione di velata tristezza sul volto, che si tramutò in una smorfia quando intercettò gli occhi della togruta su di lui.
Il giovane aveva sedici anni, ma chiunque lo avesse incontrato gli avrebbe sicuramente affibbiato quattro anni di più a prima vista. Era alto, slanciato, dai lineamenti piuttosto marcati – che non assomigliavano affatto a quelli del padre, se non fosse per i profondi occhi verdi striati di uno scuro color terra – e un ciuffo ribelle castano. Ma non era solo questo, come anche Ahsoka aveva potuto notare, a rendere Marek più un uomo che un ragazzo: aveva una cicatrice invisibile su di sé, un segno indelebile che copriva ogni centimetro del suo corpo, un dolore soppresso, un trauma pesantemente legato alle caviglie e chissà da quanto tempo trascinato. Era un’ombra, un’ombra del passato, che l’aveva costretto a crescere in anticipo rispetto agli altri ragazzini.
Guardò Ahsoka e sospirò. « Non preoccuparti, fa sempre così quando è agitato. Le cose qui… non sono così semplici come sembra, ma suppongo tu lo abbia notato. È un brav’uomo, in fondo, capirà. »
Marek annuì lievemente, le labbra serrate ancora nella medesima smorfia. Ahsoka si scoprì non essere molto incline a parlare, impegnata a meditare inconsciamente sull’accaduto, e annuì a sua volta.
« Grazie », disse soltanto, con un filo di voce.
« No, grazie a te per avermi tirato fuori dai guai », rispose il ragazzo con decisione, ben consapevole di quanto fosse raro l’intervento altrui durante simili situazioni. La paura rendeva gli abitanti dei villaggi pacifici, ma anche succubi al punto da volgere il capo nella direzione opposta per non dover affrontare le conseguenze.
Ahsoka osservò Marek dirigersi nelle piccole stanzette della piccola dimora. Non aveva avuto possibilità di dare un’occhiata, naturalmente, da quando l’aveva condotta ( o meglio trascinata ) fin lì: aveva recuperato i suoi effetti, rapida e felpata per evitare d’affrontare una seconda volta i due cacciatori, e lasciato che il suo braccio la guidasse. Era troppo stordita, confusa da come gli eventi si erano andati a sviluppare e non sapeva cosa dovesse fare. Tornare alla locanda era escluso, non aveva importanza che avesse scambiato quasi inutilmente uno dei suoi bracciali, così come trascorrere la notte all’esterno. Ahsoka Tano non aveva avuto molta scelta, in conclusione, quella baracca era di certo l’alternativa migliore.
Sulla soglia apparve la figura di Drake, con una mano poggiata allo stipite. Aveva l’aria esausta, scettica e un po’ disorientata, comprensibile data la novità. Sul volto portava lo stesso segno indelebile del figlio, l’ombra del passato, la cicatrice invisibile.
« Sei una ragazzina », disse con tono sorpreso, lievemente serio date le sue preoccupazioni.
Ahsoka spostò subito lo sguardo, provando un impercettibile moto d’irritazione a quelle parole che aveva udito tanto spesso. « Non sono così piccola. »
« Uhm. »
Drake la studiò perplesso qualche istante, per poi camminare fino alla porta chiusa di un’altra stanza. Non dovette muovere molti passi, dato l’ambiente davvero ristretto, e spinse la superficie di legno senza perdere di vista la togruta.
« Puoi sistemarti qui per la notte », disse dopo aver dato una rapida controllata all’interno. « Non abbiamo molto spazio, come vedi, ma c’è una branda utilizzabile e troverai delle coperte nel baule. »
Ahsoka si avvicinò con lo zaino ancora in spalla, fece un cenno d’assenso col capo. Drake le parve evidentemente contraddittorio: da un lato la sua espressione era gentile, quella di un uomo un po’ goffo e scherzoso, devoto al figlio al punto tale da divenire, dall’altro lato, diffidente e sospettoso. Colse in lui un barlume d’austerità, sicuramente scatenata dal suo essere una straniera in terra straniera, sola e quindi anche dubbia.
Era comprensibile che non ostentasse sicurezza nell’offrirle un riparo, il timore di aver permesso ad un pericolo di varcare la soglia di casa. Ahsoka capiva, ella stessa aveva mentito sul proprio nome e non accennato nulla riguardo la sua destinazione, alle sue ragioni, alle sue intenzioni. Se non altro si sarebbe aspettata un interrogatorio da parte di Drake e il fatto che non sopraggiunse le diede un altro chiaro indizio sul carattere dell’uomo.
Gli occhi blu della togruta esaminarono la stanza, provando un certo tepore nella sensazione di avere un tetto per la notte. « Molto meglio del freddo e di quella… locanda. Grazie per l’aiuto. »
« Non voglio aiutarti. Ma lui sì », ribatté Drake, accennando a Marek con un movimento del capo, « mi fido del suo giudizio. È sempre stato troppo maturo per la sua età, mi domando se ciò non abbia a che vedere con il fatto di avere un pessimo esempio da seguire. E poi non eri costretta a salvargli la vita, là dentro. »
« Era la cosa giusta da fare. »
Drake assottigliò lo sguardo, d’un tratto pensieroso. « La cosa giusta da fare… », ripeté in un sussurro, soppesando quell’affermazione sillaba dopo sillaba. « Le persone non parlano più in questo modo. »
« Forse lo pensano, ma hanno paura. »
« E chi non ne ha? Viviamo in tempi difficili persino per percorrere il tragitto fino al centro del villaggio, probabilmente hanno ragione. »
« Ma non è comunque una giustificazione, no? », disse Ahsoka, rivolta a Drake ma forse e soprattutto a se stessa. La prudenza e il timore non erano valide ragioni per tenere lo sguardo basso, per calpestare qualunque buon proposito, valori in cui una volta aveva creduto. La confusione non era un motivo, così come neppure il dolore della perdita: non esistevano scusanti ed entrambi lo sapevano, i cuor loro.
L’uomo studiò a lungo i lineamenti della togruta, riconoscendone i tratti da un passato viaggio a Shili – conclusosi non molto bene, ma questa era un’altra storia. Drake si ritrovò stupito di fronte a quella ragazzina, colpito nel segno delle sue debolezze e delle recenti azioni poco nobili. Voleva proteggere Marek ad ogni costo, tenerlo fuori dai guai, lontano da qualsiasi pericolo e poco importava se per farlo doveva accondiscendere i ricatti di Carter Neely. Se questo pensiero l’avesse sfiorato cinque anni prima, si sarebbe maledetto, strozzato con le sue stesse mani: quando mai Drake Leafson si era reso il cagnolino di qualcuno? Già… mai. Ma questo era nel prima, nel dopo non poteva permettersi di perdere anche suo figlio. E si sentiva costantemente in debito, perennemente in colpa.
« No, infatti… », emise Drake simile ad un sospiro, squadrando Ahsoka ora con le sopracciglia increspate. « Se hai bisogno di qualcosa siamo di là, ehm… »
« Ashla. », l’intercettò Ahsoka, notata la lieve esitazione.
« Ashla. Io sono Drake. »
Ahsoka fece un cenno, le labbra strette in una smorfia sottile. « Grazie. »
L’uomo non rispose, si limitò ad un’occhiata eloquente, e Ahsoka comprese che non avrebbe udito nuovamente la sua voce. Presto rimase sola nella stanzetta ad osservarne le venature alle pareti, il buio crescente, il vuoto tutt’intorno.
No, non somigliava affatto alla sua vecchia stanza, ma questo era un bene. Vedeva già molti oggetti e paesaggi che fungevano da collegamenti con il passato, non necessitava di ulteriori promemoria. Sfilò lo zaino dalle spalle con sollievo e lo poggiò a terra. Accanto c'era il baule. 
La porta era aperta e scorse le figure di Drake e Marek attraverso il vano, udì le loro voci bisbigliate e capì l’atteggiamento esitante dell’uomo. Vide padre e figlio l’uno di fronte all’altro, impegnati in un discorso che aveva tutta l’aria d’essere uno scambio profondo e personale, il genere di affermazioni con il potere di avvolgere in un caloroso abbraccio familiare. Il genere di abbraccio che Ahsoka non avrebbe più avuto, almeno per molto tempo.
Erano passati alcuni mesi dall’ultima volta in cui era stata a Coruscant, aveva abbandonato il Tempio, i Jedi, il suo Maestro. Ma non era tutto. Ahsoka aveva lasciato la sua casa, la sua famiglia, i suoi amici, il suo mentore, la sua vita. Si era allontanata anche dal suo popolo, dalla sua città natale, dal suo pianeta, dalle sue origini. A conti fatti, cos’era rimasto di Ahsoka Tano? Solo uno zaino e un paio di spade laser inutilizzate.
Guardava padre e figlio, così vicini a lei, così lontani. Drake posò le mani su entrambe le spalle di Marek e i pensieri di Ahsoka corsero verso il suo Maestro. Se fosse stato lì… bè, avrebbe sicuramente lanciato una battutina ironica, con lo scopo d’infastidirla, e poi avrebbero passato il tempo a punzecchiarsi. Magari avrebbero concluso con un qualche tipo di conversazione sentita, ma solo per un po’, perché la natura di bimbi mai cresciuti d’entrambi avrebbe avuto la meglio.
Con gli occhi al pavimento, Ahsoka si spostò a cercare una coperta nel baule, l’immagine di Drake e Marek impressa a fuoco nella mente. Deglutì, sentendosi più sola che mai. I ricordi di Plo, di Anakin, di Obi-Wan e Padme non erano forti abbastanza da farle superare la nostalgia, quanto più gliene facevano provare in quantità maggiore. A volte l’idea di tornare l’aveva sfiorata, accarezzata e dolcemente cullata, per poi risvegliarla bruscamente di fronte all’amara verità: quello non era più il suo posto e niente, ora, avrebbe cambiato le cose. La nostalgia era domabile, meno dolorosa in effetti della consapevolezza di non appartenere a niente e nessuno. Non era un Jedi, non più. Non era neppure Ahsoka Tano…
« Ti ho portato qualcosa », interruppe il flusso continuo dei suoi pensieri la voce di Drake, appostato ancora oltre la soglia.
Ahsoka aveva la coperta tra le mani e la ripiegò, colta di sorpresa dalla nuova irruzione. « Pensavo avessi detto di non volermi aiutare. »
Drake sembrò essere preso alla sprovvista, ridestato all’improvviso, e culminò con una smorfia veramente buffa anche per lui. Poi alzò il fagottino che reggeva con facilità in una mano. « Cosa? Questo? Nah! È solo una piccolezza. Immagino tu sia in viaggio da un po’, insomma… sì. »
Giocherellò con l’oggetto tra le mani, inarcando le sopracciglia e storcendo le labbra come se si rivolgesse ad esso, al fagottino di cibo. Temporeggiò, ignaro di cosa avrebbe potuto dire e cosa voleva dire. 
Aveva lasciato all’istinto carta bianca per agire, aveva guardato negli occhi di suo figlio, aveva visto chiaramente le immagini riflesse e aveva percepito un dolore. Non si trattava di una sofferenza fisica, ma di qualcosa sepolto sotto agli strati più profondi, coperto da terra e detriti di ricordi, di rimpianti, di paure. Drake era un padre prima di tutto… un uomo che aveva rivestito quel ruolo egregiamente, forse assorbendolo al punto tale da nascondersi in esso. Cosa rimaneva di lui, altrimenti? Marek era l’unica cosa rimastagli al mondo. O almeno così aveva pensato negli ultimi anni, in cui si era rifugiato assiduamente in questa convinzione.
Rientrò nella stanzina con la medesima smorfia, andando a sedersi – con cautela – nel comodino di legno di fronte alla branda. Ahsoka fece lo stesso, accomodandosi a sua volta nella superficie che avrebbe cullato il suo sonno.
Entrambi rimasero in silenzio, talvolta evitando d’incrociare lo sguardo, posandolo a terra e aspettando che l’altro rivolgesse l’attenzione altrove. Fu Drake a fare il primo passo: allungò il braccio, porgendo il cibo ad Ahsoka con la massima naturalezza.
Cosa?, chiese d’impulso una vocina al lato destrò della sua mente. Che significa?, continuò, mentre le iridi blu profonde come un oceano fissavano l’offerta stupite, allettate, non sapendo come reagire. Accetta, prendilo, impose un’altra voce, marcata, proveniente dal lato opposto.
La mano sottile ed esitante della togruta cancellò la distanza, prese il pacchetto, ch’era molto più di un semplice rifornimento per uno stomaco messo a dura prova. Era un’offerta di pace, una tacita solidarietà, un atto di altruismo e di fede, che scaldò un istante la solitudine del cuore di Ahsoka.
« Perché lo stai facendo? », domandò Ahsoka, dopo aver aspettato l’attimo sufficiente ad osservare il fagottino di cibo ora tra le sue mani.
Quando rialzò lo sguardo incrociò inevitabilmente quello di Drake. L’ombra di sospetto era svanita, scomparsa all’improvviso, come d’un tratto… soppiantata con fermezza da un altro genere di sentimento, molto simile all’apprensione ma ad essa complementare. Era, per certi versi, un punto di svolta e un punto d’unione, quasi l’uomo fosse giunto all’ovvia conclusione del misterioso dilemma in anticipo. E riusciva a comprenderlo.
« È la cosa giusta da fare », rispose con un accenno di sorriso, un angolo delle labbra sollevato. « E poi c’è qualcosa in te, qualcosa di familiare nel tuo sguardo. »
Ahsoka assottigliò la vista. « Qualcosa di familiare? »
« Mh-mh », annuì lievemente Drake, facendo comparire una smorfia. « È lo stesso sguardo che avevo anch’io un po’ di tempo fa, quando ho deciso di mettere da parte il passato per occuparmi di mio figlio e assicurarmi che avesse un padre a prendersi cura di lui. »
Ahsoka non parlò. Scrutò quegli occhi verdi, striati dello stesso colore della terra, in ascolto. Qualsiasi cosa le passasse per la testa non sembrava giusta, e non che fossero numerosi gli impulsi alla parola in quel momento. Era semplicemente colpita. E Drake la precedette, parlando di nuovo.
« Quando avrei voluto… ma non ho fatto. »
La voce calma dell’uomo sfumò, accompagnata da uno sguardo divenuto assorto. Il silenzio divenne assoluto, un’entità con vita propria, presente e palpabile. Ciononostante non impedì alla togruta e all’umano di osservarsi ancora, ancora una volta, alla ricerca di una chiave di lettura nuova che non comprendesse più la totale diffidenza e il sospetto, se fosse stato possibile. Erano estranei, dopotutto. Questo status non aveva comunque placato Marek.
« Bè, Ashla, buonanotte », esordì Drake, rimettendosi in piedi con un sospiro affaticato. « Spero tu riesca a dormire un po’ prima di partire. A meno che non decida di restare. »
Le sopracciglia di Ahsoka impiegarono un po’ ad aggrottarsi, quando assimilò pezzo per pezzo le parole pronunciate da Drake. Aveva quasi raggiunto il vano della porta e lei si accigliò, stringendo per contro le dita sul cibo. Partire. Restare. Restare. Partire...
« Restare? Non credo che… »
« Hai forse una scelta migliore? », replicò sicuro, sostando un quarto di secondo, il tempo necessario a lasciare sospesa nell’aria la sua provocazione.
Ahsoka non capiva, non completamente. Rimase lì, seduta sulla branda, a guardare quell’uomo scomparire oltre la stanza, a contemplare la sua attuale posizione. Di nuovo, si trovava di fronte ad un bivio, era diventata il bivio stesso. Cosa doveva fare? Non aveva molta altra scelta, no?
No. Strinse il fagottino tra le mani, si beò della sensazione di un atto gentile, e si decise a scartarlo. Dopotutto, non era vero: non c'era nessun bivio, e convincersi del contrario era un inganno a se stessa. Lo sapeva, Ahsoka, inconsciamente. Sapeva che strada voleva percorrere, che via seguire. Doveva solo ascoltare l'istinto, lasciarsi guidare e non opporre resistenza. 
Lasciarsi andare...
 

 
« Sei felice, figliola? »
Le palpebre di Ahsoka tentarono di sollevarsi, pesanti. Mosse il capo verso destra, con una fatica tale da percepirlo come un grave fardello. Emise un lamento soffocato, qualcosa le doleva ma non riusciva a comprendere quale punto… non riusciva ad aprire gli occhi, non del tutto. Era intontita.
« Il tuo maestro ti tratta bene? »
Finalmente la visuale si aprì, anche se di poco. Ahsoka era distesa in posizione fetale e con le braccia deboli si mise a sedere, l’espressione frastornata, confusa, il mondo circostante sfocato.
Cosa stava succedendo? Non riusciva a mettere a fuoco nulla, i contorni degli oggetti vibravano, si mescolavano al paesaggio – che era ricco di foglie e arbusti, di certo non somigliava alla modesta dimora di Drake e Marek, alla piccola stanza che le avevano lasciato come riparo dal freddo notturno. E allora dov’era? Si era immaginata tutto? Perché si sentiva così stanca? Forse non si era mai mossa, era rimasta vittima del gelo e di allucinazioni talmente vivide d’apparire vere. Doveva per forza essere così, era la sola spiegazione che avesse senso.
Ahsoka si guardò faticosamente attorno, senza muoversi di un millimetro. Era buio, un cerchio buio in quella che aveva senz’altro l’aria di essere una foresta, illuminata solo da un fuocherello debole. Eppure aveva udito quella voce, un eco lontano, che rimbombava nella sua testa come il tuono di un tamburo. Un tamburo che aveva già udito molte volte, che conosceva bene, oh sì…
E poi la vide. Una figura che prima non aveva notato, in piedi oltre la fiamma in procinto di spegnersi, alta e misteriosa, dalle lunghe code e i montral decisamente più sviluppati dei suoi. Le somigliava tremendamente, nonostante fosse visibile solo uno scorcio del profilo, lo sguardo a terra, in attesa. Era lei.
« Chi sei? », chiese Ahsoka, le palpebre socchiuse.
Dopo una manciata di secondi, la figura si volse completamente e Ahsoka guardò se stessa negli occhi. Occhi diversi, gialli, crudeli, ottenebrati e corrotti da qualcosa di terribile, circondati da venature nere e da esse consumati.
« Non mi riconosci, vero? Io sono te, Ahsoka. Il tuo passato, presente e futuro. Guarda! GUARDA COSA MI HAI FATTO! », tuonò la voce, sollevando le braccia con forza e svanendo tra le fiamme.
Ahsoka si svegliò di soprassalto urlando e scattò a sedere con il respiro spezzato. Portò le mani alla fronte quando si rese conto che si trattava di un sogno, solamente un sogno. La coda dell’occhio vagò nella stanzetta, si accertò di essere tra le quattro pareti spoglie, in legno, malconce. Al sicuro.
Era solo sogno, ripeté. Solo un sogno.
Un sogno che aveva fatto molte volte un paio d’anni prima, durante un periodo in cui l’aveva tormentata assiduamente, simile ad una pugnalata che non accennava a voler smettere. Non sapeva bene da dove fosse nato; ricordava una missione non compiuta, un pianeta strano dal nome Mortis e più niente, frammenti scomposti, che facevano parte di questi incubi.
Ahsoka non aveva paura, ma percepiva un senso d’inquietudine ogni qualvolta si ritrovava ad osservare se stessa – se stessa nel futuro. E se fosse stato quello il suo destino, divenire oscura? Perché era il buio, il significato del sogno, vero? Le tenebre, l’ombra, il Lato Oscuro.
In cuor suo, Ahsoka non aveva mai neppure considerato la minima possibilità di un simile avvenimento ed era forse un piccolo pezzo del puzzle quanto mai sicuro. Conosceva la distruzione e le conseguenze del male, aveva combattuto assiduamente, con coraggio, senza timore ( quasi troppo e con mancanza di prudenza ). Allora cos’era a turbarla? Perché quel sogno si era rifatto vivo dopo anni di silenzio? Voleva dirle qualcosa, metterla in guardia, risvegliarla dal suo stato di fantasma prima che fosse troppo tardi? Troppo tardi per cosa?
Ahsoka prese dei respiri profondi, calmò l’agitazione e l’ansia dentro di sé. Si lasciò cadere sulla branda, scomoda ma essenziale, e fissò il soffitto buio per un lasso di tempo che non seppe definire. Guardò il vuoto, nero, cupo, e si domandò cosa stesse tralasciando, ricordando un insegnamento che il suo Maestro scoraggiava ad alta voce ma incitava tacitamente: seguire l’istinto.
Due stanze più in là, Drake Leafson osservava allo stesso modo la parete che lo sovrastava, sveglio sin dal momento in cui aveva sentito il grido di Ahsoka. Pensava, l’uomo, e più rifletteva, più si rendeva conto che quella ragazzina condivideva con lui sentimenti dolorosi che, data la sua giovane età, non avrebbe dovuto conoscere. Come suo figlio.
E più prendeva consapevolezza di ciò, più si avvicinava alla conclusione che non avrebbe potuto permettere che girovagasse da sola in quel pianeta sconosciuto, apparentemente quieto ma pieno di nascoste insidie. No. Lo doveva a suo figlio, lo doveva a sua moglie e, in gran parte, lo doveva a se stesso. Forse era giunto il tempo di riscattarsi, di vestire di nuovo quel nome imponente che aveva abbandonato da anni. Era arrivato il momento di svegliarsi, svegliarsi davvero. 

 
Angolo dell’autrice.
Ben ritrovati, amici stellari! 
Come promesso, sono di ritorno con il secondo capitolo, che è un po’ la conclusione del primo.
Che dire? Con questi primi due pezzi si delinea un po’ la figura introspettiva di Ahsoka, la sua situazione pochi mesi dopo aver lasciato l’Ordine e l’unica vita che ha conosciuto. Sta prendendo consapevolezza, un po’ alla volta, che le sensazioni provate quando era considerata una fuggitiva dai Jedi sono reali: è sola, non ha una famiglia, non ha amici, non ha una casa, può contare solo su se stessa e sta cercando di raccogliere i pezzi della sua identità per capire chi è e avere, così, di nuovo fiducia in sé.
Il fatto che la sua coscienza abbia sempre la voce di Anakin dice molto di lei e Drake questo sembra averlo capito ( anzi, Ahsoka è quasi una scintilla che lo riaccende, potremmo dire ): qui c’è la prima vera comparsa di Drake Leafson, proprio un’entrata col botto per il suo personaggio. Me lo immagino come il Richard Castle della situazione, sempre con qualcosa da dire, da fare, la persona più improbabile a schierarsi in qualche combattimento – che invece nasconde un bagaglio di esperienze notevoli e un gran blocco di passato. Non voglio spoilerare nulla, naturalmente… ma questi primi due capitoli sono cappelli introduttivi importanti, che si svilupperanno moooolto ampliamente tra poco. Nulla è lasciato al caso.
 
Con la speranza che non siate rimasti delusi, il terzo capitolo sarà disponibile lunedì 20 febbraio. Come sempre, sotto potete trovare un piccolo estratto.
p.s. il nome del pianeta in cui si trovano i nostri eroi è volutamente ignoto, soprattutto perché non vorrei fare un buco nell’acqua o inserire qualche paradosso nella mappa galattica di Star Wars. Lasciamo il mistero? Pianetus ignotus. A prestissimo!



 
Estratto: capitolo 03.
Unsolved
 
Neely si mosse di un paio di passi, alzò una mano per puntare l’indice verso l’alto, facendolo dondolare in modo compulsivo e, per certi versi, minaccioso. In realtà era ancora visibile una profonda traccia di divertimento in lui, e probabilmente era proprio questo a renderlo pericoloso.
« Sai, ho sempre apprezzato il tuo senso dell’umorismo », scosse il capo, mentre le risa andavano diradandosi sempre di più. Si spensero, lasciarono vuoto e serio il volto dell’uomo. « Ma so cosa stai cercando di fare. E se pensi che queste buffonate possano salvare il tuo pargoletto e quella guastafeste dai miei scagnozzi che sono sulle loro tracce in questo momento, ti sbagli di grosso. »
Il sorriso svanì in un lampo anche dalle labbra di Drake, che ricevette con quelle parole una doccia gelida senza preavviso. Ovviamente non era tanto sciocco da sottovalutare chi aveva di fronte, soprattutto vista l’ampia conoscenza che di lui aveva da molto tempo. Sperava solo che gli amici di Carter fossero delle frane nella corsa, dei disastri nella ricerca di tracce e dei creduloni che Marek e Ahsoka avrebbero potuto aggirare facilmente.
« Perché, Carter? », chiese con un filo di voce, sincero.
Di tutte le immagini possibili e dei risvolti di quell’infausta situazione, non riusciva ad accettare l’idea che Neely arrivasse al punto di uccidere suo figlio. Era una sensazione sgradevole, come qualcosa di davvero disgustoso e amaro, potente da far salire la bile in gola e vomitare ogni briciola di logica rimasta.
Lo stomaco di Drake si attorcigliò quando Carter rise. Il suono gutturale della sua voce gli fece venire la pelle d’oca, salire il cuore in gola di fronte alla possibilità di perdere realmente anche Marek. Quanti anni aveva speso per assicurarsi che ciò non accadesse? Quanti per proteggerlo, per accertarsi che crescesse con un genitore e non diventasse un orfano sperduto, senza un futuro e un barlume di speranza di poter vedere un giorno un’alba migliore? Non lo sapeva più, Drake, aveva perduto il conto da tempo, così come aveva perso se stesso. Sembravano passate poche ore dallo schianto su quel pianeta, solamente una stupida manciata di ore…
« Perché?! », lo rimbeccò Carter, « Bè, questa è un’ottima domanda, amico mio. Davvero un’ottima domanda, ma sono sicuro che tu sia già in possesso della risposta e perciò possiamo andare dritti al dunque. »
La mano agile di Neely estrasse velocemente un blaster dalla fondina alla cintura, lo puntò all’altezza del volto di Drake. Freddo, senza alcuna esitazione, senza errore.

« Siamo alla resa dei conti, Drake. E il tuo è irrisolto da troppo tempo. »
« Alla fine, ci siamo… che aspetti? Uccidimi. Fallo. »



 
   
 
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