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Autore: Makil_    17/02/2017    21 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre.
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos. 
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Oltre Capo Lussuria trovarono ad aspettarli il vespro.
Lenticchia aveva un’andatura del tutto delicata, accompagnata di tanto in tanto da nitriti di stanchezza. Il suo passo non aveva nulla a che vedere con quello fiero e caparbio della giumenta di Dalton. Il destriero che gli aveva donato il devoto Baricald pareva avere tanto sonno quanti erano tutti i peli del suo corpo. “Pigro come un mulo” aveva pensato Bart non appena gli era salito sul dorso. Le dune tortuose di Campo Verde erano sempre più vicine adesso, e a nord già si potevano scorgere le prime luci degli accampamenti degli altri cavalieri che, come lui, avrebbero percorso la strada per Roshby. In alto il cielo era sorvolato da uccelli che lo macchiavano di nero. “Le Grazie ce ne scampino, è in arrivo un temporale!” rilevò. Bart aveva imparato a leggere i presagi del cielo e i segni degli animali quando era ancora niente poco di meno che un bambino. Amisa Witeolm aveva assunto per lui un’incantatrice che gli insegnasse l’arte della medicina, dell’alchimia e della stregoneria. Un’anziana donnetta che gli aveva insegnato come si aprivano i fegati delle capre, come si perlustravano le fondamenta dei castelli, come si curavano le piaghe dei piedi, e tanta altra robaccia di cui Bart non si era mai nemmeno lontanamente interessato. Per attirare la sua attenzione, l’incantatrice aveva addirittura provato a mostrargli i suoi ampi saperi sulle tanverne, le enormi bestie squamate che popolavano le leggende del volgo, i canti degli aedi e i miti trascritti dagli amanuensi. Quelle bestie che giacevano nelle segrete di qualsiasi regno di Pantagos, celate alla vista degli stolti. Ma nulla di tutto ciò aveva funzionato con Bart, che preferiva piuttosto passare le giornate tra le gambe di Dalton, vederlo combattere ed emulare i suoi movimenti. Dalton Kordrum era stato tutto ciò che Bart avrebbe potuto desiderare che egli fosse: padre rispettoso, tutore austero. «Un giorno avrò una spada!» diceva continuamente al signore di Sette Scuri. «Una spada vera, proprio come la tua». E Dalton non aveva mai avuto modo né motivo di dissentire. Non appena Bart crebbe abbastanza da poterne reggere una, Dalton fece forgiare Lungacresta, e gliel’affidò allo stesso modo in cui avrebbe affidato un figlio nelle mani di una balia. Si potevano dire molte cose di Bart durante quel periodo: era un ragazzino vivace e svelto di comprendonio, instancabile come tutti gli altri e molto, molto curioso. Egli stesso si sarebbe definito con la larghe parole, magari diverse da quelle che, invece, avrebbe utilizzato Amisa, la quale, temendo altamente per la sua incolumità, si era dispiaciuta quando Bart le aveva confessato di voler impugnare l’acciaio. Certo, era stato tantissime cose: alle volte giuste, altre volte sbagliate. Ma mai Bart era stato tanto impertinente quanto quella ragazzina.
Stavano camminando ormai da molte ore, talmente tanto che di Werny avevano smesso di vederne le mura già dalla mattina in cui erano partiti. Lei, la ragazzina di cui ancora non aveva potuto sapere il nome, galoppava sul dorso del suo palafreno macchiato a poca distanza da Bart, alle sue spalle. Aveva tentato in molti modi di spronarla a parlargli, ma non c’era riuscito con nessun tentativo. La ragazza era rimasta corrucciata dalla partenza, e nulla aveva saputo farle scivolare via quel risentimento. Il devoto Baricald aveva cortesemente chiesto a Bart di accompagnarla a Roshby, data la sua enorme passione per il combattimento. Era stata un’azione piuttosto generosa, aveva pensato Bart. Un’azione per cui la ragazzina avrebbe dovuto ringraziare sette volte suo padre, e ne sarebbe dovuta essere soddisfatta. Ma nulla di tutto ciò che Bart pensava sembrava corrispondere a quel che la ragazzina faceva: non solo si era rifiutata amaramente di ascoltarlo, ma aveva deciso di tappare la bocca con una forza così grande che Bart non era neppure riuscito a strapparle un delicato sorriso. Ed aveva taciuto per tutto il cammino, senza neppure rivolgergli uno sguardo di incerta curiosità. L’indifferenza della ragazzina – non si poteva negare - lo stava facendo innervosire non poco.      
Bart fermò Lenticchia in prossimità di un incrocio, punto in cui la strada si divideva in due viottoli differenti, l’uno più contorto dell’altro. Ai margini del cammino crescevano lillà, viole e altri fiori azzurri e gialli, che impregnavano l’aria di mille particolarissimi profumi.                                                                                                                                                                            
«Destra o sinistra?» chiese Bart alla fanciulla, che si era fermata al suo fianco poco dopo di lui. Indossava un corpetto di cuoio che le metteva in risalto i seni, e, stretto sui fianchi, le conferiva un aspetto smilzo.             
La ragazza si limitò a guardare più avanti, ostinata a non conferire con lui per chissà quale strano motivo. “Non capisco” pensò Bart “Sto facendo più del dovuto e questo è il ringraziamento?”                                                              
«Puoi anche rispondere, ragazzina. Qual è il tuo nome?»                                                                                                                                
«Esmerelle» mugugnò lei, guardandolo per la prima volta. I suoi occhi erano profondi, solcati da striature di azzurro. “Occhi da principessina” pensò Bart “Che sia questo a farla sembrare così arrogante?”                                                     
«Esmerelle» ripeté Bart. «Come Esmerelle la Regina del Colloblu?»                                                                                                         
La ragazzina non rispose. Bart non si aspettava che conoscesse quella Esmerelle, di cui solo chi era nato nelle Terre dei Venti poteva esserne a conoscenza. Si trattava di una vecchia figura popolare nei racconti degli aedi, che si diceva avesse plasmato le acque del Colloblu utilizzando solamente le sue mani, e che avesse sposato il Fanciullo delle Acque per suggellare un patto di trecento anni di pace. Ma l’Esmerelle che aveva di fronte non aveva molto a che fare con quella delle ballate.                                                                                               
«Io sono Bartimore» disse Bart senza che gli fosse chiesto di presentarsi. «Ma puoi chiamarmi Bart.» In campo di pazienza, notò, era uno dei migliori. “Fossi stata un ragazzo ti avrei già cacciata via. Ma ho fatto una promessa a tuo padre” pensò.
«Non serve. Dubito che ti chiamerò.»                                                                                                                                                        
«Allora dovrò riportarti da tuo padre.» ribatté secco Bart.            
Esmerelle scoppiò a ridere, sfacciata. Bart ne fu stupito e stranito allo stesso momento.                                                        
«Mio padre? E, dimmi, come vorresti trovarlo? Forse profanando tutte le tombe di Città del Grano? Fallo e poi lascia che ti processino per averlo fatto.»    
Bart continuava a non capire. Il tono della fanciulla si era fatto ancora più fastidioso. Cosa intendeva dire con quelle parole?          
«No. Tuo padre, a Werny. Il devoto Baricald.» rispose Bart. Forse Bart aveva svelato qualcosa che non avrebbe dovuto svelare. Che non sapesse chi fosse suo padre?                                                                               
«Mio padre chi?» domandò Esmerelle inarcando le sopracciglia. «Sono orfana da molto tempo. Mio padre è morto.»    
Che diavolo di tranello è mai questo?” si chiese Bart. «Chi è il devoto Baricald, allora?»                      
«Ti sei risposto da solo: un devoto.»                                                      
Quanta arroganza. Tuo padre avrebbe dovuto impartirti un po’ di buone maniere. Chiunque egli fosse.”                                                 
«E che ci facevi a Werny, ragazzina?»  
«Ser Kyle Ashawer mi ci portò insieme ad una carovana di altre persone. Scappavamo da una razzia a Città del Grano, dove mio padre fu assassinato. Eravamo fuggitivi. Proprio come te, no?»     
«In realtà io credevo di essere un cavaliere. E, per la cronaca, siamo diretti a Roshby, al torneo.» disse Bart. Le parole di Esmerelle sapevano essere sfrontate ed offensive.    
«L’unica cosa positiva in tutto questa messinscena». Esmerelle si grattò gli occhi con delicatezza. La ragazzina era poco più piccola di lui, eppure sembrava avere la sua stessa età. Se non fosse stato per tutta quella caparbietà, il suo aspetto l’avrebbe sicuramente fatta sembrare molto più matura. Bart aveva visto il timore stampato negli occhi del devoto Baricald poco prima della partenza. Ora, probabilmente, riusciva a capire a cosa fosse riferito. Quell’uomo l’aveva ingannato senza un’apparente ragione. Perché non dirgli che quella, in realtà, non era sua figlia? Dopotutto non c’era nulla di male. Anzi, forse sarebbe stato anche un gesto migliore per preservare la sua dignità. “Inventare una storia del genere solo per rifilarmi tra i piedi una ragazzina? Perché?” si chiese Bart. “Forse voleva solo togliersela dai piedi.” E chi era il più colpevole in tutto ciò? Quell’uomo aveva timore di lei, di quel che pensava potesse essere.
«È nelle mie intenzioni andarci, quantomeno. Ma se non mi dici quale via prendere, destra o sinistra, è probabile che invecchierò prima di poter partecipare a quel maledetto torneo!»                                                                                                                                                                               
Esmerelle rise sonoramente, ancora una volta, e non per quel che aveva detto Bart.                                      
«Parteciperai al torneo? Tu?» chiese la ragazzina in un misto di incredulità e sfottimento.
«Be’, cos’ho che non va?» Bart spinse fuori il petto, dritto sul dorso di Lenticchia.                                                                 
«Non ho mai visto un cavaliere così… »                                                                                                                           
«Giovane?» concluse per lei Bart con fare quasi orgoglioso.          
«… asciutto. Sì, è proprio questo il termine. Sembri proprio un’asta, ora che ti guardo meglio. Rischieresti di spezzarti al primo colpo di freccia.»        
«Fa’ silenzio ragazzina.» la rimproverò Bart. «Mi aspetto delle scuse adesso, per la tua arroganza.»          
La ragazza fece nuovamente silenzio, ma questa volta non distolse minimamente lo sguardo da lui, squadrandolo con aria di sfida.    
«Allora» riprese Bart «Come ti giustifichi?»                                                                                                                            
«Devo fare silenzio o posso parlare?»                                                                                                                                  
«Puoi parlare» concesse Bart «Ma solo se hai da dire qualcosa per scusarti.»  
«Allora posso restarmene in silenzio» replicò Esmerelle. Poi fece avanzare il suo palafreno di qualche passo e, superando Bart, si spinse verso la stradina a destra.                                                                                                
«No» contestò Bart. «Si va a sinistra, ragazzina». E senza neppure accertarsi che lei lo stesse seguendo, tirò le redini di Lenticchia ed avanzò più veloce del dovuto. 
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Note d'autore:
Eccoci qui con questo aggiornamento straordinario che avevo promesso lo scorso lunedì, dettato dal fatto che il capitolo V è una sorta di tutt'uno con il IV. Be', come al solito - prima di ogni altra cosa - ogni mio ringraziamento va ai miei lettori assidui e a tutti quelli che, con grande impegno, lasciano sempre un commento ^^
Detto ciò, che ne pensate di questa svolta? Esmerelle è un ragazzina un po' particolare... ma ogni comportamento è sempre dettato - ovviamente - dal passato che grava sui personaggi. Insomma, null'altro da aggiungere, spero che le vicende siano sempre di vostro interesse e gradimento. Ci vediamo, con un aggiornamento regolare, lunedì 20, con un capitolo abbastanza corposo!
A presto :)
Makil_
   
 
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