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Autore: catoptris    18/02/2017    1 recensioni
Los Angeles era argomento off-limits, lo sapevano tutti. La ragazza iniziava a dare in escandescenza al solo sentirlo nominare. O al sentir nominare la famiglia Blackthorn.
La verità è che le mancavano più di quanto realmente volesse ammettere: ricordava a malapena gli occhi di Ty, il volto dolce di Dru, la sicurezza con cui si muoveva Livvy, i piccoli versi che faceva Tavvy - anche se ormai aveva sicuramente imparato a parlare. Le mancava perfino Mark, sempre con quell'aria da ragazzo perfetto e imbattibile, che lo accumunava in maniera inquietante sia con Jace che con il popolo fatato, del quale possedeva i tratti. Li ricordava vagamente, ma sapeva con certezza che erano delicati e precisi. Ma più di tutti, era Julian a mancarle. Il suo migliore amico, con il quale aveva affrontato anche troppo a soli dodici anni. Sarebbero dovuti diventare parabatai e restare insieme, lì nell'Istituto di Los Angeles.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Carstairs, Julian Blackthorn, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Era stato un gesto sconsiderato.
Da ore non faceva che ripetersi quanto stupide fossero state le sue – le loro – azioni. Erano passati cinque anni, non potevano semplicemente andare a letto insieme e chiudere lì la questione.
Risvegliandosi la seconda volta, Emma non aveva trovato il ragazzo al suo fianco, ma sul momento non gli aveva dato molto peso: si era vestita e aveva raggiunto silenziosamente la propria camera. Solo lì, in quell'ambiente familiare, la consapevolezza dei suoi gesti e di ciò che era accaduto l'aveva attanagliata, stringendole la gola, premendole sul petto. E aveva iniziato a mettere in ordine. Lei non metteva mai in ordine; solitamente, per disperazione, Alec o Jace lo facevano per lei.
"Non sai più con chi allenarti o c'è qualcosa che non va?" la voce gentile sulla soglia della porta – porta che, ed Emma ne era più che sicura, era stata chiusa – la fece bloccare di colpo, una pila di libri in mano e la fascia dei capelli calata sulla fronte. Voltò il capo, incontrando lo sguardo indagatore di Alec, con le braccia incrociate al petto e il mento appena sollevato.
"Emma!" gridò subito dopo una voce più delicata, bambinesca, e chinando lo sguardo la giovane vide Rafael correrle incontro. Sorrise flebilmente, posando i libri e abbassandosi al livello del minore, accogliendolo in un abbraccio come era solita fare. Rafael era per lei il fratello minore che aveva perso una volta abbandonata la famiglia Blackthorn: si sentiva responsabile per lui, ma lo avrebbe aiutato in qualsiasi situazione – specialmente quando, da più grande, si sarebbe ritrovato a far strage di cuori.
"Max fa ancora lo sbruffone?" sussurrò in tono divertito all'orecchio del bambino, prima di allontanarsi quanto bastava per osservare il suo volto: conservava ancora la magrezza di quando era arrivato, tutto ossa e muscoli, ma gli occhi erano nuovamente vispi e luminosi, come dovevano essere stati un tempo. Annuì piano, Rafael, gettando un'occhiata al padre che sospirò, avanzando a grandi falcate all'interno della stanza.
"È solo contento di riuscire a imitare Magnus," lo giustificò in tono bonario, facendo arricciare il volto del bambino in una smorfia. "E tu non hai risposto," aggiunse, rivolgendosi direttamente a Emma. Lei lo guardò per qualche istante, scompigliando poi i capelli di Rafael.
"La seconda che hai detto," mugugnò in risposta, tirandosi nuovamente in piedi.
"Rafe, sono sicuro che Jace non ha nulla da fare: ti andrebbe di allenarti con lui?" disse il giovane, facendo sfuggire dalle labbra del bimbo un gridolino di gioia mentre abbandonava di tutta fretta la stanza. Jace, lo sapevano tutti, era il secondo Shadowhunter che Rafael ammirava con tutto se stesso.
"Sai che a Jace non piacerà," dichiarò Emma, sedendosi di peso sul letto. Alec, chiudendo la porta, si strinse tra le spalle.
"Mi deve ancora qualche favore," si giustificò lui, prima di raggiungerla. "Ora, perché non mi dici cosa è successo?" le chiese, retorico.
La bionda sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma sperava di allungare il più possibile il brodo così da non ricevere una ramanzina. Non ancora.
"Ho chiuso con Chase," iniziò. "O meglio, Cristina ha chiuso con Chase al posto mio," precisò, facendo sollevare gli occhi al cielo ad Alec – più per sollievo, forse, che per altro.
"Se hai avuto una crisi adolescenziale per una relazione finita, allora vado a chiamare Izzy, lei ne capisce di più," disse rapidamente, sistemandosi un ciuffo scuro che gli ricadeva tra gli occhi. Emma sospirò, volendo in parte fosse quello il problema.
"Non – no, non proprio," posò lo sguardo sulle proprie mani unite sulle cosce, improvvisamente interessanti, respirando a fondo. Dischiuse le labbra, per continuare, ma la voce – più acuta – di Alec la interruppe.
"Tu hai – oh santo cielo – Raziel, hai –" iniziò a balbettare, scattando in piedi come se il letto fosse improvvisamente rovente. Emma sollevò di poco lo sguardo, solo per vederlo camminare avanti e indietro più volte. "Hai – con chi?" chiese quindi, fermandosi. Emma si posò una mano sulla fronte, massaggiandosela appena.
"Julian," mugugnò, sperando di non essere davvero sentita. Ovviamente, non fu così.
"Julian!" ripeté l'altro, quasi in un grido. "Io non – per l'Angelo, Emma," continuò, riprendendo a camminare con una mano incastrata tra i capelli. In altre circostanze, lei sarebbe scoppiata a ridere.
"Alec, non era neppure la prima volta, –" tentò di dire, venendo interrotta bruscamente da un secondo grido, per nulla virile, da parte di Alec.
"Non ho intenzione di parlare di questa cosa, Emma!" la riprese, improvvisamente rosso, prima di continuare a borbottare tra sé e sé.
Si interruppe solo dopo quelle che parvero ore, bloccandosi davanti lei con una mano su di un fianco e l'altra a massaggiarsi le tempie, come se servisse a metabolizzare le informazioni.
"Ha fatto qualcosa che non doveva? Voglio dire, si è spinto troppo in là?" domandò in un borbottio, sollevando appena lo sguardo sul volto della giovane che scattò, drizzando la schiena.
"Cosa? No! Assolutamente no!" squittì, portandosi le gambe al petto. "Dopo, però, mi è sembrato sbagliato – cioè, non subito dopo, ma la mattina," disse in tono più basso. Alec agitò la mano davanti il volto, come per scacciare un insetto fastidioso, prima di ispirare a fondo.
"In fondo hai un minimo di buonsenso," aggiunse in un basso borbottio. Per – probabilmente – la prima volta in vita sua, Emma Carstairs si sentì davvero imbarazzata. Il ragazzo si inginocchiò davanti a lei, posando le mani sulle sue con delicatezza e, sebbene sembrasse procurarle dolore fisico, la giovane alzò lo sguardo, incontrando il suo. Inaspettatamente, Alec sorrideva.
"Troveremo una soluzione, va bene?" mormorò, con dolcezza. "Non sei talmente pazza da gettarti tra le braccia di un ragazzo qualsiasi dopo una rottura," continuò. "E, per favore, non contraddirmi o perderò tutta la tranquillità che mi è rimasta."
Una breve risata abbandonò le labbra di Emma alla sua ultima esclamazione, liberando una mano dalle sue per sistemarsi i capelli con la piccola fascia allentata.
"Julian non è un ragazzo qualsiasi," replicò, talmente piano che, se non fosse stato così vicino, Alec non l'avrebbe sentita neppure grazie a una runa. Sospirò, sedendosi nuovamente al suo fianco e attirandola a sé in un abbraccio – stava cercando di consolarla?
"Lo so, Em. Lo so benissimo."

"Santo cielo, Julian, hai un aspetto orribile," borbottò Mark, gettandosi con grazia sul letto di fianco al fratello che, da circa un'ora, fissava immobile il soffitto.
"È sempre un piacere essere confortati da te, fratello," replicò, sarcastico, il minore. Anche se, vedendoli, non si sarebbe detto. Era rimasto talmente tanto fermo in quella posizione che sentiva gli arti formicolare, addormentati, ma non riusciva a pensare ad altro che a quella minuscola e quasi invisibile macchia sul soffitto.
"Emma è stata qui?" domandò Mark, stiracchiando le gambe come un gatto prima di voltarsi su un fianco, in direzione del fratello. Jules inarcò le sopracciglia, confuso. Prima che potesse porre la più che ovvia domanda, l'altro gli afferrò il polso. "C'è il suo profumo ovunque," dichiarò, quasi fosse la cosa più ovvia da poter dire. Eppure Julian lo sapeva, lo sapeva bene. "Anche su di te," aggiunse in tono più basso prima di scattare a sedere, gli occhi sbarrati.
"Cosa c'è?" chiese Julian dopo qualche istante, guardandolo sempre accigliato.
"Ti si legge in faccia," disse, puntandogli un dito contro. "Perché hai quest'aria afflitta? Io mi taglierei una gamba pur di passare una notte con Emma, vedendo com'è diventata," ghignò poi, distogliendo lo sguardo. Prima ancora che riuscisse a finire la frase, Julian gli era addosso, spingendolo giù dal letto e inchiodandolo a terra. Fece per colpirlo, ma le dita di Mark erano ancora avvolte attorno il suo polso.
"Parla ancora così di Emma e finirò con il liberarmi di un altro fratello," sibilò, vicino il suo volto. Mark vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi rapidamente, la furia nei suoi occhi che si spense nel momento stesso in cui si rese conto delle parole appena pronunciate. Si portò entrambe le mani contro la bocca, premendo sulle labbra con forza. "Mark, non intendevo –" biascicò, indietreggiando. Il fratello si tirò a sedere, bloccandolo e sorridendogli con tenerezza.
"Lo so, tranquillo," sospirò, sfiorandogli le spalle irrigidite. "Ma, per quel poco che ho visto da quando sono tornato, questo era l'unico modo per farti ammettere quello che provi per Emma, e non" lo interruppe, ancor prima che potesse ribattere "provare a negarlo."
Jules si morse il labbro inferiore, chinando lo sguardo. Rimase in silenzio a osservarsi le mani – le stesse mani che avevano stretto la giovane a sé quella notte, sfiorandole i capelli, il volto, la pelle.
"Ricordi il giorno in cui mi presero?" ruppe nuovamente il silenzio Mark, costringendo il fratello a sollevare lo sguardo sul suo volto con un sussulto. "Eravamo in palestra, abbiamo sentito dei rumori e sono sceso di sotto – per l'Angelo, me ne pentirò finché avrò vita. Ma ricordi cosa ti dissi, prima di andare?" Lo guardò, enigmatico, inclinando il capo di modo che l'occhio dei Blackthorn fosse più visibile. Per Julian fu come esser catapultato indietro di quasi sei anni, ormai.
"Rimani con Emma," replicò in un mormorio, sforzandosi di non distogliere lo sguardo. Fallì.
"Non lo hai fatto, Julian. Hai lasciato che la portassero via dai ragazzi," disse e, per la prima volta dopo anni, sembrò il vecchio, rigido Mark. "Hai lasciato che la portassero via da te," aggiunse.
"Le avevo chiesto di diventare parabatai," confessò Jules, di getto. Mark drizzò la schiena, inclinando ulteriormente il capo come un gatto. "Ma non volevo fosse quello il nostro legame, non avrei sopportato il pensiero di non poter mai costruire qualcosa con lei, persino a dodici anni," disse poi, portandosi la punta delle dita alle labbra, riprendendo – come ormai d'abitudine – a tirare le pellicine attorno le unghie. Le piccole fitte spesso lo disturbavano, ma aveva quasi smesso di farci caso.
"Qualcosa lo avresti costruito, Jules, ma non quello che desideravi," constatò Mark prima di portarsi le mani alla faccia, passandole su di esse con un profondo respiro. "Eri troppo maturo per avere dodici anni," aggiunse, facendo ghignare appena Julian.
"Emma non deve saperlo, Mark," piagnucolò il minore, improvvisamente vulnerabile. Mark non capì: perché si ostinavano tutti a tenere i loro sentimenti per loro, lì? Tra le fate non era così: loro si esprimevano, punto e fine. Non c'erano problemi di alcun tipo. Quei pensieri vennero immediatamente repressi quando, socchiudendo le palpebre, vede degli occhi vagamente simili ai suoi: segnati dalla Caccia Selvaggia. Kieran. Tentò di scuotersi la sensazione delle sue mani di dosso come ogni volta che gli tornava in mente, cercando di non pensarci troppo – di non pensare a cosa stesse facendo, o dove potesse essere.
"Perché? Sono passati cinque anni, Jules, siete entrambi grandi abbastanza per andare a letto insieme, immagino che affrontare i vostri sentimenti non sia così difficile," replicò, piegando il capo fino a posarlo contro il materasso. Julian mugugnò.
"Si tratta dei miei sentimenti, Mark, miei e basta," disse, in tono greve. "Lei ha – aveva, non lo so – un ragazzo. Ne può avere quanti vuole. Probabilmente anche delle ragazze, se lo desiderasse. Ma io? No, assolutamente no. La rovinerei, Mark, e lei non lo merita," continuò, prendendosi la testa tra le mani. "Non lo merita," disse nuovamente, scuotendo il capo. Mark rimase a guardarlo per poi, in un rapido gesto che stupì entrambi, attirare il fratello a sé in un abbraccio di conforto. Erano passati talmente tanti anni dall'ultima volta in cui Julian si era sentito così al sicuro tra le braccia di qualcuno.
"Non è stupida, Jules. Non avrebbe fatto una cosa simile stando con qualcuno e, nella maniera più assoluta, se non ne fosse stata pienamente convinta," gli disse con tenerezza, accarezzandogli i capelli. "Tu dovresti conoscerla meglio di me," aggiunse in tono più basso. Julian scosse comunque il capo, le labbra strette tra loro e gli occhi chiusi. Afferrò tra le dita la maglia del fratello, come per stringerlo a sé, ma Mark capì che necessitava solamente di un appiglio, quasi fosse l'unica cosa a tenere insieme le parti del suo corpo, e lo lasciò fare.
"Non deve saperlo, Mark. Non deve – promettimelo, ti prego. Promettimelo.

   
 
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