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Autore: Tsukuyomi    03/06/2009    7 recensioni
Salve a tutti! Finalmente prendo coraggio e pubblico.
Questa fanfic mi ronza in testa da tanto di quel tempo che ormai si scrive da sola.
Per il momento avrete sotto agli occhi dei futuri Gold Saint, ancora bambini e innocenti (più o meno), alcuni ancora non si conoscono e altri sì, alcuni sono nati nel Santuario e altri no, alcuni dovranno imparare il greco e, di qualcuno, non si sa per quale recondito motivo, non si conosce il nome. Spero che apprezziate. La storia è ambientata ai nostri giorni, per cui, le vicende conosciute avranno luogo nel futuro.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 05 - João decise di seguire il consiglio dell’amica e s’incamminò con Shura verso le arene, gli diede uno dei panini in modo che potesse cominciare a mangiare quando si sentì chiamare.
«João. Eccoti. »
Il portoghese si voltò e vide il Gran Sacerdote che, a passo svelto, gli andava incontro.
«Quel bambino che ti segue è quel bambino spagnolo che era stato affidato a Dioskoros? »
«Si eminenza, ma non andavano per niente d’accordo e visto che riesco a interagire con lui ho voluto prenderlo sotto la mia ala. Mi spiace. Non avrei dovuto.»
«E’ la seconda volta che ti scusi per aver fatto una cosa sensata, direi che sarà meglio che io affidi a te tutti i nuovi arrivi. Dovrebbe arrivare anche un bambino italiano entro la giornata o al più tardi domani. Te la senti di caricarti la responsabilità di tutti e tre? »
«Certamente. Ne sarei contento e sono onorato della fiducia che riponete in me. »
«Come si chiama questo pargolo? »
«Shura»
«Diga» intervenne il bambino sentendosi nominare.
I due adulti scoppiarono a ridere colpiti dallo zelo del bimbo che li guardava con un sopracciglio alzato, chiedendosi il motivo delle risate.

«Vedo che è arrivata un’altra sagoma. Avresti dovuto vedere che figuraccia ha fatto fare ad Arles il bambolotto. »
«Lui è già un rubacuori, avrebbe dovuto vedere quante coccole si è fatto fare da Akylina »
«Bene, vedremo cosa combinerà l’italiano allora!»
«João ¿puedo comer el otro trozo de pan? »
«Tieni»
«Non ha mangiato?»
«No, è la prima cosa che mette sotto i denti oggi. Non sono riuscito a procurargli altro e visto che il pesco dietro le arene è carico di frutti, ho pensato di dargliene qualcuno. »
«Buona idea. Ho bisogno di sapere alcune cose riguardo il viaggio. Sai, conoscendo Dioskoros temo che l’arrivo di questo bambino non sia stato dei migliori. Chiedigli com’è stato, è durato due lunghi giorni.. »
«Shura ¿còmo fue el viaje? »
«Feo. Ese tio me dejò todo el viaje en la cabina. »
«Dice che è stato brutto e che Dioskoros l’ha lasciato da solo in cabina per tutto il viaggio. »
«Sospettavo una cosa del genere, ma speravo anche che non arrivasse a tanto.A questo punto mi chiedo anche se abbia mangiato.»
Il portoghese domandò immediatamente al bambino, senza aspettare che Sion gli ponesse apertamente la domanda.
«¿Comiste algo dentro del viaje? »
«No. El tio me traìa de comer pero fue antipático. No me ha dicho nada con voz gentil y gritò siempre y yo no he comido nada. »
«Non ha mangiato perché Dioskoros gli urlava e gli stava antipatico. »
«Bene. Dioskoros subirà la giusta punizione, magari sarà la volta buona e imparerà a non agire di testa sua. E’ un periodo delicato per questi bambini, sono arrivati  al capolinea della loro infanzia, non voglio che subiscano più traumi del necessario.»
Sion si rattristò al pensiero dell’ennesima generazione di guerrieri. Il fato raramente si mostrava clemente con qualcuno di loro e non tutti riuscivano a superare indenni i numerosi shock. João informò il Gran Sacerdote della piccola vendetta che il bambino si prese nei confronti dell’accompagnatore e raccontò la scena dei morsi, ritrovandosi a sorridere. Dopotutto aveva fatto bene.
«Oh dèi dell’Olimpo. Abbiamo un bel peperino tra le fila! Senti João, ho lasciato il pargolo svedese alla piazza degli ulivi, si è addormentato e non ho avuto il cuore di svegliarlo. Andresti a svegliarlo tu più tardi? Poi mi raggiungerai al Tempio, bisogna portare i bambini nel dormitorio e assegnarli dei vestiti puliti. E magari fargli anche un bel bagno, ne avranno sicuramente bisogno - indicò Shura - soprattutto lui. »
«Se mi da il permesso di portarli alle terme, penserò a tutto io. »
«Hai carta bianca João, finché non padroneggeranno il greco sarai loro tutore. »
«Andate ora, le pesche vi aspettano»
Il portoghese salutò con cortesia il Gran Sacerdote che tornava verso il tempio e si rivolse poi al bambino.

«¿Shura, te gustarìa comer algunos melocotones?»
«¡Seguro que si!»
«¡Entonces vàmonos !»
Il gigante e il bambino si diressero verso il pesco carico di frutti e ne mangiarono diversi. Quando il piccolo si sentì sazio guardò implorante il gigante e, senza bisogno che lo chiedesse apertamente, João intuì quale poteva essere la richiesta. Lo sollevò senza compiere il minimo sforzo e lo mise seduto su uno dei rami più bassi. Bassi per João, ad un metro e novanta da terra.
Shura giocò per un po’ appollaiato sul ramo col suo amico gigante, finché non fu l’ora di andare a svegliare l’altro bambino.

« Shura ahora tenemos que ir a despertar un niño que duerme debajo de un otro àrbol. Vamos.»
«¿Otro niño? ¿ Quièn es? » chiese incuriosito Shura, tra le braccia di João che lo riportavano a terra.
«Un niño sueco».
I due s'incamminarono verso il luogo in cui lo svedese riposava.
«¿Y còmo se llama?» Provò a domandare Shura, con la testa inclinata di lato.
«No sé» al sentire quella frase il bambino strabuzzò gli occhi e si chiese come il gigante non sapesse il nome di un bambino che si accingeva a presentare. Non capiva, ma si rese conto che forse poteva chiedere al nuovo amico dove si trovasse.
«João, tengo una preguntita. ¿Dònde estamos? »
«En Atenas»
«¿En Atenas? ¿ Y dònde està Atenas? »
«En Grecia. ¿ Sabes dònde està la Grecia? »
«No, no sé. »
«Lo aprenderàs»
«Vale» non continuò a domandare e riprese a rosicchiare un nocciolo di pesca.

Il sole era ancora alto, la meridiana segnava quasi le cinque del pomeriggio. Il bambino non sembrava soffrire particolarmente il caldo, anzi sembrava a suo agio. Poche gocce di sudore gli imperlavano la fronte lasciandogli dei solchi chiari nel volto sporco di terra. Il portoghese seguiva il bambino con lo sguardo, si distraeva facilmente facendosi rapire dalla moltitudine di cose che vedeva. Si perse nei suoi pensieri mentre Shura inseguiva una cavalletta.

 -Dioskoros andrebbe bandito dal Grande Tempio. È arrogante e sprezzante nel modo più negativo possibile. Nessuno gradisce particolarmente la sua compagnia e inoltre non è in grado di trattare con nessun essere vivente. Mi rendo conto che sia cattivo ma semplicemente stupido. Shura è stato affidato a lui poiché il Grande Tempio è a corto di organico, altrimenti sarei andato io stesso a prenderlo in Spagna. Chissà qual è la storia di questo bambino. Glielo chiederei ma non vorrei rievocare brutti ricordi, soprattutto considerando che ha passato due giorni chiuso dentro una stanzetta a bordo di una nave e, conoscendo Dioskoros, probabilmente si trattava di un cargo. Però vorrei sapere come ha fatto a sporcarsi così … sembra che si sia rotolato per terra … guarda come salta, sembra una capra.-
Avevano da poco attraversato un tempio e si accingevano ad entrare in un altro, João mostrava a Shura le statue di Atena e dei vari eroi che prendevano parte al mito. Il piccolo lo ascoltava volentieri, ma parlava poco.

Una volta fuori dall’ennesimo tempio João si riperse nei propri pensieri e il bambino ricominciò ad inseguire insetti e scoprire il nuovo mondo nel quale si trovava.
- Certo che ha un mucchio di energie. Mi rattrista pensare che, dal momento che si trova qui, non abbia più nessuno al mondo. Chissà quando è rimasto orfano … e lo stesso vale per l’altro piccolo. Almeno vedrò come sta. Poveri bambini. Avete un futuro così pesante davanti a voi. Mi auguro che siate in grado di affrontare tutto. Molti prima di voi non ce l’hanno fatta, non sopporterei la vista di altre vite così giovani spezzate. -

Per lui era stato diverso. Era andato al Grande Tempio di sua sponte seguendo un’antica leggenda. Era scappato di casa a quindici anni, non sopportava più la sua situazione familiare. I genitori erano eccessivamente fedeli al loro credo, potevano essere tranquillamente chiamati  bigotti. Sembrava che fossero rimasti nel medioevo. Lui era uno spirito libero, curioso di conoscere il mondo. Voleva viaggiare e imparare tutto il possibile. Il mondo è grande ed è calpestato ogni giorno da una moltitudine di persone, perchè ridursi a vivere in un paese di poche centinaia di anime quando si ha a disposizione un intero pianeta? Lui voleva andare via e girare. Niente lo avrebbe fermato. Nemmeno i genitori, che considerava psicolabili, sarebbero riusciti ad impedirgli di vivere il suo sogno. Aveva il timore di poter diventare come loro un giorno, dopotutto si sa che chi va con lo zoppo …
Aveva deciso che da solo sarebbe stato meglio, ma non fu mai solo. Incontrò tante persone durante  il suo lungo percorso. Da un paesino di frontiera tra il Portogallo e la Spagna era arrivato a piedi in Grecia, ad Atene.
 Trovò l’entrata del Grande Tempio e il Gran Sacerdote in persona ad attenderlo. Appena varcò la soglia, segnata da due vecchie colonne malconce udì una frase: «Kalos orisez João» . Lo stava aspettava il suo arrivo.
«Non conosco il greco. Non capisco.» – fu la sua risposta.
Quella figura imponente, ricoperta da una tunica scura come la notte più profonda gli fece cenno di seguirlo e lui obbedì. Si guardava attorno incuriosito e sopraffatto da quell’aria così antica e solenne che aleggiava nel Santuario. Scoprì in seguito che venne accolto dal Gran Sacerdote in persona.
L’uomo mascherato gli mostrò le terme e in qualche modo gli fece intendere che poteva recarvisi ogni volta che lo riteneva opportuno. Lo condusse alla mensa e gli porse un vassoio, indicandogli di prendere posto nella fila e mangiare.
Finita la cena lo raggiunse e lo portò nei dormitori, gli indicò un letto e una sorta di  armadietto di legno. Ne staccò la targhetta e scrisse il nome del nuovo arrivato.
«João, - lesse l’uomo mascherato prima di rimettere la targhetta sull’armadietto – kalinihta.»
Cominciò gli allenamenti il giorno dopo e piano piano, col tempo, imparò il greco. Era dannatamente dura stare lì. I ritmi erano impressionanti, non si aveva un attimo per se stessi. Si era fatto un sacco di amici col tempo, persone sulle quali sapeva di poter contare sempre, come Akylina, Leurak e il “ruivo”,  e altre da evitare, come Dioskoros.
Gli spiaceva pensare che quei bambini avrebbero dovuto affrontare le stesse cose che aveva già affrontato lui, soprattutto perché lui l’aveva scelto ed era grandicello per poterlo capire, ma lo avrebbero capito e accettato di buon grado dei bambini di cinque-sei anni? Il destino si era già dimostrato fin troppo crudele con loro, strappandoli all’amore e all’affetto dei genitori e catapultandoli  in una nuova dimensione.

João si riscosse dai pensieri del suo addestramento quando udì il bambino cantare. Non saltava più da una parte all'altra come pochi istanti prima, ma procedeva lento fissandosi i piedi ondeggiando leggermente  la testa a destra e a sinistra. Aveva perso interesse per gli insetti e la scoperta di quel luogo.
Lo seguiva con lo sguardo e lo ascoltava canticchiare a bassa voce. Il portoghese colse solo poche parole, dopotutto non  conosceva bene lo spagnolo, ma si rese conto che al bambino riportavano alla mente un mondo che aveva conosciuto e che non gli apparteneva più.

Duerme, duerme y sueña a tener
una vida sin la tentación,
de delirios, de oro y poder,
de juzgar, aunque exista razón.

Aveva ragione João. Nella mente del bambino si susseguivano rapidamente tanti ricordi, alcuni lontani e altri vicini, troppo vicini perché potessero lasciarlo indifferente. Pensava alla mamma che gli cantava questi versi, tutte le sere prima di andare a dormire. Si ricordò di averle detto una volta:
«Sono grande ormai, non c'è bisogno che continui a cantarmi questa ninna nanna.»
La madre, con un sorriso di sfida, gli rispose che non c'erano problemi. Se lui era grande e non voleva più la ninna nanna lei non gliel'avrebbe più cantata.
La notte successiva, mentre lei gli rimboccava amorevolmente le coperte lui disse:
«Ho cambiato idea. Me la canteresti ancora?» E Ines con un sorriso acconsentì a quella richiesta.
Quanto gli piaceva l'ora di andare a dormire. La madre prendeva sempre posto accanto a lui, coricata su un fianco, e lo riempiva di dolcezze e attenzioni mentre gli cantava quelle parole che tanto somigliavano ad una preghiera. Il padre si sedeva sempre per terra, accanto al letto, pronto ad afferrare i piedi del figlio e a torturarglieli col solletico prima della ninna nanna, che anche lui ascoltava volentieri addormentandosi, a volte, con la testa all'indietro sulle gambe del piccolo. La buonanotte durava sempre un'eternità.

La avaricia es la esclavitud
del alma y de la libertad.
Que no te bese nunca la envidia,
que no te abracen el odio y el mal

Si ricordava dei tanti insegnamenti fattigli dai genitori.
Gli dicevano sempre di comportarsi bene nei confronti di tutti. Non doveva causare tristezza. Non doveva essere egoista, non doveva suscitare invidia e tantomeno provarla per qualcun altro.
La madre fu la sua prima maestra e gli insegnò presto a scrivere sotto sua esplicita richiesta, nata con l’intenzione di fare un regalo.
«Come si scrive "spada"?»
«Spada? Perché vuoi saperlo?»
«Perché mi piacciono le spade.»
«E...?»
«Voglio fare un regalo a babbo.»
Ritornava con la mente a quando andavano tutti e tre insieme a giocare sulle sponde del Tago. Di quando col padre acchiappava insetti e lucertole per il solo gusto di spaventare la mamma. Quando ascoltava il padre che suonava la chitarra con una passione tanto intensa da lasciarlo senza parole. Quanto amava quei pezzi di flamenco.
«Ehi piccolo, chiudi la bocca o ci entreranno le mosche.»
«Eh?»
«A cosa pensavi?»
«Alla chitarra, voglio suonarla anche io»
«E dov'è il problema? Vieni qui e impariamo subito!»

Rammentava dei giochi e della sfide. Delle serate spensierate passate a giocare in casa, col padre che lo lanciava in aria e lo sollevava fino al soffitto, delle urla disperate della madre, terrorizzata che si potesse fare del male. Di quando andava nella fucina del padre e si faceva rapire dagli attrezzi e dal clangore del martello sul metallo.
«Cos'è questo?»
«Un maglio speciale.»
«Perché è speciale?»
«Non può essere usato per plasmare il metallo. E' troppo grande e pesante.»
«E tu non ce la fai a sollevarlo?»
«Certo che ce la faccio. Guarda! E tu?»
«Ce la farò.»
Duerme, duerme y sueña con ser
de tu mejor tesoro el guardián:
el amor que yo en ti he volcado
de eso tienes mucho que dar»

E' vero che un pensiero tira l'altro. Ma lui non era riuscito ad essere il suo tesoro più bello. Il solo pronunciare la parola “tesoro” e il ricordare la fucina lo riportarono alla sera in cui perse tutto. Ora non gli era rimasto nulla. Aveva solo quei versi che avrebbero continuato a ricordargli quella notte. Lui ci provò. Provò con tutte le sue forze a custodire il suo tesoro, ma fallì.

No te engrandezcas con la riqueza,
ni te apoques con la pobreza.
Que ni la derrota ni el fracaso te impidan
ver que mañana otro día será

Stava male, una lacrima corse giù lungo il viso lasciando l’ennesimo solco più chiaro. Gli mancavano i genitori. Gli insegnarono a non arrendersi mai, ad andare sempre avanti. Lui sarebbe dovuto essere il fautore del suo destino. Si ricordava di come la madre lo esortasse ad essere sempre positivo, a non lasciarsi trasportare dagli eventi, a combattere e, se necessario, rischiare. Sempre.
«Piove. Io volevo andare al fiume.»
«Andrai domani.»
«Volevo andare oggi.»
«Non mettere su il broncio. Ci son tante cose che si possono fare a casa. Devi solo deciderti.»
«Non so che fare»
«Sei triste perché volevi andare al fiume o perché non c'è il sole?»
«Perché non posso andare al fiume e perché piove.»
«Il cielo piange perchè sei triste. Sorridi e domani ci sarà il sole.»
«E se piove ancora?»
«Non pioverà.»
Duerme, duerme, aquí estaré,
las nubes serán tu colchón.
Que ni el viento ni la brisa te dejen
de acariciar, pues tú eres mi Don
Duerme, duerme y sueña a tener...

Gli dicevano sempre che loro non sarebbero mai andati via, che sarebbero rimasti sempre al suo fianco. Bugiardi!  Non avevano più lo stesso significato quelle parole e quei versi che sussurrava al vento. Non immaginava più di poter davvero dormire sulle nuvole come faceva nell’istante prima di addormentarsi seguendo il testo della nenia, ma vedeva banchi di nebbia scura avvolgerlo fino ad inghiottirlo. Non si immaginava più a contrastare le difficoltà che avrebbe incontrato, ma vedeva la nebbia trasformarsi in mani pronte a ghermirlo e portarlo via.

Quando Shura pronunciò l'ultima parola di quella canzone, si asciugò la lacrima e si sentì chiamare dal gigante. Aveva già pianto troppo, era ora di essere forte. Sarebbe andato avanti.

«¿Shura, que canciòn es? »
«Mi nana. »
«¿Nana? ¿Que es una nana? »
«Es mi canciòn de cuna, mi mama me cantaba esta canciòn antes de dormir y me mimaba siempre. » spiegò il bambino gesticolando come se fosse ovvio cosa fosse una “nana”. Si comportava come se fosse felice e spensierato, ma nel suo petto era in corso una guerra dura e sanguinosa.
«Ah…vale. »
«¿Tu mama cantaba nanas? »
«No, mi mama rezaba»
«¿Rezaba? ¿Porque rezaba? »
Il bambino lo guardava con la testa inclinata di lato. Aveva capito che inclinava la testa quando s’incuriosiva. Non aveva voglia di spiegare a Shura che aveva avuto due genitori che erano rimasti fermi nel medioevo  in piena Inquisizione, quindi sorrise e disse:
«¡Mirame! ¡Soy alto! » sperando che la sua altezza potesse distrarre il bambino.
«Eres un gigante – allargò le braccia e poi le girò in verticale quasi per misurarlo – yo soy pequeño. ¿Cuanto mides? »
«¡Dos metros y veinte! »
«¿Dos metros y veinte? ¡Es una cosa de cojòn!» il bambino sembrò rendersi conto solo in quel momento di quanto fosse alto l’uomo che seguiva ormai da diverse ore. Due metri e venti: l’altezza dei giganti.
João cominciò a ridere come un pazzo nel vederlo così meravigliato e lo esortò a proseguire il cammino.
«Vamonos chico. Tenemos que despertar el niño sueco»
«¿Porque no lo dejamos dormir? Si duerme es porque està cansado. »
«Dormirà esta noche. »
«Vale, entonces vamos.»

-

Angelo tornò a guardare fuori dal finestrino e si godette l’atterraggio così come si era goduto il decollo. Quando fu ora di scendere fissò Galgo negli occhi e si lasciò andare ad un sorriso carico di gioia e di aspettative. Fantasticava su quello che avrebbe fatto qui, in terra straniera. Aveva un amico, per la prima volta in vita sua aveva una persona su cui fare affidamento, senza che questa fosse il padre o la madre. Gli piaceva potersi fidare di un altro essere umano. Scesi dall’aereo vide tutte le madri che prendevano per mano i figli e istintivamente portò la sua  a prendere quella dell’adulto. Era arrossito. Non aveva mai preso la mano di nessuno se non quella dei genitori. Nessuno si meritava quel gesto. Galgo sì, gli aveva dato fiducia e l’aveva trattato con gentilezza. Al momento era l’unica persona sulla faccia della terra per lui.

Galgo si meravigliò quando sentì la manina del bambino farsi strada tra le sue dita fino a stringerle e lui ricambiò subito la stretta, senza voltarsi a guardarlo e senza dire nulla, e di questo Angelo gli fu grato.
Non riusciva ancora a farsi un’idea chiara di quel bambino. Aveva addosso una maschera pesante, fatta di crepe rimesse insieme alla ben’e meglio. I sentimenti di quella creatura non erano mai stati presi in considerazione dagli adulti che lo circondavano, eccetto i genitori. Era troppo piccolo per proteggersi da solo dalla cattiveria gratuita guidata dalle apparenze e dai pregiudizi ed era troppo piccolo per fermarsi a pensare per quale motivo venisse  trattato a quel modo ed era troppo piccolo per il potere che gli si manifestava. Era troppo adulto per avere sei anni. Galgo sperava che il piccolo potesse  riacchiappare almeno una piccola parte di quell’infanzia che gli era stata portata via. Lui avrebbe fatto in modo che, almeno per un po’, quel bambino capisse il significato di "essere bambini".

«Angelo, vuoi prendere il taxi o il pullman?»
«Il taxi, non ci sono mai salito»
«Perfetto»
«Senti, ho ipotizzato che fosse una specie di pullman, ma in realtà non so cos’è un taxi. Cos’è?»
«E’ una macchina gialla con la scritta taxi sopra. Ti porta dove devi andare e poi tu lo paghi per il passaggio»
«Ah, mi aspettavo qualcosa di meglio»
Galgo rise quando vide la delusione del bambino, forse si aspettava un’astronave.
«Ecco, ne stanno passando alcuni. Chiamalo tu.»
«Come lo chiamo?»
«Alza il braccio»
Angelo lasciò la mano dell’amico e alzò il braccio, dietro di lui Galgo fece lo stesso. Il taxi si fermò davanti a loro, l’autista scese per aprire il cofano in modo che potessero mettere dentro le borse e gli aprì la portiera.
«Sali. – gli disse Galgo – tranquillo, non ti lascio da solo.»
Sembrava che Galgo avesse capito il timore del bambino. Aveva paura che se fosse salito per primo la macchina sarebbe ripartita senza che l’altro avesse avuto il tempo di salirci a sua volta.
« Che puzza che c’è. Cos’è quest’odore?»
«L’aria condizionata, è quest’arietta fresca.»
«Puzzolente ma bella» fu il commento del bambino.

Galgo si rivolse in greco all’autista, davanti ad un Angelo basito che interrogò immediatamente l'adulto riguardo quella lingua strana::
«Che lingua è? Dovrò impararla? »
«Sì, dovrai impararlo – gli sembrò di vedere un lampo di disperazione negli occhi dell’italiano - Te lo insegno io. Non è difficile.»
«Ok » Angelo era sconsolato, il greco sembrava difficile eccome.

-Cazzo, come faccio a farmi capire? Non posso imparare il greco in due giorni. Mi chiedo come facciano a capirsi tra di loro. Penserà la stessa cosa il tizio che guida sentendo parlare me e Galgo. Che schifo. -

I pensieri di Angelo furono interrotti da Galgo.
«Yàsu Angelo.»
Il bambino lo guardò inebetito e disse: «Ho capito il mio nome.»
«Ti ho detto ‘Ciao Angelo’. Ripeti dopo di me. Yàsu.»
«Yàsu»
«Bene, “Yàsu  è il saluto che rivolgerai a me e agli altri bambini. Al Gran Sacerdote dirai “Yàsas” o “Kalimera”. Ripeti.»
«“Yàsu” a te e “Yàsas” o “Kalimera” a chi è più grande.»
«Bravissimo» e scompigliò quei capelli corti e bianchi. Angelo apprezzò quella carezza e la ricambiò al nuovo amico arruffandogli i lunghi capelli rossi, sebbene quella cascata riccioluta fosse già totalmente spettinata.


* Diga= dimmi
*¿Puedo comer el otro trozo de pan? = Posso mangiare l’altro pezzo di pane?
*¿Còmo fue el viaje? = Com’è stato il viaggio?
*Feo. Ese tio me dejò todo el viaje en la cabina. = Brutto. Quel tizio mi ha lasciato dentro la cabina per tutto il viaggio

*¿Comiste algo dentro del viaje? = Hai mangiato durante il viaggio?
*No. El tio me traìa de comer pero fue antipático. No me ha dicho nada con voz gentil y gritò siempre y pues no he comido nada.= No. Il tizio mi portava da mangiare ma era antipatico. Non mi ha detto niente con gentilezza e urlava sempre e allora non ho mangiato niente.
*¿Shura, te gustarìa comer algunos melocotones?= Shura, ti piacerebbe mangiare qualche pesca?
*Shura ahora tenemos que ir a despertar un niño que duerme debajo de un otro àrbol. Vamos.= Ora dobbiamo andare a svegliare un bambino che dorme sotto un altro albero.
*¿Otro niño? ¿ Quièn es? = Un altro bambino? Chi è?
*Un niño sueco = Un bambino svedese
*¿Y còmo se llama?= E come si chiama?
*No sè = non lo so
*João, tengo una preguntita. ¿Dònde estamos? = Ho una domandina. Dove siamo?
*En Atenas = Ad Atene
*En Grecia. ¿ Sabes dònde està la Grecia?= In Grecia. Sai dov’è la Grecia?
*Lo aprenderas= lo imparerai
*Vale= Va bene

*¿Que canciòn es? = che canzone è?
*Mi nana.= La mia ninna nanna
*Es mi canciòn de cuna, mi mama me cantaba esta canciòn antes de dormir y me mimaba siempre. = E’ la mia ninna nanna, mia mamma mi cantava questa canzone prima di dormire e mi coccolava sempre.
*¿Tu mama cantaba nanas? = Tua mamma cantava ninna nanne?
*No, mi mama rezaba= No, mia madre pregava.
*¡Mirame! ¡Soy alto! = Guardami! Sono alto!
*Eres un gigante, yo soy pequeño. ¿Cuanto mides? = Sei un gigante, io sono piccolo. Quanto sei alto?
* ¡Es una cosa de cojòn!= E’ fantastico!
*Vamonos chico. Tenemos que despertar el niño sueco = Andiamo piccolo, dobbiamo svegliare il bambino svedese.
*¿Porque no lo dejamos dormir? Si duerme es porque està cansado.= Perché non lo lasciamo dormire? Se dorme è perché è stanco.
*Dormirà esta noche.= Dormirà questa notte.

*Kalos orisez =Benvenuto. Purtroppo non so se ho reso bene la pronuncia, ovviamente il traduttore scrive in greco, per cui, se è sbagliato correggetemi ^_^
*Kalinihta = Buonanotte.
*Yàsu = Ciao (se si da del tu)
*Yasas = Ciao (se si da del lei)
* Kalimera = Buongiorno

Ecco a voi il quinto capitolo! Che ne pensate?
Spero che la storia continui ad essere di vostro gradimento. Perdonate la prepotenza d'intrusione della canzone, ma non ho davvero resistito. La ascoltavo mentre "partorivo" il passato di Shura e non sono riuscita a trattenermi dal condividerla. Si tratta di "Duerme" dei Mägo de Oz. Per chi ha o ha avuto difficoltà con il mio pessimo spagnolo o con lo spagnolo in generale, ecco la traduzione:

Duerme, duerme y sueña a tener /una vida sin la tentación, / de delirios, de oro y poder, / de juzgar, aunque exista razón.
Dormi, dormi e sogna di avere / una vita senza la tentazione, / di deliri, di oro e potere / di giudicare, benché ve ne sia ragione.

La avaricia es la esclavitud /del alma y de la libertad. / Que no te bese nunca la envidia, /que no te abracen el odio y el mal.
L'avarizia è la schiavitú /dell'anima e della libertà./ Che non ti baci mai l'invidia, / che mai ti abbraccino l'odio e il male.

Duerme, duerme y sueña con ser / de tu mejor tesoro el guardián: / el amor que yo en ti he volcado /de eso tienes mucho que dar
Dormi, dormi e sogna di essere / il guardiano del tuo miglior tesoro /dell’amore che ti ho dato, di quello hai molto da dare (a tua volta)

No te engrandezcas con la riqueza, /ni te apoques con la pobreza. / Que ni la derrota ni el fracaso te impidan / ver que mañana otro día será.
Non ti ingrandire con la ricchezza, / non intimidirti con la povertà. / Che né la sconfitta né il fallimento ti impediscano / di vedere che domani sarà un altro giorno.

Duerme, duerme, aquí estaré,/ las nubes serán tu colchón. / Que ni el viento ni la brisa te dejen /
de acariciar, pues tú eres mi Don. / Duerme, duerme y sueña a tener…
Dormi, dormi, io starò qui,  / le nuvole saranno il tuo materasso./ Che né il vento né la brezza  smettano / di accarezzarti, perché tu sei il mio Dono. / Dormi, dormi e sogna di avere…

E ora: GRAZIE  a tutti i lettori silenti (tanti ^_^) e GRAZIE INFINITE a chi ha lasciato una recensione!
RedStar12. Sei stata la prima a recensire/commentare! Grazie per i complimenti, il sostegno e l'aiuto che mi dai ^_^ Appena posso ti spedisco il piccolo Milo e in bocca al lupo :P. Ti mando le frasi col bambino!! Un bacione!
Camus. Grazie, grazie! Sono contenta che ti piaccia la fic e il modo, volendo, "un po' buttato lì a caso"  che utilizzo ti piacciano. Spero di riuscire a rendere al meglio il motivo dei loro caratteri, e ti assicuro che non è troppo facile ^_^  Cosa pensi di questo capitolo?
whitesary. Dato che tu sei l'esperta in campo "Shura", che ne pensi del suo recente passato? Considerando che la tua offerta di fare la baby sitter è sempre valida ti spedisco il piccolo "cabrito" (capretto), se vuoi anche qualcun'altro basta chiedere, l'importante è che mi rimanga Death Mask, anche se senza Shura sarà un po' triste. Grazie per i complimenti ^_^
Gufo_Tave. Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo precedente e mi auguro ti piaccia anche questo. Se hai appunti da fare o consigli da dare, contattami pure! Grazie mille per i tuoi interventi!

   
 
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