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Autore: Emmastory    18/02/2017    3 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo X

In salute e malattia

Se n’era andata una sola notte, e con il sole fermo in cielo, intento a scaldare la mia bella e umile città grazie alla potenza dei suoi raggi, mi svegliavo sentendomi felice e piena di fiducia in me stessa. La frase pronunciata dal mio Stefan la notte scorsa continuava a tornarmi in mente, e per tale ragione, era come se nulla potesse rovinarmi la giornata. Alzandomi dal letto, svegliai anche le bambine, e poco dopo, incontrai sia Rachel che Lady Fatima. Soren e Samira ci raggiunsero per la colazione, e proprio durante tale e importante pasto, notai qualcosa. Noi tutti mangiavamo con gusto, ma non Samira. Per qualche strana ragione, continuava a dire di non aver fame, non facendo altro che tossire e bere dell’acqua, sbocconcellando qua e là parte della sua colazione. Non avevo idea di cosa le stesse accadendo, e andando alla ricerca di risposte, guardai Soren. Muto come un pesce, non disse nulla, limitandosi a scuotere la testa in segno di dubbio. Incredibilmente, non ne sapeva nulla, ma appariva preoccupato. Conoscevo Samira da ormai lungo tempo, e per quanto ne sapevo, non le era mai accaduto nulla di simile. Facendo del suo meglio per depistarci ed evitarci preoccupazioni a suo dire inutili, regalava ad ognuno di noi dei luminosi sorrisi, interrotti solo dai suoi colpi di tosse, tanto forti e frequenti da portarla a posarsi una mano sul petto sperando di lenire il dolore. Preoccupatissimo, Soren la guardò negli occhi, e posandole una mano sulla fronte, confermò i suoi sospetti. La sua amata stava davvero male, e a quanto sembrava, aveva la febbre. “Avanti, mangia qualcosa. Ti farà bene.” La pregò, sperando di convincerla a nutrirsi almeno in parte. “Soren, basta. Sto bene. È solo un pò di tosse.” Gli rispose lei, rifiutandosi ancora una volta di mangiare e sorridendogli con dolcezza. “Ne sei sicura?” le chiese, incerto e dubbioso. “Sicurissima, ora lasciami tornare a dormire e sta tranquillo, va bene?” continuò lei, più testarda e cocciuta di un mulo. In completo silenzio, Soren non fece che annuire, e prima di lasciarla andare, la baciò sulle labbra. Il loro fu un bacio veloce, che ebbe fine in pochissimo tempo. Subito dopo, Samira si ritirò nella sua stanza, e guardandola allontanarsi, la vidi barcollare. Ero attonita. “Se stava così male, perché mentiva?” mi chiedevo, parlando con me stessa e tentando di trovare una risposta a quel complicato enigma. Per pura sfortuna, tale interrogativo rimase senza, e con l’arrivo del pomeriggio, decisi di provare a far luce su quel così intricato mistero. “Samira? Posso entrare? Chiesi, bussando alla porta della sua stanza. Da parte sua nessuna risposta. Solo silenzio. “Va tutto bene?” azzardai poi, spingendo leggermente la porta e scoprendola aperta. Entrando, scoprii la ragione di quell’assordante silenzio. La stanza era vuota, e Samira non era lì. Aveva mentito anche su questo, e nessuno sapeva dove fosse. Seppur confusa e preoccupata quanto il resto del mio gruppo, tornai da loro tacendo la mia scoperta, e dopo aver consumato il mio pasto, non ne parlai con nessuno oltre che con Lady Fatima. In fin dei conti, era la Leader di questa Casa, e doveva forzatamente conoscere Samira meglio di me, ragion per cui il suo parere mi avrebbe sicuramente aiutata. “Sono preoccupata.” Dissi soltanto, dando inizio ad un discorso che lei parve finire per me, quasi leggendomi nel pensiero. “Si tratta di Samira? Chiese, attendendo silenziosamente una mia risposta. “Sì, come lo sa?” mi informai, improvvisamente colta alla sprovvista. “È tua amica, è naturale che tu lo sia.” Continuò, sorridendo debolmente. “Sta davvero male, ma non vuole dirci nulla. Dovrei indagare?” azzardai, ben sapendo di star forse per commettere uno sbaglio e toccare un tasto dolente. “Perché non parlarle?” fu il suo suggerimento, che dovetti scartare quasi subito, proprio come una caramella. “Non è nella sua stanza, e nessuno sa dove sia.” Piagnucolai allora, sentendo la preoccupazione annidarsi sempre di più nel mio animo. “Tuo suocero Patrick è un dottore, giusto? Forse è semplicemente andata da lui.” Osservò poi la Leader, sorridendo nuovamente e restituendomi una nuova speranza. “Grazie del consiglio, ci vado subito.” Risposi, rimettendomi in piedi e dirigendomi velocemente verso il suo studio. Una volta arrivata, scoprii che Lady Fatima aveva ragione. Quella che sentivo non era infatti che la sua voce, e pur non entrando, mi fermai ad ascoltare. Origliare era sbagliato, e lo sapevo bene, ma il mio istinto me lo aveva suggerito, ragion per cui non potei evitarlo. “Deve aiutarmi, dottore.” La sentii dire, con la voce spezzata e colma di paura. “Samira, calma. Siediti e dimmi cosa ti succede. “Come ti senti?” le chiese il dottor Patrick, con il fare calmo che era solito mostrare dato il suo lavoro di medico. “Male, e da parecchio tempo ormai.” Esordì lei, in tono mesto. “Va avanti.” Continuò il dottore, esortandola ad entrare nei dettagli del suo attuale stato di salute. “Mi sento stanca e debole, ho un gran mal di testa e mi capita di avere delle fitte di dolore.” Confessò, fissando poi lo sguardo sul pavimento in segno di vergogna. “Cos’hai detto?” si informò, insicuro su quanto avesse appena sentito. Sì, e in tutto il corpo, specialmente il petto, sa?” chiarì lei, tornando a guardare il dottore negli occhi. “Non può davvero fare nulla?” gli chiese poi, andando alla ricerca di una soluzione per il suo problema. “Pare che sia il tuo cuore.” Disse il dottor Patrick, rompendo il silenzio e facendosi improvvisamente serio. “Cosa? No, non può essere! Non ho mai sofferto di…” replicò lei, non curandosi del tono che utilizzò nel parlare e quasi urlando. “Se vuoi posso darti delle pillole.” Propose il dottore, tentando di calmarla e riportarla alla ragione. “Dammi retta, ti aiuteranno.” Continuò poi, sempre conservando la segreta speranza di aiutare la sua paziente. “Mi fido. Grazie dottore.” Rispose semplicemente, sorridendo e afferrando saldamente un flacone contente le medicine che le erano appena state prescritte. Voltandosi, fissò lo sguardo sulla porta chiusa, e prima che potesse muoversi, il dottore le parlò ancora. “Ricorda, non affaticarti troppo.” Le disse, avvisandola e fornendole un utile consiglio che lei non si fece sfuggire. Subito dopo, la vidi alzarsi dalla sedia presente nello studio, e pur affrettandomi perché non mi vedesse, venni colta in flagrante. Alla mia vista, Samira parve sbiancare. “Rain! Che ci facevi qui? Quanto hai ascoltato?” due quesiti che mi pose con velocità inaudita, e ai quali ebbi appena il tempo di rispondere. “Ho sentito ogni cosa, e mi dispiace. Perché non hai detto niente?” le dissi, confessando la verità e completando il mio discorso con quella domanda. “Non l’ho fatto per paura, Rain. Ricordi il giorno del nostro viaggio di fortuna?” fu la sua risposta, accompagnata da un quesito al quale risposi con un semplice cenno del capo. “È tutto iniziato allora. Avevo davvero paura di non farcela, e quando mi sono salvata, ho giurato di non far più preoccupare Soren in quel modo. Non potevo vederlo, ma lo sentivo parlarmi, e sapevo che soffriva. C’è un’altra cosa che vorrei dirgli, ma ho davvero troppa paura.” Questo il suo racconto, che ascoltai in religioso silenzio, con gli occhi sgranati per lo stupore. “Adesso ascolta. Soren non deve saperlo. Tu non dirai niente, vero?” concluse, pregandomi di mantenere il suo segreto. “Non lo farò, tranquilla.” Risposi, sorridendole e dandole fiducia. “Grazie, Rain. Sei una vera amica.” Mi disse lei, sorridendo a sua volta e allargando le braccia perché le mie l’accogliessero. Inutile è dire che non le negai un abbraccio, con la cui fine, la convinsi a tornare al fianco del suo amato. Non gli avrei rivelato nulla, certo, ma forse vedendola sorridere Soren avrebbe smesso di preoccuparsi. Così, con quel pensiero fisso in mente, l’accompagnai camminando al suo fianco, e scoprendo poi di avere ragione. Alla vista della sua amata moglie, Soren parve infatti illuminarsi, e abbracciandola, constatò che la sua febbre sembrava scomparsa. Ora stava meglio, ma al contrario dello stesso Soren, felice di rivedere la sua amata al suo fianco, io ero ancora preoccupata. In fondo, le ultime parole che mi aveva rivolto prima di seguirmi avevano lasciato che un dubbio si insinuasse nella mia mente. “Perché non ce l’aveva detto prima? Sarebbe mai riuscita a guarire? Che aveva da rivelare a Soren?” domande alle quali solo lei avrebbe saputo rispondere correttamente, e che con lo scorrere del tempo, sovrastarono ogni mio altro pensiero, oltre a impedirmi di tranquillizzarmi e riposare. In altri termini, non avevo la minima idea di quello che sarebbe accaduto, ma ero certa di una cosa. Soren amava Samira con tutto sé stesso, sentendo l’amore per lei invadere ogni cellula del suo corpo, e sicuramente avrebbe continuato ad amarla, come aveva promesso nei suoi voti nuziali, in salute e malattia.  
   
 
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