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Autore: gigliofucsia    18/02/2017    0 recensioni
Ametista è una strega sotto copertura con un'allergia grave a tutto ciò che è sacro. Dopo il rogo della madre viene mandata in un orfanotrofio religioso. Se scoprissero i suoi poteri magici rischierebbe di morire come la madre, quanto tempo riuscirà a resistere?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

2 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 

Lo confesso. Quella notte avevo dormito per modo dire. I brontolii durante la notte, si erano trasformati in vere e proprie pugnalate. Tenendolo stretto mi ero girata nel letto non so quante volta. Non riuscì a chiudere occhio. Più di una volta ho aperto gli occhi più sveglia di prima. La mia testa era affollata di preoccupazioni e sudavo nonostante facesse freddo.

Quando l'alba era alta io ero già sveglia e vestita da molto tempo. Seduta sul letto sfogliavo le pagine ruvide del libro di mia madre. Era incredibile quante magie avrei potuto imparare se non fosse per quella religione che mi condannava senza motivo.

Suor Ambra spalancò la porta e gridò a tutti di alzarsi e vestirsi. Mormorii, lamenti, fruscii di coperte e sbadigli spezzarono il silenzio. Io ero immersa fra quelle parole e non badai a quello che avevo intorno, finché suor Ambra non esclamò «sei mattiniera oggi!».

Il suo tono allegro mi dava fastidio «Non ho dormito... di nuovo» glielo dissi come se fosse colpa sua. Lo feci apposta perché era colpa loro se mi trovavo lì e se non potevo essere quello che ero. Lei però sembrò non darmi ascolto «ascolta Ametista» disse mettendosi davanti a me. Io chiusi il volume per educazione. «Perché ti vesti cosi?»

Io ci rimasi allibita. Eccole che ricominciano, pensai.

Io risposi « che domanda è? Mi piace vestirmi cosi che male c'é?». Lei si fece dubbiosa e replicò «non c'é niente di male ma non è un abbigliamento appropriato per una ragazza. La fonte vieta alle ragazze di portare abbigliamenti maschili».

E ti pareva, sempre questo libro sacro di mezzo, pensai

Io come un pezzo di ghiaccio replicai «Nel mio paese questo è un abbigliamento femminile». Non ammettevo repliche sul mio modo di vestire, soprattutto da una suora.

«Sì ma ora non sei parte di questa comunità e devi seguire le nostre regole, è una questione di rispetto» capivo le sue motivazioni ma c'era un punto che non aveva preso in considerazione.

Non esitai a riaprire il volume tanto non avrebbero mai visto il suo vero contenuto. «Anche per me è una questione di rispetto» dissi, non potevano pretendere che io mi mettessi una gonna solo perché lo dicevano loro. Come io rispettavo il loro modo di essere, loro dovevano rispettare il mio. E non mi interessava se ero stata battezzata, non avrei mai fatto parte della loro religione. E questo era quanto.

Lei alzò le spalle «beh pensaci comunque». Ritornò dagli altri dicendo «forza! muoversi che fra sei minuti abbiamo la messa mattutina».


 

Dopo la messa mattutina e la colazione, che non esitai a divorare anche se lasciava parecchio a desiderare, il nostro gruppo venne assegnato a Suor Ambra che ci portò nell'orto a fare giardinaggio.

Non mi dispiaceva stare un po' all'aria aperta. Parlare con gli amici di cose poco importanti che facevano passare il tempo. Ad esempio: il fatto che i nomi avessero origine da quelli di pietre preziose era una chiara prova che provenivamo tutti dalla stessa nazione.

«C'è una suora molto simpatica che si chiama Suor Acquamarina e non è un nome brutto, la pietra preziosa in questione, l'ho vista in un libro, è di un colore azzurro chiaro è bellissima» dissi strappando le erbacce dai cavoli.

Pirito annuì «Neanche l'ametista è brutta però, io l'ho vista di persona sull'anello di mia zia; lei ha sposato un nobile ma detesta i bambini e non mi ha accettato, mi ha mandato in questo orfanotrofio; è una pietra che ha un colore scuro e misterioso, per questo mi piace».

« A me invece no! È troppo particolare mi piacciono le cose più semplici» la voce di Alessandrito mi fece sobbalzare. Mi voltai. Il suo sorriso arrogante mi riempì gli occhi di odio «per dio Reve come ti vesti? Sembri un fenomeno da baraccone»

Io mi alzai di scatto «non mi faccio dare lezioni da uno come te» il mio corpo fremeva, sopratutto i miei pugni.

«wow guardate come si infiamma facile la novellina» esclama il biondo. Risa fece una risata forzata. Eliodoro restette zitto con lo sguardo basso.

Il biondo si rivolse verso Eliodoro dicendo «era una battuta! Ridi». Lui fece una risatina così finta che la voglia di tirare un pugno al biondo era sempre più forte. Adrian tirò il viso e gridò «Che risata era quella?! Forza più energia Elio». Anche Risa gli ordinò «non essere scortese, bisogna ridere alle battute degli altri!».

La cosa mi turbò parecchio, quei due imbecilli pensavano di poter dire a quel ragazzino come essere e cosa fare. Cercai di trattenermi con tutte le mie forze. Non mi aspettavo, però, che l'effetto sarebbe stato così immediato. Dopo aver balbettato le sue scuse rise con forza.

Io non avrei mai fatto una cosa del genere nemmeno se me l'avesse chiesto la persona più importante del mondo. Stava di fatto che il biondo non si fermò lì « insomma anche solo a guardare i suoi vestiti viene da ridere! Come fai a rimanere serio?».

In quel momento quel poco del mio autocontrollo andò a farsi friggere: «Sentì imbecille! Perché non ti fai gli affari tuoi e ci liberi della tua presenza alquanto sgradita presenza?!». Molti si voltarono verso di noi spalancando gli occhi e sussultando come se avessi detto qualcosa di inaudito.

Anche lui si girò spalancando gli occhi come Gemma che, rossa in viso, esclamò «A chi hai detto imbecille?! Rimangiati subito quello che hai...». Alessandrito la interruppe «zitta!». Lei si chetò indietreggiando con lo sguardo a terra. Ma i suoi occhi bruciavano e le sue mani tremavano. Elio teneva lo sguardo alzato verso noi due intrecciando le dita nervose.

«Non mi faccio gli affari miei, e sai perché? Perché la fonte vieta ad ogni donna di indossare i vestiti da uomo» mormorò il biondo con le mani sui fianchi.

Io stringendo i pugni mormorai «quindi, secondo te, io dovrei indossare qualcosa che non mi piace solo perché lo dice un libro scritto duemila anni fa?».

Fu allora che Gemma si fece di nuovo avanti « è la parola di Dio! E comunque, ora che sei in questa comunità il minimo che puoi fare è avere rispetto per noi»

Il tremolio ai pugni si trasformò in prurito, era già tanto se non li avevo presi a pugni. Già non ho mai avuto pazienza e in quel periodo ne avevo ancora di meno, mi bastò quella goccia per far traboccare il vaso. «Io ho rispetto per voi se voi rispettate me! Non potete venire a dirmi come devo vestirmi sulla base di un libro più antiquato di voi»

«Non è un abbigliamento appropriato!» disse il biondo avanzando di un passo.

«E chi stabilisce cos'è appropriato? Se la fonte dicesse che è appropriato che gli uomini indossino la minigonna voi ve la mettereste?».

Tutti ci rimasero ammutoliti. «Io mi vesto come voglio».

Il biondo disse «non ti senti ridicola?». Io gli rigirai la domanda «Tu non ti senti un imbecille?».

In quel momento Suor Ambra ci divise con le braccia, «Ragazzi ora basta!... Reve non vuole che litighiamo, lo state deludendo»

Io voltai lo sguardo ancora con la rabbia impellente. Quel poco buon senso che mi era rimasto mi faceva tenere la bocca chiusa su quanto me ne fregasse del loro dio.

«Sopratutto da te Alessandrito, la fonte dice: “solo Dio può giudicare”». Da una parte mi sentì meglio, ma quella era una contraddizione bella e buona. Se solo Dio può giudicare allora cosa aveva fatto quella mattina?

Adrian spalancando gli occhi gridò «IO?!»

Suor Giada mi si avvicinò a noi. L'orto era in un cortile interno del monastero quindi non mi sorprendeva il fatto che fosse arrivata lì per caso. «Devo esprimere la mia disapprovazione! Ametista oltre ad essere una persona irresponsabile tiene un abbigliamento poco appropriato al suo sesso».

E adesso cosa centrava con il litigio il mio modo di vestire? E comunque non ero irresponsabile. Questo era un pregiudizio

Luigina la guardò incrociando le braccia « con tutto il rispetto vicepreside, me ne occupo io».

Io mi stupì di fronte a quelle due suore che iniziarono a discutere. «La colpevolezza di Ametista è innegabile. Inoltre il suo atteggiamento da parecchio a desiderare, bisogna raddrizzarla il prima possibile altrimenti diventerà un abitudine».

Continuarono a litigare per molto tempo. Io ci rimasi a bocca aperta. Che bell'esempio da parte loro.

All'improvviso le due sbuffarono voltandosi verso di noi. Giada guardò me e disse « Ametista! Prendi lo scopettone e pulisci l'ingresso del secondo piano e Sbrigati».

Ambra si girò verso Alessandrito e disse «in cucina a pelare patate muoviti!» e così si concluse la vicenda.

Io non chiedevo altro che di andarmene da lì. Mi diressi verso il ripostiglio a testa alta e i pugni stretti.


 

Il lato positivo del pulire il pavimento era che nessuno mi guardava ampliando l'umiliazione. Una volta finito ritornai dal gruppo. Il biondo era ancora in cucina. Tornò poco dopo l'ora di pranzo. Il mio stomaco brontolava e la porzione che mi davano non bastava mai. Dopo aver mangiato avevo ancora fame. Quella fame costante mi impediva di pensare con la facilità di prima.

Ad un certo punto mi venne la tentazione di andare in cucina a frugare per riempire lo stomaco, mi sarei organizzata se non fosse per il poco buon senso che mi rimaneva. Non volevo mettermi nei guai per un motivo del genere, non ne valeva la pena. O forse sì?


 

«Ho una fame muoio» esclamai. Pirito rispose, scagliando l'accetta contro il tronchetto di legno tagliandolo per metà, «non preoccuparti». Sollevò l'accetta con ancora il tronchetto attaccato e lo scaglio verso la base di un tronco tagliato, la lama penetrò ancora più a fondo. E lui si asciugò la fronte con la mano ansante «tra un po' ci farai l'abitudine». Con un altro sforzo sovrumano tagliò in due il tronchetto.

Il vento ci investiva. Il cielo era grigio e le fronde degli alberi si scuotevano lasciando cadere le foglie dorate. Pirito li guardò riprendendo fiato. «Se mi spieghi come si fa posso darti il cambio» dissi mettendo il prossimo tronco sulla base. Lui annuì consegnandomi l'ascia. «È solo questione di forza e precisione». Io sollevai l'ascia pesante e cercai di prendere le misure. Stavo per scagliarla quando la campanella suonò l'inizio delle lezioni e Suor Giada mi chiamò «Ametista!».

Io mi fermai di colpo. Dopo un attimo di traballo posai l'ascia a terra e mi voltai. «si?» risposi.

Suor Giada con le mani dietro la schiena dritta disse «mostra rispetto agli anziani!».si voltò verso Pirito e disse «Tu vai pure nell'aula tre, arriverò tra poco». Lui mi guardò con gli occhi aperti come se avesse paura di lasciarmi sola con lei. Io alzai di poco le spalle.

«Tu andrai a riordinare la cella numero 23, appena finito torna in classe, e fai in fretta». Io non feci nulla. Suor Giada se ne andò.

Non sapevo cosa pensare. Perché mi stava dando un lavoro che non era il mio? tra poco avrei avuto le sue lezioni, avrei fatto tardi. Guardai Giada scomparire dietro una porta.

Il cuore mi salì in gola. Mi voltai e spiccai una corsa lungo il terzo cortile del convento. Svoltai l'angolo. Imboccai un tunnel e varcai la porta che dava sulla scalinata principale. Dovevo sistemarla prima che Giada tornasse in classe. Gli orfani ci avrebbero messo un po' per arrivare all'aula e Suor Giada non sarebbe stata più veloce di loro. Se facevo in fretta avrei avuto una possibilità di farcela e entrare in classe mischiandomi tra la folla di orfani. Ma dovevo correre.

Salì la scalinata fino al terzo piano aggrappandomi alla ringhiera e saltando gli scalini tre alla volta. Varcai la porta a destra. Davanti a me si aprì un lunghissimo corridoio tempestato di porte con numeri d'oro.

Sudando freddo e col passo tremolante diedi una breve occhiata ai numeri cercando il numero ventitré. Lo trovai in un corridoio perpendicolare al primo. La porta era aperta. Dentro non c'era altro che: un letto, un comodino, una cassa, simboli sacri e una finestrella da cui entrava un breve fascio di luce.. Ora sapevo perché le chiamavano “celle”.

Riordinai il letto e rimisi i vestiti dentro la cassa, notai però che tra gli indumenti che erano di una suora, c'erano dei calzoni da uomo. Bizzarro.

Aprì il cassetto del comodino per vedere se era tutto a posto. Dentro ci trovai una miriade di oggetti. Ebbi un intuizione riguardo alla mia chiave rubata. Frugai alla veloce e la trovai. Me la misi in tasca, degli altri me ne sarei occupata in un altro momento.

Uscì dalla cella. Scesi le scale, corsi come il vento verso la classe.


 

Il corridoio del secondo piano era sgombro. La porta della classe era chiusa e il silenzio riempiva le orecchie. Ormai era tardi. Cercai di respirare. Quando fui davanti alla porta avevo una certa ansia.

Non volevo credere che Giada mi avesse mandato a riordinare la cella di Ambra solo per farmi fare tardi. Per lei ero una ragazza come le altre non poteva avercela con me senza motivo. Non poteva pretendere che io ce la facessi per l'inizio delle lezioni, quindi se giustizia mi dava ragione non avrei dovuto preoccuparmi.

Bussai alla porta. Dall'interno dell'aula, al voce di suor Giada mi disse «entra». Io deglutì, afferrai la maniglia ed entrai senza dire una parola. Suor Giada mi guardò severa e disse «Ci hai messo troppo! Oggi resterai per un ora in classe oltre l'orario a lavorare sul dizionario».

Io spalancando gli occhi esclamai «ma...». Lei mi interruppe « ...e se oserai obbiettare verrai presa e chiusa in cantina per tutta la notte! Ed ora vai al tuo posto!». Io ero senza parole.

Lasciai che le mie unghie penetrassero nel palmo delle mani e senza dire una parola ritornai al posto trascinando la sedia e posando le braccia incrociate sul banco.


 

Nelle braccia non avevo forza. Scrivevo le definizioni trascinando le parole sul foglio con la matita. Lo stomaco non aveva ancora smesso di stringersi, doloroso come la ferita emotiva che ancora sanguinava nel mio cuore, dal giorno in cui cambiò tutto.

Il buio portava con se tutto il peso di quella brutta giornata. Più ripensavo alla mia situazione e più le mie energie magiche bramavano per uscire. Mi sentivo in prigione, la stessa sensazione che provano i carcerati in fuga dalle autorità.

«Tutto a posto?». Mi voltai verso Suor Acquamarina. Dalla cattedra mi rivolse un sorriso senza fronzoli. Io chiusi gli occhi. Piegandomi sul banco mi strinsi lo stomaco dolente. Lei si alzò dalla cattedra. «Non vi disturbate!» gridai.

«Ascolta Ametista, non inquinare la tua calma con la rabbia, viene dal demonio», mormorò la suora avvicinandosi a me «ti è successo qualcosa? Me lo vuoi raccontare?». Io mi risollevai guardandola negli occhi «secondo voi Suor Giada ce l'ha con me?».

La vidi spalancare gli occhi in modo strano, «Perché pensi questo?» chiese. Io risposi «Ditemi, è normale che lei mi chieda di fare una commissione che non è tra i miei doveri mentre sta suonando l'inizio delle lezioni e poi mi punisca perché sono arrivata in ritardo? È una cosa che fa spesso?».

La suora mi fissò negli occhi «ecco... no! Non credo che ce l'abbia con te, non ne avrebbe motivo»

Io incrociai le sopracciglia, mantenendo lo sguardo fisso su di lei e dissi « è la stessa cosa che mi ha detto Perla, ma lei a differenza di voi... era sincera».

La suora spostò lo sguardo da un'altra parte indietreggiando di scatto. «Pirito mi ha detto che è una maniaca della perfezione e non ha mai fatto una cosa del genere e non l'avrebbe mai fatto»

Lei tornò a guardarmi negli occhi stringendo i pugni. Non mi convinceva. Io non tentai di mascherare la mia rabbia, «qualcosa mi dice che... non è l'unica cosa che mi nasconde». Quando le avevo chiesto di Suor Giada lei era trasalita come se avessi appena svelato un segreto. « Perché suor Giada mi odia? Cosa ho fatto di male per meritare un simile trattamento da lei?».

Lei raddrizzò la schiena e guardandosi le mani mormorò con voce tremolante «Gira voce che tu sia figlia di una strega».

In quell'attimo tremendo. Sentì scossa violenta lungo tutta me stessa. La mano scattò. La matita mi cadde, rotolò sul banco e cadde a terra con un ticchettio. Lo stomaco si attorcigliò per la fame. Afferrandomelo mi appoggiai al banco.

«Tutto a posto? Sei impallidita di colpo» mi disse, appoggiando la mano sulla mia spalla. Ma in quel momento non stavo ascoltando. Come avevano fatto a scoprirlo? Cosa mi aveva rivelato? Nessuno a parte me lo sapeva, che l'avessero capito dai miei occhi?»

«L-lo stomaco. Non vi preoccupate...» mi risollevai cercando di prendere fiato « Cosa ve lo fa pensare?». Lei ritrasse la mano rimanendo il silenzio per alcuni secondi «in verità... il preside ha avvertito tutte le suore e i monaci.».

Ecco spiegato il motivo per cui Giada mi aveva preso di mira.

Non poteva essere andata che così. Altrimenti non avrebbe avuto nessun altro motivo per prendermi di mira.

La campanella suonò. Nella mia testa erano vivide le fiamme. Le grida di mia madre mi scuotevano. Barcollante uscì dalla classe.

«Sei sicura che sia tutto a posto?» mi chiese suor Acquamarina. Il suo sospetto mi arrivò chiaro, «è da tre giorni che non ceno. Domani devo alzarmi e lavorare fino alle quattro del pomeriggio senza pause se non per pregare e mangiare una zuppa indigeribile. Come dovrei sentirmi?». Il mio buon senso gridava di smettere. Mi appoggiai al coprifilo della porta ascoltando il silenzio della suora. «Voi non potete capire come ci si sente ad essere trattati da servi, sembra che il lavoro lo facciamo tutto noi, voi vi rimpinzate come maiali ogni giorno e non fate altro che pregare. E nonostante tutto vi sentite in dovere di giudicare e dare lezioni».

La sentì avanzare «Posso capire il tuo punto di vista! Ma il nostro lavoro è molto più complicato del vostro. Reve ti mette alla prova di continuo e abbiamo bisogno di energie per pregare».

Io sospirai e raddrizzai la schiena, «Avete bisogno di energie per pregare? Avete bisogno di energie per stare in ginocchio a recitare preghiere e noi che lavoriamo tutto il giorno no. Voi non vi siete mai sentite deboli? Non siete mai tornate al letto con il corpo a pezzi per la fatica? Non avete mai passato una notte insonne per colpa della fame?».

Mi voltai. Lei scosse la testa. «Come pensavo» mormorai chiudendo l'aula. Mi trascinai lungo il corridoio. Sentì un cigolio, la porta dell'aula si era spalancata... «Aspetta!».

Io mi fermai. «comunque, il fatto che tua madre fosse una strega... non vuol dire che tu lo sia. Almeno... non voglio pensarlo. Hai superato il battesimo, quindi... anche se c'era in te la possessione del demonio, adesso dovresti essere purificata».

Il cuore non aveva ancora smesso di pulsare. L'odore di cenere mi riempiva le narici, il ricordo si faceva sempre più vivido. « P-perché non me l'avete detto prima? Volevate vedere come reagivo?».

Mi girai per vederla in faccia. Lei annuì con lo sguardo basso.

«Come ha fatto a scoprirlo?», pensavo che nessuno avesse quella informazione a parte me. Suor Acquamarina rispose «Credo che abbia fatto delle ricerche, non hai nulla da temere il suo obbiettivo era indirizzarti verso la retta via».

Ero fiera di essere una strega, non avrei accettato un'altra natura per niente al mondo. Così raddrizzando la schiena mi diressi verso il dormitorio. Io ero già nella retta via.


 

Entrai nel dormitorio con lo sguardo basso. La mia testa era di nuovo affollata di preoccupazioni avevo bisogno di tempo per riflettere. Non un attimo di respiro mi era stato concesso da quando ero lì. Mi sedetti sul letto senza cambiarmi. Mi sciolsi il fiocco nel tentativo di aiutarmi a respirare e presi la prima cosa che mi avrebbe fatto sentire meglio. Presi la foto tra le mani. Lei ormai non esisteva più, me lo dicevo era per aiutarmi ad accettarlo ma ogni volta mi sentivo corrodere. In quel momento più di qualsiasi altro sentivo la sua mancanza, volevo che lei mi dicesse cosa fare.

«Stai bene?» mormoro Perla sedendosi con cautela accanto a me lo sua voce mi rincuorò. «Perla, sento male ovunque. Vorrei solo tornare a casa». Gli occhi stavano affogando nelle lacrime. Nel tentativo di trattenerle strinsi quella foto così forte da sbiancarmi le dita.

Ma una lacrima fuggì dalla mia presa frantumandosi sul vetro della foto. «dai! Non è così brutto. Dopo tutto non si può pretendere mol...».

«Perla!» la voce di Pirito arrivò imponente « tu ci sei abituata lei no! Non è facile per lei come non lo è stato per me. Ho pianto anch'io, tante volte. Non mi vergogno a dirlo».

Scostandomi i capelli mori dietro l'orecchio vidi Perla guardare la foto. «Inoltre» continuò il ragazzino «lei è messa anche peggio, oggi suor Giada l'ha punita senza motivo ed è già la seconda volta che salta la cena. Non so se è giusto pensarlo ma ho l'impressione che ci sia qualcosa sotto. Suor Giada non attacca qualcuno senza motivo»

«Io non posso credere che Suor Giada ce l'abbia con lei» disse Perla con tono glaciale.

Pirito mi guardò afferrandosi il mento. Il mio cuore batteva all'impazzata. Il mio respiro correva affannoso. Non riuscivo a calmarmi. Anche loro stavano per scoprirlo, ormai tanto valeva confessare.

Pirito mi strinse il polso per controllare i battiti. Chiusi gli occhi in attesa della sentenza.

«Ametista tu sei in ipertensione!» annunciò. Io riaprì gli occhi. Lui mollò il polso e si sedette dall'altro lato «ti è successo qualcosa?...». Io rimasi zitta, indecisa se dirlo o no.

«Noi non ti obblighiamo a dire qualcosa che non vuoi dire... se preferisci non dirlo non importa» mormorò Perla sulla difensiva, «Però sappi che non ti fa bene tenere tutto dentro»

Io non risposi. Con gli occhi umidi accarezzai il viso di mia madre nella foto.

Pirito insistette «non garantisco per Perla ma su di me puoi contare. Non ho pregiudizi, puoi parlarmi di tutto quello che vuoi e non dirò nulla a nessuno».

Perla replicò «Puoi contare su di me. Se hai dei problemi non devi fare altro che parlare»

Con la morsa della paura nel cuore, io chinai la testa e deglutì. «Va bene» sospirai «ma dovete promettermi di non dirlo a nessuno a costo della vita».

I due spalancarono gli occhi.

«È così seria la faccenda?» mormorò Pirito avvicinandosi.

Io mi strinsi al petto la foto di mia madre per farmi forza. «Voi non avete idea di quanto mi costa dirvelo. Io, non so se sto facendo la cosa giusta ma, non voglio più tenermi tutto dentro. Ho bisogno di qualcuno di cui fidarmi»

Pirito mi guardò serio «non farmi preoccupare, sputa il rospo».

«Dovete sapere... che io, non sono solo atea...io...» Deglutì serrando gli occhi «sono... la figlia di una strega».

Non udì nessun suono. Osai aprire gli occhi e vidi che tutti e due erano a bocca aperta. Non sapevo cosa fare. Mi strinsi ancora di più quella foto al petto « per la miseria non state zitti! ditemi qualcosa»

Pirito scosse la testa «scusa è... che non so cosa dire... e cosa è successo?»

«il preside lo ha saputo... e... ha avvertito tutti gli adulti. Credo sia per questo che Giancarla ce l'ha con me... ho paura che... » cosa dovevo dire? Mi sembrava troppo presto per rivelargli un simile segreto.

«che possano metterti al rogo?» completò Pirito.

Io esitai poi annuì. Pirito rispose «Non preoccuparti se non farai nulla di male loro non ti faranno nulla, scommetto che non te l'hanno detto per metterti alla prova, tu stai tranquilla e non metterti troppo in mostra».

Ad un tratto mi parve tutto molto più semplice. Loro non sapevano ancora se ero una strega o no, se mi dimostravo uguale agli altri non sarebbe successo nulla. Perla annuì «sì tu stai tranquilla e tutto andrà per il meglio».

Accennai ad un sorriso. Ad un tratto Suor Ambra entrò tutti tornarono ai propri posti. Io mi infilai la vestaglia in fretta e furia e andai sotto le coperte cercando di dormire un sonno tranquillo.

  
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