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Autore: Lechatvert    19/02/2017    3 recensioni
Dieci anni prima di Rogue One, l'Alleanza Ribelle non esisteva. Però esistevano i ribelli.
Erano guidati dalla stessa speranza, dallo stesso fervore dei loro figli e, nelle notti più fredde, si sedevano stretti gli uni agli altri per ascoltare una storia.
E c'erano uomini, c'erano bambini, donne, vecchi. C'erano persino i morti, attorno ai fuochi di Fest, e tutti ascoltavano le storie di Tylan Halos e della sua squadriglia di viaggiatori.
A chi era coraggioso, servivano a prendere sonno.
A chi combatteva da tutta la vita, servivano a far passare la paura.
Genere: Angst, Guerra, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cassian Andor, K-2S0, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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saboteur



«“Quel coso lo sai usare o lo tieni al collo e basta?”, ma davvero? Disse sul serio così?»
«Oh, sì. E poi mi strappò la trasmittente di mano e mi guardò come se fossi completamente stupido».
«Ah, quello sguardo me lo ricordo bene. Con il sopracciglio alzato e il capo piegato in avanti, eh?»
«Che memoria».
«E chi se lo scorda. Quando le dicevo che doveva decidersi a fare dei figli mi guardava nella stessa maniera».
«Non so perché non ne avessero; il Capitano Halos era davvero un brav’uomo».
«Una volta glielo chiesi».
«E …?»
«Mi rispose che non era la guerra giusta per mettere al mondo dei bambini, che aveva cose più importanti da fare. In realtà, credo ne volesse. Amava stare in mezzo ai ragazzini. Solo che aveva paura».
«Non la abbiamo tutti?»
«Sei saggio per avere l’età che hai, te l’hanno mai detto?»
«Saggio? No, mai. Però mi hanno dato del ficcanaso. Credo che per entrambe le cose il merito sia anche un po’ suo».
«No, non direi».
«Come no?»
«Ficcanaso, può darsi. Ma Mariceli non è mai stata una ragazza saggia».
«Forse ho imparato dai suoi errori».








PARTE TREDICESIMA – SEMPLICITÀ


Mi sono reso conto di non essere in grado di contare le persone che ho visto morire. Nemici, amici, in un certo senso fratelli; uomini e donne del tutto scomparsi per uno sparo, per uno scontro. Molte volte, dopo che io stesso avevo premuto il grilletto.
Mariceli diceva che ogni morte rimane sulle spalle di chi vi assiste, ma non è del tutto vero. Ogni morte che ho visto è stata diversa, peculiare nel modo in cui è rimasta a volteggiarmi attorno, eppure sempre fatta di una semplicità disarmante. Il cranio distrutto del Sottufficiale Kardal rimase nei miei sogni finché non recuperai un corpo fatto più a pezzi del suo, mentre le decine e decine di assaltatori a cui sparai non mi sono rimaste addosso che con il freddo ricordo del bianco delle loro armature. Muoiono loro, moriamo noi. A un certo punto diventa difficile affezionarsi alla vita, ed è una cosa che a Mariceli ho sempre invidiato: dove io ho costruito barriere, lei aveva aperto orizzonti. Ci amava tutti e lo faceva con tutta se stessa, senza paura di perderci ma anzi traendo da quell’affetto l’ardore con cui combatteva.
Per anni ho pensato che fosse qualcosa che sarebbe arrivato con l’esperienza. Sbagliavo.
Se c’è una cosa che con assoluta sicurezza posso affermare, è che quel giorno a salvarci fu l’assoluta complicità che legava Mariceli al Capitano Halos, una linea sottile fatta di fiducia, di comprensione, in un certo senso anche di guerra.
Parevano un unico corpo; uno le braccia, l’altra la mente. Fino a quel momento, non avuto modo di notarlo: quando Mariceli sentiva uno scricchiolio fuori posto, subito scattava anche suo marito. Quando era lui, a sussultare, senza battere ciglio lei portava una mano sotto alla giacca per afferrare il fucile. Quante dovevano averne passate, per riuscire a condividere tutti e cinque i loro sensi? Non ho mai trovato nessuno in grado di rispondere a questa domanda.
Raggiungere la stazione informatica fu una vera e propria passeggiata: procedere alle spalle di un ufficiale imperiale imponente come il Capitano Halos ci teneva lontani anche dalle occhiate dubbiose di chi si rendeva conto di non averci mai visti nei dintorni. Dopotutto, chi mai si sarebbe messo contro a un uomo che per grazia e statura ricordava in tutto e per tutto uno Wookie?
Ancora una volta, godemmo di una fortuna quasi sfacciata: all’interno della stazione trovammo al lavoro un solo tecnico informatico, piccolo e sperduto di fronte allo schermo principale quasi fosse lui stesso nel bel mezzo di un’azione di spionaggio.
Fummo quasi dispiaciuti di puntargli contro i nostri blaster, ma nessuno di noi era in vena di patteggiamenti. Dopotutto, avevamo i minuti contati.
«Va bene, facciamo che tu non avverti la sicurezza e noi non ti facciamo saltare la testa» sospirò il Capitano Halos, tecnico sotto tiro, mentre con un frettoloso cenno del capo mi incaricava di bloccare le entrate. «Per la miseria, speravo di trovare un droide di sicurezza qua intorno e invece niente!»
Mariceli gli passò accanto e gli posò un fugace bacio all’altezza della scapola. «Ne troveremo un altro anche più bello, vedrai» lo rassicurò, mettendogli in mano il suo fucile. «Intanto non impigrirti. Le credenziali di accesso che ho sono sicuramente state bloccate; me ne servono di nuove».
Certo, non avere Kappa ad aiutare con i computer rischiava di rallentarci più del previsto. Username e password del Sottufficiale Kardal erano stati disattivati dopo la sua scomparsa e, visto che eravamo sprovvisti dello zaino in cui Mariceli teneva i suoi strumenti, fummo costretti a ripiegare sull'unica persona in grado di fornirci dei dati d’accesso puliti.
Il tecnico.
Cadendo completamente dalle nuvole, scoprii che il Capitano Halos possedeva un’altra nobile caratteristica in comune con gli Wookie: anche se molto meno manesco degli abitanti di Kashyyyk, non era però più diplomatico di nessuno di loro.
Dalla porta lo vidi invitare il nostro prigioniero a sedersi, mentre lui faceva lo stesso con un sospiro colmo di rammarico. Si tolse il berretto della divisa, dopodiché si passò lentamente una mano sul viso sbarbato.
«Come ti chiami?» chiese, morbido, una mano ad accarezzare il fucile come se fosse un animale da compagnia.
L’altro per poco non gli svenne davanti; era pallido come uno spettro. «De … Desh Leandar, Signore.»
«Va bene, va bene. Lasciamo stare le formalità, niente Signore: io sono Tylan. Hai dei figli, Dessh
«Tre».
«Tre? Ma pensa. Quanti anni?»
«Il maggiore ne ha dodici».
Annuendo, il Capitano Halos passò un dito sulla canna del suo blaster. «Anche io ne ho tre, su per giù direi che sono anche della stessa età» rispose, sorridendo più a se stesso che all’uomo che aveva davanti. «Immagino siano adorabili; i miei lo sono davvero molto». Fece una pausa, utilizzandola per trarre un sospiro colmo di nostalgia. «Dessh, devi sapere che sto passando tutta questa nostra conversazione alla nostra base in orbita. A quest’ora probabilmente avranno già trovato l’esatta ubicazione dei tuoi figli. Ora, puoi aiutarci con il computer e goderti a posteriori la nostra protezione – molto accorata, devo dire. Nessuno se ne è mai lamentato – oppure continuare a stare zitto e morire assieme a me. Nel secondo caso, sono convinto che i miei figli adoreranno affogare i tuoi per vendetta.» Sorrise appena, allargando le labbra in una smorfia che mi gelò letteralmente il sangue nelle vene. «Orin in particolare è un nuotatore davvero molto in gamba».
Lasciai la mia postazione alla porta e raggiunsi titubante Mariceli. «Fa sempre così?» sussurrai, atterrito.
Lei incrociò le braccia all’altezza del petto e si appoggiò all’interfaccia dei comandi. «Io l’ho detto, che su Fest è un uomo sprecato».
Per quello che vale: lo era davvero.
Impiegammo poco più di quelle minacce per convincere Dessh Leandar a darci ciò di cui avevamo bisogno e, nel giro dei diciassette minuti che gli imperiali si presero per rendersi conto che una delle loro preziosissime basi computerizzate era stata presa d’assalto, Mariceli e io ci adoperammo su più fronti: io mi occupavo di copiare i file dei detenuti inviati su Kessel, lei di calcolare l’algoritmo del messaggio.
«Quanto tempo abbiamo?» chiesi, armeggiando con la scheda di memoria di un droide protocollare che avevamo recuperato lungo la via.
Mariceli non staccò neanche gli occhi dallo schermo. «Prima che notino un accesso non autorizzato ai dati sensibili dei prigionieri? Se ne sono già accorti di certo». Attese che finissi di collegare la memoria al computer, dopodiché riprese a sfogliare le varie schermate che aveva aperto davanti a sé. «Vediamo che si può fare da qui, intanto» mormorò. «Tylan, siamo in contatto con l’Anima?»
Il Capitano Halos si staccò la trasmittente dal collo e gliela lanciò. «Di’ loro di darsi una mossa».
«Andor Due ad Anima. C’è qualcuno là fuori?»
Ricordo pochi uomini entusiasti di bombardare una prigione come quelli che ci risposero quel giorno.
“Anima Sette ad Andor Due, ti ricevo forte e chiaro e a volume anche alto. Ci siamo persi Anima Diciannove, credo si sia addormentato da qualche parte”.
“Anima Sette, non mi sono addormentato proprio da nessuna parte!”
“Qui Anima Dodici. Io e Otto siamo pronti a scendere da est, aspettiamo il vostro via”.
Mollando momentaneamente il computer ai suoi calcoli, raggiunsi un vecchio tavolo e lo spinsi contro la porta assieme alle sedie. Nell’FRG ci avevano insegnato a fare delle gran belle barricate. «Ma quanti sono nell’Anima?» chiesi.
Mariceli scosse il capo. «Troppi, credimi. Anima Sette, Otto, Dodici e Diciannove: vi invio una piantina del centro. Siamo sul ponte venticinque, adesso faccio anche in modo di abbassare gli scudi. Mentre fate a pezzi questo posto, qualcuno di voi ci viene a fare da copertura? Se l’Andor fa i capricci, restiamo tutti qui».
“Andor Quattro ad Andor Due, vengo a salvarti io”.
Sentire la voce di Cunha fu anche più bello di sentire quella del Capitano Halos, e mi strappò un sorriso soddisfatto. Per qualche strana ragione (strana davvero, visto il suo pessimo carattere), mise tutti di buonumore. Mariceli per prima.
«Se lo dici con quel tono, Andor Quattro, non so davvero cosa aspettarmi» lo prese in giro, scoccandomi un’occhiata divertita. «Occhio che c’è qui anche mio marito».
Il Capitano Halos alzò le spalle con fare leggero. «Andiamo Mari, ti pare il momento?» brontolò, scuotendo il capo. «Non davanti a Dessh!»
Per un brevissimo, inafferrabile istante fu come se ci trovassimo su Fest e stessimo cenando attorno al fuoco con la famiglia del Capitano Halos a riempirci i piatti di minestra. Credo che quella fu l’unica risata che mi concessi per molto tempo, se non addirittura l’ultima che riuscii a tirare fuori senza l’oppressione della paura.
Durò poco, comunque; Mariceli ci interruppe con un lesto movimento della mano e portò l’attenzione di tutti sullo schermo del computer.
«Ho l’algoritmo» ci disse, gli occhi sbarrati sullo schermo che ci sovrastava. «Se inserisco le coordinate, posso farlo partire».
Il Capitano Halos alzò le spalle. «Avanti, Sole» la incoraggiò. «A parte Cunha, non stiamo aspettando altro».
Trepidante d’attesa, scoccai a Mariceli un’occhiata divertita. «Sole
Lei si soffiò una ciocca di capelli lontana dal viso. «Finirai col diventare come lui» mi avvertì, puntandomi il dito contro. «Sta’ molto attento, ragazzino».
Non ricordo con esattezza le parole dell’ologramma che venne proiettato subito dopo quella velata minaccia, ma ho la prima frase fissata nella mia testa come se da essa fosse dipeso ciò che sono diventato.
Ho esatta memoria della slanciata figura del Generale Draven così com’era dieci anni fa, avvolto in un lungo mantello di lana e con il cappello calcato sul viso, mentre dice: “A chiunque in ascolto: benvenuti in Quantificatore”; quella fu la prima volta che lo vidi, anche se per incontrarlo di persona impiegai qualche altro anno.
Quantificatore. Ci lasciò tutti di stucco.
Più o meno, il messaggio procedeva così: “Sono il Maggiore Davits Draven, capo della Squadriglia Prime. L’anno corrente è il 3266 secondo il Calendario Lothaliano, e i confini dell’Impero si sono attualmente allargati fino a Jelucan. A fronte di ciò, si consideri questo messaggio una chiamata alle armi”.
Interrompendo per un istante il mio lavoro, scambiai con Mariceli un’occhiata interdetta. «Sono ribelli» sussurrai.
«Questi sono ribelli per davvero» s’intromise il Capitano Halos. «La Squadriglia Prime ha dalla sua i pezzi grossi del Senato Galattico».
Mariceli annuì. «Ecco perché non vogliono che il messaggio si sparga. Se non li possono distruggere, almeno sperano di farli stare zitti».
Draven non aveva ancora finito.
“L’appello non è rivolto a chi è disposto a dare la vita, ma a chi vuole dedicare il proprio onore a una causa più grande. A chiunque ponga la libertà come fine ultimo della sua stessa esistenza, noi tendiamo la mano. La Squadriglia Prima non è la sola a resistere, ma è ad oggi la più grande: chiamiamo a raduno tutti gli squadroni armati e i singoli combattenti che ricordano ancora la gloria della vecchia galassia, che vogliono ancora ristabilire l’ordine e la giustizia. Per combattere e opporsi agli usurpatori, con qualsiasi mezzo a nostra disposizione”.
Seguì un minuto di silenzio, dopodiché l’ologramma ripartì da capo.
«Non siamo soli, te l’avevo detto» sussurrò Mariceli, voltandosi lentamente verso suo marito. «Sono tanti, vogliono riunirsi. Potremmo …»
Dall’occhiata che lui le lanciò, capimmo entrambi che quello non era il momento di parlarne.
«Prima dobbiamo pensare a Fest» lo sentimmo dire, severo. «I prigionieri che cercavi sono morti; abbiamo fatto anche troppo».
Vidi Mariceli sul chiaro punto di scoppiare, e provai nei suoi confronti l’empatia più grande che riuscii mai a provare per un altro essere umano. Perché ero arrivato fino a quel punto assieme a lei, perché eravamo quasi morti entrambi per quelle persone e ora eravamo lì, avevamo risolto tutto quello che c’era da risolvere (o almeno, questo era quello che credevo). Non poteva finire così.
Eppure, in qualche strana maniera, compresi anche il Capitano Halos e il suo bisogno di riportarci tutti a casa. Come se salvarci ne andasse della sua stessa sanità mentale.
Decisi di rimandare ogni decisione al momento in cui saremmo stati tutti e tre sani e salvi a bordo del nostro mercantile, preferibilmente molto lontani da Wobani.
«Mi serve un’altra scheda di memoria» buttai lì allora, estraendo quella su cui il computer aveva appena finito di copiare buona parte dei dati e infilandomela in tasca. «Qualcuno ne ha una?»
Con un cenno del capo come apprezzamento del mio sforzo di mantenere la pace, il Capitano Halos annuì. «Ho una copia di Kappa in tasca; vienila a prendere».
Kappa. L’immagine del suo corpo metallico che si accasciava a terra sotto ai colpi dei blaster provenienti dai due fronti diversi della stessa battaglia mi fece esitare.
«Coraggio».
Titubante, lasciai la mia postazione ed obbedii. Non avevo idea di quante copie di quel droide ci fossero in giro per l’Andor, ma credo che questa sia una delle tante stranezze a cui avevo in un certo modo imparato a sottostare, poiché era più probabile vedere il Capitano Halos senza un’arma che senza il suo amato droide in tasca. Dopotutto, portarmi dietro una scheda madre di Kappa è un’abitudine che ha finito col tornarmi utile in svariate occasioni.
Andai dal Capitano Halos e lui si abbassò appena per permettermi di raggiungere la tasca interna della giacca. «Non ti azzardare a formattarla» mi avvertì comunque, serissimo.
Io annuii. «Ci provo».
Mi diressi verso Mariceli, dando le spalle al Capitano e allontanandomi di qualche passo. In una mano stringevo la scheda, nell’altra il mio blaster.
Con l’esplosione che seguì, mi caddero entrambi.
Tremò tutto di colpo, per un istante la stanza sembrò piegarsi all’urto della detonazione e, prima che potessi anche solo accorgermi di cosa mi stesse succedendo intorno, mi ritrovai rannicchiato sotto a un tavolo a tenermi la testa tra le mani.
Sentii Mariceli urlare, udii con chiarezza il rumore di uno sparo nell’aria, poi per un istante tutto fu buio.
Quando tornò la corrente, il Capitano Halos era accanto a me.
«Stai bene?» mi chiese, passandosi la mano su un taglio che gli apriva la guancia sbarbata.
Io annuii, abbassando lo sguardo per constatare i danni. La scheda di memoria era accanto a me; il blaster, invece, era nel bel mezzo della stanza, distante tre metri da dove mi trovavo e irraggiungibile senza uscire dal mio precario nascondiglio.
«Che succede?» pigolai, sperduto.
«Mi sa che ci hanno trovati».
Alzando il capo per mettere a fuoco la stanza da quella nuova prospettiva, mi resi il conto del fatto che avere gli imperiali sul corridoio intenti a provare a far saltare in aria una porta di ferro non era la cosa peggiore che stava per accadere.
Accanto alla parete, il nostro prigioniero procedeva spedito verso il pannello di controllo con in mano lo stesso fucile che fino a poco prima l’aveva tenuto inchiodato al muro. Aveva Mariceli sotto tiro.
«Imperiali, tipico» sbottò il Capitano Halos, impassibile. «La porta resisterà ancora un po’. Solo che non ho idea di come uscirne». Siccome non risposi, seguì il mio sguardo fino a Dessh.
Udii chiaramente il suo cuore fermarsi.
«D’accordo» sussurrò, la voce stozzata e il fiato corto. «Adesso apri bene le orecchie e fai quello che ti dico io, d’accordo?»
Io fissavo Mariceli, rannicchiata sotto una scrivania alla nostra destra, mentre il tecnico la raggiungeva con il fucile puntato sulla sua faccia. Parlava, credo. Non riuscivo a sentire altro che il fischio della detonazione e la voce profonda del Capitano Halos.
«Ragazzo, forza. Sveglia».
Mi costrinsi a rimanere ancorato alla realtà. «Ci sono» sussurrai.
Halos indicò il mio blaster con un cenno del capo. «Hai un colpo» mi avvertì.
Io annuii. «Me lo farò bastare».
Successe tutto tanto velocemente che è quasi impossibile ricordarlo.
Agile come un caccia in volo, il Capitano Halos sgusciò fuori dal nostro nascondiglio e saltò addosso a Dessh con la stessa furia di una battaglia intera.
Io feci lo stesso, ma scivolai fino al blaster e me lo premetti sul petto con tutta la forza che sentivo attraversarmi il corpo. Mi buttai sulle ginocchia, smettendo persino di respirare, e mi morsi le labbra con così tanta disperazione che in bocca sentii il sapore del sangue.
Partirono due colpi nello stesso istante.
Dessh cadde in avanti e il capitano sotto di lui, ma non ebbi il tempo di constatare i danni.
Ci fu un’altra esplosione.
«Buttano giù la porta!» gridai, balzando in avanti con il blaster pronto a sparare di nuovo. Dal nulla, sentivo talmente tanta adrenalina scorrermi nel sangue da farmi girare la testa. Quella porta sarebbe stata la nostra salvezza, decisi, e in quel momento ero più deciso che mai a farmi strada con qualsiasi arma mi sarebbe capitata tra le mani.
Poi Mariceli urlò.
Continuo a risentire quel grido, ogni giorno, ogni volta che ripenso a Wobani. Sono passati dieci anni, eppure è ancora nella mia testa, il lamento di morte più straziante che abbia mai sentito. Fu talmente forte da coprire la raffica di laser che colpì l’uscio ormai precario dietro al quale ci nascondevamo.
Quando mi voltai con l’orrore negli occhi, la trovai inginocchiata a terra, in lacrime, la bocca sporca di sangue, piegata sul pavimento con le mani aperte davanti a sé.
Pensai di averla colpita per errore, ma poi mi ricordai del corpo di Dessh che si accasciava a terra.
Turbato, abbandonai la difensiva e saltai oltre il tavolo che mi copriva la vista.
Al fianco di Mariceli, attaccato alle sue cosce, c’era il cadavere di Dessh.
Davanti a lei, dove le sue mani affondavano nella morbida stoffa di una divisa sgualcita, c’era quello del Capitano Halos.







note

Tutto ciò è sofferenza e credetemi che mi dispiace davvero tanto.
Al punto di aver messo qualche scenetta un pelo più carina e rassicurante all'inizio, anche se ora mi rendo conto di aver soltanto peggiorato le cose.
Quando ho immaginato questa scena la prima volta, Tylan Halos doveva essere un personaggio del tutto diverso. Spiacevole, prima di tutto. Invece è venuta fuori anche una bella persona e onestamente non so più dove nascondermi.
Ad ogni modo, ormai manca solo uno scatto per concludere anche la storia del messaggio. Si è scoperto che cos'è, cosa dice ... però, anche se nessuno nella storia se n'è ancora comprensibilmente reso conto, manca forse il pezzo più importante. Arriverà anche quello.
Ormai siamo agli sgoccioli.
E, uhm, arrivata a questo punto penso di poter dichiarare con tutta la sincerità l'amore per il gruppo di lettori e scrittori di questo fandom ☆ Spero vi rendiate conto di essere una perla rara, perché lo siete e anche tanto. Insomma, e adesso chi vi lascia più se mi permetterete di sopravvivere a questo colpo basso?

Procioni Panda minori (grazie HopeToSave ;D),
Lechatvert




   
 
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