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Autore: flama87    20/02/2017    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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22.1 Primi rintocchi di lode


Se aprire gli occhi costasse fatica e impegno, forse il tentativo di Mithra di risvegliarsi avrebbe meritato un posto nell’olimpo delle gesta eroiche. Inizialmente, fu come se fosse cieca: annaspò, cercando aria neanche fosse emersa giusto in tempo da un profondo abisso; le mani cercavano freneticamente qualcosa a cui aggrapparsi, trovando solo il vuoto e il freddo contatto del pavimento. Le gambe le rispondevano a malapena, insubordinate ai comandi e agli stimoli. Lentamente gli occhi ripresero luce e, con essa, anche la memoria di cosa le era capitato.
Dopo aver aperto il passaggio segreto con la melodia del pianoforte, aveva percorso una breve scala in pietra che conduceva ad una stanza di notevoli dimensioni. Sul fondo, sola e abbandonata, una casupola di legno si ergeva su quel che un tempo doveva esser stato un giardino. Il viso di Mithra fu rigato da lacrime, che sgorgarono inattese al riaffiorare di un sentimento dimenticato. Seppe, per le storie che le avevano raccontato e per la tradizione dell’Ordine, che quella era la casa dove la Prima Sposa si era destata; dove era stata cresciuta, prima che si rivelasse la salvatrice del genere umano.
La fanciulla era avanzata a passo lento, aprendo la porta della vecchia casa dolcemente e fermandosi poco dopo l’uscio. D’incanto, l’abitazione aveva preso colore: il sole splendeva fuori dalle finestre, il cielo era di un azzurro intenso e una dolce aria d’estate spirava oltre la porta. Una ragazzina dai capelli neri le era corsa di fianco Mithra, ma il suo fantasma era svanito poco dopo. Di lì a poco altri due figure erano apparse: un uomo che stava sistemando un attrezzo da lavoro e sua moglie, poco più in là, che preparava il pranzo. Mossa dall’istinto, Mithra aveva tentato di raggiungerli ma li vide svanire in fumo e cenere quando fu a pochi passi dallo sfiorarli. Le sue lacrime aumentarono, esplodendo in un pianto a dirotto che l’aveva costretta a cadere sulle ginocchia. A quel punto aveva perso i sensi, rivedendo nel suo Sogno ciò che era stato nel passato e che era accaduto alla Prima Sposa e al suo amato Sal.
Con estrema fatica, infine, Mithra riuscì a tornare in piedi. Si guardò attorno, col viso sporco di lacrime e terra, provando una fitta al cuore ogni volta che si soffermava sulla desolazione e l’abbandono che si erano rampicate come ragnatele e polvere ovunque. Un moto di rabbia e risentimento ora la dominavano, dandole la forza necessaria per avvicinarsi al quella spada che stava affissa con ganci e corde, a dispetto del luogo in cui era, sul caminetto in pietra. Con poca difficoltà Mithra la prese e la estrasse dal fodero. Come ridestata da un sonno incantato, l’arma brillò di luce dorata e fu attraversata da scariche elettriche; intanto che lei stava specchiandosi nella lama, l’emblema del Sole marchiato sul suo corpo rispose all’unisono e fu come se una strana eufonia avesse avvolto il luogo.
Di nuovo, tra rinnovate lacrime, la donna sentenziò:
«…quanto a lungo abbiamo atteso, Sal. Ti prometto che presto tutto questo avrà fine».


22.2 Lode inoltrata


Si narra, nelle tante ballate e nelle tante canzoni del regno, che il più grande dei guerrieri del Re avesse chiesto di rimanere a combattere fino alla fine delle sue danze. Allora il Sovrano di Gennaio, pur intristito di vedere il suo caro amico cimentarsi ancora in battaglie pericolose, ma non volendo venire meno alla sua richiesta, designò un luogo ove avrebbe potuto dare battaglia a chiunque egli volesse; così Galgamisul trascorse il tempo affrontando mille uomini e ancor più bestie feroci, per il solo divertimento. Ma quando il suo Re e suo caro amico Eabani Sal’Olmar si assopì, il campione del regno partì in un lungo e periglioso viaggio credendo che avrebbe trovato l’eterno risveglio. Della sua sparizione pianse tutto il regno, e il Sovrano di Gennaio che succedette Eabani volle erigere l’Arena Massima in loro ricordo e onore.
Il dì che si faceva risalire all’assopimento di Eabani e alla partenza di Galgamisul era per il regno una festa importante. Del ricordo di quell’amicizia, tutti si fermavano, dagli uomini devoti agli eretici, dai più valorosi ai più meschini; nell’Arena Massima, dove le statue dei due compagni si ergevano solenni, grandi lotte si tenevano in loro memoria. Prima di tale evento, un grande banchetto era allestito ai gladiatori, mentre cibo era servito ai coloro che erano riusciti a ottenere posti sulle tribune.
Il Sovrano di Gennaio metteva a disposizione le sue cucine e quelle dei nobili della sua famiglia affinché le vivande più ricercate e delicate fossero preparate; il Sommo Cardinale, invece, inviava i suoi sacerdoti presso i gladiatori affinché fossero benedetti dalla luce divina e consegnati, qualora dovessero addormentarsi, alla Sera.
Durante il grande banchetto però serpeggiava una strana paura, poiché molti sapeva che quello poteva essere il loro ultimo duello. Sicché, dal momento che non nel cuore di tutti gli uomini era di casa il coraggio, alcuni tenevano pronte una o due monete d’oro, ottenute illecitamente, per pagare cuochi o commensali: gocce di veleno da versare nei boccali, cibi avariati o altri trucchetti per facilitarsi la vittoria e la sopravvivenza. Aulix bevve e mangiò senza timore, giacché il suo corpo non avrebbe sofferto di alcunché; ragionò bene, tuttavia, su chi avvisare del pericolo e chi no. Sapeva in quali uomini correva la paura e la malignità e in quali avrebbe trovato fedeltà e coraggio: così divise gli uni dagli altri, lasciò morire gli indegni e salvò, ingraziandosi, chi lo meritava.
Frattanto che mangiavano, il lanista provvide a raccontare la storia di Galgamisul ed Eabani ai gladiatori, concludendo quel breve e non molto preciso racconto con tono solenne:
«Rammentate che vi è lo spirito di grandi eroi fra queste mura. Che su questo tavolo hanno mangiato e bevuto valorosi gladiatori; ed anch’io, ai miei tempi, ho superato scontri e il destino fatale per essere qui a parlarvi. Non cedete il passo. Non temete l’ora ultima. Combattete con coraggio e con forza! Ciò che non avete avuto qui, quando vi siete svegliati tra le cosce di vostra madre, lo avrete dall’altra parte: la Sera vi è stata già promessa, è vostra. Eppure, non si è mai sentito di un gladiatore che abbia varcato la Grande Casa del Cosmo da pavido o da codardo! Perciò, se questo sarà l’ultimo dì, che almeno vi veda andare trionfanti lì dove i vostri e i miei fratelli ci attendono!»
Aulix sorrise. Certo era un discorso di un certo effetto, utile per lavarsi via la coscienza e per convincere dei poveri bifolchi amarti a pugnalarsi gli uni con gli altri. Considerando quanto a cuore avevano alcuni la propria pellaccia, tanto da assicurarsela con qualche soldo, era evidente che le parole coraggio e gloria erano solo fandonie e poco altro. La Luna che dalla Grande Casa del Cosmo proveniva e che dei sogni umani era custode si guardò attorno divertita.
“Poveri stolti” e terminò il suo pranzo.


22.3 Primi rintocchi di Solstizio


Ser Alcor si avvicinò all’Arena Massima vestito con una grossa mantella e un cappuccio atto a coprirgli il volto. Si favorì di un vecchio e conosciuto costume, cioè quello di alcuni nobili: fra molte caste del sangue blu, le lotte tra gladiatori erano ritenute spettacolo per il volgo e gli zotici. Il sangue e le battaglie attiravano soltanto gli uomini più vicini alle bestie. Sicché, per un nobile, solo il teatro e la musica lirica potevano ritenersi attività edificanti. Tuttavia, non erano certo pochi i nobili che amavano guardare i gladiatori darsi battaglia, sicché erano soliti coprirsi bene il volto e andare ad assistere ai giochi di nascosto. Nonostante col passare delle danze il vedere un volto incappucciato fosse ormai associato alla nobiltà della persona, nessuno si sarebbe certo permesso di denunciarlo e denigrarlo pubblicamente. In questo modo, ser Alcor poté facilmente introdursi nell’Arena Massima senza che nessuno lo riconoscesse.
Il cavaliere si avventurò nella cavea: l’insieme di gradinate diviso in settori, dove avrebbe trovato posto per sedersi. L’intera struttura era in marmo e suddivisa, tramite fasce divisorie in muratura, in cinque settori orizzontali riservati a tre diverse tipologie di pubblico: al settore inferiore, costituito da gradini ampi e bassi che ospitavano seggi di legno, al costo di dieci Raggio d’oro, avevano accesso i nobili e la famiglia reale.
La seconda fascia, al prezzo di due Raggi d’argento, era costituita da una sezione di venti gradini di marmo e un’altra superiore di undici gradini lignei, posti all’interno del colonnato che coronava la cavea e riservato alle donne. Infine, la parte superiore al colonnato era riservata alla plebe, costretta a stare in piedi.
Verticalmente, i settori erano scanditi da scalette e accessi alla cavea, protetti da transenne anch’esse in marmo. Alle due estremità, laddove vi era l’asse minore, esternamente precedute da una parte sporgente rispetto al corpo dell’intera struttura: sull’avancorpo si trovavano due palchi: entrambi formavano, se visti dall’alto, l’emblema solare ed erano destinati rispettivamente al Sommo Cardinale e al Sovrano di Gennaio.
Le uniche altre strutture a svettare oltre gli spalti, ma molto meno dell’avancorpo, erano le balaustre su cui stavano i banditori che ripetevano, urlando, le parole delle due alte cariche del regno, in modo tale che fossero udibili a chiunque in tutta l’arena.
Ser Alcor scelse di sedersi nella seconda fascia di gradinate, posizionandosi il più vicino possibile all’avancorpo, così da poter guardare meglio il Re e il Sommo Cardinale. Li vide entrare di lì a poco, superando i passaggi nella cavea a loro esclusivamente riservati. Le due più alte figure di potere dell’intero regno erano solite incontrarsi sono in evenienze come quella odierna, eppure Alcor credette di vedere, nel modo con cui parlavano, una strana familiarità. L’intuito e i ricordi dei giorni passati con l’amato fratello Mizar gli facevano leggere, laddove pochi avrebbero fatto caso, un filo che legava quei due uomini potenti e irraggiungibili. Si domandò se non fosse quello il motivo per cui Artume aveva scelto di diventare un gladiatore.
“Sapeva che quest’oggi sarebbero apparsi, come lo sa chiunque altro. Forse non le bastava mostrarsi al popolo, apparendo nel cielo: ha in mente altro, sicuramente. Gareggerà oggi, davanti a loro, e farà qualcosa. Lo farà davanti a tutto il popolo e davanti alle due figure più potenti del regno: scoccherà una freccia avvelenata nel cuore del nostro mondo e lo farà davanti a tutti. Avrà organizzato tutto questo nei minimi dettagli, a perché? Cosa spera di ottenere?”
Le domande del cavaliere avrebbero avuto presto risposta, sebbene, in cuor suo, ne ebbe timore: ammise di non voler sapere cosa la dea Artume, ora Aulix, avesse in serbo. Aveva parlato di volere un castello, ma cosa se ne faceva un divinità come lei di un palazzo, quando aveva definito i monumenti umani senza valore? Forse le mire di una divinità erano ben oltre la comprensione di un misero uomo, si disse. Lo vide, infine. Colui che fu il giovane servo di Mizar Merak, il Satellite della dea Luna, calcò il suolo dell’arena nel gruppo di dieci gladiatori. Girarono, marciando, intorno agli anelli degli spalti, per concludere il passo militare presso l’avancorpo. Qui il Sovrano di Gennaio, e poi il Sommo Cardinale, si avvicendarono a parlare a quei guerrieri e al popolo. Fu allora che ser Alcor capì, o meglio vide: distinse chiaramente una strana energia diramarsi intorno. La voce del Re e del Sommo Cardinale, similmente alle onde dell’acqua colpita da un sasso, si espandevano sempre più; i banditori sulle balaustre, irrorati da questa misteriosa energia, la ritrasmettevano amplificata inondando tutta l’Arena. Il cavaliere, che ne era stranamente immune, intuì la vera natura di coloro che stavano ora parlando.
“Sono Satelliti. Il Re e il Sommo Cardinale… sono semidei! Stanno usando i loro poteri sulle persone! Ma non dovrebbe essere loro vietato? La dea Gaia non stabilì che ai Satelliti era proibito abusare dei propri poteri per control-lare le vite e il destino degli uomini? Eppure eccoli, due di loro, che parlano e soggiogano le persone!” Quella rivelazione lo terrorizzò. Comprese di esserne immune perché la dea Luna gli concedeva la sua protezione e, in un lampo, comprese anche che suo fratello aveva avuto quella protezione fin dal giorno in cui aveva preso Aulix nella sua casa. Mizar, il suo amato fratello, aveva visto la verità molto prima di lui ma non aveva potuto confidarglielo: non aveva potuto cercare il suo aiuto, perché come tutte le persone ora presenti nell’Arena, anche Alcor era stato a lungo tempo schiavo dei poteri di quegli esseri divini. Lacrime copiose, di colpo, gli solcarono il viso.
«Fratello mio… perdonami. Sola ora io vedo. Soltanto adesso io so che il tuo sacrifico non è stato vano. Finalmente so cosa vuole fare Artume: lo avevi prima di me e avevi deciso di aiutarla. Oh Mizar, ma era davvero necessario che tu ti addormentassi perché io comprendessi l’inutilità della mia esistenza?»
Nelle grida generali, nella ritrovata armonia e coesione, schiavi di un Sovrano che detta legge su chiunque e di un Sommo Cardinale che impone l’ordine dove vuole, iniziarono i giochi celebrativi. I gladiatori avevano già preso a darsi battaglia, incitati da un popolo, ora, stranamente in festa.

Presto però quelle catene sarebbero state spezzate, perché la Luna dall’alto della Grande Casa del Cosmo tendeva il suo arco ed era pronta a colpire.
   
 
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