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Autore: alessandras03    22/02/2017    1 recensioni
SEQUEL BISBETICA VIZIATA.
Dal Capitolo 1...
"In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti. "
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 11
 


Loving can hurt, loving can hurt sometimes
But it's the only thing that I know                                                                                                   
When it gets hard, you know it can get hard sometimes
It's the only thing that makes us feel alive


E’ strano pensarmi così, su di un letto, con le cuffie alle orecchie, la notte buia e il mio respiro lento, quasi impercettibile. E’ strano vedermi così, con il cuore sgretolato.
L’amore fa male. L’ho imparato, una volta per tutte. Amare non è per niente semplice, soprattutto per una come me, che ha sempre messo se stessa in primo piano. Non è semplice gestirmi, gestire me e le mie emozioni del cazzo.
Sbaglio continuamente e non so se questa cosa cambierà mai.
Sicuramente non ho mai amato nessuno come ora, non ho mai onestamente capito cosa significasse tenerci a qualcuno a tal punto da sentirsi completamente vulnerabili senza.
Non so se Dylan cambierà idea e non so neanche se mi ama ancora o se addirittura vince l’orgoglio, mandando tutto a puttane. So che è notte fonda, non ho affatto sonno e presumo passerò l’intera nottata così, a fissare il vuoto.

Imparerò dai miei errori.

«Grace!» La voce di mia madre irrompe nel mio sonno. Ho chiuso occhio alle sei del mattino e lei alle otto in punto funge da sveglia.
Mi lamento e copro il volto con il cuscino.
«Stiamo andando dai nonni, perché non vieni?» Sul serio vorrebbe buttarmi giù dal letto?
Mugolio e scuoto il capo. Mi fa tremila raccomandazioni, dice che torneranno in tarda serata e scompare. Casa è vuota ed io mi metto in piedi, trascinando i piedi fino al piano di sotto.

Proprio quando sto per bere il caffè, suona il telefono. Lo acchiappo e rispondo:

«Pronto?»
«Sono Beth, c’è Grace signora?»
Schiarisco la voce, «è uscita di casa, lasciando un biglietto “mamma voglio farla finita”» ironizzo, sperando lo capisca.
«Cosa?» Il suo tono appare perplesso.
Sorseggio il caffè, poggiata al tavolo e ghigno. «Volevi dirle qualcosa?»
«Sì, volevo dirle se… se mangiava da me a pranzo» balbetta.
Scoppio a ridere, «mi vesto e arrivo imbecille.»
«Ma sei proprio una cretina» sbotta a gran voce.
Ingoio il caffè, «io? Forse tu…» corro al piano di sopra, mettendola in vivavoce.
«Insomma, stavo già uscendo per venire a cercarti!»
«Bene, ti ho messo alla prova» rido aprendo l’armadio.
«Ma poi, diamine… hai la voce di tua madre» è incredula.
«Sei tu ad essere rincoglionita» sbuffo, gettando sul letto un paio di shorts di jeans ed una canotta. «Comunque se mi fai lavare e vestire vengo, quindi riattacco.»
«D’accordo, a dopo» riattacca.

Faccio la doccia e dopo venti minuti sono fuori. Mi vesto ed asciugo i capelli, lasciandoli mossi. Sono ricresciuti parecchio. Niente trucco, metto in borsa le chiavi, il portafoglio e varie cianfrusaglie, per poi uscire.
Prendo un bus che mi lascia di fronte casa sua e non appena sono lì, rimango interrotta.
Dylan sta lavando l’auto fuori dal garage. E’ a petto nudo, i capelli scompigliati e la radio accesa. Sta passando Photograph di Ed Sheeran ed è proprio in quell’istante, mentre fischietta, che i suoi occhi incrociano i miei. Fa un cenno con il capo e ritorna alla sua auto, ma io so che non sta pensando affatto ad essa, lo conosco.
Così, percorro il vialetto lenta e visto che la porta di casa è schiusa busso cautamente per poi entrare. La madre di Beth sta facendo le pulizie, ha un panno fra le mani ed uno spray per mobili. Mi sorride e corre ad abbracciarmi.
«Buongiorno cara» saluta entusiasta, mentre la cagnolina agita la coda incessantemente.
Ricambio il saluto ad entrambe, con altrettanta euforia, mentre dalle scale compare la mia amica. Ha il viso completamente nero, sgrano gli occhi e scoppio a ridere.
«Sto facendo la maschera» parla a denti stretti, «non posso muovere il viso» trattiene una risata.
«Fantastico» poso la borsa sul divano e la osservo compiaciuta.
«Non fare la stronza, vedi che funziona» continua.
«Non fiatare, ti vengono le rughe e diventi una cessa» sorrido beffarda.
Risponde con il dito medio e poi corre di fuori, la seguo. «Ti devo dire una cosa» sussurra.
Rimango in silenzio, attendendo.
Mi osserva, «stanotte mi sono alzata per bere un sorso d’acqua e l’ho sentito parlare al telefono e così ho origliato…» dice.
Annuisco.
«Parlava con un suo amico e diceva che presto sarebbe andato via di qui, che non ce la fa più a vederti ogni giorno… poi ha continuato dicendo “sì, lei potrebbe piacermi anche, ma non è lei”» sospira, «credo parlasse di Judy, che tra l’altro verrà in questi giorni e non so bene quando» aggiunge.
«E’ una cara ragazza, ti piacerà» la madre ha origliato e spunta alle mie spalle come un fantasma, sussulto e mi volto a sorriderle falsamente.
Beth abbassa il capo imbarazzata, quando lo rialza fa una smorfia e le si riempie la maschera di piegoline.
«Adesso avrai senz’altro le rughe» le scompiglio i capelli e rido.
Sbuffa e corre dentro. Si chiude in bagno e dopo cinque lunghi minuti esce con il viso pulito. «Vedi?» Mi mostra il volto, accarezzandolo. «Miracolosa» commenta.


All’ora di pranzo sono casualmente seduta di fronte a Dylan. Incrocia raramente il mio sguardo e non capisco mai bene cosa voglia dire, magari nulla, magari tanto.
«Beth, io devo correre a lavoro, faccio la notte… sparecchia e metti tutto nella lavastoviglie.» La signora si alza da tavola e corre al piano di sopra, ricomparendo poco dopo con la borsa. Saluta ed esce.
«Dylan sparecchi tu» ordina la sorella.
Lui la fulmina, «non se ne parla, mamma ha parlato con te» sogghigna mentre prende la cagnolina fra le braccia.
«Senti non fare lo stronzo dai, noi dobbiamo fare una cosa» mi guarda ammiccando, mentre io rimango impassibile.
Dylan la fissa di sottecchi, «non mi interessa Beth» sbuffa mettendosi in piedi.
Prende il telefono fra le mani e lo fissa.
«Ma cosa avrai sempre con questo telefono» Beth glielo strappa di mani e quando probabilmente legge qualcosa di strano, alza le sopracciglia e schiude la bocca.
Dylan lo riprende e lo mette in tasca, «verrà oggi, te l’avrei detto» si giustifica lui.
Beth mi osserva e poi sposta lo sguardo sul fratello, «mi metti in difficoltà Dylan, porca troia» sbotta.
Mi metto scattante in piedi e capisco l’antifona. Judy arriverà a momenti ed io sono il problema. Mi avvicino al divano, nel quale ho lasciato la borsa e la porto alla spalla.
«Tolgo il disturbo» sbuffo nervosamente.
Dylan avanza, «Grace non c’è bisogno» non mi aspettavo parlasse. «Judy ti conosce» mormora.
«La conosco anche io e sai una cosa?» Lo fisso in cagnesco. «Non mi nascondo più, okay? Non posso osservare la persona di cui sono innamorata, che non è mio, fare il cretino con un’altra perché onestamente non ci starei niente a prendere lei per i capelli e te a calci nel culo!» Sono così arrabbiata che le parole escono furiosamente da sole, velocemente, aggressivamente e liberamente. Credo di essermi persino accaldata.
Beth da dietro ha abbozzato un sorrisetto, mentre incrocia le braccia al petto.
In quell’istante bussano alla porta. Bene, perfetto.
Dylan si avvicina e la apre. Judy le salta al collo, io scocco la lingua sul palato ed osservo il soffitto sopra di me. Beth mi si affianca e dopo il lungo saluto a Dylan, si accorge della mia presenza. La guardo come guardo chi si sta prendendo l’ultimo boccone dal piatto, che in realtà dovrebbe essere mio.
«Ciao Beth» le da due baci in guancia. «Ciao» mi saluta.
«Ciao» dico con le braccia conserte ed il tono nervosamente serio.
Dylan entra con una valigia, socchiudo le palpebre e sospiro.
Spero stia scherzando. Quanto diavolo pensa di rimanere?
«Dove le lascio le mie cose?» Domanda sorridente, rivolgendosi al fratello e la sorella.
Beth alza le spalle, «onestamente è stata una sorpresa, quindi adesso Dylan penserà a trovarti una postazione…» sembra infastidita, stranamente. Da una strana occhiata al fratello, mentre lui arriccia il naso.
«Dormi nella mia stanza» kaboom. Vorrei schiaffeggiarlo, ma mi limito a fissarlo.
Perché mia mamma mi ha fatta così aggressiva?
Judy è contenta, e certo che lo è. Figuriamoci se avesse avuto il coraggio di declinare l’invito.
«E tu Dylan?» Chiede Beth corrucciata.
Morde il labbro inferiore. «In camera mia» decreta.
Ghigno morbosamente. Mi giocherei tutto che lo stia facendo apposta. Che stronzo.
«Per me non c’è problema» Judy fa spallucce.
Beth la guarda, poi passa un braccio intorno al mio collo. «Neanche per me, tanto stasera Grace dorme con me … non sono sola» sorride beffarda.
Ho già detto di amarla. Già.
Judy sembra non gradire la cosa, ma il sorriso non le manca mai, falso per quanto possa essere. E così Dylan l’accompagna di sopra, mentre Beth borbotta qualcosa.

«Lo sai no? Lo sai che l’ha fatto apposta» dice poi parandosi di fronte. «Me l’hai fatto diventare davvero stronzo, però… carino il discorso dell’innamoramento» mi sfotte, «la mia amica è innamorata di mio fratello, che non se la caga di striscio, interessante» scherza massaggiandosi il mento.
Le do una spinta, «sei una stronza» la insulto.
Esce la lingua a mo’ di smorfia e poi si zittisce. I due sono nuovamente tra noi.

«Prepariamo una torta?» Propone Beth improvvisamente.
«Come i vecchi tempi, quando le nostre madri si riunivano ed uscivano fuori cose buonissime» Judy affianca Beth vicino alla cucina, «dai» annuisce.
Dylan             si mette comodo sul divano ed accende la tv. Ed io? Non mi resta che fissare immobile.  
E così trascorro un’ora abbondante a fissarmi le unghie, mangiucchiarle e ridurle una schifezza. Poi smanetto con il telefono, riprendo Beth che canta e me la rido sotto i baffi. Mi perdo a fissare il profilo perfetto di Dylan, che mangia prima un pacco di patatine alla paprika, poi dei biscotti al cioccolato ed infine una mela.
Beth e quella Judy hanno ultimato la loro torta al cocco, sono sicura che sarà buonissima, ma non gliela darò mai vinta di ciò. Così, quando mi porgono il piatto con una fetta, do il meglio di me stessa. Credo che sia un po’ mancata l’antipatia di Grace Elizabeth Stewart.

«Non mi piace» poggio il piatto sul tavolo, quando in realtà vorrei finirla tutta.
Sarò anche immatura e viziata, ma non ci riesco proprio a comportarmi da carina con questa tizia. In fondo è arrivata proprio quando io e Dylan eravamo diventati un “noi” e da quel giorno tutto è andato per il verso sbagliato.
«E’ buona» biascica Dylan.
Beth mi osserva curiosa, sa che ho mentito spudoratamente, ma lei rimane comunque in silenzio.
E’ chiaro che a Judy importi ben poco della mia opinione riguardo la sua creazione. E’ troppo occupata a fissare Dylan, sorridendogli e standogli appiccicata come una cozza.
Insomma, con la mia affermazione si è asciugata il culo!

Poi la signorina propone un film ed ecco che perdiamo trent’anni di vita per sceglierlo. Fin quando “Magic Mike”. Non male come idea.
Mi sistemo frettolosamente sul divano, Dylan si siede al mio fianco, ma dall’altro lato c’è Judy. Beth, invece, ha la sua poltrona. Liz scodinzola e mi salta addosso.
Così l’abbraccio e la coccolo. Nonostante il caldo imperterrito, è piacevole averla sulle gambe.
Mi accorgo solo dopo che Dylan ci sta osservando. Mi volto e faccio lo stesso.
«E’ così che tu ti prendi tempo?» Sussurro a denti stretti, mentre la mia voce si accavalla alla musica del film.
Lui sospira serrando la mascella. Non risponde.
«Bè, sai che ti dico? Che puoi andare al diavolo» aggiungo mormorando. «Tanto hai già trovato il da farsi» lo istigo.
Socchiudo le palpebre e lui non fa alcun cenno.



POV DYLAN

E’ notte fonda. Ci siamo appena coricati, dopo una maratona di film durata un pomeriggio intero. Credo di non aver mangiato mai così tanto in vita mia.
La cena è stata ottima, inutile negarlo. Grace si è messa ai fornelli, preparando del pollo al curry, indescrivibile. Judy, di canto suo, non ha gradito la pietanza.
E’ palese l’odio reciproco tra le due e l’immaturità che entrambe ci mettono nel contesto. E così Beth ha dovuto cucinare delle patate con della carne, solo ed esclusivamente per lei.
Grace l’ha guardata per tutta la sera con gli occhi di una belva.

E adesso sono qui, chiuso nella mia camera, con Judy al mio fianco. Indossa uno slip ed una canottierina da notte ed è raggomitolata su di un fianco.
Io sono a petto nudo, con un paio di pantaloni da tuta. Non riesco a chiuder occhio e sono solo le due. Rimango nella stessa posizione per circa un quarto d’ora, poi mi metto in piedi ed avverto il lamento di Judy, che si volta dall’altra parte, portando verso di sé il lenzuolo.
Cammino scalzo fino alla porta, la apro e sgattaiolo fuori. Mi stiro e sbadiglio.
Avanzo verso il bagno e con occhi schiusi apro la porta. Al buio avanzo verso il water e proprio quando sto per urinare avverto un “oh mio Dio”. Mi si blocca la pipì e mi ricompongo, voltandomi.
«Beth perché diavolo sei al buio in bagno? Che diavolo fai?» Sbotto.
Schiarisce la voce e sbuffa, «troglodita.» Non è Beth.
M’irrigidisco. «Tu durante la notte ti chiudi in bagno a pensare?» Accendo la luce e la osservo in tutta la sua semi-nudità.
Odio ed amo quei dannatissimi perizomi con inserti in pizzo e quel sedere mezzo nascosto dalla maglia a maniche corte.
«Ehi quella è mia» la indico.
La sfiora e scrolla le spalle. «Me l’ha data Beth» dice poggiata al lavandino. Incrocia le braccia al petto e sospira. «Notte di fuoco?» Commenta inclinando il capo da una parte.
Occhi vispi, labbra serrate e respiri profondi.
«Judy sta dormendo» dico.
Lei annuisce, «capisco, una sveltina» ride.
Avanzo verso di lei scattante, «ma la vuoi smettere porca puttana?»
Il suo respiro si affanna e i suoi occhi fissano la mia bocca. Poi violentemente schiudo la mia bocca contro la sua e le nostre lingue s’incontrano fameliche.
Questo bacio non promette nulla di buono. Tutto si infiamma e le mie mani non sanno cosa toccare per prima. Le sfioro le cosce, poi risalgo e dalle natiche la tiro su, per poi sederla sul lavabo. Le infilo le mani sotto la maglia, palpandole il seno aggressivamente, mentre il bacio prosegue ruggente.
Mi morde le labbra e sospira. In quel preciso istante, proprio mentre la sto per stendere sul mobiletto affianco e le alzo la maglia per baciarle il petto, lei, con un brusco movimento fa cadere creme, bagnoschiuma e quant’altro a terra. Così ci blocchiamo. Lei si rimette in piedi estasiata ed io la lascio andare. Scappa fuori, mentre io rimetto tutto al suo posto.
Sono perplesso e confuso, quel bacio, quel tutto è stato l’anticamera del letto. Non so se l’inconveniente dopo sia stata una salvezza o meno.
Fatto sta che rimane notte fonda e l’unica cosa che dovrei fare al momento è dormire.


Avverto delle voci dalla cucina, apro gli occhi e la porta della mia camera è spalancata. Mi metto in piedi, stiro le braccia, sbadiglio e strofino un occhio. Scendendo al piano di sotto, intravedo man mano le figure di mia sorella, Judy e Grace. Le prime due stanno mangiando pancake, mentre Grace è seduta, si sostiene il mento con la mano e fissa un punto senza distogliere lo sguardo. Schiarisco la voce ed è lei la prima che sbatte le ciglia e si volta ad osservarmi. Judy mi scruta curiosa, mentre Beth ha l’occhio furbo.
Saluto con un sorriso alquanto veloce, poi acchiappo un pancake addentandolo. Ho lo sguardo basso e prendo posizione affianco di Judy, di fronte Grace.
Lei non mi guarda ed io, invece, cerco più e più volte i suoi occhi. Temo sia imbarazzata per stanotte, ma la Grace che conoscevo non si lasciava abbindolare da ciò, era sempre pronta a scontrarsi, in un modo o nell’altro.

«Sai, Dylan… pensavo di fare un giro in città stamani» esordisce Judy.
«Ci sono tanti bus che portano in giro» rispondo di getto, senza pensarci. Solo dopo mi rendo conto di aver dato una risposta inadeguata e da perfetto idiota deglutisco rumorosamente, mentre Grace nasconde la bocca ridendo.
Judy corruga la fronte.
«Ovviamente ti farò compagnia» mi correggo. Salvato in calcio d’angolo.
Ed ecco che Beth lancia una lunga occhiata all’amica. Sembrano così perfide.
«Io andrei a casa» Grace si mette in piedi. Non mi ero ancora reso conto delle sue gambe nude. Ha ancora la maglia della notte scorsa, con solo un paio di culotte addosso. E’ straziante.
Abbasso gli occhi, grattandomi il capo, mentre lei sale al piano di sopra scattante.
«Sto arrivando» dico alle due rimaste in cucina, prima di andarle dietro.
Entro nella camera di mia sorella, mentre lei sfila la maglia ed infila il reggiseno.
«Tieni» dice con tono freddo lanciandomela. «E’ tua no?» Inclina un sopracciglio.
Annuisco con suono gutturale, mentre l’afferro tenendola ferma sul petto.
La osservo mentre si riveste, prima gli short di jeans, poi la canotta ed infine le converse. Alza i capelli in una coda e sbuffa.
«Stanotte…» sospiro avanzando.
Lei sta osservando la sua immagine riflessa sullo specchio, «non ho bisogno che tu mi dica cosa sia stato» mi ammonisce. «Sappiamo entrambi cosa c’è tra di noi, non puoi cancellare tutto perché Judy Treccine ti corteggia» abbozza una smorfia antipatica. «Dylan, andiamo… smettila.»

 
Alzo gli occhi al soffitto e schiarisco la voce. «E chi mi dice che tu fra qualche giorno non ci ripenserai nuovamente? Chi mi dice che non correrai da Brian a dichiarargli vero amore e cazzate simili?» Dico aggressivo. «Perché tu sei così Grace, sei imprevedibile e forse ti amo anche per questo… ma mi faccio male solo e soltanto io, cazzo.» Serro la mascella.
Si bagna le labbra con la lingua e socchiude la palpebre. «Brian è andato via, io sono qui, ti ho detto che sono innamorata di te e tu ancora pensi a Brian?» Assottiglia lo sguardo.
«Bè, l’avevi detto anche in vacanza e poi l’hai baciato!» Esclamo furioso.
E’ nervosa, lo capisco dal suo modo di mordersi le labbra. «Senti, se tu vuoi possiamo non vederci più, fin quando non andremo al college… sarai libero poi no?» Incrocia le braccia al petto.
Sbuffo. «Faremo lo stesso college!» Le ricordo.
Boccheggia, «e allora amami, fidati di me, amami. Corri il rischio di amare un disastro come me. Riprovaci, sbattici la testa e tienimi la mano.» Dichiara con voce rauca.
Rimango interdetto e la fisso negli occhi. Vorrei baciarla, ma qualcos’altro mi blocca, forse la paura, forse sono un codardo, ma l’amo così tanto che non sopporterei di averla di nuovo fra le mie braccia e di vivere ogni singolo giorno con il timore che da un momento all’altro possa scomparire, cambiare idea e lasciarmi.
«Buona giornata» acchiappa la borsa, la porta in spalla e si fa spazio per passare, uscendo dalla stanza.

Quando ritorno al piano di sotto, Judy mi osserva sconsolata, mentre Beth chiede spiegazioni con lo sguardo.
«Ehi Judy, non dovevi fare un bagno caldo? Così dopo andate in giro, no?» Beth le accarezza un braccio e lei si mette in piedi, per poi salire al piano di sopra.
Mi siedo affianco di mia sorella e a cuore aperto nascondo il viso con entrambe le mani.
«Lo so. Hai paura. Ti capisco.» Mormora. «E’ più che normale. Ti ha fatto male e tu non vuoi rischiare di vivere ancora in quel modo… però non trovare conforto in Judy, in fondo lei è una brava ragazza» aggiunge sincera. Così la guardo. «Stanotte non avresti dovuto dormire con lei e sono sicuro che siete andati anche oltre» azzarda.
Ripenso a questa notte e mi scappa un risolino, lei mi ammonisce con lo sguardo.
«Stanotte, in bagno, stavo per farlo con Grace… con Judy non è successo assolutamente niente» ammetto sincero.
Lei spalanca la bocca e scuote il capo. «Che bastarda, non me l’ha detto» ringhia.


Poco dopo mia madre fa la sua entrata in casa, con delle buste della spesa. Beth corre a darle una mano, mentre lei saluta entrambi con un bacio in fronte. E’ stanca, ma così energica.
«Tesoro, ho dimenticato di prendere il latte… se ti do le chiavi dell’auto vai tu al supermercato?» Chiede a Beth.
Lei è entusiasta, così si mette in piedi e corre fuori. Io rimango ad osservarla mentre mette negli sportelli della cucina i barattoli di sottaceti, nutella e varie robe buonissime.
Si ferma solo dopo aver terminato del tutto e con le mani sui fianchi mi fa un gran sorriso, così grande da farmi scoppiare il cuore.
«Amore tutto okay?» Si avvicina stritolandomi una guancia.
Sorrido lievemente ed annuisco.
«Hai gli occhi tristi, è successo qualcosa?» Chiede corrucciata e preoccupata. Odia vedere i suoi figli giù di morale e capisce subito quando qualcosa non va, ecco perché la maggior parte delle volte sgattaiolo fuori casa, pur di non farmi scoprire. E adesso invece non posso nascondermi, perché lei mi sta guardando negli occhi e non riesco affatto a mentire. «Sai…c’è stato un periodo» si mette seduta al mio fianco e mi prende la mano, «in cui io e papà discutevamo di continuo» accenna un riso al solo pensiero, mentre gli occhi le luccicano. «Lui voleva sempre tutto alla perfezione, mentre io ero una casinista disordinata e così i primi mesi di matrimonio ci lanciavamo cucchiai, pantofole, telecomandi e telefoni addosso» scuote il capo, «poi a fine giornata ci trovavamo nello stesso letto, entrambi svegli e nessuno dei due fiatava, ma la sua mano sfiorava la mia e le nostre dita s’intrecciavano, perché nulla poteva distruggerci, neanche i litigi. Eravamo ancora due giovincelli alle prese con la convivenza, con i disastri e le gelosie. Eravamo vulnerabili, ogni cosa avrebbe potuto abbatterci ed invece noi abbiamo sempre lottato» le lacrime ricadono sul suo volto, so che sono solo per la gioia, per il ricordo, per ciò che è stato.
Mando giù il nodo alla gola e sospiro, «perché mi stai dicendo questo, mamma?»
Lei piega le labbra in un sorriso dolce, «perché ti sei perso, mentre l’amore si faceva strada dentro di te. E’ normale perdersi, ma in fin dei conti, c’è sempre una scorciatoia, una strada secondaria che riporta al punto iniziale.» Aggiunge.
«Io la amo, credo di non aver mai amato qualcuno quanto io ami lei. Mi fa male e bene allo stesso tempo. Mi sento così impotente.» Ed ecco che come un bambino le confido tutto, anche se lei sa già tutto, senza bisogno che io parli ancora.
Annuisce e mi accarezza il capo. «Lo so. Goditi questo momento. E’ bellissimo.»



Trascorro il pomeriggio fuori con Judy, compriamo il gelato, andiamo sulle giostre come due bambini, ridiamo e ci divertiamo come pazzi, ma il pensiero di Grace mi martella il cervello. Judy è di buona compagnia, in fondo lo è sempre stata, fin da bambina, solo che non è la mia compagnia.
In serata decide di andare al cinema, così l’accontento. Compriamo popcorn, patatine coca-cola, guardiamo un film, di cui non ricordo neanche il nome e poi ritorniamo a passeggiare per strada.
Improvvisamente, quasi senza rendermene conto finiamo per sederci in una panchina, che non è una panchina qualunque. E’ la panchina.
«Ho origliato» dice lei a denti stretti, senza guardarmi.
Corrugo la fronte confuso, mentre lei mi rivolge un’occhiata.
«Mentre parlavi con tua madre, ho origliato» sospira osservando poi il cielo.
Annuisco, «bene» sussurro.
«Non sentirti in colpa…» dice tranquilla, «mi sono illusa che potesse esserci qualcosa tra di noi, forse perché da bambina ero follemente innamorata di te e vedendoti dopo anni pensavo di poter avere una chance» ridacchia osservandomi. «Vorrei poterti baciare» fissa le mie labbra maliziosa, «vorrei poter fare ogni cosa con te e non passeggiare, ridere, scherzare, mangiare… intendo ogni.singola.cosa» scandisce le ultime tre parole. Non mi imbarazzo, ma mi irrigidisco. Poi abbozzo un sorriso, scrollando le spalle. Si avvicina e mi lascia un bacio sulle labbra, per poi mordermi quello inferiore.
Abbasso gli occhi e leggo sottovoce l’incisione che lasciammo un tempo io e Grace, mentre la sfioro con un dito.

“L’appuntamento più strano della mia vita.
D.”

“Il mio primo ed ultimo appuntamento.
G.E.S”


Mi scappa un risolino. Ricordo ancora quella sera, ricordo ancora come ci siamo conosciuti e quanto tutto sembrasse bizzarro e fuori dalle regole. Doveva solo pagare una scommessa alla sorella, un’uscita con un ragazzo sconosciuto senza secondi fini, capitati nel locale sbagliato, incitati ad uscire da una tipa strana ed esuberante esattamente come lei, Beth.
Insomma, quella sera avremmo semplicemente dovuto fingere, come se fosse un gioco, invece, le carte in tavola si sono capovolte e giorno dopo giorno Grace Elizabeth Stewart diventava la ragione per la quale la mattina andavo a scuola con il sorriso, per cui il pomeriggio tornavo a casa rilassato e per cui la sera mi addormentavo ridendo come un coglione. Se ci ripenso sembra surreale, eppure quella sera, su questa panchina qualcosa è successo. E’ successo che quella scintilla di cui tutti parlano è scattata e da quella notte in poi niente più è stato regolare, anzi al contrario, completamente e follemente disordinato, fuori da ogni schema e da ogni logica.

«Credo di dover andare» mi metto in piedi, mentre Judy mi fissa dal basso. Lei annuisce muovendo le labbra in una smorfia.
«Bè, buona fortuna Dylan» mi dice infine.

Prendo il primo bus che potrebbe fermare più o meno vicino casa di Grace, lasciando Judy in mezzo alla città, da sola. Così invio un messaggio a mia sorella, chiedendole con estrema gentilezza di recuperarla. Poi nascondo il telefono nella tasca del jeans ed osservo fuori dal finestrino. Quando quest’ultimo frena alla fermata, scendo giù e percorro qualche isolato a piedi, fino a giungere di fronte casa sua.
Casualmente lei esce dalla porta con l’immondizia fra le mani e correndo come una bambina attraversa la strada, per poi gettarla. Non mi ha ancora visto.
«Okay, rischio.» Esordisco, mentre lei sussulta e si volta a guardarmi. E’ spaventata.
«Tu sei un coglione, mi hai fatto prendere un colpo» porta una mano al petto e respira affannatamente.
Sogghigno, «rischio.»
«Che cosa?» Forse vuole solo sentirselo dire.
«Sono stato fuori con Judy e… siamo finiti su di una panchina a fine serata» racconto, «mi sono reso conto che era la nostra panchina, quando guardandomi intorno sentivo un’aria familiare» deglutisco e lei mi fissa. «Ti ricordi quella sera? Non avevi proprio voglia di star lì con me ed io in fin dei conti stavo solo facendo la figura del cretino fuori con una ragazza che non mi avrebbe mai preso seriamente» la vedo sorridere, mentre abbassa il capo.
«Non volevo intraprendere nessuna conoscenza» si giustifica.
«Non ero il tuo tipo, così mi dicesti» scrollo le spalle e rido.
Lei annuisce, mostrando un gran sorriso. «Lo ricordo bene.»
«Troppo perfetto per te, tu casinista ed io…»
«E tu troppo bello per essere vero» mi anticipa, «troppo bello dentro e fuori.»
«Non pensavi a me come un qualcosa di più dell’amico, avevi già fin troppi casini» dico avanzando, mentre lei rimane immobile. «E’ successo tutto per puro caso, ho imparato a conoscerti e sono stato ai tuoi giorni…» lei è di fronte a me, le prendo una mano ed intreccio le mie dita alle sue.
«…e vivrai ancora i miei giorni?» Domanda lei con voce flebile.
Poggio la mia fronte alla sua. «Sarà dura, ma credo di farcela.»
  
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