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Autore: Aroldo di Poe    22/02/2017    0 recensioni
Altrove non è una storia, è un luogo dove abita la vita, che attraversa ogni recondito anfratto della nostra mente e della nostra immaginazione. E' il lettore a decidere dove farsi condurre. Può decidere lui come interpretare la storia, da che punto seguirla.
Essendo l'Altrove un luogo, va esplorato. Deve essere esplorato. E come un luogo non ha un cominciamento, ma un viaggio, l'Altrove è processo. Per me di scrittura, per te, caro lettore, è passaggio di tempo èl 'Altrove stesso. Buona Lettura.
Genere: Malinconico, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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2. Friedrich distolse gli occhi da quel quadro che stava osservando da parecchio ormai. Quel mare così agitato, con quelle scogliere e due uomini sulla cornice, lo aveva portato in un'altra realtà. Quasi che quella fosse stata la sua storia. Ne aveva immaginato gli odori, i suoni e anche le voci, i pensieri e i dialoghi. Forse non sarebbe sopravvissuto su quell'isola senza alcuna traccia di modernità. Rifletté che forse il sublime non faceva per lui. La natura, per quanto grande ed enormemente affascinante, non avrebbe mai potuto sostituire la magnificenza di certe invenzioni e comodità moderne. Tuttavia, fermarsi sognante di fronte quel quadro e cercare di dare una forma alle immagini, quella era una sensazione inappagabile. Nella fantasia, per Friedrich, l'uomo non era altro che se stesso, quel connubio di possibilità e finito, di luce e tenebra. Era la perfetta contraddizione dell'essere, era il domandarsi instancabile di Amleto e, allo stesso tempo, la certezza salda di Macbeth. L'uomo era tutte le tragedie di Shakespeare ma anche un fedele martire della rigorosità e della certezza, una dimostrazione matematica. Per questo motivo aveva cominciato a raffigurarsi il proseguo di ciò ce vedeva. Non gli piaceva che le immagini rimanessero ferme, la stasi lo intristiva, rendeva la vita irreale. Il dinamismo era la vera essenza della vita. Essa non era altro che un lento divenire, non progresso, ma processo e libertà di azione. “Si chiude! “. L'alto parlante aveva annunciato la chiusura del museo in cui quel quadro era custodito. La stanza non lasciava quasi trasparire alcuna sorta di luce, eccezion fatta per quei piccoli fari che illuminavano a giorno il solo quadro esposto. Quella stanza non aveva altra funzione che custodire quell'oggetto, quasi fosse una cornice della cornice, come un teatro che racchiude in sé il palco su cui andrà in scena lo spettacolo. Friedrich era l'unico visitatore ancora presente nel museo, così si avviò all'uscita. Fuori, in quella fresca giornata primaverile, il sole non era ancora calato. Le scale del palazzo davano su di un marciapiede affollato, dove centinaia di individui si lasciavano sedurre dai loro stessi pensieri, senza davvero guardare cosa li circondasse. Il sole rosso spadroneggiava su un cielo terso, sgombro da qualsiasi pensiero e turbamento, totalmente sottomesso al gioco di colori che solo una mente superiore avrebbe potuto immaginare. I sonnolenti uccelli imitavano il lento traffico che a quell'ora del giorno permetteva di vedere da un lato all'altro del marciapiede. Inoltre, esso non disturbava neanche la chiarezza dei suoni che circolavano per quella strada. Le grida dei bambini, che giocavano come greggi, ignari e dimentichi di ogni loro azione; le mamme che con lieta aria si scambiavano informazioni sulle loro case, i mariti e quale piatto avrebbero deposto in tavola quella domenica. Sulle panchine, che davano sulla strada, gli anziani vedevano morire il giorno negli occhi degli altri, non si voltavano a mirare quello spettacolo della natura, per loro anche troppo usuale. D'altronde, a che cosa serve vivere una vita intera se non si ha neanche la possibilità di ignorare ciò che ferisce? Perché quel tramonto era uno schiaffo alla morte, al rispetto per i vecchi, che non potevano mirare così tanta bellezza senza lamentare un dolore all'altezza del cuore. Quello stato decadente della vita prevedeva solo giornate di pioggia, quasi a ricordare il sole e poter dire “ ai miei tempi il sole non tramontava mai, anzi era più caldo. Oggi non fa che piovere solamente”. Friedrich decise di coronare quella giornata mangiando del gelato. Così si incamminò verso la prima gelateria, in via F., dove recentemente aveva appreso che erano state commesse alcune rapine ai danni dei residenti. Neanche le ultime tecniche per ridurre il crimine sembravano aver effetto. Da qualche tempo, la polizia aveva utilizzato un metodo informatico per poter prevedere dove si sarebbe compiuto il prossimo crimine: un computer analizzava i vari misfatti accaduti nella città e tramite dei calcoli di un algoritmo, esso avrebbe selezionato l'area d tenere sotto controllo. Tramite un'altra analisi incrociata poteva anche descrivere che tipo di uomo sarebbe stato quello che avrebbe commesso il reato. Ma, stranamente, i crimini invece di diminuire erano aumentati, quasi che i criminali fossero attratti dalla prospettiva di dover sfidare un computer, reputato un essere infallibile. Friedrich, a tal proposito sembrava quasi tentato dallo sfidare la macchina. Quale brivido restava ormai alla razza umana se non quello di sfidare le macchine? Da quando i robot avevano sostituito tutte le mansioni umane che richiedevano l'applicazione di una semplice procedura, come la coltivazione della terra, il lavoro nelle super fabbriche o i vari lavori domestici, l'uomo non poteva far altro che darsi ai lavori creativi, dove restava ancora insuperato. L'industria era sul punto di creare anche umanoidi, con sembianze totalmente umane ma con un cervello elettronico che si basava su quello umano, potenziato grazie all'infinita velocità di calcolo degli androidi. Se questo avrebbe aperto una nuova era per la popolazione umana, ciò che sembrava poter porre fine alla sua supremazia era l'applicazione di un codice all'interno dei robot, il quale regolava le loro azioni. Sebbene in passato molti racconti avessero auspicato un robot al servizio dell'uomo, ora, nella realtà, si sarebbero rovesciate le gerarchie. L'uomo avrebbe perso la supremazia sulla terra, cioè avrebbe dovuto adattare il suo comportamento al codice imposto dai robot. Questo perché si pensava che l'uomo fino a quel momento non fosse mai stato in grado di poter creare un mondo giusto, un mondo dove la pace fosse l'unica alternativa possibile. Quel libero arbitrio che aveva guidato la civiltà fino a quel momento, non era stato ritenuto più perseguibile. L'uomo, che non aveva mai visto camminare tra sé un dio, avrebbe presto conosciuto una nuova razza. Quella Androide, che integrava in sé ogni possibile attributo che l'uomo stesso aveva trasferito nel dio. Questo è ciò che si preparava ad essere.
   
 
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