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Autore: The son of rage and love    26/02/2017    1 recensioni
Kurt Gallagher è un ragazzo buono, intelligente, suona la chitarra da quando era piccolo e ha una band.
Ma il destino gli ha fornito delle pessime carte, portandolo su cattive strade e rendendo la sua esistenza un totale fallimento. La musica è l'unica a non averlo mai abbandonato, e con lei è riuscito a rialzarsi e a riprendere in mano la sua vita.
I problemi ci sono ancora, sempre, ma tutto sommato la sua vita ha preso una piega positiva, finché un giorno non incontrerà qualcuno: una ragazza, un esempio per molte persone, ma che in quel momento non può essere l'esempio di nessuno. Come lui, avrà perso la sua strada e Kurt cercherà di aiutarla a ritrovarla.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Hayley Williams, Jeremy Davis, Nuovo Personaggio, Taylor York
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati giorni da quando Hayley era piombata a casa mia. Successivamente aveva provato di nuovo a contattarmi, come Jeremy, Taylor e i miei amici, la mia band, che sicuramente volevano sapere se ero rientrato dal tour. Ricevevo innumerevoli messaggi e telefonate ogni giorno, ma non avevo risposto neanche a una di esse.
Mi ero come volatilizzato, sparito nel nulla. Passavo le mie giornate stravaccato sul divano a pensare a tutto e a niente, mentre ingurgitavo ingenti dosi di caffè e merendine. Non sapevo nemmeno se fossi ancora arrabbiato, ferito o se non me ne importasse più niente.
Poi, una mattina, il cervello mi inviò lo strano impulso di alzare il culo dal divano e di smetterla di piangermi addosso, perciò pensai all'unica cosa che sapevo fare bene: suonare.
Non avevo ancora ripreso in mano la chitarra da quando ero tornato a casa, perciò poggiai la tazza del caffè ormai vuota nel lavandino e mi avviai verso camera mia. Sentivo le dita fremere all'idea di toccare di nuovo la mia Stratocaster, e già percepivo quella strana quanto piacevole sensazione di intorpidimento generale che provavo ogni volta che suonavo.
Entrai in camera e presi la custodia che tenevo dietro la porta; che strano, la ricordavo più pesante pensai mentre la sollevavo per poggiarla sul letto. Feci scattare il meccanismo di chiusura, l'aprii e... Non c'era. La mia chitarra non c'era. COME CAZZO ERA POSSIBILE??
Sentii chiaramente il mio cuore perdere un colpo ed io rimasi completamente immobile per alcuni istanti a fissare il velluto nero all'interno della custodia vuota, come se il mio cervello ai rifiutasse di continuare a funzionare. E un attimo dopo stavo rivoltando camera mia da cima a fondo, nella speranza di essermi sbagliato e che quando ero partito l'avevo riposta da qualche altra parte.
Niente, non c'era. La mia chitarra, quella che mi aveva lasciato mio nonno, che avevo sognato per tutta la mia infanzia era sparita.
Stavo entrando nel panico, sudavo freddo e cominciai a pensare che, dopo che mia madre se n'era andata con il suo uomo, qualcuno fosse entrato e l'avesse presa. Ma non aveva alcun senso, in casa non mancava nient'altro se non quella dannatissima Fender Stratocaster.
Tornai in soggiorno con le mani nei capelli e mentre mi guardavo intorno alla disperata ricerca di qualche indizio, notai un foglietto appallottolato in un angolo della stanza, probabilmente sfuggito alle intense pulizie di qualche giorno prima. Lo osservai per alcuni istanti, lasciando scivolare le mani lungo i fianchi. Era quello del messaggio di mia madre.
Improvvisamente sentii che quel foglio stropicciato avrebbe risposto alle mie domande e ripensai al messaggio scritto su di esso:
 
Io e Bill abbiamo deciso di farci un viaggetto, una sorta di luna di miele.
Tu non c'eri, perciò ne abbiamo approfittato.
Baci, mamma

                                                                                                                 --->             

 
Freccetta. Quella cazzo di freccetta.
Corsi verso quel pezzo di carta e lo afferrai mentre mi sedevo a terra, aprendolo alla velocità della luce, come se qualcuno mi stesse inseguendo.
 
P.S. Abbiamo preso la tua chitarra, ci servono soldi
Te ne abbiamo lasciati un po' sul conto

Lasciai scivolare a terra il foglio mentre sollevavo lo sguardo verso la parete davanti a me. Volevano vendere la mia chitarra, la chitarra del nonno, per il loro stupido viaggio. O peggio ancora, magari l'avevano già venduta.
Per un attimo si accese in me un lume di speranza. Mi alzai di scatto e corsi verso il telefono di casa, intenzionato a chiamare il mio negozio di chitarre di fiducia: mia madre conosceva quel posto, se l'aveva già venduta poteva averlo fatto lì.
Sollevai la cornetta e composi il numero. Niente, non squillava neanche; riprovai due, tre volte, ma il telefono era come morto. Per scrupolo provai a comporre un altro numero ma il risultato fu lo stesso.
Mi chiesi se fosse il mio telefono ad avere problemi, ma le spie funzionavano tutte, era come se non fosse collegato alla linea telefonica. Mi balenò in mente che l'avessero tagliata, perciò corsi fuori alla cassetta delle lettere, alla ricerca di qualche bolletta o avviso di mancato pagamento. Ne trovai più di uno: ci era stata staccata la linea telefonica per non aver pagato per ben due mesi, e rischiavo di restare anche senza luce e gas se non avessi versato denaro per le altre bollette.
Era strano, i soldi li ritiravano dal conto bancario e finché potevano prenderne non avevano alcun diritto di tagliarmi i servizi. Dovevo andare in banca a controllare.
Mi feci una doccia in fretta e furia, mi vestii e corsi fuori di casa con i capelli ancora bagnati, tanto con il caldo che faceva a Los Angeles si sarebbero asciugati nel giro di dieci minuti.
Presi il bus che mi avrebbe portato in circa mezz'ora a Downtown, nel centro di LA, dove ebbi tutto il tempo di immaginarmi a vivere chiedendo l'elemosina per strada.
Appena scesi cercai lo sportello bancario più vicino, ovviamente ci misi mezz'ora prima di accorgermi di essere passato davanti ad uno più e più volte, tanto ero agitato. Inserii la carta di credito, digitai il codice di sicurezza e attesi l'accettazione della carta, con le seguenti informazioni sul conto bancario.
Duecento dollari.
Mi restavano duecento cazzo di dollari sul conto e con molta probabilità venivano dalla vendita della mia chitarra.
Era uno scherzo, vero? C'erano telecamere nascoste in giro, attori che mi seguivano e cose così, no?
Recuperai la carta e mi ritrovai a vagare per il centro della città senza una meta.
Duecento dollari, cristo santo, potevo pagarci giusto le bollette arretrate a patto che avrei dovuto digiunare per settimane. Senza un lavoro sarei finito per strada nel giro di uno o due mesi.
Lavorare. Avevo lavorato per due mesi e mezzo al Monumentour, per i Paramore, ma allora... Dove diavolo era il mio stipendio?
Cominciai a correre verso la casa discografica, dovevo sapere perché non mi erano ancora stati versati i soldi, dovevo avere delle risposte.
Quando arrivai dovetti aspettare che trovassero il mio file nel database dell'impresa, prima di chiedermi perché ero lì dato che il mio contratto era già stato chiuso. Dopo avergli illustrato le mie motivazioni mi indirizzarono verso l'ufficio legale della struttura, il che era strano dato che, per quello che ne sapevo, dovevo solo ritirare lo stipendio.
Mi ritrovai davanti un tizio in giacca in cravatta, dal parrucchino, ehm cioè, dai capelli perfettamente sistemati e che ostentava superiorità da tutti i pori. Volevo già prenderlo a schiaffi.
- Salve, sono... - Cercai di presentarmi ma "Mr. StereotipoDiMaschioBiancoEteroBenestante" mi interruppe.
- Kurt Gallagher, mi hanno avvertito dal piano di sotto. - Anche il tono della sua voce era fastidiosamente altezzoso - Mi hanno inoltre informato che ha riscontrato dei problemi con la retribuzione mensile a seguito di un contratto presso la nostra azienda, è corretto? - Domandò, mentre giocherellava con una penna sulla sua scrivania.
Giuro che avrei voluto rispondergli "parla come mangi", ma la situazione era seria.
- Corretto. - Mi limitai a dire, mentre tenevo le mani strette a pugno poggiate sulle mie gambe.
Il tizio cercò qualcosa sul suo computer, ad un certo punto si lasciò sfuggire un'espressione sorpresa, seguita da un sorrisino divertito, comparire sul suo viso.
- È... Tutto ok? - Chiesi, provando a sporgermi appena verso il pc.
Lui non rispose e si limitò a sospirare, mentre un paio di fogli uscirono dalla stampante alla sua destra. Li prese, sottolineò alcune frasi e poi me li poggiò davanti.
- Potrebbe leggere ciò che le ho sottolineato, per cortesia? - Disse mentre aggiungeva dei fogli alla stampante, senza neanche guardarmi.
Mi avvicinai alla scrivania - ... Di seguito sono indicate le cause per cui il contratto sarà considerato nullo... - Mormorai.
- Mh mh, continui pure. - Gongolò l'uomo.
Saltai diverse righe, fino ad arrivare all'altra porzione di testo sottolineato - L'abbandono anticipato del posto di lavoro, senza valida motivazione o certificazione da parte del proprio supervisore. - Lessi a bassa voce e il mio subconscio aveva già capito dove volesse andare a parare.
- Il signor Roberts, suo supervisore, ci ha segnalato che lei ha lasciato il posto prima della scadenza del contratto. - Disse il tipo ed io sollevai lo sguardo verso di lui. Dovevo aver capito male.
- C-cosa? - Mormorai, probabilmente sbiancando.
Mi porse un altro foglio - Questo è il rapporto che ci ha fornito su di lei. -
Lo lessi velocemente, apprendendo quanto quel maledetto pelato fosse stronzo. Non solo aveva scritto che durante l'ultima tappa del Monumentour ero sparito prima di aver smontato il palco e aver recuperato le attrezzature, ma si era preso la libertà di sparare cazzate sul mio conto per buona parte del rapporto: di quanto fossi inadeguato per quel lavoro, di come non rispettassi le regole, che battevo la fiacca e un'altra marea di idiozie.
Se solo non me ne fossi andato dopo ciò che era successo quella sera con Hayley, se dopo i pugni ricevuti da Chad fossi tornato a lavorare invece di scappare adesso avrei i soldi per pagare le bollette, ma sicuramente non mi avrebbero rinnovato il contratto.
- I-io... - Provai a dire qualcosa, ma le parole mi si annodarono in gola. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene.
- Non c'è altro da aggiungere signor Gallagher, purtroppo non possiamo fare niente. - Cercò di liquidarmi.
Non dissi niente, mi alzai di scatto e lo guardai dritto negli occhi. Avrei voluto cancellargli quell'espressione strafottente dalla faccia a suon di pugni, ma per fortuna avevo ancora un briciolo di buon senso e nel silenzio più totale me ne andai, sbattendo la porta alle mie spalle.
Avevo appena chiamato l'ascensore per tornare al piano terra, quando in un corridoio vidi passare una figura a me fastidiosamente familiare: il signor Roberts, Mr. Frustrazione.
- Ehi!! - Esclamai, con un tono di voce ben più alto e arrabbiato di quello che avrei dovuto utilizzare.
Lo vidi voltarsi e guardarmi, mentre un lieve sorrisino compariva sul suo volto - Oh, Gallagher, che piacere... -
- Piacere un cazzo! - Dissi avvicinandomi e portandomi davanti a lui.
Rise di gusto, non aveva idea di cosa avrei potuto fargli - Suvvia Gallagher, un po' di contegno, siamo persone civili. -
Io non dissi niente, continuai a guardarlo, combattendo contro il desiderio di fargli mangiare quei suoi occhialetti in stile anni settanta.
- Ragazzo, capisco che sei arrabbiato, ma mettiti nei miei panni: ero il tuo supervisore, non potevo lasciar perdere una cosa così grave... - Continuò con tono divertito, facendo spallucce come se fosse una cosa da niente.
Non ci vidi più e il mio cervello smise di funzionare.
Lo presi per il bavero della camicia spingendolo contro la parete dietro di se, sollevandolo da terra - Hai una benché minima idea di cosa cazzo hai fatto?? - Gli urlai in faccia, mentre lui si dimenava nel disperato tentativo di liberarsi.
- Probabilmente no perché tu non ti preoccupi se arriverai o meno a fine mese!! - Continuai e non mi ero accorto che i dipendenti stavano uscendo dagli uffici per vedere cosa stesse succedendo.
- L-lasciam-mi... - Mormorò con notevole difficoltà, ma io lo ignorai del tutto.
- Per oltre due mesi! Per oltre due fottuti mesi ho lavorato come uno schiavo per portare a casa qualcosa e cercare di tenere il posto! - Ero furioso, lo sbattei una seconda volta al muro, tenendolo ancora sollevato - E tu hai dovuto distruggere ogni cosa!! -
Intanto intorno a noi si era creata una certa folla, nella quale c'erano anche tre elementi che conoscevo bene.
- N-non Res-spir-ro... - Provò a dire il pelato, e a quelle parole lo feci tornare con i piedi a terra.
Subito si piegò su se stesso, tossendo - Maledetto… Tossico del cazzo… - Mormorò tra un colpo di tosse e l’altro, ma io lo presi per le spalle e lo sbattei ancora contro la parete.
- Figlio di puttana, avevo bisogno di quei soldi!! - Stavo caricando un pugno dritto sulla sua faccia, quando mi sentii afferrare da dietro e in un attimo fui completamente bloccato, senza neanche pensarci feci per voltarmi e colpire chiunque mi stesse tenendo e come risposta ricevetti un destro tra occhi e naso, che mi fece perdere i sensi per alcuni secondi.
Speravo solo di avere ancora una faccia al mio risveglio...
Due energumeni della sicurezza mi avevano praticamente sollevato da terra e mi stavano trascinando fuori dall'edificio. Mi lasciarono a terra e sentii delle voci che non riconobbi subito.
- Sicuri di voler prendere voi a carico questa situazione? -
- Più che sicuri. -
- Se verrà sporta denuncia dovrà presentarsi in tribunale. -
- Faremo in modo che non accada. -
Mi sollevai appena da terra, portandomi una mano sul volto e lasciando uscire un lamento di dolore.
- Kurt! - Mi chiamò una vocina che conoscevo bene, e non era sola. Adesso avevo capito chi era a parlare poco prima.
- Ehi stai bene? - Mi chiese Taylor, aiutandomi a mettermi seduto.
- Amico... Stai sanguinando. - Aggiunse Jeremy, osservandomi.
Non dissi niente, le loro voci mi rimbombavano nella testa. Scostai la mano dal viso e notai che era sporca di sangue: il taglio sul naso si era riaperto.
- Ho ancora un naso? - Chiesi, in uno strano momento di ironia. Forse la vista di Taylor e Jeremy mi aveva in qualche modo risollevato il morale... O forse era solo perché avevo appena preso un pugno in faccia.
I due mi guardarono e abbozzarono un sorriso, più compassionevole che divertito - È ancora attaccato, tranquillo. - Disse Jeremy.
Solo la voce di Hayley mi riportò alla dura realtà.
- È... È tutto ok? - Mormorò appena, restando un po' più lontana da me, in disparte.
- Sto bene. - Risposi cercando di alzarmi e barcollando come se fossi ubriaco. I due ragazzi mi diedero una mano a stare su.
- Cos'è successo là dentro? - Domandò Taylor, guardandomi da dietro i suoi riccioli.
Scossi appena la testa, non volevo parlargliene.
- Kurt... - Mi chiamò ancora il chitarrista e io chiusi gli occhi, portandomi una mano sul volto più per il dolore che per altro.
- Non sono stato pagato per il Monumentour... Storia lunga. - Tagliai corto e appena il ragazzo allentò la presa per lo stupore ne approfittai per allontanarmi appena da loro.
- Cosa? - Chiese Jeremy, esterrefatto.
Io sospirai appena mentre cercavo di fermare il sangue con un lembo della maglietta - Ragazzi è tutto ok, troverò una soluzione. - Guardai Hayley per un istante, ma lei teneva la testa bassa. Per un attimo desiderai di poterci parlare… Perché in fondo al mio cuore sapevo che, anche dopo tutto quello che era successo, la vista di quelle labbra, quegli occhi e quei capelli azzurri era come una scintilla nell'oscurità più totale.
- Adesso devo andare. - Fu allora che lei sollevò la testa verso di me e i nostri sguardi si incrociarono per un istante.
Mi voltai.
- Kurt... - Sentii Taylor che mi chiamava ma poi si interruppe, probabilmente Jeremy lo aveva fermato.
Stavo allontanando tutti da me, anche coloro che cercavano di aiutarmi, o chi non aveva nessuna colpa. In questo non sarei mai riuscito a cambiare.

POV Hayley

Kurt si allontanò in silenzio, tamponandosi il taglio sul naso con la maglietta nel tentativo di fermare il flusso di sangue.
Fino a quel momento non avevo ancora realizzato come dovesse essere la sua vita, o semplicemente non ci avevo mai riflettuto davvero: il luogo in cui viveva, i lavori che era costretto a fare per sopravvivere, la perdita di suo padre e suo fratello… Faceva tutto parte del fardello che portava con se, che lo rendeva ciò che era, e come un dito che si rigira nella piaga avevo contribuito alla sua sofferenza.
- Devo aiutarlo. - Mormorai, e a quelle parole Taylor e Jeremy si voltarono verso di me - Lo so c-che a questo punto è solo ipocrisia, ma… E’ Kurt… - Aggiunsi guardandoli, nella speranza che non mi abbandonassero in questa situazione. Sapevo cosa pensavano di me dopo ciò che avevo fatto a quel ragazzo, non me lo avevano mai detto apertamente, ma i loro sguardi parlavano chiaro e ogni giorno mi ripetevano che lo avevo illuso, che ero stata una codarda e, cosa ben peggiore, che gli avevo fatto del male.
- Come? - Chiese Jeremy ed io scossi la testa.
- Non lo so. - Sospirai - Ma ha problemi economici, forse dovrei… - Taylor mi interruppe.
- Pensi davvero che siano i soldi ciò di cui ha bisogno? - Mi chiese con tono ironico - Dopo quello che è successo? - Aggiunse, scuotendo appena la testa in segno di dissenso.
Abbassai la mia e rimasi in silenzio per alcuni istanti - Credi… Credi che sia stato facile per me fare ciò che ho fatto? - Domandai a mia volta con tutto il coraggio che avevo in corpo, quasi tremando all’idea di dover parlare proprio di quella sera.
Guardai il mio chitarrista - Conosci Chad, se avesse scoperto che tra me e Kurt c’era qualcosa… Non… - Mi interruppi, il solo pensiero mi faceva venire la pelle d’oca.
- Avresti dovuto dircelo Hayley. - Disse allora Jeremy con tono comprensivo - Lo so che siamo stati lontani per tanto tempo, ma adesso siamo qui, di nuovo insieme. - Il mio bassista mi sorrise - Devi metterti in testa che puoi fidarti di noi, ok? -
Lo abbracciai, quanto mi erano mancati i toni rassicuranti dello zio Jerm. Sentii una mano sulla mia testa, perciò mi voltai e vidi Taylor che si spostava i riccioli dal volto, sorridendomi  e sospirando.
- Andiamo nanetta, proverò a parlarci, tutto si risolverà. - Mi disse ed io ricambiai il sorriso.
Perché la vita non può essere come un livello di Super Mario? Pensai mentre ero nella mia auto, ferma ad un semaforo su Pico Boulevard.
Dopo quella chiacchierata con i miei amici eravamo rientrati nel palazzo della casa discografica, tornando nell’ufficio dove stavamo tenendo una riunione con i nostri produttori. Inutile dire che non ero riuscita a prestare attenzione nemmeno per un istante, poiché troppo presa dai miei pensieri: come potevo riconquistare la fiducia di qualcuno dopo avergli spezzato il cuore?
Ero così presa dalle mie paranoie che neanche mi accorsi di essere arrivata e di aver parcheggiato nel mio vialetto già da diversi minuti.  Mi guardai nello specchietto retrovisore dell’auto per alcuni istanti, arrivando alla conclusione che i miei capelli ormai non più tanto blu avessero bisogno di una nuova tinta.
Entrai in casa, trovando Chad che dormiva sul divano: sembrava così indifeso e per alcuni istanti mi chiesi per cosa stessi lottando, perché stessi così male e cosa cercassi davvero se tutto ciò che desideravo stava beatamente riposando sul mio divano.
Presa da quei pensieri malsani notai lo schermo del suo cellulare illuminarsi. Inevitabilmente mi cadde l’occhio su di esso e non potei non notare un messaggio da una certa Madison: “ci vediamo domani?”
Il mio cuore saltò un battito.
Mi stavo sbagliando, dovevo sbagliarmi, ma afferrai comunque il suo telefono iniziando a scorrere le conversazioni con questa tizia: “Mi manchi” “Quando se ne va lo gnomo da giardino?” “Possiamo vederci?” “Sono con lei ti chiamo dopo”.
Mi accorsi di stare piangendo solo quando alcune lacrime caddero sullo schermo del cellulare. Guardai di nuovo Chad.
- Hayls? - Mormorò ingenuamente, la mia presenza lo aveva svegliato.
- SEI SOLTANTO UN PORCO! - Urlai lanciandogli addosso il telefono, ero furiosa.
Lui corrugò la fronte ancora mezzo addormentato, mentre recuperava il cellulare - Hayley ma di che diavolo stai parlando? -
- Madison ti dice niente?? - Chiesi prendendo le distanze e asciugandomi una guancia con il dorso della mano.
Lui sbiancò, ormai avrei riconosciuto quell’espressione di sorpresa mista a terrore tra mille, nello scorso anno e mezzo era stata perennemente all’ordine del giorno.
- Hayley t-ti stai sbagliando, hai… - Lo interruppi, non aveva mai avuto il coraggio di ammettere le proprie colpe.
- Ne ho le palle piene Chad! - Urlai ancora - E’ da più di un anno che va avanti questa storia! E non cambia mai, tu non cambi mai!! -
Lui si alzò, avvicinandosi a me nel tentativo di calmarmi. Inutile dire che lo spinsi via, o almeno ci provai vista l’enorme differenza di stazza.
- Non provare a toccarmi! Mi fai schifo! - Esclamai, guardandolo dritto negli  occhi.
- Però ti sei lasciata toccare dopo che quel tizio, Kurt, ti si è buttato addosso dopo il concerto, mh? - Disse avvicinandosi ancora e la sua espressione era cambiata, adesso era dura, arrogante - Non hai detto niente quando l’ho gonfiato di botte per te, anzi mi sei stata riconoscente! - Aggiunse ed io mi ritrovai con le spalle al muro.
Per un attimo vidi di nuovo quella scena davanti ai miei occhi. Scossi la testa.
- Cosa dovrebbe significare? Che puoi andartene in giro a scopare con chi ti pare? - Domandai guardandolo, e cercando di essere forte. Mi sentivo così piccola difronte a lui.
- Non mi pare che tu sia una santa… - Ribatté lui ed io assunsi un’aria confusa - E’ da quella notte di tre mesi fa, da dopo il concerto al Dodgers Stadium che ti chiedo dove sei stata, ma tu non mi hai mai risposto. -
Smisi di respirare per alcuni istanti, mentre l’idea che lui in realtà sapesse tutto di me e Kurt mi balenò in testa.
Chiusi gli occhi per alcuni istanti - Vattene da casa mia e non tornare Chad. - Tornai a guardarlo - E non osare neanche paragonarmi a te. -
Lui mi concesse uno dei suoi sorrisini strafottenti poi, nel buio della casa, si spostò verso la porta d’ingresso.
- Solita vecchia storia, Hayley. - Mi disse mentre prendeva la giacca - Non cambia mai e tu non cambierai mai… E sarai tu a tornare da me. -
Il mio cuore perse un battito. Mi voltai verso l’ingresso e stavo per urlargli qualcosa, ma lui si era già chiuso la porta alle spalle e se n’era andato. Scivolai a terra, tenendomi un braccio stretto all’altezza dello stomaco, non riuscivo neanche a piangere e ciò che aveva detto mi terrorizzava.
Avrei portato l’ombra di Chad Gilbert con me, per sempre.

POV Kurt

Dovetti attendere il bus per Compton per diverse ore, probabilmente era incappato in qualche incidente, dopodiché tornai in quella che era ancora la mia casa. Come mi chiusi la porta alle spalle venni assalito da una miriade di pensieri tutt'altro che positivi: la chitarra del nonno era andata, il mio stipendio era andato, era un miracolo che il mio naso fosse ancora intero e avevo bisogno al più presto di un nuovo lavoro, altrimenti sarei finito in mezzo alla strada e... Ciò che c'era stato tra me ed Hayley, anche quello se n'era andato, e adesso stavo perdendo anche Jeremy e Taylor, ed io speravo ancora che tutta quella situazione fosse una candid camera e che di lì a poco sarebbero saltati fuori tutti i partecipanti, ridendo e scherzando e indicandomi le posizioni delle telecamere nascoste.
Non riuscii a controllarmi, tutto quello che avevo accumulato dalla fine del tour ad allora doveva uscire sotto forma di qualcosa, e quel qualcosa fu tutt'altro che pacifico.
Cominciai a spaccare tutto, qualsiasi cosa mi trovassi davanti, ogni oggetto che mi capitasse a tiro, come se ogni singola cosa presente in quella casa dovesse rispecchiare alla perfezione il mio stato d'animo: a pezzi.
  
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