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Autore: Tormenta    27/02/2017    3 recensioni
[Destiel | AU]
Castiel è un angelo, Dean nulla più d'un normale essere umano e la loro storia è raccontata interamente in rima. Dal testo:
Accadde un giorno: dopo aver combattuto una lunga guerra, / l’angelo di nome Castiel si ritrovò bloccato su questa Terra. / Tutta colpa d’un’ala ferita, / tale poiché in battaglia era stata colpita. [...] / Doveva dunque restare, rimettersi in sesto, / e pensò che se fosse rimasto immobile e muto / lì, sul cemento del vicolo dov’era caduto, / allora il processo di guarigione sarebbe stato più lesto. / Si mise quindi silenziosamente a sedere; / come unico compagno, le gocce fredde che piovevano da nuvole nere.
Genere: Poesia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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3.
Here and there

 


Sin dal primo instante in cui, con Castiel a fare da supporto,
Dean si mise in viaggio verso l’aeroporto,
iniziò a crescere in lui una vibrante trepidazione.
Là, a destinazione,
li aspettava Sam, in visita per un paio di settimane,
e lui non poteva che covare quella smania immane;
d’altronde si trattava del suo fratellino,
a cui stava per presentare l’amico e coinquilino
che era nientemeno d’un essere divino.
Non vedeva l’ora di scoprire come Sammy avrebbe reagito
una volta che quel dettaglio gli fosse stato fornito.
A riguardo – doveva ancora procurarsi un permesso
da parte dell’interessato stesso.
Perciò chiese, guidando: «Cas, ehi. Ricordi che ti avevo consigliato
di non dire in giro che sei— sai, alato?
Ecco. A Sam vorrei dirlo.
Va bene? Ti va di farlo?»
Castiel lo guardò come non capendo ciò che gli era stato offerto,
poi rispose: «Mi hai insegnato a nascondere d’essere un angelo del Signore
perché farebbe troppo scalpore.
Ma se ritieni sia giusto— posso dirglielo, certo».
«Sono sicuro che saprà mantenere il segreto»
fece Dean soddisfatto, concedendosi un sorriso;
Castiel prese nota con un cenno conciso,
e: «Mi fido» sussurrò, leale e cheto.
 
 
 
Al gate degli arrivi,
identificati, tra la folla, di suo fratello i tratti distintivi –
cioè l’altezza pari a quella dei cammelli
e lampante necessità d’un fermacapelli –
Dean chiamò: «Sam!», veloce
e decisamente non sottovoce.
Ci furono smorfie felici e saluti concitati,
domande di rito e abbracci rubati;
poi, con un certo stupore
e ricordandosi che esisteva altro oltre a suo fratello maggiore,
colui che era appena atterrato
s’accorse che lì accanto qualcuno era piantato.
Quindi chiese: «Chi è il signore?»
formale, poiché al tipo pareva mancar solo la ventiquattrore.
Inutile dire che la sua prima impressione
fu presto smentita dalla gran affezione
con cui Dean si lanciò in un’introduzione:
«Ti presento Cas! È l’amico di cui ti avevo parlato»
fece, con tanto di pacca sulla spalla e atteggiamento eccitato,
mentre quello tendeva una mano come aveva imparato.
«Piacere di conoscerti, Sam» disse composto,
e subito l’altro accettò la sua stretta, sorridendo bendisposto.
Prima che potessero mettersi a chiacchierare,
Dean insistette per volersene andare –
all’oscuro d’ogni motivazione che si diversificasse
dall’odio del suo parente
per gli aerei, e tutto ciò che c’era d’inerente,
zigzagando tra le masse
verso l’Impala, che da lì li avrebbe portati via,
Sam rivolse a Castiel qualche domanda, per cortesia.
«Da dove vieni?» e: «Come hai conosciuto mio fratello?»
Si sentì dire: «Vengo dall’Inferno. Ero di ritorno da una guerra,
quando sono rimasto bloccato sulla Terra».
Se c’era un riscontro che s’aspettava di ricevere, certo non era quello.
E diventò per lui tutto ancor più strano,
quando l’altro proseguì, spartano:
«Ho conosciuto Dean in un vicolo.
Ha voluto aiutarmi perché credeva che fossi in pericolo».
«Quindi sei un— soldato?»
non poté che chiedere ancora, accigliato.
«Sì. Sono—» cominciò Castiel, ma non andò più in là di lì:
Dean, infatti, lo bloccò borbottando: «Basta così».
«Ma» si ribellò l’angelo, severo,
«credevo avessi detto che dovevo essere sincero».
«Sì. Gli diremo la verità;
solo, non qua»
mormorò l’uomo, e vedendo negli occhi del fratello la confusione
lo rassicurò con un mezzo sorriso sornione.
«Di quale verità state parlando?»
non poté che indagare Sam di rimando,
e sentì quasi odore di guai
quando Dean ribatté: «Oh, Sammy – lo scoprirai».
 
 
 
In auto, Castiel cedette il sedile del passeggero
senza che gli fosse stato richiesto;
fu sufficiente da parte di Dean uno sguardo mesto,
come se comunicassero col pensiero.
Sam non mancò di rendersene conto
e si fece ancor più forte in lui il desiderio d’un resoconto.
Seduti dunque ciascuno al proprio posto,
stanco del silenzio dubbioso ed indisposto,
tagliò la testa al toro, dicendo:
«D’accordo, ora vorrei sapere che sta succedendo».
Al che, il fratello maggiore
alquanto compiaciuto, fece rombare il motore
e incrociati un paio d’occhi nello specchietto retrovisore
soffiò: «Cas, a te l’onore».
Al che quello non esitò a dire, con gran nitore:
«Sono un angelo del Signore».
Sostenere che Sam ci restò di sasso sarebbe un eufemismo.
D’istinto sgranò gli occhi, allibito,
facendoli saettare tra Dean e il suo amico,
in cerca di segni d’umorismo.
Non ne trovò, però:
erano entrambi seri, e lui si preoccupò.
«So che sembra pazzesco» affermò Dean per tranquillizzarlo;
«anch’io ci ho messo un po’ per accettarlo».
«Non è uno scherzo divertente».
«Non è uno scherzo per niente.
Cas te lo può dimostrare».
Nel dir quello, di nuovo nello specchio un’occhiata andò a cercare
e una volta che l’ebbe trovata
aggiunse in quella direzione, con aria elettrizzata:
«Devi rifare quello che hai fatto con me, con le ali. Quel trucchetto—
diciamo che fa un certo effetto».
Castiel assentì, mentre gli occhi di Sam si trasformavano in fanali
tanto era rimasto colpito dalla parola “ali”.
«A casa» gli disse Dean; «a casa ti farà vedere».
E pur sentendosi come a corto di parole a causa dell’incredulità,
il minore per tutto il tragitto continuò a pretender di sapere,
e a dubitare, restìo ad accettare che quella fosse la realtà.
Poiché poi si scontrò sempre con una fiera resistenza,
nonché una gran insistenza,
da parte del fratello e del suo compare,
che persistevano, a suo parere, nel vaneggiare –
insomma, missioni negli inferi? Ali spezzate?
Una Grazia capace di far le cose più strampalate? –
finì con lo scendere dalla macchina incollerito
e convinto che Dean fosse totalmente impazzito.
Se comunque si lasciò trascinare dentro casa
fu forse per capire fin dove l’irrazionalità era pervasa;
certo non s’aspettava accadesse
ciò che effettivamente successe.
In sala, vagamente scocciato
dacché anche lui s’era un po’ arrabbiato,
Dean asserì, rivolgendosi a Castiel: «Adesso».
L’altro col capo fece segno d’aver capito, solenne,
e a Sam disse: «Non ho mentito nel dire che sono un essere perenne.
Con questo, ti resterà forse meglio impresso».
A quelle parole, senza che più l’argomento fosse dibattuto
e come già in quel vicolo era avvenuto,
l’ombra s’ispessì
e lo spazio apparentemente si rimpicciolì,
mentre sulla parete, proiettate da una luce sovrannaturale,
s’aprivano due giganti forme d’un nero abissale;
ali piumate, con chiara evidenza,
che inghiottirono presto tutta la stanza:
come una torre l’angelo s’eresse in quel buio denso
adornato da uno sguardo blu intenso.
Di secondi, ne trascorsero forse una manciata
prima che l’ombra iniziasse a ritirarsi,
ma a Sam parve esser passata un’intera giornata
e i suoi sensi, bloccati, non sembravano inclini a riattivarsi.
Fissava ancora Castiel con aria sconvolta,
quando: «Beh, niente tuoni e fulmini, questa volta?»
sbuffò Dean, sfrontato,
rompendo il silenzio che s’era insediato,
e nascondendo dietro a tanta sbruffoneria
il possente brivido e la gran frenesia
trasmessigli dall’angelica magia.
Forse, in un tempo passato,
per una tal domanda Castiel si sarebbe sentito oltraggiato;
poiché però si trattava di Dean, e poiché lui era cambiato
quasi sorrise. Fu impercettibile,
tranne per colui che riconosceva le sue espressioni in modo ormai infallibile.
Condivisero un’occhiata e un momento, i due,
che si concluse non appena Sam smise di starsene sulle sue:
«Ho veramente visto quello che ho visto?» chiese,
privato tutte le proprie difese
e lasciando quindi trasparire la completa confusione
che l’aveva assalito con la violenza d’un ciclone.
 
 
 
Fu necessario ricapitolare per bene la storia
perché il minore dei fratelli la decretasse finalmente meno irrisoria.
Quella volta, ascoltò attentamente
dipingendo le scene nella mente
e, inutile nasconderlo o negarlo,
gli si scaldò un pochino il cuore
a sentir Dean raccontare con tanto ingenuo calore
di quell’amicizia, e dell’angelo che non smetteva mai di guardarlo.
Ma, inebetito, si ammutolì anche,
soprattutto di fronte a certe uscite franche:
«Non aveva mai bevuto un solo bicchiere
prima d’incontrarmi» asserì Dean, incapace di tacere;
«Ci pensi?
Millenni di vita, e mai un po’ di piacere per i sensi.
Neanche quel tipo di piacere» sottolineò,
mimando poi la parola “vergine” mutamente
come fosse un insulto che l’offendeva direttamente.
Al che, Castiel sospirò
prima di mugugnare che «Non c’è mai stata un’occasione»
con un’insicurezza nel tono opposta alla sua solita inclinazione.
Quindi s’intuisce perché Sam, scrutando l’uno e l’altro,
non seppe come reagire;
che doveva farci con un parlar tanto scaltro
rivolto ad una creatura che dai cieli diceva di venire?
Gli sembrava una mancanza di rispetto –
ma tra i due era evidente l’implicito diletto.
Non obiettò in alcun modo, allora;
piuttosto, poiché di Dean ben conosceva il profilo
e sapeva che non era proprio sottile come un filo
sibilò, con la voce di chi implora:
«Dimmi solo che non hai cercato di portarlo in un bordello».
«Cos— come ti viene in mente!» strepitò l’altro, frettoloso
e decisamente non intonato come un fringuello.
«Sai che sono un tipo giudizioso!»
Inarcò un sopracciglio, «Non ce l’ho portato;
ci ho solo pensato».
Sam non poté che scuotere senza speranza la testa,
mentre Castiel li osservava con la perplessità più onesta.
A quest’ultimo Dean, con l’assurda timidezza d’una fanciulla,
chiese a quel punto: «Ci saresti venuto?»
E poiché a lui l’angelo non sarebbe stato capace di negar nulla,
la risposta fu: «Sì. Ma dubito mi sarebbe piaciuto».
 
 
 
Andò insomma tutto più o meno per il verso giusto
almeno finché Sam, con un commento,
sebbene non fosse il suo intento,
non piantò il nefasto seme del trambusto.
Disse, con attenta parlantina
mentre per una birra seguiva suo fratello in cucina:
«Stavo pensando: riguardo all’ala spezzata—
uh, prima l’hai notata?
Perché quelle forme nere
a me sono sembrate tutt’e due intere;
può essere che la sua ferita
sia ormai guarita?»
Così, passando al minore una bottiglia
e scrutandolo tremante tra le ciglia,
Dean dalla realizzazione fu investito senza pietà:
incantato, aveva passato le ombre delle ali al vaglio,
perciò come aveva potuto mancare quel dettaglio,
con quale assurda cecità?
Subito un macigno gli si depositò sul petto,
la gola gli si annodò con dispetto,
e nella pancia gli si aprirono degli squarci:
lui, però, serrando la mascella, si rifiutò di pensarci.
Castiel stava migliorando, l’aveva sempre fatto,
pian piano, nel suo parallelo piano astratto
e a priori dal fatto che il suo patetico corpo
di colpo, contro gli si fosse ritorto,
lui ovviamente ne era contento.
Quindi bofonchiò: «Sì, c’è un buon miglioramento».
Poi della propria birra bevette un lungo sorso
cercando di scacciare l’improvviso ed insensato amaro rimorso.
 
 
 
E ci riuscì. O almeno così all’inizio gli parve –
a Castiel non disse nulla riguardo alla questione,
un po’ per disagio e un po’ per superstizione;
la spinse nei recessi del cervello, finché quasi non scomparve.
Inoltre, poiché Sam non era lontano mille miglia,
sfruttò la possibilità di bearsi della meraviglia
che era per lui aver vicina tutta la famiglia:
ciò in diverse occasioni riuscì a scacciare
gli strani pensieri che avrebbe potuto fare.
Peccato che quel tempo era destinato a finire:
suo fratello sarebbe dovuto ripartire.
Certo parlarono ancora, uscirono,
e molto si divertirono,
mentre Sammy scopriva Cas, ammirato
e con la curiosità d’uno scienziato;
ma il riunirsi, le cene,
il restare tutti insieme –
tutto quello non poteva durare,
così come la maschera che Dean s’ostinava ad indossare.
In effetti, il gran giorno, e con esso la partenza,
arrivarono davvero presto, per di più con prepotenza;
un momento prima, con Cas e Sam,
Dean si stava godendo una serata al bar in compagnia
e un momento dopo, bam!
aveva già salutato il fratello e guardava il suo aereo volare via.
Con quello, il suo destino fu segnato:
poco sarebbe importato
se anche si fosse ribellato;
lasciato andare un pezzo di sé in quella maniera,
e sentendo bruciare la sofferenza che per lui era,
non poté più scappare:
finì col pensare,
dopo tanto evitarlo,
che anche Castiel sarebbe sparito
non appena pienamente guarito
e lui non avrebbe potuto fermarlo.
Lo sapeva sin dal principio, è vero,
ma questo non rese il suo star male meno sincero.
Così, con l’inesistente resistenza di chi si dispera,
cadde tra le braccia della sua abitudine più nera:
macerare nel malessere andando alla deriva
senza proferir una sola sillaba a riguardo ad anima viva.
 
 
 
Coi giorni, il fastidio avanzava,
e sempre più l’angelo lo notava.
Non riuscì certo a togliere a Dean le parole di bocca –
la sua testardaggine era troppa.
Però emerse una domanda che mai gli era stata posta:
«Come sta l’ala? Si è ripresa dalla batosta?»
Se l’uomo lo chiese, fu perché era praticamente masochista
nella sua assurda tenacia nell’essere altruista;
desiderava prima di tutto che Cas si rimettesse,
perché nel contrario non aveva alcun interesse.
Se poi la cosa col suo soffrire coincideva,
ovviamente se ne dispiaceva,
ma comunque non avrebbe pensato prima a sé stesso:
d’essere egoista mai si sarebbe permesso.
Fece dunque buon viso a cattivo gioco
e l’afflizione si sforzò di continuare a nascondere
anche quando si sentì rispondere:
«L’ala è molto migliorata. Potrò tornare a volare entro poco».
Da quella volta, capì che era giunta l’ora
di dar inizio al conto alla rovescia: lo fece, allora,
non potendo che domandarsi
come da Cas sarebbe riuscito a separarsi.
 
 
 
Malgrado la sfocata e sempre presente nota di mestizia,
non smisero di coltivare la loro amicizia;
l’angelo pareva stregato dall’umanità come non mai
e poteva Dean deluderlo? Giammai.
Perciò persistette nello spiegare
e ad invitarlo a provare,
a scegliere cosa fare,
a guardarlo tentare –
tra le figuracce e le risate
si convinse che quelle situazioni furono tutto meno che sprecate;
certo l’aiutarono a concentrarsi sul presente
e a non pensare a quando Castiel sarebbe stato assente.
 
 
 
S’era giusto vagamente ripreso,
quando la notizia giunse: lo colse indifeso.
Era appena tornato dal lavoro
e s’era trascinato in casa sulle note d’un: «Cas?» sonoro
deducendo dalle luci accese
che l’angelo doveva esser già rientrato
facendo uso della chiave che lui gli aveva procurato;
e difatti quello subito si fece palese.
«Dean. Sono guarito. Riesco a volare»
annunciò senza filtri e parendo quasi vibrare.
Aveva gli occhi ingigantiti,
al contempo allarmati ed avviliti,
e qualcosa gli macchiava d’insicurezza il volto
come se avesse per le mani un quesito irrisolto.
Non fece che fissare l’uomo, che lo fissava a sua volta
preda d’un’ansia a stento sepolta:
 respiro stretto, battito in aumento
come se un pugno l’avesse colpito a tradimento.
Nel silenzio, lo scambio di sguardi andò a lungo avanti,
poiché entrambi non sembravano volervi porre fine;
comunque, prima che l’aria si colmasse di rimpianti,
sebbene non ne fosse incline,
Dean si schiarì la voce
e borbottò, soffrendo d’una sofferenza atroce:
«Prima di tornare ai piani alti, c’è ancora una cosa che devi fare
e questa volta non ti puoi rifiutare».
«Cosa?» chiese Castiel raccogliendosi in sé
e l’altro soffiò: «Mangia con me».
Così, senza alcuna esitazione
e avendo sopportato chissà come
nel prepararsi tutta l’assurda tensione,
l’uomo caricò l’angelo in auto e partirono.
A parlare del più e del meno non riuscirono,
visto che c’era una sola cosa nelle loro menti;
e infatti d’un tratto: «Come— come funziona?»
sbottò Dean, le mani a stritolare il volante e gli occhi sfuggenti;
supponeva che Cas non potesse prendersela alla carlona.
«Ora che sei guarito—
non so, batti le ali,
torni ai quartier generali
ed è tutto finito?»
Affondò i denti in una guancia
sentendo aprirsi un gran buco nella pancia,
e non poco si dovette sforzare
per trovar modo di domandare:
«Voglio dire— è un addio?»
Castiel si prese alcuni secondi, prima di replicare:
«Non lo so neanch’io».
E siccome erano ormai giunti al locale,
preso atto di quell’affermazione
Dean optò per posporre qualunque altro male:
voleva godersi la cena all’insegna della pessima nutrizione.
 
 
 
Lo fece, decisamente –
già solo ordinare anche per l’angelo lo lasciò fremente.
Quando poi lo vide addentare l’hamburger che gli aveva consigliato,
e meditare, tutto concentrato,
per dire: «Sento il sapore delle molecole» con viso accigliato,
non poté che concedersi un piccolo sorriso affezionato.
«Sono cattive molecole?» l’interrogò
e lavorando sul secondo boccone, Cas col capo rispose di no.
Dovevano senza dubbio esser buone, di fatto,
considerata la rapidità con cui spazzolò il piatto.
«Il cibo mi rende molto felice» bisbigliò disarmante,
e Dean scelse di viziarlo seduta stante,
con gran orgoglio
e non badando al portafoglio:
«Puoi ordinare qualcos’altro, se ti va».
Lo sguardo di Castiel s’illuminò, grato,
ed ebbe così inizio uno spettacolo di voracità;
mangiò per tre, almeno, perfettamente agiato
mentre l’uomo si domandava di sfuggita
se per caso quella fame potesse essere infinita
e dove stesse finendo tanto cibo, se non sul suo girovita.
 
 
 
Restarono seduti al tavolo fino ad un’ora inoltrata,
e sotto ogni aspetto passarono una bella serata;
peccato che poi dovettero uscire,
e il peso che avevano abbandonato fuori dalla porta
tornò impietoso a colpire,
ricordando ad entrambi perché avevano la luna storta.
Salirono in macchina pesanti,
tutt’e due anelanti –
volevano discutere, parlare,
ma le labbra non riuscivano a separare.
Viaggiarono dunque in un mutismo surreale
e presto raggiunsero la casa in fondo al viale.
Infilando la chiave nella serratura,
Dean si riscoprì a tremare come fosse in balìa della paura;
così, una volta che furono entrati,
cercò gli occhi di Cas. Li trovò fissi ed infuocati,
e disse, guardandoli: «Che si fa? Cioè—
ascendi al cielo? La cosa— uh, com’è?»
«È semplice. Devo solo salire.
Tu mi vedresti sparire»
ribatté l’angelo, ed in un battito di ciglia non era più lì.
L’uomo, allarmato, guardò in giro
mentre il suo cuore accelerava e gli si bloccava il respiro;
era sul punto di chiamare Cas per nome, quando: «Così»
suonò quello alle sue spalle,
facendolo saltare come se avesse ai piedi delle molle.
Immediatamente Dean si voltò:
trovò l’angelo ben più vicino del dovuto,
ma non perse tempo a dirsene dispiaciuto;
semplicemente, sbuffò:
«Ti diverti a farmi prendere un colpo?»
L’altro lo scrutò, fingendosi stolto,
e lui recitò la parte di quello scocciato
sebbene in realtà l’avesse già perdonato.
Si fissarono per qualche secondo
e realizzarono che tutto il prender tempo di questo mondo
non avrebbe comunque potuto cancellare
la questione che dovevano affrontare.
«Lassù ti aspettano da parecchio, direi»
sussurrò Dean, accorato
e Castiel replicò, ugualmente aggravato:
«Sì. Io— devo tornare. Davvero dovrei».
«Allora va’»
proseguì l’uomo odiandosi con intensità;
tese poi debolmente una mano,
incapace di sopportare un saluto più umano.
«È stato un piacere».
Cas fece scivolare le dita nelle sue, senza temere
e strinse con fermezza,
ma anche tanta gentilezza.
«Se pregherai, sappi che ti ascolterò»
a bassa voce l’informò.
Il momento successivo,
intimo e schivo,
non sarebbe mai potuto durar abbastanza –
occhiate calde nel silenzio
che dell’atmosfera ignoravano il gusto d’assenzio –,
ma certo non poteva avanzare ad oltranza.
Terminò con l’angelo che ritirava lentamente la mano
facendosi appena più lontano,
ringraziando per ogni cosa
con un’espressione affettuosa,
e dicendo «Ciao, Dean» con tono contrito.
Un istante dopo, lui era svanito.
 
 
 
In principio l’uomo credette che l’avrebbe visto riapparire,
ma non era quello il caso:
dalla triste verità fu subito pervaso
e cominciò a patire.
Cas se n’era andato,
ed era come se non ci fosse mai stato,
come se Dean sin dal principio l’avesse solo sognato;
un solo modo gli venne in mente per reagire
e forse non era quello corretto,
ma chi c’era lì a poterlo contraddire?
Sì versò un bicchiere e lo svuotò di getto.
Poi lo fece ancora, e ancora
mandando tutto in malora
e insultandosi fino allo sfinimento,
perché era un idiota, e nella bottiglia consisteva il suo riconoscimento.
 
 
 
Non immaginò
e men che meno sperò
che fu sentendosi ugualmente diviso
che Castiel rimise piede in Paradiso.
 
 
 
 







 
Angolo di Tormenta
Maledizione, Sam! Smetti di ragionare e rovinare la festa a tutti. :|
Ok, no, sul serio – capitolo denso. Come già avevo accennato a qualcuno, la permanenza di Sam rimane secondaria; era più che altro un espediente per mostrare la sinergia tra Cas e Dean. Poi: spero (di nuovo) di non aver combinato un pasticcio con le tempistiche, soprattutto per quel che riguarda la transizione che introduce lo star male di Dean, perché è l’argomento che a tutti gli effetti “inghiotte” l’atmosfera serena. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Come sempre, grazie per aver letto sin qui! Ora ci aspetta un po’ di dramma, ma tenete alto lo spirito. A presto,
T. ♪
   
 
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