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Autore: flama87    28/02/2017    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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23.1 Rintocchi di Equinozio


Rosanne, Gunmar e un piccolo drappello di mercenari avevano deciso di risalire lungo il percorso che la donna aveva usato per fuggire. Scoprirono, non senza dispiacere, che l’ascensore non permetteva di risalire, poiché evidentemente il sistema di leve e catene si era rovinato definitivamente quando la guerriera lo aveva usato. Decisero allora di esplorare i resti dell’antica città dei taglialegna; si mossero dal santuario in rovina verso l’alto, fiancheggiando il costone di un dirupo: una scala scavata nella roccia li conduceva ad un’altra in legno, che fiancheggiava quello che doveva essere stato un acquedotto. Proseguirono entrando in quello che doveva essere il canale di manutenzione, da cui però scorreva ancora abbastanza acqua da bagnarli fino al ginocchio.
«Una città di eretici a due passi dal cuore dell’Ordine», commentava sorridendo Gunmar. Quando giunsero alla parte più elevata del borgo, si resero conto che i taglialegna e i primi fondatori di Ras Alhague avevano convissuto a stretto contatto per molto più tempo di quanto si potesse immaginare.
Il rosso si grattò la barba, fingendo di trarre dal quel gesto maggiore acume. «Devono aver pensato di sfruttarli fino a quando gli è convenuto. Tanto, quando hanno iniziato a importare il legno dai confini occidentali, non avevano più bisogno di portare rispetto alla dea Luna. Quella di sterminarli perché avevano scoperto di Eclissi deve essere stato un utile pretesto».
«Sono più sorpresa dal fatto che non si siano scannati da soli molto prima», aggiunse Rosanne.
Lui ridacchiò. «Avranno fatto buon viso a cattivo gioco».
Inoltratisi maggiormente nel luogo, si imbatterono molto spesso in attrezzi da falegnameria di ogni genere e foggia. Come molti sapevano, le compagne del legname di Antares avevano da molte danze esportato tale materiale presso la capitale, dopo aver occupato con la forza quei territori che appartenevano alle originarie tribù eretiche. Nel passato, tra Ras Alhague e Antares, si estendeva uno dei più grandi boschi conosciuti, tagliato a metà soltanto dall’enorme fiume che scorreva tra i colli della capitale; il versante boscoso che dava verso il regno occidentale era stato sottratto alla dea Luna impunemente, creando delle vere e proprie aree di disboscamento che, col passare delle danze, avevano trasformato la valle in un arcipelago di boschi e boschetti. Tra un’isola verde e l’altra, le compagnie di falegnami avevano creato veri e propri villaggi che, con il trascorrere degli eoni, si era trasformato nella città di Antares: case sepolte tra gli alberi o alberi sepolti tra le case, ormai la differenza era nulla.
«Ci sono ancora progetti e disegni», fece Gunmar indicando delle incisioni. «L’intera struttura della prima capitale è qui», commentò scivolando con le dita lungo i solchi. «Per arrivare alla chiesa da dove sei scappata, possiamo sia salire su questa torre o fare il giro più lungo».
Notarono dopo che l’impianto urbano originario era cambiato col tempo, poiché le crepe che davano sulle grotte sotterranee avevano creato dei dislivelli innaturali. Così, l’originaria città si era suddivisa su piani, a seconda di come e di quanto il terreno aveva ceduto. Dovettero quindi arrampicarsi, usando le macerie, palazzi distrutti e scale malmesse fino ad aprirsi un varco, sfondando una parete malconcia, per uscire nella piazzola che fiancheggiava la chiesa: quella da cui era stato possibile accedere alla torre campanaria e aggredire l’arciere Golgo.
«Mi stavate aspettando?»
Seduta su un pezzo di pietra stava Mithra, con le gambe incrociate e l’aria di chi era ormai scevro alle moine del tempo. Rosanne le fu subito incontro per abbracciarla, ma si fermò quando vide la spada poggiata affianco a lei.
«È ciò che penso?». Mithra annuì.
«Ci sono riuscita, amica mia. Missione compiuta».
Rosanne titubò. «Molti di noi si chiedevano cosa c’era sotto la Grande Cattedrale di così importante. Abbiamo creduto che si trattasse di qualcosa utile per avvalorare la nostra causa: screditare il Sovrano o aizzare il popolo contro il Sommo Cardinale. Ma perché Eclissi?»
Mithra guardò brevemente la spada. L’elsa terminava con un opale tondeggiante, che era rimasto danneggiato fin da quel lontano dì; scariche elettriche, imbrigliate nel monile, testimoniavano la ferita che Sal inflisse al Dio Sole.
«Sal non sapeva di avere avuto in dono una spada ricavata dalla materia oscura. Né sapeva -come avrebbe potuto- che la sua arma ha il potere di ferire gli dei: una lama così potente da far sanguinare finanche il più potente tra essi». Rosanne seguì, confusa. «Il mio obiettivo –anzi, il nostro obiettivo è sempre stato quello di mettere fine all’Ordine e liberare il regno dall’oppressione della Corona. Tuttavia, se tagli semplicemente una testa, prima o poi un'altra seguirà al suo posto».
Gunmar replicò: «Ma un giorno la gente capirà e non si farà più ingannare!»
Gli occhi di Mithra lo interrogarono. «Non si tratta solo della gente, e non si tratta soltanto di chi la governa. Non ti sei mai domandato come mai, da quasi novemila danze, niente sia realmente cambiato? Ci sono state guerre civili, in passato come poche danze fa; la gente si ribella, quando non sopporta più i soprusi. Eppure, nulla cambia».
«Non ti seguo» ammisero gli altri due.
«Sono Satelliti». Un silenzio imperò tra i presenti. «Il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d’Agosto sono semi-dei. Ciclicamente, trasmigrano da un umano all’altro e mantengono, da chissà quanto tempo, un dominio assoluto sugli umani. Uno ha la facoltà di imporre la sua volontà sugli altri; il fratello, invece, il potere di riportare ogni cosa in ordine, sedando ogni genere di perturbazione».
«Sai benissimo che agli dei non è concesso tutto questo! La dea Gaia impose severe regole a chiunque dei suoi fratelli o sorelle avesse avuto intenzione di scendere tra noi. Lo sanno tutti!» protestò Gunmar, incredulo su ciò che stava udendo.
«E tu poi come fai a dirlo?» aggiunse Rosanne. «Non ne hai mai parlato prima, in base a cosa fai queste rivelazioni?»
«Non ricordavo ma ora, invece, sì. Ora ricordo e so la verità. Ero debole allora, mi sono lasciata convincere ed usare. Tutto questo è colpa mia, ed è mio compito portarlo a termine».
Rosanne non seppe cosa dire. Gunmar, invece, era palesemente preoccupato: «Di che parli? Cosa hai iniziato?»
Allora Mithra si alzò in piedi, sfoderò Eclissi e un bagliore dorato circondò la sua figura. Lo Stemma del Sole, ben visibile sotto gli abiti, emerse dai bendaggi sotto cui era nascosto palesandosi a tutti.
«Io sono la Prima Sposa e giuro, su tutto ciò che mi era caro e che mi è stato portato via, che sarò anche l’ultima».


23.2 Nel frattempo


I giochi gladiatorii proseguirono fino ai rintocchi di equinozio come da programma: la Lode, come da programma, era caratterizzata dalla caccia alle belve feroci. Le creature, portate nell’arena da ogni angolo del regno, rappresentavano il vanto dei nobili; la vendita di creature feroci era, nell’alta classe, non solo un passatempo ma anche un motivo di vanto. Fin dalle epoche più antiche, un nobile poteva vantarsi contro gli altri e aumentare il suo prestigio se la sua belva avesse ferito o addormentato quanti più gladiatori possibile.
Non quel dì però. Quando le creature sciamarono ruggendo nell’arena, superando in gran corsa i cancelli, ebbero poco tempo per saggiare la carne degli uomini. Le più fortunate poterono a malapena addentare qualche arto, prima che, improvvisamente, iniziassero a comportarsi in modo strano. Il primo gladiatore ad approfittarne fu Aulix che, rapido, aggredì un leone conficcandogli una spada nel cranio. Vedendo che gli animali non reagivano, anche gli altri gladiatori si fecero coraggio e in breve tempo ebbero ragione delle bestie. Tra lo stupore degli spettatori tutti, quasi nessun condottiero era stato ferito così gravemente da dover lasciare il campo e si procedette allo spettacolo principale.
I duelli tra gladiatori erano certamente la parte preferita dello spettacolo. Gli scontri erano violenti e senza esclusione di colpi. Se contro le belve feroci vi era stata vittoria facile, i giochi che videro gli uomini alzarsi gli uni sugli altri durarono, invece, molto più a lungo e con molta più difficoltà. Tra tutti, Aulix era quello che si rivelò migliore: sapeva maneggiare la spada come se lo avesse imparato alla nascita e si muoveva con agilità quasi animalesca. Lentamente ma inesorabilmente, tra feriti e uomini assopiti, gli scontri diminuirono in numero e quando alla fine Aulix ne risultò campione, il boato della folla acclamò l’avvento de nuovo ed inaspettato campione.
Così, come da tradizione, così come gli era stato spiegato dal suo lanista, il giovanotto fece il giro dell’Arena recandosi infine al cospetto del Sovrano e del Sommo Cardinale. Questi si alzarono, prossimi a dire qualcosa ma si interruppero. Videro il giovane alzare la mano indicando la Luna e, subito dopo, disegnò sul terreno il simbolo lunare: una falce con due punte ben marcate; vi aggiunse, al centro, lo stemma più piccolo del Sole.
Nel silenzio e nello stupore che quel gesto rappresentò, la sua voce la si udì ben chiara.
«Io regno sopra la Notte e su coloro che la attraversano. Io sono la regina dei boschi e delle belve. Io sono la protettrice di coloro che cacciano per sopravvivere.
Io sono Artume!»
A quella affermazione e prima che il caos e la paura avessero il sopravvento sui presenti, il giovane imitò il gesto di pugnalarsi al cuore e, in concomitanza ad esso, il Sovrano e il Sommo Cardinale sentirono come un dolore lancinante afferrarli. Un grido di dolore li colse e riconobbero subito la voce: Cipride, la loro amata sorella, stava chiamandoli disperatamente in preda al terrore, prima di esalare l’ultimo respiro e perdersi per sempre.
E quell’eco straziante fu per loro come una lama conficcata nel cuore.


23.3 Qualche rintocco prima


«Perché devo vedere sempre il tuo brutto muso ogni volta che apro gli occhi?»
Nonostante il piglio ironico e velenoso, Sebastian sentiva dolore in quasi ogni pare del suo corpo. A sento riuscì a mandare a quel paese il fantasma di Lucius, il suo defunto amico e rivale in amore. Lo vide svettare dritto, con ancora le ferite aperte di quando lo aveva assopito a suon di spada, che digrignava i denti mostrando chiaramente il marciume e i vermi che divoravano la sua carcassa.
«E cos’hai da ridere poi? Non è ancora il mio momento. Non ancora. Ho del lavoro da svolgere».
Biascicò lamentandosi. Si alzò a fatica ma era a malapena in piedi quando un violento colpo lo sorprese al costato, alzandolo da terra e facendolo ruzzolare più in là. Rotolò nell’acqua salmastra e fangosa, ritrovandosi a viso all’insù.
La voce di Cipride gli parve sgradevole come non mai.
«Allora, serpe, con chi stai parlando? Hai forse perso il lume della ragione?»
Sebastian rise dolorante. «Perché non vieni a dirmelo di persona?» Un altro colpo lo raggiunse: un servo della Grande Madre, bardato di tutto punto, grugnì sopra il sicario e piantò il piede sul suo sterno, spezzandogli il fiato e danneggiando ulteriormente la gabbia toracica.
«Anche se nessuno è mai arrivato così lontano quanto te, non sono così sciocca da non premunirmi. Ti presento Robert detto il Senza Padre. O ciò che ne resta».
Il cavaliere grugnì ancora, sbuffando oltre la visiera dell’elmo; Sebastian riuscì a scorgere una frazione del suo viso e denotò che qualsiasi cosa fosse adesso non era più umano.
«Quel Robert?» fece sorpreso il sicario. «Quello che ha fondato la Gendarmeria?»
La dea accompagnò la domanda con una risata malefica. «Proprio lui. E chi altrimenti? Il migliore condottiero mai esistito qui, al mio servizio. Avrei voluto disporre anche di Giovanni da Cura ma quel furbastro ha lasciato che il suo corpo fosse dato alle fiamme».
«Che gli hai fatto?»
«Quello che faccio a tutti i cadaveri che arrivano qui da me: gli infondo una scintilla di potere e ne prendo il controllo. Come una madre legata al figlio da un filo invisibile, così io controllo quelli che voi chiamate Orme Bianche a piacimento. Sono come burattini per me».
La Serpe assunse una smorfia di disgusto.
«A cosa pensavi che servisse il Rito del Riposo? Dove credevi che finissero tutti i corpi portati via dalle Orme? Qui, da me. Mi proteggono. Mi tengono compagnia. Lentamente crescono in numero e quando sarà il momento, riemergeremo da questo lurido posto e mi prenderò quello che mi spetta assieme agli altri».
«Non capisco».
«È semplice piccolo uomo: i miei fratelli Bēl ed Anum possiedono rispettivamente lo scettro dell’Ordine e quello della Corona. Mi rinchiusero qui dopo aver tentato di usare il corpo di una Sposa per raggiungere il mio amato Sole ma poi mi proposero un patto: se avessi servito fedelmente la loro causa, creando ordine e armonia tra gli uomini, avrei avuto il mio perdono.
Ma le danze passano e nessuno dei due viene a farmi visita. Le danze passano e del mio amato Sole vedo il volto per pochi istanti. Ed intanto, mandano da me questi corpi pregni di energia solare. All’inizio non capivo, come potevo. Poi un giorno la vidi, chiaramente: uscì dalla mia prigionia per brevi momenti e attorno alla città c’era come una bolla. Una grande e immensa bolla che la circonda e la difende».
«Una bolla?»
«Una barriera. Una gigantesca e lucente barriera, forse capace di reggere perfino al Bacio del Sole».
«E perché mai la capitale dovrebbe avere una barriera?»
«In quanto Sposa te lo posso rivelare, piccolo uomo. Nessuna Sposa si consegna al Dio di propria volontà. Mio fratello Bēl le impone uno stato di tranquillità e l’altro fratello Anum le cancella la volontà. Per una lunga danza, la poveretta con il Marchio è sottoposta a un lavaggio del cervello e, quando inizia il suo Viaggio di Nozze e arriva all’Altare non è che un guscio vuoto. Nulla di più. Nulla di meno. Io fui un caso unico: mi offrii di mia volontà e non ce ne fu bisogno. Ma dopo l’incidente avvenuto con me, il Dio Sole adirato scagliò la sua ira sulla capitale e aprì uno squarcio nel ventre dei colli».
«Sono onorato per la bella lezione di storia».
Lei rise ancora. «Devi perdonarmi. Non ho visite da così tanto tempo e i miei figli, per quanto adorati, non sono adatti ad ascoltare. Ma ora che mi torna a mente, due figli adorati che potevano ascoltare li avevo e me li avete portati via!»
All’aumentare della tensione della voce divina, il fu Robert aumentò la forza del suo pestone ed era quasi sul punto di fracassare il petto dell’assassino. Questi, lasciandosi sfuggire un grido di dolore, di lì a poco prese a ridere nonostante stesse gemendo.
«Non devi preoccuparti, tra non molto li raggiungerai».
La Grande Madre fu sul punto di dare l’ordine, per finirla una volta per tutte, quando un malore improvviso la colse. Abbassò lo sguardo e vide, all’altezza di una gamba, un coltellino conficcato nella carne. Lo tirò via con rabbia e non appena ne riconobbe il materiale lo scagliò via, gridando dallo spavento. Si portò le mani alla gola, sentendosi come soffocare, mentre striature nere si arrampicavano come ragnatele lungo le sue vene e i suoi nervi.
«Quando? Quando hai?»
«Eri così distratta a raccontarmi la tua storia che mi era sembrata una buona occasione».
Di pari passo al malore della dea, il suo cavaliere perse la linfa vitale che lo sorreggeva e cadde a terra tornando nuovamente immobile. Così, libero, Sebastian si portò in piedi, non senza estrema fatica e incredibile dolore.
«Mi avevi fatto una domanda prima, lascia che io ti risponda» e issò la mano indicando la pallida Luna, il cui volto faceva capolino nel cielo tra una delle spaccature della grotta sotterranea.
«È lei a volere la tua testa».
Cipride, in preda al panico, riuscì a malapena a lanciare un grido estremo. Chiese aiuto ma, prima che potesse ricevere risposta, il suo corpo divenne nero come la pece e si sgretolò come polvere.
«La mia missione è compiuta… ora posso avere la mia ricompensa?»
Voltatosi a guardare la Luna, vide uno stupendo cervo avvicinarsi per bere. Il sicario allora accennò un sorriso e disse grazie. Quindi, si accasciò.

   
 
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