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Autore: Makil_    28/02/2017    16 recensioni
In un territorio ostile in cui la terra è colma di intrighi e trame nella stessa quantità con cui lo è dell'erba secca, il giovane ser Bartimore di Fondocupo, vincolato da una promessa fatta al suo miglior confidente, vedrà finalmente il modo per far di sé stesso un cavaliere onorevole. Un torneo, un'opportunità di rivalsa, una guerra ai confini che grava su tutte le regioni di Pantagos. Quale altro momento migliore per mettersi in gioco?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):
 
Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre.
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos. 
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Quando i due cavalieri diedero ordine di fermarsi, Bart ed Esmerelle furono costretti a restare lontani dal padiglione del loro signore, scossi dall’agitazione nel cuore della notte. Il buio pervadeva ogni angolo di quel luogo, attraversato appena da freddi soffi di vento. La pioggia aveva cessato di cadere da un po’, abbandonandoli nel tragitto verso l’accampamento dei due cavalieri disonesti. Bart, però, non aveva smesso di udire il fluire dell’acqua in lontananza. Probabile che nelle vicinanze ci fosse un fiume, fu costretto a dirsi. O probabile che fosse tutto completamente allagato sotto ai suoi piedi. Di certo non poteva dire nulla con sicurezza, dal momento che non c’era una sola luce ad illuminare quel breve sentiero roccioso su cui stavano camminando. L’unica cosa di cui poteva parlare con certezza era l’odore della carne lasciata ad arrostire sulle braci, dimenticata fuori da quei tre grandi padiglioni decolorati.
Cosa darei per averne un pezzo!” pensò tentando di frenare il brontolio del suo stomaco. Dal punto in cui si erano fermati Bart poteva scorgere alcuni uomini intenti a montare le loro tende per la notte, in quell’accampamento quadrangolare che era stato creato appositamente per accogliere un vastissimo numero di milizie.
«Aspettateci qui» avevano detto all’unisono ser Konrad e ser Mold prima di abbandonarli lì fuori. «E non muovetevi di un solo piede, o ve lo tagliamo e lo appendiamo ad un albero, proprio come fareste voi». Nel viaggio lungo la strada, quegli uomini si erano dimostrati anche più riprovevoli di quanto Bart aveva pensato di sostenere. Non solo non gli avevano dato modo di giustificarsi di azioni mai compiute, ma non avevano neppure permesso loro di mormorare alcuna parola. «Non vi leghiamo le mani e la bocca solo perché vogliamo essere buoni.» aveva detto ser Mold. «Consideratelo un gesto di misericordia». Ma di certo non era stato il genere di misericordia che Bart si sarebbe aspettato da un cavaliere che soleva definirsi onorevole. “Chissà dove siamo” si chiese Bart: in effetti, potevano trovarsi ovunque. La stanchezza aveva preso il sopravvento su di lui durante la marcia, e non gli aveva neppure concesso di memorizzare le strade che man mano avevano percorso. Perlomeno, se Bart avesse prestato attenzione al sentiero su cui avevano camminato, avrebbe saputo dire quale strada prendere per tornare al castagno; anche se qualcosa gli faceva dire che non lo avrebbero mai più rivisto.                                                                                                                                                                                    
Il campo era attraversato per lungo da una fila compatta di tendaggi. Al centro sorgeva il più grosso ed alto, quello su cui svettavano un araldo rosso e tre lunghe bandiere bianche. Il padiglione era veramente sfarzoso nella sua mediocrità, se paragonato agli altri due che lo difendevano ai lati, molto più piccoli e malmessi. Dal loro interno, anche da quella distanza, si poteva sentir provenire urla, strilli e canti, che rendevano quella notte tenebrosa  meno gelida, cingendo tutto il campo nel loro abbraccio coinvolgente.                                                                                                                                              
Non dovrei essere qui.” pensò Bart angosciato. “Dalton non si sarebbe mai fatto catturare. Lui avrebbe sfoderato la sua lama e avrebbe abbattuto quei due impostori con due semplici colpi. Lui avrebbe fatto tutto quello che io non sono stato capace di fare”. A lungo Bart si era preparato per dimostrarsi abile e forte fuori dalle mura di Sette Scuri. A lungo, la sua preparazione cavalleresca, il suo allenamento continuo e faticoso, gli avevano imposto delle sane e rigide regole, che pensava lo avrebbero condotto a perfezionare la sua lucidità e i suoi riflessi. Ma a cosa erano serviti tutti quei suoi sforzi, a cosa era servita tutta quella fatica, se non aveva mai imparato ad essere un cavaliere come tutti gli altri?
Ormai di certo non c’era più il tempo di pensarlo né il tempo di rammaricarsi per essere stato tutto quello che non avrebbe mai sperato di essere. Se mai avesse dovuto pensarci, lo avrebbe dovuto fare prima di accettare tutti quegli incarichi, a partire dal pesantissimo fardello affidatogli da Dalton Kordrum, e concludendo con il difficoltoso impiccio di Esmerelle. Che cosa avrebbe pensato Amisa Witeolm, se l’avesse visto ritornare a Sette Scuri incapace di proseguire il suo viaggio? Cosa avrebbe mormorato il mondo, se ser Bartimore di Fondocupo non avesse portato a termine quella missione?                                                                                                  
Esmerelle sedeva immusonita sul suo palafreno, ammantata della cappa di Bart. Non aveva fiatato durante tutto il cammino, né aveva rivelato quali pensieri gli sfuggissero per la mente; una cosa insolita da una parte e abbastanza prevedibile dall’altra.  
«Se mi avessi ascoltata, cavaliere, ora non saremmo in questo pasticcio.» mormorò Esmerelle facendosi più rude. «Sbaglio o ti avevo detto di proseguire a destra quando ci siamo fermati in quel bivio? Se tu non fossi stato così testardo, forse ora non saremmo qui a morire dal freddo.»                                                                                     
«Se tu non fossi stata così testarda.» la corresse Bart riservandole un’occhiata gelida. «Non pensare di riversare le colpe su di me. Forse non avrei dovuto insistere sul fermarci sotto il castagno, ma l’ho fatto solo perché era l’unico luogo in cui poter dormire. L’unico, almeno nella via di sinistra.»          
«Che hai voluto prendere tu, forzatamente.» sottolineò lei con un tono sempre più arrogante.                                                      
«Dopo averti chiesto verso dove proseguire, però. E tu non mi hai risposto. Vuoi che te lo ricordi o fai da sola? Ecco come abbiamo pagato la tua impertinenza!»         
«Un cavaliere che non sa badare all’impertinenza di una ragazza non è degno di impugnare una spada.»                               
Bart non raccolse.                                                                                                                                                                                         
Esmerelle parve accorgersi di aver detto davvero qualcosa di troppo e sembrò fare un passo indietro. Per questo, poco dopo, aggiunse: «E poi quel castagno non proteggeva neppure dalla pioggia.»                                              
Qualche minuto dopo, finalmente, ser Konrad tornò a trovarli nel punto in cui li aveva lasciati. L’uomo aveva il viso rosso, solcato da un’insolita espressione, il respiro affannoso e gli occhi scuri e tramortiti.                           
«Il mio signore è pronto a conferire con voi.» li informò ansimando. «Potete seguirmi, se volete. Oh, signorinella, da’ qui». Ser Konrad porse il suo braccio ad Esmerelle, che lo guardò sospetta prima di convincerlo ad abbassarlo. Entrambi lo seguirono lungo il sentiero scosceso, attraverso una stradicciola di terra battuta e ciottoli. Anche Lenticchia era stanco, più del solito. Il destriero si reggeva a malapena sulle gambe, che ora parevano essere stecche gracili e tremolanti come giunchi scossi dal vento.
Nel passare tra l’accampamento, gli sguardi curiosi e circospetti degli altri cavalieri si soffermarono a lungo su di loro. “Dalla padella alla brace” pensò Bart. Ser Konrad li accompagnò dinanzi al tendaggio disadorno del suo signore, quello centrale, la cui entrata era presidiata da due guardie per lato. Anche questi, come tutti gli altri attorno, gli rivolsero uno sguardo coperto di malevolenza.                          
Bart fece per entrare all’interno della tenda, ma ser Konrad lo strattonò leggermente per il braccio.                                    
«Io e ser Mold non ti abbiamo toccato, giusto ser Bart?» gli domandò con la voce rauca. Bart fu stranito dalle parole del cavaliere.    
«Tu… cavaliere… tu…». Negli occhi di ser Konrad sorse un ombra nera, terrificante. Un velo che ricordò a Bart lo stesso timore che aveva visto stagliato negli occhi di Dalton, immobile sul suo letto, prima di abbandonarlo. «Tu non ci hai torto un capello». Dopotutto c’era della verità in quella frase.                                                
Due cavalieri gli dissero di lasciare i cavalli in un piccolo spazio sterrato, e Bart ed Esmerelle passarono a loro le redini, smontando dal dorso delle bestie. Infine, lo stesso ser Konrad spalancò la cortina del padiglione con entrambe le mani ed invitò Bart ad accomodarsi, esibendosi in un gesto di riverenza fin troppo recitato. Bart fu accolto da un sussulto.                                                                                                                 
«Ser Bartimore di Fondocupo, un fottutissimo regalo della notte». Dietro a quella voce, lo richiamarono una serie di imprecazioni e di bisbigli.
Prim’ancora di alzare lo sguardo verso la voce, Bart capì di chi si trattava. Solo un uomo poteva ruggire in quel modo. E solo un uomo poteva parlargli così. Il gigantesco signore di Ardua Scogliera si trovava proprio di fronte a lui, e con la sua possanza era in grado di sovrastare completamente tutto ciò che aveva dietro.       
Bart posò il ginocchio destro per terra e si piegò in avanti tenendo la mano sinistra al petto. Al suo fianco, Esmerelle tentò di imitare i suoi movimenti, riuscendoci piuttosto bene. Davanti a loro, Ortys Wysler rimase a fissarli per qualche secondo, silenzioso ed immobile come solo una lastra di metallo poteva esserlo. Poi, la sua risata fragorosa s’infranse contro le pareti del padiglione, smorzando il freddo silenzio del luogo.        
«Alzati, Bartimore!» gli comandò dandogli una violenta pacca sulla spalla. «Da quando ti inchini davanti a me?»          
«Da quando i tuoi uomini mi arrestano senza alcun motivo, mio signore.» rispose secco Bart.                                                    
«Oh, razza di imbecilli! Dovrai scusarli, ser Bart, che tu lo voglia o no. Magari posso offrirti qualcosa per sdebitarmi, eh?»
Bart acconsentì. Ortys Wysler era un uomo enorme, nel vero senso della parola. I lunghi capelli neri come la pece gli ricadevano a ciocche sulle spalle. Sul suo volto arcigno cresceva una barbetta brizzolata, molto meno folta dei capelli. L’uomo indossava una camicia di seta marrone, sbottonata quasi completamente, che metteva in mostra i suoi pettorali perfettamente scolpiti. “Faccia di bronzo, braccia di ferro.” pensò Bart. Era passato molto più di un anno dall’ultima volta che lo aveva visto. Ortys era stato uno degli amici più fidati di Dalton, uno degli alleati più forti e coraggiosi di cui il signore di Sette Scuri aveva potuto vantare durante il corso della sua florida vita. 
Il suo padiglione era il perfetto riflesso della sua possanza: non c’erano oggetti inutili, né mobili o tappeti ad abbellire quella tenda. Il tutto era ammantato da un senso di cupa stabilità, mischiato ad un silenzio quasi irreale. Su un angolo sorgevano alcuni letti di paglia, mentre al centro della tenda era posta una tavolata di legno scuro. Ortys sedette sul suo scranno, alto e rifinito d’argento, proprio accanto alla figura silenziosa di un esperto ingobbito su una pergamena, il quale sedeva su uno sgabello, cingendo tra le mani alcuni tomi impolverati.                                                                                                                                                                         
Bart ed Esmerelle presero posto dinanzi a loro due, nelle seggiole che erano poste poco vicino.                                                      
«Si direbbe che avete avuto da fare questa notte, eh?» domandò Ortys. «Gradisci del vino, Bartimore? È una delle migliori vendemmie che io abbia mai saggiato. Patres Steffon me lo ha portato da Pyp. È dolcissimo, bevine un po’.»                                                                                                                                                                                          
«Meglio di no.» rispose Bart spingendo avanti le mani ed agitandole. «Per questa sera sto già bene così.»                                 
Ortys fece finta di non aver udito e gli riempì ugualmente un calice di vino rosso come il sangue.                                        
«Sei diventato un uomo» constatò malizioso il signore di Ardua Scogliera, facendosi sfuggire un sorrisino malevolo. «E hai deciso di portare con te una ragazzina, vedo. Come si chiama?»                                                                                                                                  
«Il mio nome è Esmerelle.» rispose lei, socchiudendo gli occhi verso Ortys Wysler, e precedendo Bart nel rispondere. «E so parlare anche io.»                                                                                                                                                            
«Oh, mio signore, non fare caso ai suo modi sfrontati. Deve ancora capire chi è chi e fino a dove può spingersi con le parole.»  
«Taci, Bart.» lo rimproverò Ortys. «Mi domando se sia rimasta della giovinezza in te. Hai perso il giovane Bart da quando sei diventato un cavaliere. Questa ragazza mi piace. Oh, e a proposito di modi sfrontati … le mie scuse ad entrambi per ciò che hanno fatto i miei uomini: due immensi imbecilli. Vi hanno fatto del male?»     
«No, mio signore. Ci hanno solo confusi per dei briganti.»                                                                                                         
«Un’offesa più larga delle legnate. Oh, razza di imbecilli! Te lo dico, un conto è non farsi problemi a dire le cose come stanno, un altro è sapere come e quando dirle per evitare di perdere la testa… una cosa che i miei uomini non hanno ancora imparato. Ma lo impareranno presto, stanne certo.»                                           
Bart gustò lentamente il sapore di quel vino dal retrogusto dolciastro. Ortys non mentiva, si trattava davvero di un’eccellente vendemmia.
«Allora, come avete ucciso quei contadini?» domandò Ortys serrando il pugno sul tavolo.                                 
«Mio signore, noi…» farneticò velocemente Bart.                                                                                                                                
«Suvvia, Bart! Sei diventato fin troppo pudico per quel che mi riguarda. Fossi stato in te avrei dato una buona lezione ai miei uomini. Ti hanno accusato di infedeltà e tu sei rimasto a guardare? Troppo silenzioso, ecco cosa sei. Un gufo che sta appollaiato su un ramo in attesa che arrivi il sonno». Ortys si riempì un’altra caraffa di vino. «Che ci facevate da quelle parti?»
«Stavamo cercando un rifugio per la notte.» rispose Bart buttando giù un altro sorso.                                                                       
«Per la notte, ovviamente.» disse il signore di Ardua Scogliera lanciando uno sguardo interrogatorio ad Esmerelle. «Che fine ha fatto la tua giumenta, ser? I miei uomini mi hanno detto di non averti riconosciuto perché non hai più quel cavallo. E in più con te c’era questa ragazzina. Voglio dire, Amisa ci aveva informati…»      
«La giumenta è morta sulla strada, mio signore. Era secca e fragile da giorni ormai. Non c’è più acqua in giro per le Terre dei Venti.»                                                                                                                                                                  
«Non c’è più acqua in giro per il mondo.» sottolineò Ortys Wysler, la voce rombante come un tuono. «Bevi Bart, non lasciare che il vino perda il suo sapore.»                                                                                                                                  
Bart bevve. «Mio signore, sai per caso se i combattimenti sono iniziati? Dalton mi ha fatto promettere di…»                  
«Assolutamente no, Bartimore.» lo arrestò Ortys. «Il torneo non inizierà finché tutti i partecipanti non saranno giunti. Questo significa che potrò bere fino a che non sarò ubriaco come lo è un uomo che ha bevuto per sei anni consecutivi, dato che non devo preoccuparmi di dover fare le cose in fretta.»  
L’esperto al suo fianco voltò lievemente lo sguardo. Come un topino che scorge per la prima volta, dopo mesi, un pezzetto di formaggio, quel patres si rizzò sullo sgabello ed ascoltò le parole di Ortys Wysler con occhi glaciali. Il patres era abbastanza giovane per essere un esperto. Sul suo capo svettava una corta chioma marrone che scendeva trasformandosi in basette altrettanto corte vicino alle orecchie. Non aveva peluria sul volto, ma compensava con quella nel petto, intravedibile oltre la sua tunica di seta.
«Vedi di non prendere troppo alla leggera il torneo, Ortys.» suggerì l’ometto con aria confidenziale. «E vedi di non contagiare il povero ser Bart con le tue insolenze.»                                                                                                                                                                  
«Scrivi per ore senza rivolgermi neppure la parola e ora che devi stare muto ti fai sentire. Patres Steffon, a volte mi chiedo se tu provi piacere nel vedermi bestemmiare.»                                                                                             
«Mai e poi mai, mio signore. Sono gli oneri accademici a farmi parlare. Sia io che ser Bartimore e la sua fanciulla sappiamo quali sono i veri motivi che hanno spinto gli esperti ad indire il torneo a Roshby. Talvolta, il gioco e la competizione possono far riappacificare due fazioni in guerra. L’unico obbligo a cui siete chiamati a rispondere è il mettervi in gioco ed abolire ogni forma di rancore verso tutti i vostri sfidanti. L’accademia non ha certo discusso su cosa fare per dare più vino ad Ortys Wysler.»                                                                                                   
«Patres Steffon!» tuonò Ortys. «Parli con troppa franchezza adesso. Credo possa bastare per il momento.»                      
Il patres tornò chino sulla sua pergamena, riafferrando la lunga piuma con la mano destra. Ma prima di smettere di parlare, si apprestò ad aggiungere: «Oh, ser Bart, scuserai l’indecenza delle mie maniere. Le mie condoglianze per la tua perdita. Le Grazie soltanto sanno quanto quell’uomo fosse buono e giusto.»                     
L’esperto parlava di Dalton Kordrum.                                                                                                                                              
«Grazie.» rispose Bart. Purtroppo i ricordi di Dalton lo facevano vagare con la mente, verso i lunghi momenti di gioia passati insieme a lui. Bart non poté che ripensare alle quieti passeggiate che adorava fare in sua compagnia, fuori e attorno alla cinta muraria di Sette Scuri, alle lunghe cavalcate fatte attorno ai campi del regno, su per i declivi delle colline e oltre i sentieri impervi.                                                                              
Ortys gli rivolse uno sguardo consolatorio, come se avesse colto il suo dolore.                                                                       
«Sai come lo chiamavano, Bartimore?» domandò sorridente. L’uomo non attese certo una risposta. «Il Sole del Sud. È strano scorgere i suoi raggi giù nelle nostre terre, tanto quanto era strano incontrare un uomo come Dalton. In quel nome era riassunto tutto il suo coraggio, la sua forza, la sua celebrità ed il suo splendore. E, per quanto qualcosa mi dicesse che lui non ci avrebbe mai lasciati, il sole può tanto sorgere quanto tramontare.»      
«Eppure» s’intromise nuovamente patres Steffon. «Diversi studi astronomici ci dicono che il sole non ci abbandona mai. Nemmeno durante la notte, sai, ser Bartimore? I suoi raggi illuminano la luna che a sua volta illumina la terra. C’è del poetico nel pensiero che il tuo signore vegli ancora su di te, come il sole che non smette mai di darci luce. Conosci il modo atroce e tragico in cui morì, e non mi interessa affatto riproportelo. Dov’eri  - se posso - quando il Fiore Rosso prese il sopravvento nelle Terre dei Venti?»                                                                                                                                                                                 
«A Sette Scuri, patres. Amisa Witeolm aveva fatto serrare ogni ingresso ed ogni uscita del regno. L’unico contaminato fu Dalton, e nessuno oltre lui fu contagiato.»                                                                                              
«E tante grazie al cielo, allora. La tua Amisa è una donna dallo straordinario acume. Di certo non come molte altre signore che hanno lasciato che la malattia sopraggiungesse a sterminare le loro famiglie». Come se avesse detto qualcosa di troppo, patres Steffon tornò a dedicarsi alla sua pergamena in rispettoso silenzio.                   
«Era uno dei miei migliori amici, Bartimore.» disse Ortys Wysler. “Anche il mio, signore.” avrebbe voluto rispondere Bart, ma Ortys non gli diede la possibilità di parlare. L’uomo continuò: «Un uomo di cui mi fidavo come di pochi. Ogni notte ripenso a ciò che feci quando seppi della sua sconfitta. Ogni notte ripenso a quante volte durante la battaglia di Loggia Infuocata mi capitò sotto mano il collo di quell’impostore di Roger Wyndwat. Nei miei sogni più quieti ci sono io che stringo forte quell’uomo, sollevandolo da terra con i piedi all’aria. E ci sono io che premo sulla sua faccia, fino a che quell’animale non esala il suo ultimo e fievole respiro. Io che rido dei suo guaiti di dolore. Io che rido del suo modo vile di morire. Vorrei averlo massacrato davvero in questo modo, Bartimore, già soltanto per dare vendetta al nobile nome di tuo padre.                                                                                                                                                             
«Eppure non riuscii nell’intento. Patres Steffon potrebbe confermati come andarono le cose quel giorno. Quel suo lurido scagnozzo, Spada di Sabbia, stava tenendo d’assedio Dartstorm, mentre Wyndawat e Agabbo Nobb si precipitavano a scontrarsi contro Loggia Infuocata. Fortuna per Josher Fyrestone che io mi trovassi lì in quei giorni, a discutere dell’avanzare della guerra: ciò forse gli risparmiò la vita, anche se Roger uccise ugualmente suo fratello Tordow.»
«E patres Steffon può confermarti anche che gli esperti intervennero a dovere quel giorno.» s’inserì bruscamente l’esperto. «Non appena furono assaltati, l’Accademia impiegò pochissimo tempo per inviare loro gli Elmi Scuri, l’esercito addestrato appositamente per mettere a tacere i conflitti nel grande reame. Che ne fu del Ciclone Nero e del suo capitano Roger Wyndwat? Ortys, non rammenti cosa gli facemmo?»
«Li incatenaste e li spediste nelle vostre celle, dove nessuno seppe più nulla di loro. Dimmi, patres, li avete anche liberati o possiamo continuare a dormire sonni tranquilli?»                                                                          
«Ti basterà sapere che tutto ciò che rimane di Roger Wyndwat è un uomo menomato impossibilitato nei movimenti.»                                                                                                                                                                                    
Esmerelle, che fino ad allora aveva ascoltato i loro discorsi sbadigliando di tanto in tanto, sembrò farsi vispa. La ragazzina si rizzò sulla sedia e, colta dallo stupore, disse:                                                                                                  
«Solo questo? Non basta.»                                                                                                                                                             
Bart le rivolse un’occhiataccia di dissenso, ma a prendere la parola fu proprio patres Steffon, che adagiò sul tavolo la sua penna d’oca e si fece molto più serio di prima.                                                                                                      
«Non ci è dato togliere la vita a nessuno. Ragazzina, vuoi forse dire tu cosa avremmo dovuto fare di lui? È pur sempre un uomo.»      
«Patres Steffon!» lo redarguì Ortys, il collo taurino ormai color porpora a causa dei numerosi calici di vino ingollati. «Non bestemmiare nella mia tendo o ti butto via a calci! Quella belva era tutto meno che un uomo. Bart, bevi un altro po’, vedi com’è dolce?». Allora riempì un altro calice per Bartimore e lui dovette prenderlo pur non desiderando più bere. Gli girava un po’ la testa, per la stanchezza e per l’ebbrezza. Quel vino, scoprì presto e a sue spese, era molto forte.  
«A noi del sud la guerra è qualcosa che scorre nelle vene.» rimproverò patres Steffon. L’esperto non aveva tutti i torti. «E voi sapete soltanto acciuffarvi come bestie. Ecco i risultati di ciò che avete creato.»                                                                                                      
«Non solo loro.» rispose secca Esmerelle. «Anch’io ho la guerra nel sangue. E non sono del sud, per fortuna.»            
«Una ragazzina non può dire certe cose.» la rimproverò patres Steffon diventando quasi paonazzo in volto per la rabbia. «Con quale diritto una fanciulla si permette di discutere di affari simili? Avanti, rispondi. Odio e rancore, ecco cosa vi fanno parlare. E voi non potrete partecipare al torneo se non li metterete da parte anche solo per un secondo. Lo stesso vale per te, Ortys. Ricordate lo scopo dei giochi a Roshby, ricordate cosa ha deciso l’Accademia. E ricordate di essere grati a noi esperti per ciò che stiamo cercando di darvi: un patto di pace che potrà risparmiarvi le vite.»                                                                                                                        
«Sarò grata all’Accademia solo quando potrò sputare sulla tomba di Lower Standrom e di tutti coloro che hanno ucciso dei poveri innocenti.» rispose Esmerelle. La ragazzina aveva assunto nuovamente la sua intollerabile espressione di sfida, ma questa volta Bart non ebbe motivo di contraddirla.            
«La ragazza ha ragione.» concluse Ortys Wysler con una voce che schiacciò tutte le altre. «E vedi di placare i tuoi toni, o dovrò prendere seri provvedimenti, patres Steffon. Non sopporto che tu parli così ai miei ospiti.»                      
«Non era nelle mie intenzioni offendere qualcuno, se l’ho fatto chiedo venia. Tutto ciò che voglio è farvi capire che molte cose non sono come molti pensano che siano. Spero di non avervi fatto credere di esservi contro». L’esperto rivolse a Bart ed Esmerelle un sorrisino distorto.    
«Se lo hai fatto» intervenne Ortys con il suo fare polemico e la sua voce tonante. «È perché era nei tuoi intenti. E allora ne dovrai pagare le conseguenze. Sta di fatto che non è la prima volta che ti sento dire certe cose in mia presenza: vedi di mangiarti la lingua più avanti! La tua arroganza non potrà essere giustificata con delle scuse. Tu sei un fattore ubriaco, patres Steffon. Se stacchi la coda al tuo cavallo e subito dopo gliela riattacchi, non significa che tu non gli abbia fatto del male.»                                                                                                                       
«Non siamo offesi» rispose Bart cercando di riportare la quiete. «Non c’è motivo di parlare ancora di queste  cose». Dopo quella frase, patres Steffon gli lanciò un’occhiata di approvazione.                                                                                                    
«Allora basta così, Bartimore. Questi discorsi stanno annoiando la tua pulzella bionda e anche me. Sei ancora certo di voler andare a Roshby o hai deciso di aver di meglio da fare sotto i castagni, in compagnia della tua fanciulla?»  
Esmerelle arrossì imbarazzata, mentre Bartimore cercò di trovare le parole adatte per replicare.                                            
«Mio signore, mi è bastato sapere che…»
«Sì, giusto, il tuo pudore.» lo interruppe Ortys. «Bartimore, bevi. Ecco, tieni… guarda com’è rosso. Mai assaporato uno migliore in vita mia. E ne ho assaggiati di vini!» L’uomo gli riempì un altro calice, questa volta con più vino, quasi fino a farlo debordare oltre l’orlo. Bart provò a ritrarre la mano, ma Ortys gliel’afferrò inducendolo, poco dopo, a bere tutto il contenuto.                                                                                                        
Esmerelle trattene una piccolissima risata, gesto impacciato che a Bart non sfuggì. La ragazzina aveva probabilmente notato il suo pessimo stato, e ne era divertita. Da un lato fu felice, forse, di essere riuscito a strapparle un sorrisetto. Quando rideva era anche più bella.
Ortys riprese a parlare, sempre più viola sul volto.                    
«Ho altre dodici botti di questo vino. Vedo che ti sta piacendo più di quanto mi sarei aspettato! Magari te ne regalerò due o tre, se mai riuscirò a separarmene. E potrai portarlo nel tuo padiglione.»                                                        
«Se mai ne avesse uno.» lo schernì Esmerelle.                                                                                                                         
«Bartimore, volevi congelarti le chiappe là fuori? La notte è fredda e buia, e i briganti adorano agire sul tardi. La ragazzina non potrà continuare a vivere per strada come te. E se vuoi essere considerato un cavaliere, dovrai avere un padiglione a tutti i costi. Specie adesso che stai andando nella mischia di grandi signori e valorosi cavalieri.»                                                                                                                                                                      
«Ne comprerò uno a Roshby.» promise Bart. Il vino lo aveva inebriato a tal punto da rendergli difficile perfino il parlare. «Considerala una parola d’onore». Un’aggiunta involontaria.                                                                                                                                                                          
«Onore… onore…» ripeté Ortys portando una mano alla pancia. «Al diavolo tu e il tuo onore, Bartimore! Ringrazia chi vuoi ringraziare per averti fatto trovare me.»                                                                                               
«I tuoi uomini mi hanno fatto trovare te. Io non ringrazio quegli sporchi disgraziati!» disse Bartimore con una voce che ormai non era più la sua. Poi assestò perfino un pugno al tavolo, che fece sobbalzare patres Steffon dalla sua postazione.    
«Ebbene, parli sul serio? Adesso sì che rivedo il vecchio Bart». Ortys sorrise a trentadue denti, come se avesse ritrovato un vecchio compagno d’avventure smarrito da troppo tempo in un bosco. «Non ci sarà bisogno di spendere una sola moneta. Tu e la tua fanciulla sarete accolti da me. Ho un padiglione disponibile che sarà tutto per voi. Non è di certo uno dei migliori, ma potrà bastarvi suppongo. Pelle di daino marrone ben rifinita, per nulla scucito o leso. I miei uomini vi metteranno dentro anche un letto a baldacchino, una vasca e due vasi da notte.»          
Patres Steffon sollevò nuovamente gli occhi dalla pergamena, questa volta molto più incuriosito delle precedenti. «Mio signore, non mi avevi detto di avere un’altra tenda. Avremmo potuto darla a ser Gonard e la sua combriccola di fanciulli, la scorsa sera. Hai mandato via quell’uomo! E poi… questa tenda dove l’abbiamo presa? Devo segnarla tra i nuovi possedimenti giunti alle scorte?». Il patres appuntò qualcosa sulla pergamena, poi le sue mani corsero alla ricerca di qualche tomo più piccolo ammassato sugli altri. Quando si calò gli occhiali sul volto e diede una lettura ad un pezzo di carta ingiallito riparlò: «Una tenda identica alla mia.»      
«Una tenda che è la tua.» sottolineò aspramente Ortys Wysler.                                                                                               
Patres Steffon sgranò gli occhi e si tolse immediatamente gli occhiali dal naso con fare confuso. «Che vuol dire tutto ciò?»        
«Soltanto una cosa: per qualche notte dormirai per terra, patres Steffon. Dopotutto in molti dicono faccia bene alla schiena.»      
Bart non seppe dire molto sul modo in cui quella discussione era terminata. Per quanto poteva ricordare, aveva provato a lungo a contestare quella scelta, affinché il patres non fosse escluso dal suo padiglione, ma non c’era stato modo di contraddire la decisione di Ortys. Probabile che, in condizioni migliori di quelle a cui lo aveva ridotto il signore di Ardua Scogliera, avrebbe saputo ribellarsi al suo pugno fermo: ma a quanto parve, quella notte non c’era riuscito affatto. Tutto ciò che ricordò vagamente fu l’invito di Ortys a procedere con loro il viaggio verso Roshby, sotto la sua ala protettiva almeno fino all’arrivo nella cittadina in cui si sarebbe tenuto il grande e sfarzoso torneo. Bart, riuscì a constatare troppo presto, aveva accettato quella proposta. E insieme a quella, anche l’obbligo di svegliarsi la mattina prima del sorgere del sole. Impegno che, malgrado la sbronza, mantenne alla perfezione.
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Note d'autore:
Nuovo aggiornamento, come promesso! I nostri due protagonisti sono sfuggiti al peggiore dei pericoli: la morte. Diciamo che le Cinque Grazie li hanno "graziati" con questo dono insolito: una coincidenza degna di merito, senza la quale avrebbero rischiato di grosso! Entrano in scena nuovi personaggi: l'indomito Ortys Wysler e il fedele patres Steffon, entrambi caratteri di notevole spicco d'ora in avanti nelle vicende, e l'uno l'opposto dell'altro. Che pensate di questi due nuovi volti? Avete apprezzato il gesto, seppur insolito, del signore di Ardua Scogliera? E' stato anche questo un capitolo abbastanza lungo, il prossimo sarà l'esatto opposto. Ci vediamo lunedì prossimo, come al solito, con la nuova parte. Grazie di vero cuore a tutti i miei recensori ormai fedeli, a quelli che mi aiutano e mi correggono e a tutti quelli che rimangono in silenzio! Alla prossima! 
:) 
Makil_

   
 
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