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Autore: Francine    01/03/2017    3 recensioni
Spagna, Febbraio 1979.
In un paese che si sta risvegliando dalla dittatura franchista, un giovane Shura si rifugia alle pendici dei Pirenei - lì dove è diventato Santo di Athena e dove inizia il Cammino di Santiago - per ritrovare se stesso e placare la mente dagli incubi e dai dubbi che lo tormentano dalla Notte degli Inganni.
Ma esiste davvero un angolo di pace per colui che ospita Excalibur nel proprio braccio?
Pre Episode G
Prima pubblicazione: 12.01.2006
Versione riveduta e corretta.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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Zuppa di patate
 

 
Il fuoco che sembra spento spesso dorme sotto la cenere.
Pierre Corneille
 
 




Mercoledì, 28 Febbraio 1979.  

«Santa Vergine di Guadalupe...»
«...prega per noi.»

Orreaga s’è svegliato a forza, stamattina, mentre lo spazzino ripuliva le strade dalle stelle filanti e dai coriandoli che decoravano la neve come zuccherini sulla panna. Il paese s’è lavato via dalla faccia il cerone e la porporina della sera prima, e s’è portato in chiesa per la messa delle Ceneri, sonnecchiando e sbadigliando, come Endika, il chierichetto, che, ancora nel mondo dei sogni e le mani occupate a reggere l’aspersorio, spalanca la bocca e mostra alla comunità l’incisivo che ha perso giusto la sera avanti.

«San Sebastiàn...»
«...prega per noi.»

Dall'altare della parrocchia di San Giacomo, don Julio dice la Messa delle Ceneri, parlando di quanto sia effimero il mondo e le sue luccicanti lusinghe con la stessa placida calma da ormai dieci anni. E con la stessa disposizione d'animo, don Antso, il sindaco, siede in prima fila con la famiglia al gran completo parata a lutto, come se stesse assistendo al funerale di un congiunto prematuramente passato tra i più. Mercedes, incoronata Reginetta meno di dodici ora prima, sfoggia ancora la criniera riccioluta, imbiancata dalla porporina argento, sotto il velo di trina nero pece, le gambe accavallate di lato sotto la gonna.

«San Fermìn...»
«...prega per noi.»

Il momento delle ceneri arriva come una liberazione. I fedeli si alzano, ricevono la manciata di polvere grigia sul capo e il monito del sacerdote, prima di tornare a sedersi sui banchi ed attendere il «Ite, missa est», che li restituirà ai propri impegni.

«Memento homo quia pulvis es et in pulverem revertēris

Fuori pioviggina. Lieve lieve, simile a zucchero a velo, l’acqua scende sulle calli di pietra del paese, come a voler lavare via dalle anime l’euforia del Carnevale. Un arrivederci all’anno prossimo che si esaurisce pian piano, con la promessa dell’arrivo della primavera, mentre don Julio conclude la funzione e i fedeli escono alla spicciolata sul sagrato. Per scambiarsi saluti, frasi di circostanza e sorrisi sinceri come una moneta di cioccolato, prima di rincasare per il pranzo.
Don Julio esce a salutare le poche pecorelle rimaste e chiudere le porte della chiesa. E sul sagrato trova don Antso, col sorriso delle grandi occasioni, e gli occhi fissi sulle luminarie spente.

«Bella festa, ieri sera, eh, don Julio? Anche quest’anno abbiamo fatto baldoria, vero? Con queste belle decorazioni, poi…»
«Peccato solo, don Antso, che dovrete riporle sino all'Assunzione.»
«E perché mai? Tra quaranta giorni, a Pasqua, le mie stelle illumineranno il Calle e la piazza della Collegiata!»
Le tue stelle? «Vorreste mettere le vostre stelle a sei punte per onorare la Resurrezione di Nostro Signore?», domanda retoricamente il parroco con un sorriso indecifrabile.
«Beh, comunque sia», replica il sindaco, «potremmo usarle per le altre feste comandate: San Sebastian, il Carnevale, l'Assunzione, e il Santo Natale!»
Don Julio incrocia le mani e fissa un punto indefinito di fronte a sé. «Anche questo è vero. Speriamo solo che il tetto ed il campanile della chiesa reggano, per allora…»
Don Antso si cava dalla tasca della giacca di color can che fugge sporco, un fazzoletto, dall'intricata greca ornamentale, e vi tossicchia dentro. 
«Bella festa ieri sera, eh? E la mia Mercedes! Ah, incoronata Reginetta delle Nevi, come le sue sorelle prima di lei!», svia goffamente il discorso. «Ma non si preoccupi, don Julio, nonostante tutto è lo stesso tanto seria e posata! Mercedes!»
Don Antso la chiama con un cenno della mano, e la figlia lascia il capannello di amiche adoranti, disposte attorno a lei come le api attorno ad una rosa, e lo raggiunge in un ticchettio sordo di sottofondo, pronta a farsi ammirare. «Don Julio… Bellissimo sermone.»
«Grazie», ribatte il sacerdote.
«Eccola qui, la mia Mercedes!» Don Antso deve aver giudicato pericoloso ed imbarazzante il silenzio in cui sono piombati, quindi fa quel che gli riesce meglio: riempie l’aria di parole e lodi sperticate. «Spero di poter concedere presto la sua mano ad un giovane valente ed importante! Bella brava e giudiziosa! E tanto, tanto devota al Sacro Cuore...»
«Davvero?», chiede don Julio inarcando un sopracciglio. «Eppure questa è la casa del Signore, non il circo equestre. Mercedes, non credi che avresti dovuto lavarti il viso e i capelli prima di entrare in chiesa?»

Don Antso sbianca e Mercedes diventa livida sotto il fard in crema color pesca con cui ha illuminato le gote rotondette – quanto basta per le Ceneri; la ragazza balbetta delle scuse e se ne torna, a passi rapidi e nervosi, dalle sue amiche, le quali non si sono perse una sola sillaba di quanto le ha detto il prete, è pronta a giocarcisi la testa. Don Antso tenta di reprimere un moto di stizza con un sorriso conciliante. Non può certo mandare il prete a quel paese, non in pubblico, almeno.

«Suvvia, don Julio... Chiuda un occhio. Sa, i giovani...»
«Sono stato giovane anch'io, don Antso, e ho avuto una sorella dell'età di Mercedes prima che la guerra civile me la portasse via.»
«Oh, don Julio, lo sappiamo! Abbiamo anche noi i nostri morti, sa? Tutta la Spagna ricorda lo strazio che colpì la vicina Gernika! Tanta bella e operosa gioventù euskal trucidata in appena quattro ore di bombardamenti. Tutte quelle persone spazzate via dai tedeschi in una sola mattinata! Che perdita! Che tragedia! E pensare che invece… certa gente...»
«Certa gente, don Antso?»
«Certa. Gente, don Julio.» Qui ti volevo, mio caro.
«E chi sarebbe, questa gente, don Antso?»
«Oh, avanti! Lo sapete bene di chi parlo! Di quei due!», e sputa per terra. «Javier e Rodrigo, che vivono sui monti alla stregua di due selvaggi! Sì, due senzadio che si fanno vivi al villaggio solo... Scommetto che non si sono neanche fatti vedere per le Ceneri...»
Don Julio sorride. Affabile.
«Vi sbagliate, don Antso. Erano presenti, invece. Hanno ascoltato tutta la messa in piedi, dietro la colonna dell'acquasantiera, proprio accanto al confessionale. E hanno ricevuto per ultimi le ceneri sul capo. Come disse Nostro Signore, Beati gli ultimi, perché saranno i primi
«Questa è bella! E da dove sarebbero usciti, don Julio? Io ho salutato tutto il paese, ma non li ho visti!»
Ti sei gonfiato come un tacchino, vorrai dire!, pensa il sacerdote prima di rispondere: «Sono passati dalla canonica.» Don Julio sorride, schermandosi gli occhi nerissimi con il dorso della mano. «Sembra che stia per riprendere a piovere. Sarà meglio che io avvisi Lupe di non stendere il bucato, prima che sia troppo tardi. Se mi vuole scusare, don Antso...,» e rientra in chiesa senza attendere la replica del sindaco, avendo cura di chiudersi le porte dietro le spalle.

Borioso fanfarone!, pensa don Julio segnandosi e dirigendosi in canonica. 
Signore, perdonami! Tanta bella e operosa gioventù euskal trucidata dai tedeschi! Signore mio!! Ma chi li ha chiamati i tedeschi, il tuo amato Generalissimo o mio nonno? Con quale coraggio parla di Guernica, quando la Navarra appoggiò direttamente Franco? Che faccia di bronzo! E si permette anche di sputare sentenze su... Oh, Buon Dio, perdonami!

Don Julio è un tipo fumantino. Non ama chi giudica i libri dalla copertina, e men che meno sopporta chi pavoneggia i propri meriti come il fariseo della parabola evangelica. Ha questo vizio fin dai tempi del Seminario a Cadice, ed è per questo che lo hanno spedito sui monti, in una sperduta parrocchia dei Pirenei della Navarra, al confine con la Francia, dove il controllo dei Caudillos era più forte e, di conseguenza, più gestibile lui, il Prete Rosso.
Si sfila la stola e la posa sul tavolo della canonica. Sta per piovere, stavolta sul serio; in questo il suo ginocchio sinistro non sbaglia mai. Devo avvisare Lupe, si dice entrando in canonica alla ricerca della perpetua. La trova in cucina, seduta al tavolo a pelare patate, il grembiule bianco sempre lindo ed immacolato come la sua anima.

«Sta per piovere. Per davvero», le dice sedendosi davanti al camino acceso.
«Ho già sistemato il bucato al coperto», lo rassicura il donnone dalle guance rubiconde posando l'ennesima patata in un bacile pieno d'acqua, assieme alle sue sorelle. «Immagino che don Antso si sarà fermato a parlare delle sue belle luci, vero?»
«Sai anche tu com'è fatto quell'uomo.» Parla solo per spargere zizzania e dire male di chi non la pensa come lui...
«Immagino che se la sia presa con quel povero ragazzo, vero?»
«Lupe, lo sai cosa penso di chi ha la lingua lunga!»
«Sì, lo so, che farebbe meglio ad usarla per pregare invece che per spettegolare!», ribatte la donna posando il coltello sul tavolo. «Ma quell'uomo farebbe perdere la pazienza anche a San Francesco! Tratta tutti come se fossero dei pezzenti, specie, poi, se non gli obbediscono come cagnolini! E quel mio povero ragazzo!»

Lupe si alza e toglie il coperchio da una pentola che borbotta. Come lei, pensa don Julio.
«La sapete anche voi la storia, no? In un primo momento non ha perso tempo a denunciare Javier ai Caudillos quando è tornato da Burgos insieme a Ruy. Quel disgraziato ha rapito quel bambino! Non ci credo che l'abbia adottato! È mio preciso dovere denunciare il fatto all'Autorità! Che cosa accadrebbe se si venisse a sapere che abbiamo coperto un ladro di bambini?», e don Julio pensa che la sua perpetua abbia un dono particolare per le imitazioni.
«Berciava giorno e notte, ma da Madrid non è mai giunta risposta. E allora li ha denunciati perché non adempivano agli obblighi civili, e anche quella volta, nessuna risposta. E allora è partito personalmente per Madrid, ma solo per tornare con un pugno di mosche in mano! Da allora è tutto preso ad ingraziarsi Javier e Ruy, salvo insultarli quando vede che non riesce a portarli in alcun modo dalla sua parte, adesso che la musica è cambiata! E lui crede che basti una sottana per farli fessi! Sono delle teste pensanti, quei due, due chiodi che spuntano dalla trave!»
Tuffa le patate nell'acqua bollente, aggiunge sedano, sale, due foglie d'alloro e rimesta il tutto.
«E tutto perché pensano, Signore Onnipotente! Io quell'uomo non lo capirò mai e poi mai! Per lui è sufficiente mostrare una bella facciata, come quelle sue figliole vanitose, e fregarsene di avere un cuore nero come il carbone. Ah, se pensa che Ruy sia così scemo da cadere nella trappola che gli sta preparando, si sbaglia di grosso, parola mia...», e Lupe parte per la tangente, borbottando come una pentola piena zeppa di fagioli dimenticata sul fuoco.

Don Julio sorride. Non se la sente di riprenderla, perché in fondo Lupe ha ragione: Ruy è uno spirito libero, una sorta di capra testarda, difficile da domare ma con un gran cuore. Ricorda ancora come solo un paio di inverni prima abbia attraversato il Passo del Puerto de Ibañeta per andare a cercare il medico dall'altra parte dei Pirenei per far nascere la piccola Elbira.
«Javier protegge il villaggio», gli ha confidato Lupe una decina di anni prima, quando giunse qui da Sangüesa, e sembra che da quando è tornato da Burgos con il piccolo Ruy, si sia visto con maggior frequenza al villaggio. Non gli ha mai chiesto quale legame vi sia tra lui e il piccolo burgales compito che ha cresciuto tra allenamenti e studio. È stato Javier in persona a confidarglielo, quando, la primavera di tre anni prima, è entrato in chiesa, si è inginocchiato al confessionale d'acero e ha cominciato a raccontargli tutto pronunciando la formula: «Mi perdoni, padre, poiché ho molto peccato...».
E così, ha sentito passo passo la storia dell'istruttore della piscina Arcobaleno che ha ricevuto l'ordine, avallato dal governo franchista, di prelevare il piccolo Rodrigo Menendez Pidal dall'Orfanotrofio della Pietà di Burgos e di portarlo sui Pirenei. Perché? Semplice, gli aveva detto Javier nel suo monologo: per farlo diventare Santo di Athena. Santo di Athena... già, è così che si fanno chiamare, mentre tutta Orreaga parla di loro come degli Uomini della Montagna, appellativo decisamente meno altisonante e pomposo.

Athena.

La dea greca per eccellenza, la Mente opposta alla Furia di Ares. A detta di Javier è rinata, materializzandosi ai piedi della sua statua al Santuario. 
Nemmeno lui sa come, ha vinto l'impulso di sbatterlo fuori dalla chiesa a calci. Javier è sempre stato solito a lasciarsi andare a simili confidenze, e Julio è arrivato a concludere che, forse, il detto "Le vie del Signore sono infinite" implichi anche l'esistenza di forze altre, che l'uomo, nella sua limitata visione delle cose, si spiega come meglio riesce. Athena o no, sapere che al mondo vi sono altre forze che vegliano sugli uomini e li proteggono dal male è sempre un gran sollievo. Così come è un sollievo, per lui, il ritorno di Ruy a casa. Ieri pomeriggio, subito dopo pranzo, è salito alla baita a salutare Javier e il suo allievo. Il ragazzo, però, gli ha dato da pensare. Quando Javier ha raccontato le ultime nuove del Santuario, si è incupito.
E quando stamattina, ha paragonato Aiolos, il traditore, a Giuda Iscariota, il volto del giovanotto si è addirittura rabbuiato, prima di uscire fuori balbettando una scusa qualsiasi.
«Aiolos era il suo modello», gli ha confidato Javier accompagnandolo per un tratto di strada. «Ed il fatto che sia stato proprio il suo idolo a compiere un'azione tanto bieca lo ha sconvolto. Anche perché...» e Javier è rimasto zitto per il tempo di un Pater Noster, le mani in tasca a cercarsi le parole giuste da dire, per poi concludere: «Aiolos... è come se l'avesse ucciso lui.».

Don Julio prende la copia di El Pais e la scorre velocemente prima di appallottolarla e di gettarla nel fuoco. Povero ragazzo, si dice ripensando alla sua espressione, solitaria e assente accanto all'acquasantiera, mentre versava le ceneri sulla testa di Javier e ripeteva la formula rituale. Forse, se si confessasse, si alleggerirebbe la coscienza, ma le confessioni non si possono estorcere. E dal canto suo, che cosa gli direbbe? Avallare un omicidio, seppur giustificato dal dover salvare una bambina? E come? Per prassi, Ruy avrebbe dovuto recarsi al più vicino posto di polizia e costituirsi. Costituirsi... Già, e che cosa gli avrebbe raccontato? «Salve, sono un Santo di Athena e ho ammazzato un mio compagno d'arme perché ribelle per la Legge del Santuario»?
Vorrebbe aiutare Ruy, lo vorrebbe sul serio; ma non sa come fare.
«La zuppa di patate sarà pronta per questa sera. Per pranzo volete dei piselli in umido?»
Julio scuote la testa. 
«No, grazie. Io a pranzo digiuno. Mangerò stasera. Abbiamo ospiti?»
«Due senzadio che si avvicinano alla mensa del Signore...», ridacchia Lupe asciugandosi le mani sul grembiule.


I bucaneve fanno capolino ai lati delle rocce, e non si distinguerebbero dallo sfondo immacolato se non fosse per lo stelo sottile che oscilla al vento.
Ha smesso di piovere. L'inverno è ormai alla fine. E Javier è decisamente soddisfatto: è andato a messa, ha preso le ceneri e ha fatto il suo dovere da buon cristiano. Le verdure sfrigolano allegre nella padella di ferro pesante. L'aspetto sembra buono, così come l'odore, decisamente invitante.
Oggi a pranzo si terranno leggeri. Mal che vada, si strafogheranno a cena dal prete: donna Lupe è famosa in tutto il villaggio per essere la Regina dell'arrosto di montone con le patate. Alloro, salvia, rosmarino e quell'ingrediente segreto per cui la carne è così dannatamente sugosa e morbida, da sciogliersi sulla lingua, e le sue patate arrosto sono l’invidia di tutte le massaie del paese. 
E col freddo che fa, ci sarà anche la zuppa di patate e panna acida. 
Javier si lecca i baffi mentre dà una voce al suo allievo – «È pronto!» - e sistema le porzioni nei piatti.
Ruy entra con una catasta di legna da gettare nel camino, la posa accanto ai due ceppi rimasti e si accomoda al suo posto.
Il pranzo viene consumato in silenzio. Javier, con il tempo, è diventato ancora più orso e ancora più falco. Ha capito che Ruy ha qualcosa da chiedergli, un rospo grosso come una casa che non va né su né giù, ma non gli sembra propenso a vuotare il sacco. Non ancora, almeno. Forse non è riuscito a mettere bene in chiaro la natura del problema, forse non reputa semplicemente che sia il caso di parlarne, ma Javier è pronto a giocarsi le palle scommettendo tutto il piatto su di un solo nome: Aiolos. Tanto per cambiare.
Ruy addenta di malavoglia una forchettata dopo l'altra, lo sguardo basso sul piatto.
E io mi sarei fatto un mazzo tanto per ottenere questo risultato?, si chiede Javier servendosi un'altra porzione abbondante. Ruy continua a piluccare le verdure nel piatto e si alza solo quando Javier dà segno di aver finito di pranzare. 
«I piatti toccano a te. E vedi di non romperli, come tuo solito!»
Ruy si muove come un automa, svuota i piatti nella pattumiera e li poggia nell'acquaio assieme alle altre stoviglie. Javier si accomoda davanti al fuoco e sbuccia un mandarino, gettandone le bucce nel fuoco crepitante. Fissa la schiena del suo allievo mentre lava le stoviglie soprappensiero. E ha la piena certezza che la testa di Ruy sia un coacervo di emozioni e sentimenti contrastanti.

Javier non sbaglia. Ruy sperava di trovare un angolo di pace in Spagna, ma è cascato male, come direbbe Mask. Andava tutto a meraviglia fino a stamattina, quando don Julio ha paragonato Aiolos a Giuda. E la notte scorsa gli incubi sono ripresi, con la scena biblica dell'Ultima Cena, con tutti i Gold Saint attorno al Grande Sacerdote. E Aiolos, che entra con due figure nere, strappa Athena dalle braccia del sacerdote e la consegna a quei due ceffi. S'è svegliato madido di sudore, il fiato corto e non è più riuscito ad addormentarsi, tanto che durante la messa del mattino gli occhi gli si stavano chiudendo una mezza dozzina di volte. E quel paragone disgraziato ha ripreso a rimbombargli nel cervello.

Sicché, questo Aiolos sarebbe un po' come il nostro Giuda…
Sicché, questo Aiolos sarebbe un po' come il nostro Giuda…
Sicché, questo Aiolos sarebbe un po' come il nostro Giuda…


«Basta!», urla scagliando un piatto contro il muro. «Basta!», prosegue prendendosi la testa tra le mani e continuando ad implorare. «Basta! Basta! Basta…»
Javier non sa cosa fare. Per la seconda volta in vita sua pensa di avere le mani legate, anche se i suoi polsi sono fisicamente liberi. Non di nuovo!, pensa l'uomo avvicinandosi al suo allievo e raccogliendo i cocci dal pavimento di assi. 

Sei anni prima, a settembre, Ruy si era recato al Santuario per rendere omaggio alla reincarnata Athena. E al suo ritorno, a novembre, era trasfigurato. Gli aveva raccontato di Aiolos, del suo tradimento, di come il Sacerdote avesse chiesto a lui, sì, proprio a colui che più lo teneva in considerazione, di farlo a pezzi. E l'aveva colpito, Ruy. Per salvare Athena in fasce, che sarebbe stata presa in consegna da Saga di Gemini, per consegnarla al Sacerdote prima di sparire nel nulla. Aiolos era scappato con la bambina tra le braccia, in una scia di sangue cremisi. Quali che fossero i suoi motivi, Ruy avrebbe dovuto coinvolgere gli altri suoi compagni e non agire da solo, finendo per creare ancora più casino.
Ma Javier non trova il coraggio di commentare.
Può dirgli «Hai fatto l'unica cosa che c'era da fare»?
Lo sa da sé, è per questo che sta ancora così male, dopo tutto questo tempo.
«Se hai così tante energie da sprecare, fila a smaltirle fuori», gli consiglia indicando la porta con un cenno delle spalle e gettando i piatti rotti nell'immondizia. Ruy si allontana dall’acquaio balbettando delle scuse ingolfate e infila la porta di casa senza preoccuparsi di richiudersela alle spalle.
Sì, Javier ha ragione, un po’ di sano esercizio gli schiarirà le idee. E così Ruy corre, salta, sfodera Excalibur e la cala su tutto ciò che il suo sguardo incontra, ancora e ancora e ancora, fino ad averne le spalle indolenzite, il polso che protesta di dolore e il fiato corto.
Crolla in ginocchio, spossato. La neve è fredda e soffice quando vi atterra sopra. È così stanco che crolla addormentato. E rivive la stessa scena, con gran dovizia di particolari.

Luce soffusa. Pareti spoglie, ma accoglienti, intonacate di un caldo arancio. Una tavolata rettangolare coperta da una tovaglia di lino candido.
Pesci arrostiti. Salsa di cetriolo e yogurt. Pane caldo di forno. Uva. E vino rosso in caraffe di terracotta panciuta.
Al centro della tavolata, occupata solo da un lato, il Sommo Sion, con la tunica delle grandi occasioni, la stola in lamina d'oro, la collana di giada e rubini. Alla sua destra, Saga di Gemini con indosso la sua scintillante armatura: l'uomo inviato dal Cielo, il dio incarnato, come lo chiama la gente di Rodrio. Intorno a loro, gli altri Gold Saint: Milo insieme a quello scorbutico di Camus, Aiolia sempre allegro, Aphrodite che rimira la propria avvenenza sul dorso di un cucchiaio, Mask che ha alzato il gomito, Aldebaran che ride e scherza come al solito, Shaka seduto composto alla sua destra, gli occhi sempre chiusi, e Aiolos, alla sinistra del Sacerdote, mentre Mu parlotta in fondo alla tavolata con un uomo che non ha mai visto, ma che suppone essere il Nobile Libra. Doko del Monte Lu. 
Sarà questione di un attimo, ma gli sembra che il Sagittario ricambi allegro il suo sguardo e poi fissi con odio la bambina che ride tra le braccia del Sacerdote.
È bella, dall’incarnato rosa e gli occhi nerissimi, le mani paffutelle attratte dalla collana lucente del Sommo Sion e dai capelli lunghi di Saga.
«Brindiamo alla nostra Dea!», propone il Sommo Sion mentre leva il calice ed affida la bambina ad Aiolos, sancendone la patria potestà ed il passaggio di consegne. Il viso di Aiolos, da sereno e disteso, cambia: aggrotta le sopracciglia non appena le sue dita entrano in contatto con la pelle delicata della bambina, contrae il volto e scurisce la propria espressione. Con un balzo scavalca il tavolo, la neonata che comincia a piangere spaventata, e fissa i suoi compagni, rimasti basiti da quell'atteggiamento.
«Aiolos, che modi sono questi? Così facendo spaventerai la bambina!», lo rimprovera Sion per sondare le sue intenzioni.
La risata di Aiolos è un suono stridulo che gela il sangue nelle vene.
«Questa bambina è un demone! E voi, la vezzeggiate come se fosse Athena?», urla il Sagittario scandalizzato, e alzando la neonata sopra la sua testa fa segno di volerla gettare nel camino scoppiettante.
«Fermo Aiolos!», gli urla il Sacerdote protendendo una mano davanti a sé. Aiolos non risponde e si lancia fuori dalla stanza, la bambina stretta al petto, mentre gli altri Saint restano pietrificati a fissarlo che si allontana nella notte.
«Shura! Vai e salva Athena! Sei l'unico che può farlo, perché sei l'unico a cui la Dea ha donato la Sacra Excalibur!» Ed è a queste parole che lui scatta in piedi, ma i suoi piedi si sbloccano quando Sion aggiunge: «Uccidi il traditore!».

Si sveglia di soprassalto, ansimando, il sudore che gli cola sul viso e sul collo mentre cerca avido quanta più aria i suoi polmoni riescano a trovare. 
Boccheggia, come se fosse una carpa appena pescata che si chiede dove diamine sia finita tutta l'acqua dello stagno. Riconosce la mansarda in cui Javier lo ha sistemato anni prima, il lucernario da cui filtra la luce rossa del tramonto, la cassa dell'armatura, la sua sacca da viaggio e la scala a chiocciola da cui sbuca la testa di Javier.
Come ci sono arrivato?
«Tutto bene?»
Si porta una mano sugli occhi e si lascia cadere di peso sul materasso imbottito di lana.
«Certo che ne hai messi su, di chili! Ho faticato come un dannato per riportati indietro», butta lì il suo maestro sedendosi sullo scrigno del Capricorno. «Hai mormorato per tutto il tempo, sai che allegria? Eppure non hai mangiato tanto da avere gli incubi…»
«Magari fossero incubi», gli confida decidendosi a chiedere un parere.
Prima non l'ha mai fatto. Crede che il Sacerdote parli direttamente per bocca di Athena. E se un uomo così mite e pacato come Sion ha deciso la pena capitale per Aiolos, forse le sue colpe devono essere gravi.
Forse.
Quell'innocua congiunzione gli ha aperto un mare di interrogativi e dubbi, e ha fatto crollare con solo cinque lettere buona parte delle certezze che nutriva nel Santuario e nelle sue regole. Parlarne con Javier gli farà bene, e se non altro lo aiuterà a schiarirsi le idee.


Annoda la sciarpa intorno al collo e calza per bene i guanti imbottiti in tinta. Fuori ha ripreso a nevicare e loro devono arrivare al villaggio in perfetto orario. Meglio avvicinarsi e meglio farlo ben coperti.
«Sei pronto, moccioso? Sei più lento di una donna! Piantala di farti bello, per i miracoli devi andare a Lourdes!», gli dà una voce Javier con le mani sui fianchi e le chiavi della baita che tintinnano. Ruy fa capolino dalla mansarda, la testa all'ingiù.
«Arrivo, arrivo!», e ritrae il capo. Quando scende, è pronto di tutto punto, sciarpa e guanti inclusi. E ha un'espressione meno grave di prima. Sfogarsi gli ha fatto bene, se non altro si è tolto un macigno dallo stomaco.
Anche perché se l'avessi portato da don Julio in quelle condizioni, Lupe mi avrebbe cavato gli occhi, pensa il madrileno.
«Era ora!»
Javier per parte sua non ha potuto che avallare le decisioni prese da Sion: rapire Athena non è un'azione che si può facilmente perdonare. Il Sacerdote ha agito nel giusto, su questo c'è poco da discutere. C'è da chiedersi, gli ha detto Javier, quali siano stati i motivi che abbiano spinto Aiolos ad un gesto tanto assurdo, piuttosto che lambiccarsi il cervello sul modus operandi del Sommo Sacerdote.
«Questa, almeno, è la via più semplice. E siccome non ho sufficienti elementi in mano, mi vieto e ti vieto di addentrarci in quella più difficile», ha aggiunto il madrileno prima di lasciarlo da solo a solo con i suoi pensieri.
Finirò per impazzire!, pensa Ruy uscendo per primo. Fa freddo. Il suo alito caldo condensa in nuvolette di fumo che vanno dileguandosi verso l'alto, mentre Javier combatte con la serratura difettosa della baita.
E pensa che, se non fosse stato per quell'incidente aveva spezzato la sua esistenza tranquilla, adesso se ne starebbe al caldo, a Burgos, assieme ai suoi genitori. Ma invece, per un assurdo capriccio del destino, il treno su cui viaggiava con la sua famiglia era deragliato e lui era rimasto da solo.
E siccome era troppo chiuso e schivo, suor Bertilla l'aveva iscritto ad un corso di nuoto, dove aveva incontrato un atletico ragazzo di venticinque anni che vi lavorava come istruttore. Javier. Che una bella domenica di fine estate si era presentato all'orfanotrofio e l'aveva portato via con sé.
«Avanti, la strada è lunga», dice Javier. «Mettiamoci in cammino.»


Don Julio li aspetta sprofondato nella lettura e nella sedia a dondolo davanti al caminetto. Donna Lupe, indossato un grembiule ancora più candido e con delle applicazioni di pizzo di Fiandra che faceva parte di un lenzuolo del suo corredo mai utilizzato, prende loro i cappotti e li appende nello stenditoio dopo aver tolto loro la neve dalle spalle.
«Che tempaccio! Vi ho preparato i letti. Non penserete di tornarvene indietro con questa neve, vero?», bofonchia dopo essere rientrata in cucina ed aver preso il paiolo direttamente dal fuoco giulivo.
«Lupe, non cominciare a borbottare se non vuoi che i nostri ospiti scappino a gambe levate», le dice don Julio facendo loro posto accanto al fuoco. 
«Davvero? E io metterò una pentola del mio famoso arrosto alla finestra. Voglio proprio vedere se questo giovanotto non si presenta!», ribatte scompigliando i capelli di Ruy con una mano che sa di terra, sole e lavori di casa. «Guardalo qua, Madre Santa! Tutto pelle e ossa! Ma ti danno da mangiare a sufficienza, quei barbari?»
«Lupe, mi duole contraddirti, ma i greci sono tutto tranne che barbari!», la riprende don Julio versando da bere a Javier.
«Oh, al diavolo!», prosegue la donna prendendo il piatto del madrileno e riempiendolo di zuppa di patate. «Barbari o non barbari so solo che questo mio povero ragazzo si sta sciupando sempre di più», conclude versando un porzione doppia di zuppa a Ruy.
«Fosse per te, dovrebbe essere pingue come un maialino da fare arrosto!», le risponde Javier sedendosi a tavola e fregandosi le mani mentre annusa l'odore squisito delle patate che legano con il rosmarino. «Il signorino è un Santo di Athena, Lupe, ricordatelo bene…»
«Ecco, appunto!», e anche Lupe si siede dopo aver servito tutti i commensali. «Ti pare logico che un ragazzino di appena sedici anni passi così il suo tempo? Ti pare giusto? Dovrebbe andare a scuola, come tutti i ragazzi della sua età!»
È una congiura?, pensa Ruy osservando la zuppa che promette di essere tanto rovente ed altrettanto gustosa. E l’arrosto di montone con le patate ha un profumo che arriva a solleticargli l’acquolina con tutto che il forno è chiuso.
«Guarda che Ruy non è un selvaggio! Donna Nahia non ti ha detto che le ho sempre ordinato i libri di testo su cui farlo studiare? O forse, quella pettegola ha omesso questo piccolissimo particolare? No, aspetta, togli pure il forse
«Non è la stessa cosa, e lo sai! Ruy ha bisogno di…»
« Donna Lupe, grazie, ma la mia vita è questa e io sto bene così. Sul serio…»
«Ruy…»
La donna lo guarda perplessa: davvero non vorrebbe passare il suo tempo con gli altri ragazzi della sua età o correre appresso alle gonnelle? Passi la scuola, non ha mai visto un solo ragazzo andarci volentieri, in tutti i suoi cinquant'anni portati egregiamente. Non scherziamo! Tutti quanti preferiscono divertirsi i compagnia degli amici, a cominciare dai nipoti di sua sorella Anna, che vivono a Iruña e pensano esclusivamente ai festeggiamenti per San Firmino. 
Possibile che Ruy non sia interessato ai divertimenti?
Non diciamo sciocchezze! Avrà detto così per non avere grane con Javier. Madrileno maledetto! Ma non sia detto che Maria Lupe Sanchez Mendoza si arrenda e getti la spugna!, pensa osservando quanto quel ragazzino sia cresciuto.

Sorride. Ricorda ancora la prima volta in cui ha visto Rodrigo. 
Javier era tornato da Burgos, con un bambino di sei, sette anni al massimo, che si guardava intorno con gli occhi sgranati dalla paura, le mani serrate entrambe al polso di Javier. Di quel bimbo, che don Iñaki, il predecessore di don Julio, aveva fatto dormire con lei per calmarlo un poco, non era rimasto più niente; forse il colore dei capelli poteva essere lo stesso: corti, scarmigliati dalla brillantina e disposti in tante piccole ciocche disordinate, come se si fosse appena alzato dal letto. Gli occhi si sono assottigliati crescendo, ma lo sguardo tagliente è rimasto, così come l'espressione, spesso beffarda, con cui scruta don Antso e quelle smielate delle sue figliole.
Lupe osserva con gusto e soddisfazione quel giovane lupo spelacchiato spazzolare la razione doppia di zuppa e anche quella di arrosto con le patate. Il sacerdote guarda Ruy mangiare la cena che la sua premurosa perpetua ha preparato apposta per lui.
«Barbari o no, scommetto che te la sogni una cena così ad Atene, vero Ruy?», commenta Lupe facendo la ruota come un pavone.
Sempre la solita!, pensa don Julio bevendo un altro bicchiere d'acqua, ma lascia correre. E gli viene da sorridere al pensiero che quel monello goloso di marmellata di prugne sia diventato un ragazzo. E stia per diventare un uomo.
Lupe si alza per servire la frutta e mentre la crostata di pere sta per fare il suo ingresso trionfale sulla tavola, la porta della canonica si spalanca in un turbinio di neve che si spande con prepotenza sul pavimento, accompagnando i passi del nuovo arrivato.
È coperto da un tabarro grigio scuro, mucchietti di neve sulle testa e le spalle, una sciarpa ruggine a lasciare scoperti solo due penetranti occhi nerissimi. Chiude a fatica la porta, spingendo indietro l'uscio con il proprio peso; quindi resta con le mani appoggiate sul legno ad ansimare, come se avesse la febbre alta. Javier si alza, imitato da Ruy, mentre don Julio se ne resta con il bicchiere a mezz'aria, perplesso, a fissare il nuovo arrivato. Questi, terminato di ansimare, abbassa la sciarpa zuppa di neve da sopra la testa e si volta verso gli altri.
«Roke!» Don Julio lo riconosce. «Che succede?»
«Scusatemi per l'intrusione poco ortodossa e per l'ora tarda, don Julio», si giustifica l'uomo tenendo la sciarpa tra le mani callose, «ma don Antso mi ha mandato a cercare Javier.».
«È successo qualcosa?», chiede il sacerdote, mentre Javier inarca un sopracciglio: l'ultima volta che è stato chiamato dagli abitanti del villaggio è stato quando il farmacista aveva avuto bisogno di alcuni medicinali per curare la bronchite del vecchio don Gaizka, lo scorso Dicembre. E se non fosse stato per don Julio che aveva deciso di fottersene dell'autorità di don Antso, il padre di Nahia se ne sarebbe andato al Creatore insieme a Santa Lucia.
«Sono arrivati due forestieri al villaggio», spiega Roke mentre Lupe gli toglie di dosso il tabarro madido di neve e lo fa accomodare davanti al fuoco. «Pazzesco. Quei due si sono spinti fino al passo, ma non hanno trovato Javier e quindi hanno pensato bene di scendere a cercarlo in paese. Solo che…»
«Solo che… cosa?», lo incalza Javier mentre Roke beve un bel bicchiere di vino rosso. Avere a che fare con don Antso è come scoprire un nido di vespe nel solaio, una di quelle seccature che è bene risolvere in fretta.
«Solo che», riprende asciugandosi la bocca con la manica della giacchetta di velluto marrone, parecchio seccato per quell'interruzione, «quegli stranieri cercavano di te e… Lupe, ma hai fatto l'arrosto? Me ne daresti una bella porzione? Sto morendo di fame! Stavo appunto per mettermi a cenare quando don Antso mi ha spedito a cercare Javier, e sai che fa male bere a stomaco vuoto…».
«Ma se te ne stai attaccato al collo della bottiglia da quando apri gli occhi a quando non li richiudi!», ribatte la donna posando di malagrazia un piatto riempito con un paio di scodellate rase sotto il muso di Roke. «Eccoti lo stufato. E adesso finisci il tuo racconto!»
«Che modi!», si lamenta lui. «Un galantuomo che lavora tutto il santo giorno e che esce con questo tempaccio solo per cercare… costui… non merita maggior rispetto ed educazione?», aggiunge scoccando un'occhiata loquace a Javier.
«Rubagalline dei miei stivali!», sbotta Lupe manifestando una gran voglia di lisciargli il pelo a colpi di matterello. «Con quale coraggio osi definire te stesso un galantuomo? Ci vuole proprio una faccia di bronzo come la tua per osare dire che lavori tutto il santo giorno! Se non gli leccassi gli stivali di quel furfante matricolato di don Antso, staresti ancora ad elemosinare un sorso di vino all'osteria!»
«Lupe!», tuona don Julio. «Adesso basta! Ricordati dove ti trovi!»
«Adesso basta un accidente!», interviene Roke alzando se stesso e la voce ingrassata e arrochita dal fumo. «La signora ha offeso un pubblico ufficiale facente funzioni e veci del pubblico amministratore…»
«Qual è il problema?» interviene Javier posando una mano sulla spalla destra dell'uomo e invitandolo gentilmente a sedersi così come si era alzato. «Non hai svolto alcuna funzione dato che non hai riferito il messaggio per intero, Roke. E se il problema è il tuo onore, porta a termine la tua mansione ed usciamo fuori. Soddisferò ogni tua richiesta di riscatto battendomi con te. Da uomo a uomo.»
Il viso di Roke passa dal rosso pompeiano, al viola scuro, al verde bile; le labbra gli tremano dalla rabbia, ma non osa staccare gli occhi da quelli intensi di Javier, ben sapendo che uscirebbe malconcio da uno scontro contro quel tipo.
«Avanti, Roke… Chi stanno cercando quei due forestieri? Il sottoscritto e…?»
«Un certo Shura. Tu lo conosci?»


 
 

 









Note:  terzo capitolo, giusto in tempo per il Mercoledì delle Ceneri.
Oggi le note sono parecchie, quindi mettiamoci sotto!

Memento homo quia pulvis es et in pulverem revertēris (Gen. 3, 19)
«
Ricorda, uomo, che polvere sei e che polvere ritornerai.»
È la formula con cui il sacerdote posa le ceneri sulla testa del fedele. Ho pensato che in Spagna, freschi freschi dall'uscita dalla dittatura certe usanze, come le formule in latino, fossero dure a morire.

Gernika: meglio nota come Guernica, immortalata da Pablo Picasso nella tela omonima, fu una città scelta come teatro del primo bombardamento a tappeto di un centro civile per piegare le sacche di resistenza durante la guerra civile, nel tardo pomeriggio del 27 Aprile 1937.

Euskal è il termine che i Baschi utilizzano tanto per indicare la propria lingua, quanto la propria appartenenza al popolo basco. Euskadi significa Terra dei Baschi.

Francisco Franco è passato alla storia come Il Generalissimo.

La Navarra, schieratasi con Franco e il suo desiderio di nazionalismo, tagliò di fatto il collegamento tra i Paesi Baschi e gli alleati repubblicani della Catalogna.

Caudillo è l'equivalente spagnolo dei termini Duce e Führer. Deriva dal latino caput, testa, ed indica il capo militare. Francisco Franco fu Caudillo de España, por gracia de Dios, dal 1936 sino all'anno della sua morte, nel 1975. Il termine, usato durante il XIX secolo nell'America Latina, designava i leader populisti che basavano il proprio consenso sul culto della propria persona. Peron, l'altro grande dittatore fascista del XX secolo, in Argentina, volle evitare il termine caudillo, preferendogli l'anglismo lider.

Avevo dato a Ruy una sorella minore, Raquel, che non mi sono fatta scrupoli a cancellare con un colpo di spugna. Troppo piagnisteo scoccia. E siccome io scrivo prima per me stessa, e poi per i cari Quattro Gatti che mi seguono, ho sforbiciato di brutto questo capitolo che minacciava di diventare ingestibile.
La solitudine dei figli unici colpisce ancora. E io vi invidio da morire, sappiatelo!!

El Burgales Compito è l'appellativo di Álvar Fáñez de Minaya, luogotenente e amico del Cid Campeador. E non ce l'ho fatta a resistere oltre: il cognome di Ruy è lo stesso del grande storico e filologo spagnolo Ramón Menéndez Pidal, curatore, tra le altre cose, della prima edizione critica del Cantar de mio Cid e di una serie di articoli, sempre sul Cantar, scritti tra il 1908 e il 1919.
 
 
   
 
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