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Autore: sofimblack    02/03/2017    1 recensioni
Dal II capitolo:
«Vuoi una caramella?»
Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si era presentata né gli aveva chiesto il suo nome. No, lei gli aveva sorriso offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.
[...]Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.
Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi... probabilmente pure questo è un cliché, eppure tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.
La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta per lei tesissima. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre.

Cosa sarebbe potuto accadere se Rae, una ragazza molto "intuitiva" e dal passato difficile, avesse incontrato Elle durante il caso Kira? Forse il finale sarebbe stato diverso...
Beh, spero di avervi sufficientemente incuriositi! Buona lettura ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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III
Death

 



 

Novembre
 

 

R

 

Senza neppure essersi resa conto di come ci fosse arrivata, Rae si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento. Aveva percorso tutta la strada verso casa come in trance, la mente totalmente scollegata dalla realtà. Cosa sarebbe accaduto il 5 novembre? Si tolse rapidamente il cappotto e lanciò le scarpe in un angolo, buttandosi finalmente sul letto. Fece un paio di respiri per tranquillizzarsi. Perché proprio quella data? Eppure era passata da poco… forse a quello strano ragazzo era accaduto qualcosa di significativo il 5 novembre? No, era impossibile,perché lei...
Affondò la faccia nel cuscino. Ok, doveva decisamente darsi una calmata. Eppure il suo intuito non si era mai sbagliato... anche se, lo sapeva, chiamarlo "intuito" era davvero un eufemismo. Quando si soffermava a pensarci - ed accadeva piuttosto spesso, in realtà -ancora non se ne capacitava del tutto, nonostante fossero passati anni. Era una cosa che era iniziata in modo impercettibile e che poi col tempo si era sviluppata. Era una sorta di sesto senso, talmente preciso da potersi chiamare... ma no, era ridicolo. Eppure, era così che si chiamava: preveggenza. Lei riusciva a sapere in anticipo alcune delle cose che sarebbero accadute in futuro e sì, era una cosa totalmente irrazionale e difficile da accettare. In realtà, non era un fenomeno che riusciva a controllare. Non aveva le visioni - nonostante a volte pure i suoi sogni rientrassero tra queste “premonizioni”, anche se più confuse - ma era come se le arrivassero ondate di consapevolezza improvvisa ed assoluta riguardo alle cose future. Aveva notato che in parte dipendeva dalla vicinanza - affettiva o fisica - della persona in questione e, tendenzialmente, non riguardavano lei in primissima persona. Inizialmente erano state delle vaghe sensazioni ma col tempo si erano acuite, diventando di una precisione quasi inquietante. Finché si trattava di cose piacevoli ci aveva fatto meno caso, ma si era accorta che erano soprattutto le sensazioni di morte quelle più esatte. Ovviamente non poteva andare in giro a dire tutte quelle cose, l’avrebbero internata… e, di nuovo ovviamente, si era chiesta più volte se non avesse davvero qualche problema mentale. Beh, poteva essere assolutamente plausibile considerato suo padre, aveva avuto davvero paura di una terribile eredità genetica, per questo si era sottoposta a numerosi test ed esami medici… ma dentro di sé sapeva di non essere pazza, per il semplice fatto che tutto ciò che coglieva aveva poi un riscontro con la realtà. La prima volta accadde col cane che aveva quando vivevano ancora tutti insieme: lei, la mamma, suo padre ed il cane appunto, praticamente un orso nero di 60 chili di circa 4 anni, al quale era terribilmente affezionata. Lei aveva solamente 8 anni. Un pomeriggio le era presa una spiacevole sensazione allo stomaco che non l’aveva più abbandonata, come di imminente tragedia, e così, per una settimana, lo aveva coccolato e straviziato più del solito, passando tutto il proprio tempo libero con lui. Una settimana dopo era morto. Torsione di stomaco. Qualcosa di improvviso, di imprevedibile, che ogni tanto poteva capitare, in modo del tutto casuale. Eppure lei… lei lo sapeva. E, a quindici anni da quell’episodio, ormai aveva imparato a convivere con quel “dono”.

Comunque sia, nonostante tutta l’autoconsapevolezza, non le era mai presa una sensazione di panico così forte a causa di una persona che nemmeno conosceva… perché? Le uniche due cose certe erano il chi, ovvero il ragazzo strano, ed il quando. Fin lì ci arrivava. Ma il cosa, ovvero la parte più importante, le era ancora oscura. Nonostante fosse ancora pomeriggio si addormentò sul suo letto, spossata ed inquieta.

 

10 dicembre

Era passato almeno un mese dal loro incontro al parco. Non aveva più rivisto quel ragazzo, si era come volatilizzato… con un vago imbarazzo lo aveva pure cercato in giro, da vera stalker, eppure nulla, sparito. Nel frattempo, la TV non faceva altro che parlare del caso Kira. C’era chi lo considerava un eroe o addirittura un dio, sceso sulla terra per ripulirla dalla malvagità; c’era chi lo considerava un pazzo assassino, e Rae propendeva di più per la seconda posizione. Ma, che si fosse favorevoli o contrari a questo Kira, non si poteva fare a meno di seguirne le azioni, soprattutto perché adesso era entrato in scena pure il famigerato detective Elle. Geniale. Era riuscito a localizzarlo con una velocità ed una semplicità spaventose. Kira si trovava nel Kanto, in Giappone. 

«…forze di tutto il mondo per acciuffare questo pericoloso criminale chiamato Kira. Non sappiamo ancora come riesca ad uccidere, ma certo la distanza non lo ferma. Nonostante Elle, il celebre e misterioso investigatore che si occupa del caso, lo abbia localizzato in Giappone, sappiamo che è riuscito ad uccidere pure in altre nazioni. Nessun criminale è al sicuro e viene da chied…».

Il telegiornale l’aveva assorbita talmente tanto che lo squillo del telefono la fece sobbalzare. Il telefono. Eccola, un’altra sensazione terribile, di quelle che la immobilizzavano prendendola alla gola. Cosa poteva essere? Era tentata di non rispondere, timorosa di parlare chiunque ci fosse dall’altra parte e soprattutto terrorizzata da cosa le avrebbe detto… era però conscia che le cose non cambiavano certo in base a lei e, come sempre, la volontà di sapere ebbe la meglio. Mentre premeva il tasto verde ebbe come un flash, ed il pensiero andò rapido a suo padre. Kira. Suo padre.

«Pronto?»

La voce le era uscita più ferma di quanto non si aspettasse. 

«Chiamo dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Scunthorpe. Parlo con la signorina Milton Rae?».

Era il carcere di suo padre, o meglio, la clinica di detenzione nella quale venivano spediti i criminali affetti da qualche disturbo psichico  - e che quindi non potevano essere messi in una normale cella. 

«Sì, sono io». Stavolta era stato molto più difficile rispondere; il panico, quello vero, già si faceva strada dentro di lei. Ogni tanto ci sperava ancora che le sue sensazioni si sbagliassero… che inguaribile e stolta ottimista. Stava stringendo un cuscino con forza disumana, le nocche bianche come se da quel gesto dipendesse la sua intera vita, mentre un tremore le saliva piano alle gambe.

«Siamo davvero costernati ma suo padre è morto poco fa. Purtroppo è stato colto da un improvviso attacco cardiaco. L’intera struttura le porge sentite condoglianze e pe…» ma lei non ascoltava più.

Morto.

Era morto. Anche lui era morto.

 



Aveva imparato all’età di 14 anni cosa fosse la morte. La morte era la consapevolezza del mai più, consapevolezza spaventosa che però non arrivava mai fino in fondo, fino a farsi comprendere davvero. Ancora oggi aveva quasi la stupida speranza di incontrare sua madre di nuovo, col suo sorriso dolce e le mani delicate, per andare a fare una passeggiata assieme a lei, dando una forma alle nuvole e parlando come avevano sempre fatto. E adesso… adesso pure lui non c’era più. Suo padre. Un improvviso senso di solitudine la assalì, ma lei non lo riconobbe. In quel momento non capiva nulla, era frastornata, piangeva senza accorgersene. Il caos in testa. In un angolo remoto della mente si rese vagamente conto di aver lasciato cadere il telefono e di essere crollata sul tappeto, spenta. 

Attacco cardiaco.

Kira.


*****************************************************************************

 

Sirene spiegate. Ambulanza. Notte. Il freddo che precede l’alba. Una coperta datale distrattamente. Mani di persone, sballottolata qua e là. Voci, urla, brusio. Dov’era sua mamma? L’avevano portata sull’ambulanza. Dov’era suo papà? Non lo sapeva. Cosa ci faceva, lei, lì? Appoggiare la fronte sull’erba fresca le donava sollievo. Non è colpa mia. Non è colpa mia. NON È COLPA MIA. Sollevata di peso, portiera che sbatte, odore di auto e di sigarette. Dormire. Svegliarsi. Stanza troppo illuminata. Sedia scomoda. Troppa troppa luce.

«Può dirci cosa è successo?»

No, non posso. È troppo orribile, è troppo inconcepibile, è… troppo. Lasciatemi stare, andate via via via. Silenzio. Ho bisogno di silenzio.

 

Suo padre era affetto da schizofrenia. In realtà, aveva cominciato a manifestarne i sintomi anni dopo essersi sposato ed avere avuto Rae, che all’epoca era appena una ragazzina. Inizialmente era stata una cosa impercettibile, facile da camuffare, ma poi era diventata talmente evidente che non erano più riusciti a nasconderglielo. Soffriva di allucinazioni, a volte aveva difficoltà nel coordinare i propri movimenti e gli era diventato sempre più difficile relazionarsi col mondo esterno, perché credeva che tutti lo odiassero e volessero fargli del male. Avevano passato anni a farlo rimbalzare tra casa loro e qualche clinica. In quel periodo sua madre soffriva molto, era evidente, ma aveva cercato di camuffarlo perché doveva essere forte per lui e per Rae, che nel frattempo non era più la bambina socievole e sorridente che era stata un tempo. La malattia continuava a peggiorare, manifestandosi in degli scatti di violenza imprevedibili ma, almeno fino ad allora, piuttosto gestibili. Accadde tutto in una notte di Febbraio. Rae aveva 14 anni e da un po’ di tempo frequentava una compagnia di ragazzi più grandi, il genere di persone dalle quali ci si dovrebbe tenere bene alla larga. Quella sera c’era una festa a casa di qualcuno e lei aveva un’orribile sensazione addosso. Sentiva che non avrebbe dovuto lasciare sua madre da sola con suo padre, ma ancora le era difficile gestire tutte quelle sensazioni e consapevolezze, perciò alla fine c’era andata alla festa, con l’intento di affogare ogni inquietudine nella vodka. Era rientrata ore dopo, la casa silenziosa, la testa finalmente leggera. Poi però aveva visto suo padre, e qualcosa aveva cominciato ad incrinarsi in lei. Lui se ne stava in salotto, raggomitolato in un angolo. Tremava, mormorando cose senza senso. Era accaduto qualcosa di terribile, lo sentiva nonostante lo stordimento provocato dall’alcol. Panico. Col cuore il gola era corsa in camera dei suoi. E l’aveva vista, sul letto sfatto... sua madre. La faccia gonfia e violacea, un cuscino vicino a lei, i segni di una lotta disperata… non respirava più. Qualcosa le si era spezzato dentro, quella notte.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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