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Autore: formerly_known_as_A    02/03/2017    1 recensioni

Ha sempre avuto un bel viso, Ignis, tanto che ricorda di averlo preso in giro più di una volta sullo stuolo di ammiratrici che era riuscito a conquistare, senza volerlo, alla Cittadella. È un volto che non è solo bello, il suo, ma emana una forza particolare, come i re delle leggende.
I suoi occhi sono sempre stati attenti, sempre leggibili, nonostante si vantasse di essere un abile stratega. Non c'era mai stato un momento in cui Noctis non potesse anticipare un rimprovero, una critica o un complimento, perché avevano un modo di muoversi o di socchiudersi particolare, che lo rendevano, per lui, un libro aperto.
Ora sostiene il peso di quello sguardo vuoto soltanto perché sa che non può vederlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ignis Stupeo Scientia, Noctis Lucis Caelum
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non riesce a dormire.

Il paesaggio desertico al di là del finestrino è a malapena visibile, nonostante le luci in corridoio siano ormai fioche, attenuate nelle ore notturne. Si intravede un vasto deserto, lo stesso in cui sembrano aver viaggiato nell'ultima settimana -una sola? Gli sembra troppo il tempo trascorso su quel treno- ma, per lo più, Noctis vede il riflesso delle proprie occhiaie, gli occhi spenti e gonfi, il modo in cui i capelli tendono ormai a nasconderli.

Rispetto al ragazzo partito da Insomnia, si sente più vecchio di un migliaio di anni. Le spalle piegate in avanti, la schiena che tende a chiuderlo, a fargli abbassare la testa, a nasconderlo, contribuiscono a restituire un'immagine che lo fa sforzare, ancora una volta, a guardare l'ennesima roccia in lontananza, l'ennesimo mostro vagante, premendo la fronte contro il vetro.

Ha bisogno di dormire.

È un circolo vizioso. Meno dorme, meno ha bisogno di dormire, più dormire lo angoscia. Il solo pensiero di chiudere gli occhi, sdraiato in una delle cuccette del vagone, gli chiude il petto in una morsa.

Sta mancando bersagli ridicoli e facendo errori, in battaglia, che potrebbero causare la propria morte o quella degli altri, ma c'è un limite alla concentrazione che può chiedere ad un cervello esausto, lo stesso che sembra spegnersi e riavviarsi come un vecchio computer, appena si siede da qualche parte, lo stesso che distorce il poco sonno che riesce a concedersi in uno scenario di morte diverso, ogni volta costringendolo ad un risveglio così brusco da ritrovarsi con l'arma stretta nel pugno.

Ha bisogno di dormire.

Chiude gli occhi e sente che le gambe cederebbero, se non si sforzasse di rimanere sveglio. Basterebbe così poco.

Ma gli incubi che l'hanno tormentato per metà dell'infanzia sono di nuovo così vividi da artigliargli il cuore con le loro dita ossute e Noctis non può permettersi più di dieci secondi di quell'apparente pace.

Riapre gli occhi, il respiro che ha appannato il vetro e gli impedisce di guardare al di là dei binari.

Sospira.

Vorrebbe poter pensare che c'è peggio. Vorrebbe indossare l'anello di suo padre ed essere, magicamente, saggio ed impenetrabile, pensare soltanto al bene degli altri, sacrificarsi, anche, per un bene maggiore, per Lucis, per chi si aspetta da lui un sovrano alla pari del padre, se non migliore.

Prova a pensare che c'è di peggio. Ma chiude gli occhi e rivede il viso di Luna, una rosa di sangue sul ventre e gli occhi chiari che si fanno vuoti, i polmoni che si riempono di acqua, annaspa, getta le mani per afferrarla e non ci riesce. Annega.

Noctis annega ogni notte.

E ogni notte gli occhi di Luna -azzurri, ma non dell'azzurro calmo e determinato che conosce, più come la superficie di una lama, un ricordo lontano e freddo- lo guardano, accusatori, carichi di una lista di se e di ma che gli bloccano il respiro.

C'è di peggio. Ci sono persone che hanno perso il padre come lui, ci sono persone che hanno perso la donna che avrebbero dovuto sposare, ma non tutti ne sono responsabili.

Se fosse rimasto ad Insomnia... sarebbe morto. Sarebbe morto, ma l'avrebbe fatto da sovrano, a testa alta. Avrebbe sacrificato amici e l'ultima debole parte di famiglia che gli rimaneva, ma forse avrebbe cambiato le cose?

Non ne è certo, qualunque cosa ne dica Gladio.

Si accorge di star stringendo la stoffa della maglia, sul petto, solo quando le giunture scricchiolano in modo inquietante.

Rilascia un respiro che non sapeva di aver trattenuto e si allontana dal cerchio di vetro appannato di cui è causa, prima di sfregarsi gli occhi e scuotere la testa.

Percorre il corridoio fino alla cuccetta ed esita solo un momento, prima di far scorrere la porta di fronte a sé. Spera che, vista l'ora improbabile -e le notti sono sempre più lunghe, rendendo il senso di giorno un ricordo vago- tutti stiano dormendo, ma gli basta un'occhiata per sentire le spalle di nuovo pesanti e il bisogno di chiudersi in se stesso più forte che mai.

L'interno è buio, ma riesce a vedere, in controluce, soltanto la figura di Ignis, seduto sul proprio letto, le mani posate sulle ginocchia, strette intorno al bastone ripiegato che usa per orientarsi.

Sente il respiro ridursi ad un fischio doloroso e, per un momento, pensa di arretrare e far finta di non essere mai tornato in cabina, ma l'uomo volta la testa verso di lui e Noctis si sente in trappola, i polmoni in fiamme per il respiro che trattiene ancora, il senso di colpa che pesa come un macigno sulla sua schiena.

Anche questa è una sua responsabilità.

Non minore, rispetto alla morte di Luna, forse persino peggiore. Perché Ignis è vivo, ma cieco. E lo sarà sempre. E Noctis ancora non ha ripreso fiato e i polmoni sembrano volergli esplodere ma è quello che si merita, quello che si merita perché gli occhi di Ignis erano tutto e lui è stato così stupido, così irresponsabile, così poco regale.

“Noct?”

La voce di Ignis è cambiata. La sicurezza ostentata, il modo in cui non poteva fare a meno di arricciare le labbra nel pronunciare qualche frase estremamente saggia o estremamente stupida, sembra tutto così lontano... la nuova voce di Ignis è fragile come vetro.

“Mi vedi?” chiede Noctis, non rendendosi conto del rantolo che voleva essere un tono sicuro e non uno squittìo appena udibile. È stupido chiedere una cosa del genere e il ragazzo lo sa, ma non può farne a meno, perché, nonostante tutto, la speranza che Ignis torni a vedere è una presenza costante nel suo cuore, l'unica cosa che gli permetterebbe di perdonarsi.

Ignis scuote la testa e il principe si lascia cadere, seduto, sul letto di fronte a lui.

Apre la bocca per scusarsi, ma alzare la testa ed intravedere le cicatrici gli ruba di nuovo il respiro.

Ha sempre avuto un bel viso, Ignis, tanto che ricorda di averlo preso in giro più di una volta sullo stuolo di ammiratrici che era riuscito a conquistare, senza volerlo, alla Cittadella. È un volto che non è solo bello, il suo, ma emana una forza particolare, come i re delle leggende.

I suoi occhi sono sempre stati attenti, sempre leggibili, nonostante si vantasse di essere un abile stratega. Non c'era mai stato un momento in cui Noctis non potesse anticipare un rimprovero, una critica o un complimento, perché avevano un modo di muoversi o di socchiudersi particolare, che lo rendevano, per lui, un libro aperto.

Sostiene il peso di quello sguardo vuoto soltanto perché sa che non può vederlo.

Vorrebbe piangere, ma l'ha già fatto. Ha urlato, nascosto nella stiva di quel treno, rannicchiato in un angolo perché si era sentito crollare molto prima, ma non aveva osato e tutto gli era caduto addosso insieme.

Si sente vuoto e, allo stesso tempo, ha troppo dolore nel cuore per esprimerlo davvero.

Nota il movimento delle dita di Ignis prima ancora che lui si schiarisca la voce, i cerotti sulle dita della sinistra come risultato dei suoi tentativi falliti di cucinare di nuovo. Gli sembra di soffocare, ma le segue e non si ritrae nemmeno quando restano sospese a pochi centimetri dal suo volto.

“Posso guardarti?” mormora, la voce di nuovo debole, come se non osasse alzare il tono.

Lui che ha tenuto testa ai suoi capricci da principe, mostrandosi più maturo nel modo in cui li aveva affrontati, senza farsi minimamente scalfire dal suo status, sembra improvvisamente insicuro, fragile.

Noctis gli prende la mano quando ormai è passato abbastanza tempo da fargli pensare di essere uscito dalla cabina e, senza volersi fermare per esitare ancora, se la posa sulla fronte, avvicinandosi abbastanza da non fargli tendere troppo il braccio.

Ha un sussulto, sentendo le dita appoggiarsi alla pelle, ma lo trattiene per i polsi quando sente che preferirebbe ritrarsi e subito quelle tornano, più sicure, ma non meno tremanti.

Gli traccia le curve della fronte e delle sopracciglia con i pollici e Noctis pensa, stupidamente, che sembra abbia più dettagli di quanti abbia mai considerato. Lo sente insistere sulla cicatrice nascosta dalle sopracciglia, quasi sulla tempia e lo vede distendersi in un sorriso. All'improvviso è troppo e gli occhi si chiudono per non vedere più, l'oscurità che lo ingoia come sott'acqua, soffocandolo.

Posa le mani, speculari a quelle di Ignis, sul suo viso, chiudendogli le palpebre come se potesse vedere e metterlo in imbarazzo.

È difficile concentrarsi sulla forma di un viso, quando si hanno altre mani addosso che cercano di indovinare la forma del proprio. Ed altrettanto difficile è sfiorare le cicatrici, quelle più grandi sugli occhi -Ignis non gli ha raccontato nulla, ma la sensazione liscia della pelle bruciata racconta, in parte, cosa sia successo davvero- e quelle più piccole, sul labbro, sul naso.

Sorride appena, sentendo la piccola gobba che rende il suo naso un po' imperfetto, ma riconoscibile e mantiene il sorriso quando sale con le dita ad osservarlo, sorridendo di rimando.

Non è metodico come Ignis, salta da un dettaglio all'altro, da un segno all'altro del suo viso, ma funziona, perché il suo viso compare sotto le sue dita e Noctis può illudersi che anche per l'uomo sia lo stesso.

“Sei senza ombra di dubbio un principe.” sussurra Ignis, sfiorandogli con i polpastrelli le labbra socchiuse, mentre Noctis vorrebbe solo dirgli di non parlare più, che la sua voce è troppo strana, al limite, che non può sopportarlo.

Ad occhi chiusi, però, sfiora la punta del naso e la mandibola definita, scivolando sui punti in cui sa che ci sono dei piccoli nei, senza riuscire a sentirli sotto le dita. Si chiede cosa farebbe, al suo posto, rinchiuso in un luogo scuro, senza la possibilità di guardarlo ancora e al principe manca il respiro.

“Somigli tu ad un principe.” mormora Noctis, il respiro di Ignis sulla guancia e le dita ferme sulle sue palpebre. “E non solo per questo saresti migliore.”

Sente le sue mani tremare, il respiro che esce a fatica e tutta la sua determinazione che crolla come un debole castello di sabbia in balia del vento.

Le lacrime lo allarmano, ma non riesce ad aprire la bocca ed emettere un suono sensato, perché, quasi fosse un bambino, si ritrova a piangere di riflesso, quando non pensava di esserne capace.

Scivola con le dita tra i suoi capelli e si lascia cadere sull'altro letto, portandosi Ignis addosso, nascondendoselo nel collo mentre singhiozza.

Non dice nulla, le dita fasciate aggrappate alla sua maglietta.

Qualsiasi rassicurazione sarebbe per se stesso.

Qualsiasi frase fatta, qualsiasi scusa, suonerebbe falsa.

Perché capisce ma non sa nulla. Capisce che del suo stratega, del suo cuoco, del suo attendente, non è rimasto altro che un guscio fragile, pronto a crollare su se stesso.

Di fronte non ha altri che Ignis, improvvisamente privo della vista, ma abbastanza testardo da sperare, da pensare di poter rimediare impegnandosi, come ogni volta.

E capisce l'isolamento, la paura, la frustrazione che lo spingono a stringergli la maglia fino a sbiancarsi le nocche, ma non può sapere, non davvero.

Allora si accontenta di rinchiuderlo in un bozzolo di braccia e chiudere gli occhi, immergendosi nel suo stesso mondo scuro, ma tenendolo abbastanza saldo da non lasciarlo sprofondare.


   
 
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