Ballo di gala a Death City
Villa
Kid è situata nello Yorkshire, nella piena brughiera
inglese. Posto solitario, se non fosse per la piccola cittadina di
recente
costruzione che vi è stata eretta; Death City.
C’è chi dice cha sia stato lo stesso
Shinigami a fondare il villaggio,
ma Blackstar è sicuro che non sia così
perché qualche conto lo sa fare – pochi
– e in quanto muratore sa quanto ci voglia a costruire anche
solo un piccolo
edificio. È indubbiamente impossibile aver fatto tutto da
solo. Quello che non
coglie è ovviamente il significato simbolico per il quale
lord Shinigami viene
definito il fondatore della cittadella.
Si dice che ultimamente il Lord sia in vacanza, in ogni caso suo figlio
dirige
magistralmente gli affari commerciali, tanto che ha addirittura tempo
per
organizzare feste d’élite in casa sua,
indubbiamente sotto le pressioni della
moglie, Liz, e della cognata, la piccola Patty.
Blackstar
vorrebbe maledire Kid, lui e il suo invito
cartaceo; grafia elegante – un inchiostro senza dubbio
costoso - sopra un
cartoncino dai bordi color oro, neanche
fosse l’invito al suo matrimonio. No, in quello vi era
addirittura il sigillo
di Lord Shinigami.
Soprattutto vorrebbe maledire sé stesso per aver accettato.
In ogni modo
Blackstar non aveva neanche fatto finta di saper leggere, si era
presentato a
casa sua, quella che ormai Kid condivide con Liz, e sorpassando con una
spallata l’inserviente “che minchia è
sta lettera?” aveva
chiesto, strillando in mezzo al salotto
e facendo saltare sul posto il povero Kid intento
nell’eseguire un ritratto dal
vivo. Liz gli era scivolata affianco poco dopo, sorridendo in modo
enigmatico,
Kid si era passato le mani nei capelli, poi - pentito -
li aveva rimessi in perfetto ordine. In poco
tempo gli era stato spiegato il tutto.
La situazione è dunque davvero questa, è
successo; è stato invitato al suo
primo ballo di gala. Se ne sta lagnando proprio con Soul, facendo
penzolare le
gambe nel fiume, i pantaloni ruvidi e sporchi di terra arrotolati sui
polpacci
forti. Non sa
neanche cosa significhi
“gala”.
Soul sbuffa, pensa che la deve smettere di passare il suo unico giorno
libero
con Blackstar se quello non fa altro che lamentarsi, ma non lo
contraddice.
“Che poi” continua Blackstar, mentre dietro di loro
sentono passare un’altra
carrozza. Il rumore degli zoccoli del cavallo e delle ruote che si
trascinano
sul sentiero in ghiaia copre un po’ le sue parole; non si
premura di aspettare
il passaggio, alza solo di più il tono di voce per farsi
sentire: “mica ho
bisogno di trovarmi una moglie, io. L’ho capito a che servono
questi balli eh,
non sono mica stupido”.
Soul vorrebbe rispondere che un po’ lo è,
perché nonostante siano nel 1843 e
l’analfabetismo sia una condizione diffusa, a tutti loro
è stato insegnato di
firmarsi con una bella “x”, quando serve, ma
Blackstar si impunta nel voler
siglare tutto con una stella. Conferma di sentirsi più
originale, nel farlo.
Per tutta questa serie di pensieri Soul non risponde, appoggia la
schiena per
terra, con le braccia dietro la testa e non lo contraddice neanche.
8.40
p.m. 12 Settembre 1843, villa Death the Kid
Sì,
se lo sta chiedendo. Picchietta con la scarpa laccata
contro il pavimento, impaziente, forse innervosito, sicuramente non a
suo agio.
Ha un bicchiere pesante tra le dita, lo ha tirato su dal vassoio del
cameriere
appena passato, e senza dire nulla, con la testa reclinata
all’indietro e i
capelli a fargli solletico sulla fronte, ha mandato giù
tutto il contenuto,
increspando le labbra per il forte sapore amaro. Le bevande offerte dal
signor
Death the Kid, padrone di casa, sono indubbiamente forti. Lo sa,
perché è il
vino della bottega Evans. Ha aiutato lui stesso Soul, quella mattina, a
portare
quattro barili pieni alla villa.
Se lo sta chiedendo, se sia il caso di sfilarsi di dosso quella
giacchetta, che
gli sta un po’ troppo stretta sulle braccia, cosa che lo fa
sudare nonostante
non siano ancora iniziati i balli. Oltre a ciò, la trova
decisamente orribile,
lunga dietro si accorcia sul davanti, con tre grossi bottoni per lato.
Almeno è
riuscito ad evitare che Sid gli prestasse il fazzoletto blu da annodare
al
collo, a quel punto non ci sarebbe neanche venuto, a quel dannato
ballo.
Grugnisce verso un uomo che lo sta osservando da troppo, con un
cipiglio che
gli fa formicolare le mani dal fastidio. Stringe più forte
le dita sul
bicchiere ormai vuoto e vaga con gli occhi assottigliati tra la folla,
alla
ricerca di un posto dove appoggiarlo. Non trovandolo si dirige proprio
verso
l’uomo che continua a soppesarlo con lo sguardo. Improvvisa
un sorriso, che
senza dubbio sembra più in ghigno e allunga la mano, con il
bicchiere, verso il
suo viso.
“Tieni qua” dice solo, allargando ancora di
più le labbra, sinceramente
divertito questa volta, osservando le palpebre dell’uomo
alzarsi completamente
e gli occhi nocciola mostrarsi, più di prima. Lo ha talmente
preso alla
sprovvista, nel rivolgergli la parola, che l’uomo ha
afferrato il bicchiere con
un sussulto, come di riflesso, evidentemente così sorpreso
da sfociare
nell’imbarazzato. Blackstar non si ricorda mai di dare del
“voi” a chi non
conosce, ma questa volta lo ha fatto quasi di proposito.
Approfitta delle mani ora libere per portare le braccia dietro la
schiena e
iniziare a sfilare le maniche della giacca, sbuffando per la
difficoltà nel
togliersela; troppo stretta.
Il suo patrigno, Sid, non doveva essere molto grosso alla sua
età. Quando
riesce nell’impresa e solleva lo sguardo, il signore davanti
a lui non si è
ancora mosso; tiene le dita salde sul vetro del bicchiere appena
cedutogli e
sbatte piano le ciglia sugli occhi. Blackstar appoggia la giacca sul
corrimano
della scala, non preoccupandosi del fatto che non sia quello il posto e
che
l’attaccapanni si trovi davanti all’ingresso, solo
oltre la seconda sala.
Soffia un ciuffo di capelli azzurri lontano dal volto e poi posa la
mano sulla
spalla dell’uomo.
“Grazie” ghigna tra i denti, sinceramente
compiaciuto e felice di essersi
liberato dell’impiccio del bicchiere e di quello della
giacca. Poi gira i
tacchi, fa per infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, scoprendo
che non
le ha – deluso, le allaccia dietro alla schiena – e
si dirige nell’altra sala,
volenteroso di incontrare Kid e Liz.
È venuto al ballo solo perché Kid l’ha
pregato, dicendo che erano mesi che Liz insisteva
con il voler far conoscere a lui e Soul due ragazze. Blackstar spera
solo di
finire presto la faccenda, perché i balli lo annoiano a
morte e di trovarsi una
moglie non ne ha neanche idea.
L’unica cosa divertente è infastidire i ricchi
gentiluomini con la sua
sfrontataggine e far arrossire le donnette con commenti vivaci troppo
ad alta
voce. Se deve ammetterlo, in realtà, gli piace anche il modo
in cui tutti sono
costretti a fissarlo mentre passa, perché uno con i capelli
di quel colore e
scombinati come i suoi, non l’hanno di certo mai visto.
“Fighetti” mastica tra i denti, osservando i
fiocchi di velluto che tengono
legati in una coda bassa i capelli di molti uomini presenti nella sala,
quelli
che non indossano parrucche almeno. I ricchi non gli sono mai piaciuti,
forse
può fare eccezione solo Kid, perché lo conosce da
anni ed è il suo più caro
amico – insieme a Soul – ma di certo, non limita
per questo le battutine
sarcastiche nei suoi confronti.
Effettivamente
a pensarci bene non c’era bisogno che entrasse
nella sala dondolandosi sul lampadario – cosa che Soul gli
aveva sconsigliato –
perché tanto attira la maggior parte
dell’attenzione già così, solo
facendosi
largo tra la folla. In ogni caso, meglio conoscere la fantomatica
ragazza con
cui Liz vuole combinarlo al più presto, perché sa
che se ne resterà buono
ancora per poco; sente già i muscoli iniziare a formicolare
dalla voglia di
muoversi e fino ad ora è stato fin troppo discreto e
silenzioso.
No, decisamente non riuscirà a rimanere così
tranquillo a lungo.
Le presentazioni avvengono con un certo trambusto. Blackstar
ha trovato Soul, in mezzo a tutta quella folla, giusto da qualche
minuto e già
gli sta urlando nell’orecchio il suo disappunto nei riguardi
dell’acconciatura
(no, non è possibile che si si tirato i capelli
all’indietro). Liz, a braccetto
con Kid e trascinando – letteralmente – con la mano
libera una seconda ragazza,
li saluta proprio nell’attimo in cui Blackstar è
riuscito a mettere mano sui
capelli di Soul e scombinarglieli prepotentemente, con una certa
insistenza e
assenza di tatto che è suo tipico.
I due ragazzi si ricompongono, mettendosi sull’attenti, solo
appena vedono la
seconda ragazza. Ritto in piedi, con le mani rigide lungo i fianchi,
Blackstar
si zittisce, in un impeto di educazione, mentre Liz strattona
più forte il
braccio alla ragazza, che è costretta ad alzare gli occhi,
grandi e verdi, e
guardare in faccia i due giovani di fronte a lei, trattenendo un
piccolo
sbuffo.
“Signor Blackstar, lei è la signorina Maka Albarn,
che ne dite di offrirle un
ballo?”. Liz, molto educata, come sempre, ma estremamente
esplicita e
persuasiva. La persuasione sta tutta nel fatto che ha praticamente
messo la
mano sottile di Maka su quella di Blackstar e che li sta spingendo
verso il
centro della sala.
Il ragazzo è talmente sconvolto che si limita a voltare la
testa all’indietro e
guardare stralunato Kid, che in risposta gli alza due
pollici.
“Siete
pronta, signorina?”.
Esattamente; si sta impegnando ad utilizzare il
“voi”, giusto perché, anche se
la giovane donna che ha davanti non è per nulla il suo tipo,
sente qualcosa di
buono in lei, che gliela fa addirittura stare simpatica. Questo non lo
dice,
però, e non lo dirà neanche in futuro, preferendo
tirarle leggermente un codino
e ricevere una gomitata nello stomaco, coperta da un finto passo di
ballo.
Strabuzza gli occhi, preso alla sprovvista, e pensa che forse no, non
avrebbe
dovuto trattarla con tanto rispetto. Le afferra la mano, per impedirle
di
picchiarlo ulteriormente e per non essere lui stesso tentato di tirarle
ancora
un codino. “Stavo dicendo”, le pesta un piede,
sorride invece di chiedere scusa
– Maka si limita a grugnire e guardarlo male da sotto la
frangetta – “siete
pronte per il mio brillante discorso?”.
Blackstar sta masticando quell’idea da un bel po’,
dopotutto è stato Kid a far
scattare la scintilla nella sua mente.
“Blackstar, ho invitato personaggi
molto
importanti a questo ballo, approfittane per fare colpo sul qualcuno e
riuscire
a farti assumere per qualche impiego”.
Sbatte
le palpebre, due volte, con un piede già sul tavolo,
l'altro ancora a terra, la gamba stesa. Posizione scomoda per qui
pantaloni
eleganti, di certo non elasticizzati, che si alzano rivelando calzini
azzurri
oltre le scarpe laccate.
La cosa passa in secondo piano, perché Blackstar si
è fermato dal salire sul
tavolo e introdurre un discorso di presentazione, al fine di farsi
conoscere
velocemente da tutti gli invitati, non perché Maka gli sta
tirando la camicia,
prendendolo dalla schiena, e non per i suoi insulti soffiati tra le
fessure dei
denti. Blackstar si è fermato, perché ha visto
Soul avvicinarsi e accanto a lui
- sbatte ancora le palpebre, lentamente - una certa ragazza,
imbarazzata, con
la testa bassa e un piccolo sorrido dolce, seminascosto. Tira
giù la gamba,
dimentico dei suoi propositi, con grande sollievo della signorina Maka
Albarn -
già con una tempia estremamente pulsante e gli occhi ridotti
a fessure. Si
passa le mani sul petto, facendole scorrere verso il basso, con il
goffo
obbiettivo di stirare un po' le pieghe della camicia, ormai sbottonata
fino
alla seconda asola, colpa del caldo che segue certi balli. "Andiamo"
dice solo, e Maka non fa neanche in tempo a chiedere dove, che
Blackstar è già
davanti alla nuova ragazza, con le mani sui fianchi, il petto ampio e
la bocca
ghignante. Soul fa in tempo a dire "merda, no", Maka a raggiungerli,
Tsubaki ad alzare piano il viso da terra; Blackstar apre la braccia,
indifferente al fatto di aver appena urtato qualcuno nel gesto, e mente
guarda
negli occhi scuri quella ragazza fine, dai tratti orientali e le iridi
luminose, ancora troppo coperte dalle ciglia, finalmente: "mi chiamo
Blackstar!" sputa fuori, in un urlo agguerrito e fiero. Tutti nella
sala,
lo sentono. Il fatto che nessuno gli abbia chiesto come si chiami
è per lui
irrilevante.
Le afferra il polso, sotto lo sguardo di tutti i presenti che si sono
appena
voltati, e se la tira addosso. La musica del pianoforte e dei violini
non è
cessata, immobile è invece il chiacchiericcio che animava la
sala
precedentemente.
"Balla con me" dice, stirando le labbra così tanto che quasi
rischiano di spaccarsi. Forse succede, perché le ha sempre
troppo screpolate a
causa del vento. Allora si passa sopra la lingua, sentendo il lieve
sapore del
sangue dovuto a un taglio appena formatosi, come previsto. Alla ragazza
di
fronte a lui tremano le palpebre mentre segue il movimento accurato
della
lingua.
Intorno a loro, piano piano, le chiacchiere si rianimano. Immobili sono
Maka e
Soul, la prima sconvolta, il secondo meno, ma infinitamente rassegnato
e quasi
infastidito, perché quella bella ragazza prosperosa non gli
dispiaceva affatto.
"Va bene" risponde, quella che sappiamo essere Tsubaki, ma a cui
Blackstar non ha ancora chiesto il nome. Lo farà, tra poco,
per ora è troppo
incentrato a godersi le vibrazioni della sua voce e il moto interiore
che gli
provocano. Perfino Soul, affianco a loro, si meraviglia; lui, in venti
minuti
non era ancora riuscito e cavarle una parola di bocca.
***
È
il terzo bicchiere di vino, quello di Soul. Ormai lo manda
giù come acqua, dopotutto beve il vino della sua bottega da
quando ne ha
memoria e anche se gli altri dicono che sia particolarmente forte
(Blackstar,
ad esempio, quando finisce il secondo bicchiere è
più che brillo), a lui non fa
più particolarmente effetto. Per questo, pensa di puntare
anche al quarto,
dopotutto da quando Blackstar gli ha trascinato via la ragazza con cui
Liz
voleva felicemente accasarlo, si sta annoiando a morte.
Poi c’è quell’altra ragazzetta, quella
che sembra più piccola ma Liz giura
abbia solo un paio di anni meno di lei. Soul non vorrebbe ammetterlo,
ma l’ha
colpito, forse per il modo in cui teneva Blackstar per la camicia,
senza un
minimo di paura, con le guance gonfie e gli occhi infuocati, quando
stava
cercando di impedirgli di salire sul tavolo. È tutta la
serata che la guarda,
mentre parla con Liz e non accenna minimamente a voler unirsi al ballo.
Ogni
tanto ha voltato i grandi occhi nella sua direzione, assottigliandoli
ogni
volta che incontrava il suo sguardo e girandosi dall’altra
parte, scontrosa per
chissà quale motivo.
Appoggia la schiena contro la parete e mordicchia con i denti il bordo
duro del
bicchiere. Gli piacciono, quei codini che ha ai lati della testa e il
modo in
cui li fa ondeggiare, quando discute più animatamente. Il
vestito che indossa è
molto simile a quello della altre donne presenti nella sala. Arriva
fino a
terra, tanto da permettere di vedere solo la punta delle scarpe. Le
maniche si
gonfiano sulle spalle, per poi stringersi sotto di esse. Finiscono
all’incirca
ai gomiti, con un piccolo bordo in pizzo. La vita è
sottilissima, stretta
ancora di più in un corpetto indubbiamente scomodo, che
culmina con un grosso
fiocco alla fine della schiena. I due lembi del fiocco si appoggiano
morbidi
sulle natiche. Soul rimane un po’ troppo a fissare proprio
quella curva della
schiena e il modo in cui oscillano le estremità del fiocco
verde, come se le
accarezzassero il sedere tondo, ad ogni movimento. Peccato solo, che
non abbia
il magnifico seno dell’altra ragazza.
Sbatte piano la testa all’indietro, contro il muro, mentre
scivola con lo
sguardo sulla scollatura quadrata del vestito di quella signorina
Albarn,
sospirando rassegnato nel non trovarci minimamente qualcosa di
interessante.
***
Tsubaki
non si è mai sentita tanto imbarazzata in vita sua.
Il ragazzo non segue i classici balli; le stringe entrambe le mani sui
fianchi,
non le fa fare piroette e giri, ma si limita a tenerla incollata al suo
corpo,
in una vicinanza che fa sussurrare le donne affianco a loro e alzare i
sopraccigli agli uomini. Non stanno neanche andando a ritmo, spesso lui
le ha
pestato i piedi e ha sorriso invece che scusarsi – a Tsubaki
va benissimo così
– e più volte l’ha sballottata
distrattamente contro qualcuno dietro di lei,
ridendo rumorosamente in risposta.
I
mille scusa farfugliati al posto di entrambi e lo sguardo basso non
bastano a
farla sentire meno a disagio, in ogni caso.
Inspira l’odore forte che quel ragazzo emana e non riesce a
non far volare lo
sguardo sulla porzione di petto lasciata scoperta dalla camicia o le
maniche
arrotolate in modo trasandato fino ai gomiti. Non ha neanche mai visto
qualcuno
di così spettinato, con i capelli che puntano più
al lampadario che ai loro
piedi, ma deve mordersi l’interno della guancia per evitare
di allungare le
dita, che tiene allacciate dietro al suo collo – è
stato lui a metterle le
braccia in quella posizione – e non accarezzargli i ciuffi
azzurri.
“Signor
Blackstar, ma voi non dovevate invitare a ballare la signorina
Maka-chan?”
soffia tra
le labbra, alzando di poco le palpebre, giusto per guardarlo un attimo
negli
occhi e poi riabbassarle, arrossendo per la vicinanza al sorriso di
lui. Le
dita si sistemano meglio sui suoi fianchi, facendole trattenere per un
attimo
il respiro.
“Io non ho doveri, non devo fare nulla che non mi vada,
Tsubaki”.
Da sotto le ciglia contempla il suo sorriso perennemente esposto,
enorme, e per
la prima volta si sente incredibilmente attratta dalla risposta che gli
è stata
rivolta. Non avrebbe mai pensato, lei, di rispondere in quei termini.
Blackstar però non ha finito; vede le sue labbra secche e
arrossate muoversi
ancora, parlando e solleticandogli il mento con il fiato –
giusto perché il
ragazzo è poco più basso di lei.
“Per esempio, non siamo mica obbligati a rimanere qui; questo
ballo di merda mi
sta stufando”.
Se la allontana un poco dal corpo, in un gesto così veloce e
poco delicato che
Tsubaki finisce per mordere troppo forte la carne tenera della guancia
che teneva
intrappolata tra i denti.
“Uh” dice solo, sorpresa, quando lui le afferra di
nuovo il polso, come quando
l’aveva trascinata via dal signor Evans poco tempo prima.
È costretta a
guardarlo negli occhi ora, perché non può evitare
il suo sguardo per sempre.
Ci sarebbero un po’ di cose da dire, sulla signorina Tsubaki
e la famiglia Nakatsukasa,
in questo momento della storia. Ad esempio, il fatto che la dolce
Tsubaki sia
stata abituata alle buone maniere fin da piccolissima, ad abbassare il
capo e
salutare cordialmente gli uomini più grandi di lei, a
mantenere una voce dolce
e disponibile in qualsiasi circostanza, a rispettare i buon costumi,
non
mettere corpetti troppo scollati e tenere sempre legati i capelli, in
acconciature spesso anche fastidiose . Forse non lo ha mai ammesso a se
stessa,
ma sì, certi balli, certe feste e cene di gala sono spesso
una rottura. Per
questo sente uno sfarfallio nello stomaco mentre guarda gli occhi verdi
di quel
ragazzo per nulla educato, le pupille dilatate in attesa di una
risposta di
consenso – accettare di allontanarsi con lui dalla festa- e il riflesso dei lumi del
lampadario tra una
striatura e l’altra dell’iride. La mano che le
stringe il polso le brucia
terribilmente, perché è come se gli stesse
imprimendo un segno nella carne,
fino al sangue che scorre veloce sotto la pelle delicatissima del polso
sottile. Inspira, in qualche strano modo spera gli entri nelle vene
tutto quel
calore.
È
andata al ballo pensando di poter trovare un marito perbene,
obiettivo consigliatogli dalla madre sulla porta di casa, mentre le
sistemava
una ciocca sfuggita all’acconciatura. Questo tipo, che non ha
neanche avuto
bisogno di una qualche risposta verbale, ma che ha solo riso di fronte
al suo
sguardo e ha capito, trascinandola
verso la porta d’ingresso, non coincide per nulla con
l’idea di marito che si è
sempre creata in testa. Non fa in tempo a salutare né Maka
né i padroni di
casa, nota solo Soul guardarli con un sopracciglio alzato e un sorriso
storto,
prima di ritrovarsi fuori, nel giardino di villa Kid, con uno strano
affanno
nel respiro.
“Ma dove andiamo?”. Ha dimenticato lo scialle
sull’appendiabiti e per qualche
strana ragione il pensiero la fa sorridere, perché non le
importa davvero.
Il ragazzo ha un passo eccessivamente veloce e troppa energia in corpo.
Gli è
scesa una manica della camicia, prima arrotolata fino al gomito.
“Vuoi fare il bagno nel fiume?” chiede. Poi le
lascia il polso, sicuro che ora
non scapperà e si accovaccia a terra per sfilarsi le scarpe.
Da quello che sta
iniziando a capire di lui, Tsubaki sa che non si aspetta una risposta;
la dà già
scontata. Blackstar si desta in piedi in poco, quasi rischiando di
sbattere con
il cranio contro il mento di Tsubaki, che si era sporta un pochine per
sbirciare – oltre i suoi capelli ingombranti – cosa
stesse combinando. Con le
scarpe e i calzini tenuti in una sola mano e i piedi nudi
sull’erba, inizia a
correre, urlando qualcosa di strano, che lei interpreta come una sorta
di
invito.
La ragazza alza il volto verso il cielo nerissimo e distrattamente
pensa che
tra poco verrà a piovere. Dalla casa, enorme e illuminata
alla sue spalle, si
sente leggera la melodia del pianoforte.
Dopotutto, queste feste annoiano a morte anche lei. Sorride, lo segue.
Tsubaki
racconterà a Maka del bagno nel fiume solo il giorno
seguente. Si imporporerà ad ammettere che sì, era
solo in camiciola, davanti ad
un Blackstar già immerso nell’acqua fino al naso,
con gli occhi che gli
ardevano e sembravano bruciarle ogni centimetro del corpo.
Che poi, sarebbe quasi d’obbligo aprire tutta una parentesi
dedicata alla
camiciola di Tsubaki e la grandiosa idea, quella sera, di non mettere i
soliti
mutandoni, che indubbiamente l’avrebbero fatta vergognare in
quel fragrante.
Anche perché, per qualche inaccessibile ragione, la signora
Nakatsukasa nutre
un particolare amore nei confronti dei merletti in pizzo e alla sarta
di paese
chiede sempre di aggiungerne strati e strati. Il risultato è
che tutto l’intimo
della signorina Tsubaki termina con almeno una decina di centimetri di pizzo che le fanno
sempre prudere
fastidiosamente i polpacci candidi. Quella scelta d’intimo
è stata invece
indubbiamente apprezzata.
Nel riferire a Maka sorvolerà però sul fatto che
Blackstar le avesse baciato il
collo da dietro e appoggiato le mani appena sotto al seno, ma che i
pollici,
muovendosi, glielo accarezzavano benissimo.
D’altra
parte Maka gli racconterà che ad un certo punto della
serata Soul Evans si era recato al pianoforte e aveva iniziato a
suonare.
Tralascerà però la sua opinione riguardo al
fatto, troppo orgogliosa per dirle
che quella melodia le faceva venir voglia di piangere e sorridere
contemporaneamente, ma più di tutto, indubbiamente, di
andare a stringere quel
ragazzo.
***
Kid
controlla che le coperte siano perfettamente sistemate,
che la trapunta non penda più da una parte rispetto
all’altra. Solo dopo
un’accurata analisi e sistemazione annuisce soddisfatto a
sé stesso e si infila
nel letto.
“Liz” sussurra, indeciso, “sei ancora
sveglia?”. La moglie in risposta mugugna
e tira fuori la chioma bionda da sotto il calore della coperta. Ha il
fiato
caldo, Kid se lo sente sul colo quando lei lo abbraccia e la vestaglia
di seta sfruscia
sul suo corpo. Intreccia le gambe, sentendo quelle scoperte di lei,
lisce e
piacevolmente calde, sulla pelle. Se la stringe di più
addosso.
“Ti è piaciuta la festa quindi? Ti ricordo che
l’ho organizzata solo per il tuo
perverso intento”.
Si danno del tu, è stata una decisione di Liz a riguardo,
una delle clausole
del loro matrimonio. La quattordicesima recita “non puoi
impiegare più di dieci
minuti a sistemare il letto prima di metterti a dormire”. La
scrupolosità di
Kid gliene fa impiegare dodici, ma Liz chiude un occhio la maggior
parte delle
volte.
La sente sorridere sul suo collo e rispondere entusiasta
“certo che sì, è stata
un’idea grandiosa quella di farli conoscere”. Kid
ha già la testa altrove, in
particolare rivolta alla gamba morbida di lei che si è
infilata tra le sue. Le
posa il palmo aperto sulla coscia, ma continua ad ascoltarla.
“Insomma, lo avrai notato anche tu no? Maka con il suo
carattere forte è
l’unica che può tenere a bada uno scatenato come
Blackstar, staranno benissimo
insieme. Soul invece è molto più pacato,
può mettere Tsubaki a suo agio, in più
è molto protettivo, si prenderà bene cura di
lei”. Annuisce, completamente
soddisfatta e aggiungendo poi “non credi?”.
Kid non è così convinto, qualcosa in tutto quello
stona; è come se le coppie
fossero poco simmetriche. Non esprime i suoi dubbi però, si
limita a baciare
Liz sulla labbra, tenendola per la nuca e pensare che ne
uscirà fuori qualcosa
di sicuramente divertente, da quegli incontri.
***
Che
Blackstar fosse contro qualsiasi tipo di convenzione
sociale, matrimonio e vita familiare inclusa, è risaputo.
Per questo Sid non si
spiega come mai sia tornato a casa con i capelli gocciolanti, gli occhi
accesi,
un lieve affanno nel respiro e sulle labbra una folle richiesta.
È
risaputo anche che Blackstar goda di grande fama, in tutta
Death City, per essere la persona più risoluta mai
incontrata. Tutti quanti in
città lo sanno, motivo per cui il nome di quel ragazzo viene
sempre pronunciato
con un lieve brivido nella voce: non vi è obbiettivo che si
sia posto e non sia
riuscito a raggiungere.
“No
Blackstar, non puoi chiedere la mano della signorina Tsubaki
Nakatsukasa. Non
accetteranno mai, sono di famiglia nobile e tu non puoi che offrile lei
un
umile e precario futuro.”
“Vogliamo vedere?”
Spazio autrice. Nya.
Terzo e particolarmente lungo incontro! La più grande differenza rispetto alle altre due Shot sta, ovviamente, nell'introduzione delle altre coppiette e spero la cosa sia apprezzata. Vi è un breve POV di Soul con i suoi soliti commentini circa il fisico di Maka, ma l'innegable attrazione dovuta al suo caattere molto forte. Spero tutti i fan SoMa apprezzino!
Vorrei calcare l'attenzione sul senso che cela la storia: il piano di Liz è totalmente un altro rispetto alla piega che prendono le vicende, ha fatto male qualche conto insomma. L'idea è un po' quella di trovare un modo per dimostrare il fatto che in qualunque modo si provi a combinare i protagonisti vi è qualcosa di molto più forte che porta le coppie a gravitare tra di loro; le due anime in sintonia ad attrarsi, indipendentemnete da come gli altri cerchino forzatamente di combinarle. Sarà un pensiero idealisticamente romantico, ma uno degli aspetti più belli di questo manga è proprio l'attrazione tra anime, anche se l'autore non voleva di certo sficiare nella romance.Tutto ciò è solo opera dei fan, tutti noi che cerchiamo doppisensi celati anche quando non ce ne sono. Eh eh.
Poi, dai, ce li vedete Blackstar e Maka insieme? Solo a pensare a quei due che ballano viene fuori qualcosa di estremamente comico.
Spero di aver reso abbastanza bene il contesto storico, ho cercato di renderlo fedele descrivendo particolarmente gli abiti (quello di Maka o la biancheria intima di Tsubaki, guardate qualche imagine per capire meglio cosa intendo con "mutandoni stra pieni di pizzo", qualcosa di inguardabile, ahi ahi). Fa troppo strano far parlare i personaggi dando del "voi", quindi mi sono cimentata ogni volta in spiegazioni sul perchè parla così, perchè ora invece colì... spero di non essere sfociata in spiegazioni inutili che rendono eccessivamente pedante il racconto. Ovviamente, ho preso molto spunto da Cime Tempestose (l'ambientazione è quella, con l'intrudiuzione forzata della misteriosa Death City) e da Orgoglio e Pregiudizio, riguardo l'organizzazione di certi eventi, come i balli , per l'appunto.
Se trovate errori/refusi fatemelo pure notare, sono una distrattona e qualche errore di battitura mi scappa sempre >.<
Spero che questo terzo - primo - incontro vi sia piaciuto, al prossimo racconto!
Un super abbraccio e un ringraziamento per le recensioni e chi ha messo la storia tra le preferite o le ricordate.
Sarck xx