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Autore: Luxanne A Blackheart    04/03/2017    1 recensioni
Costantinopoli, 1518, Sublime Stato Ottomano.
Ibrahim Pargali Pascià, il Gran Visir, giunge a Palazzo Topkapi con un regalo speciale per il suo sultano. Si tratta di Roxelana, una schiava dai lunghi capelli rossi e la pelle bianca come il latte. Roxelana è stata venduta ad Ibrahim in cambio di soldi. Verrà condotta nell'harem di concubine di Süleyman il Magnifico. Nonostante l'amore incondizionato e puro che il suo padrone le dimostra, la rossa non si sente a casa, poiché non vuole essere una semplice schiava del piacere. Ella non vuole essere la favorita del sultano, vuole la libertà. Il suo animo ribelle e combattivo non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere il suo scopo: il potere. Non si fermerà neanche davanti all'omicidio e alla morte. A tutto ciò si aggiunge l'odio viscerale e l'amore proibito che le accecano la vista, emozioni che non sono destinate a Süleyman . Sentimenti contrastanti che la faranno impazzire.
Cosa rimarrà della schiava dai capelli rossi quando il destino chiederà il conto?
STORIA IN REVISIONE.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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-Hatice, Ibrahim mi ha riferito che la casa che aveva ordinato di costruire per voi due e per i vostri figli, è completa. Domani stesso vi trasferirete o mi sbaglio? - Selim guardò la sorella, mentre si portava un chicco d'uva in bocca e guardava il Gran Visir, con la punta dell'occhio, conversare con sua madre. La teneva sottobraccio, poiché era ancora molto debole e faticava a restare in piedi. Sembrava, però, che la nascita del nipotino le avesse fatto bene. In effetti aveva risollevato il morale a tutti, tranne che al sultano che era continuamente ossessionato dalla conversazione che aveva udito qualche giorno prima. Selim aveva cominciato a pedinare il Gran Visir e la sultana, li aveva visti incontrarsi di notte e di nascosto, uscire dal castello e recarsi in una grotta segreta poco lontana dal Palazzo.
Sua moglie e il suo migliore amico lo tradivano, si vedevano di nascosto e chissà per quanto tempo lo avevano fatto, prima che lui, stolto, lo scoprisse. Il suo animo e il suo orgoglio erano feriti, non provava più nessun tipo di affetto per il Gran Visir, lo odiava. E per quanto avesse provato ad odiare anche la rossa, non ci riusciva, l'amore che provava nei suoi confronti era troppo forte per riuscire a placarlo così all'improvviso.
Più ci ripensava, più ne rimaneva deluso. Non avrebbe mai creduto che proprio lui gli avrebbe fatto una cosa del genere, mai, non gli aveva neppure sfiorato la mente. Pensava che Ibrahim gli fosse completamente fedele. E adesso Selim voleva vendetta, vendetta per il suo orgoglio ferito e per il suo cuore spezzato. Ma prima di tutto doveva mettere al sicuro sua sorella Hatice, doveva aspettare solamente un giorno. Ancora un giorno e il suo animo sarebbe stato finalmente libero.
Ibrahim l'avrebbe pagata cara.
 
*** ***
-Quando avevi intenzione di dirmelo, Ibrahim Pascià? - Proruppe Roxelana, entrando nella camera del Gran Visir, nella quale tutte le sue cose erano state posizionate in bauli, pronti ad essere spostati nella nuova casa.
Nonostante la rossa avesse partorito da pochi giorni, si trovava in ottime condizioni e riusciva a camminare e spostarsi in autonomia. Il suo ventre era ancora leggermente gonfio, ma con il tempo e con l'esercizio fisico, sarebbe ritornata come quella di un tempo. Adesso, però, nel suo abito premaman, che le cominciava a stare già molto largo, la sultana appariva veramente arrabbiata.
-Era questione di tempo prima che tu lo venissi a sapere. Chi te l'ha detto? - Ibrahim sospirò, poggiando il libro che stava leggendo sul letto. Si alzò, andandole incontro. Sarebbero stati soli ancora per qualche minuto, poiché Selim e Hatice erano andati nelle stanze della Valide Sultana a vedere come stesse.
“Ho sentito mio marito parlarne con tua moglie. Bell'uomo che sei! Lascerai me e tuo figlio qui?! Ibrahim, te lo dico adesso e non te lo dico più, azzardati solamente a lasciare questo Palazzo e non vedrai mai più né me, né tuo figlio! - Lo minacciò la rossa, puntandogli un dito sul petto.
-Ma che cosa stai farneticando? Non ho nessuna intenzione di abbandonarvi, ma solamente di trasferirmi in città, a pochi metri lontano da te. Ho una famiglia ora, non sono più solo, devo pensare anche a loro... Cosa vuoi che faccia, rinunciare alla mia vita per te? Tu non lo faresti, perché dovrei farlo io? -
-Non dovevi necessariamente costruiti un palazzo tutto per te, razza di egocentrico con manie di grandezza! Oppure semplicemente continuare a vivere qui, questa fortezza è enorme! Non hai neanche avuto la decenza di avvertirmi. -
-Oh, certo, l'egocentrico sarei io adesso? Ma sentiti! E per la cronaca non sono così facilmente manipolabile come Selim. Non riuscirai a farmi cambiare idea, utilizzando solamente il tuo bel visino, perché non sono una tua marionetta e come gestire la mia famiglia, lo decido io. - Ibrahim stava urlando. Aveva afferrato Roxelana per le spalle e la muoveva come fosse una bambola di pezza.
-Perché mi dici queste cose? Pensi davvero che sarei in grado di manipolarti?-
-Certo che sì! E stai cercando di farlo anche adesso! Sei solo una vipera dal veleno mortale e per avere ciò che vuoi, saresti capace anche di uccidere e sappiamo entrambi che ne sei capace! -
-Perché mi parli così? Perché mi tratti male, cosa ti ho fatto? - Gli occhi della sultana si riempirono di lacrime, quando la stretta dell'uomo sui suoi arti aumentava sempre più.
-Perché credo che la nostra storia debba finire qui. Ci ho pensato molto in questi giorni e per quanto mi dispiaccia... Non possiamo continuare. Il senso di colpa mi sta divorando e adesso che abbiamo dei figli la situazione è peggiorata, non possiamo essere egoisti, dobbiamo pensare a loro. - Il Gran Visir la lasciò andare, calmandosi. Si era reso conto di aver esagerato, la sua reazione era stata fuori luogo e non avrebbe voluto trattarla così, quando non aveva nessuna colpa.
-Quindi tu suggeriresti di lasciarci così all'improvviso e tornare ad odiarci? -
-Non possiamo per forza odiarci, possiamo essere semplicemente... -
-... Ti prego non dire quella parola... -
-… amici. -
-Oh, Ibrahim, non hai ancora capito che fra noi due non può esserci amicizia? Solo amore o odio. E io non voglio tornare ad odiarti, non adesso che dispongo di tutto questo potere. -
-Non vedo altra via d'uscita... Vuoi veramente continuare a rischiare? Selim secondo me comincia a sospettare qualcosa, ci sta sempre addosso e non ci lascia mai da soli. Se dovessimo venire scoperti, tutti coloro che amiamo finirebbero in mezzo. -
-Tu sei l'unica persona a cui potrebbe essere fatto del male, Ibrahim... Siamo fatti per stare insieme, perché non abbiamo avuto niente dalla vita, solo sofferenza. Ci siamo trovati per caso e adesso dobbiamo lasciarci andare. Non sono pronta. - Roxelana scoppiò in lacrime, buttandosi tra le braccia dell'amato che la strinse a sé, accarezzandole la schiena delicatamente. La rossa gli accarezzava la nuca, mentre le  lacrime di disperazione gli bagnavano la camicia. Ibrahim sospirò, chiudendo gli occhi e imprimendo nella sua memoria quello che sarebbe stato il loro ultimo abbraccio, l'ultimo tocco, l'ultima carezza, l'ultimo bacio, l'ultimo saluto. - Quindi è un addio? -
-E' più un arrivederci, fino alla prossima vita. -
 
*** ***
 
Il sultano lo stava aspettando nella sala del trono, seduto sulla sua bella e comoda sedia da sovrano. Giocherellava con le pedine in legno poste sulla cartina, mentre tanti pensieri gli frullavano per la testa, mescolandosi alla realtà.
Ricordi, soprattutto, di anni ormai passati, lontani, non recuperabili, felicità che più avrebbe riavuto indietro. Ibrahim sporco e puzzolente che aveva paura a rivolgergli la parola; Ibrahim che lo salvava tutte le volte da cadere da cavallo; Ibrahim che catturava un popolano che aveva cercato di accoltellarlo; Ibrahim che gli aveva dimostrato tante di quelle volte la sua riconoscenza, la sua fedeltà, il suo amore, da perdere il conto; Ibrahim che lo tradiva nel peggiore dei modi, rubandogli l'amore della sua vita, la madre di suo figlio.
Si udì un piccolo rumore e dopo la porta venne aperta, rivelando una faccia abbastanza sconvolta di un altrettanto Ibrahim ridotto a pezzi, sembrava addirittura avesse pianto.
Il Gran Visir si inchinò, baciando l'anello del sultano; gli sorrise, un sorriso molto sforzato anche per un bravo attore come lui.
-Eccomi qua, Selim, per cosa mi hai fatto chiamare? - Ibrahim lo guardò, sedendosi al suo fianco.
-Come puoi continuare a guardarmi negli occhi dopo tutto quello che hai fatto? -
-Come? Non capisco cosa tu stia... - Ma non era più il momento di fingere, Ibrahim se ne rese conto, infatti sbiancò e deglutì.
-So tutto. E' inutile che tu faccia il finto tonto. So tutto di te e di Hurrem... o forse dovrei chiamarla Roxelana? - Selim fece un sorriso disgustato, godendo quando le mani di Ibrahim cominciarono a tremare.
-Ascoltami, Selim, prima che tu faccia qualcosa di cui poterti pentire. Posso spiegare... -
-No! Non c'è nulla da spiegare adesso. Eri il mio migliore amico, ti reputavo un fratello, non ti ho mai fatto mancare nulla. Perché? -
-Non c'è un motivo, Selim, è accaduto e basta. Abbiamo cercato, ho cercato per rispetto nei tuoi confronti e quelli di Hatice di fermarmi, di mettere fine a tutto ciò, ma sai com'è Hurrem, sai che i sentimenti che quella ragazza ti fa provare ti ardono, ti consumano, ti rendono schiavo. - Ibrahim sospirò, scrollando le spalle. Guardava per terra, non nei suoi occhi.
-Successo e basta, mi dici... Successo e basta! Non hai neanche cercato di negare. Pensavo fossi diverso da tutti quelli che hanno cercato di usarmi solo per il mio potere e per il mio essere il sultano. Pensavo mi fossi amico perché volevi esserlo veramente, ma evidentemente mi sono sbagliato. Mi hai ingannato per tutto questo tempo. - Nella voce di Selim adesso c'era solo molta delusione e stanchezza, più che rabbia.
-Non puoi realmente averlo pensato, fratello, sai che ti voglio bene e che non me n'è mai importato niente del tuo denaro e della tua posizione, sono cresciuto con te, ti sono sempre stato fedele, ti ho sempre protetto. Ho sbagliato, questo è vero, ma ho messo fine alla nostra storia. Hurrem tiene più a te che a me, lei ama te e... - Ibrahim sembrava come impazzito. Aveva gli occhi spalancati per il terrore e parlava così velocemente da faticare a seguirlo e sentirlo.
-Fratello! Continui a chiamarmi così, dopotutto. Ma hai perso il diritto di chiamarmi a quel modo! Mia madre aveva ragione, non dovevo offrire la mia fiducia e il mio amore ad uno schiavo. - Selim sbatté il pugno sul tavolo, serrando la mascella, alzandosi dalla sedia per avvicinarsi ad Ibrahim che, nel udire quelle ultime parole, si era sollevato e lo guardava come se lo avesse colpito. Il sultano gli fu talmente vicino che il Gran Visir poté sentire il suo alito sulla pelle del viso, che dava di vino. - Perché potrà anche cambiare la tua posizione, il tuo modo di comportarti, il tuo accento o la tua cultura, ma sei e rimarrai uno schiavo, uno straniero che non appartiene a questa terra. -
Ibrahim fece un passo indietro, avendo finalmente capito la gravità di quello che aveva fatto, non che prima non la comprendesse fino infondo. Selim non lo aveva mai chiamato in quel modo, mai, neanche durante le loro discussioni. Quello fu come ricevere una pugnalata alle spalle, fu come se Selim lo avesse tradito, ma non quel genere di tradimento che aveva compiuto Ibrahim, no, andava oltre. Era qualcosa che lo feriva nella dignità, nell'animo, nell'essere e non solo nell'orgoglio; era un commento che lo feriva come persona, poiché, così dicendo, Selim affermava che lui, Ibrahim, era nient'altro che una sua proprietà, un oggetto, un qualcosa che non valeva nulla, senza patria, famiglia, lingua e origini.
Era tutto ciò che per tutta la vita aveva cercato di non essere, aveva cercato di dare il meglio di se per integrarsi, per far felice Selim e Hatice, per sentirsi apprezzato, ma tutti i suoi sforzi, tutte le sue fatiche, tutte le sue lacrime trattenute e i suoi incubi sui suoi genitori mai rilevati, tutte le sue paure tenute all'oscuro,  non erano serviti a nulla. Era uno schiavo, uno straniero e adesso uno sporco traditore... In poche parole era la feccia.
Dopo tutto ciò che aveva fatto però, Selim aveva ragione.
Era un traditore perché aveva preso sua moglie, che gli aveva addirittura dato un figlio. Aveva contaminato la linea di successione, aveva tradito la sua fiducia in tutte le maniere possibili e immaginabili. Aveva ucciso suo padre...
Era uno schiavo, poiché era straniero ed era stato rapito dalla sua terra d'origine, la sua amata Grecia.
Era stato un Gran Visir certo, ma solo perché Selim aveva voluto così, perché il suo affetto nei suoi confronti, era talmente alto da avergli fatto un simile regalo.
E in quel momento era una nullità, che non meritava di vivere per tutto ciò che aveva fatto. Ma se c'era una cosa sulla quale non aveva mentito, era stato l'amore per Selim che reputava alla pari di Costa, suo fratello.
-Selim, so che sei arrabbiato per i miei sbagli e ne hai tutti i motivi, ma se c'è una cosa che non cambierà fra noi due, è il legame che abbiamo, il sentimento di fratellanza che ci lega. Per quanto tu ci abbia provato, non smetterai mai di amarmi. - Ibrahim gli si avvicinò, poggiandogli la mano sulla spalla. - Abbiamo giurato davanti ad Allah, ci siamo legati da un patto che non si può sciogliere né in questa vita, né nella prossima.  Dove andrai tu, andrò anche io, ti seguirò anche oltre la morte e ti proteggerò a costo della mia vita. Ti perdonerò quando sbaglierai e tu farai lo stesso con me, perché siamo fratelli e dopo questo patto lo saremo a vita. - Citò, ma vedendo l'espressione apatica del suo interlocutore, il suo entusiasmo si spense. - Non te lo ricordi? -
-Certo che me lo ricordo, ma quel giuramento non ha più valore, ho fatto in modo che fosse così. E per me sei come morto, lo sei dal momento in cui le mie orecchie e i miei occhi vi hanno udito e visto peccare. Sono un uomo paziente, amorevole e giusto, ma il tradimento è qualcosa che non sopporto, lo sai bene, questo. - Selim si scostò, lasciando che il braccio di Ibrahim ricadesse sul suo fianco.
-Quindi mi stai davvero dicendo che avresti il coraggio di uccidermi? Non ti supplicherò, poiché so che non serviranno a nulla le mie suppliche. Ma vorrei solo assistere alla nascita di mio figlio, se non per me, fallo per Hatice. -
-Mio nipote avrà un altro padre prima che il tuo cadavere possa diventare freddo. -
Ibrahim sbiancò, serrando la mascella. Il sultano fece un gesto con la mano e due eunuchi neri uscirono all'improvviso dall'ombra, armati solo di una sciabola affilata e mortale.
-Uccidetelo, ma fate che sia qualcosa di veloce. - Ordinò con voce fredda, ma
prima che Selim avesse solo il pensiero di fare un passo e andarsene, Ibrahim lo afferrò per un braccio fermandolo. Gli eunuchi neri agirono nell'immediato, afferrando il Gran Visir per le braccia e staccandolo dall'imperatore, che lo guardava con aria superiore e distaccata.
-Uccidimi tu, voglio che lo faccia tu, mio magnifico. E che mi guardi negli occhi. - Ibrahim si dimenava, mentre le guardie cercavano di farlo stare fermo.
-Lasciatelo e andate a chiamare la sultana, fatela venire qui dopo che io sarò uscito. Non dite a nessuno, soprattutto a mia sorella Hatice, cosa sta accadendo qui. -
-Sì, mio magnifico. - Risposero in coro i due eunuchi, dileguandosi alla svelta.
Selim estrasse la sua spada dal fodero e la punto dritta al cuore del Gran Visir, i loro sguardi incatenati l'uno con l'altro.
-Selim...-
-Lo so, cosa stai per dirmi. Mi prederò cura di tuo figlio, infondo è anche mio nipote. - Ibrahim inspirò, sorridendo. Era pronto. - Addio, Ibrahim Pascià, amato fratello e odiato traditore. -
La spada lo trafisse all'istante, attraversando ossa, carne e cuore. Il corpo dell'uomo cadde per terra, mentre spruzzi di sangue uscivano dalla ferita, sporcando il pavimento, il tavolo, la cartina, tutto. Ibrahim guardò il sultano abbandonare la spada per terra, pulirsi le mani sulla veste ed uscire dalla stanza senza versare una lacrima, senza aggiungere altro. Tutto ciò che si voleva dire, era stato detto; tutto ciò che si voleva fare, era stato fatto.
Adesso c'era solo la morte e forse sarebbe stata un sollievo.
“E così muoio da solo.”, pensò Ibrahim, versando l'ultima lacrima che gli era rimasta in corpo.
Si spense qualche minuto prima che la sua amata, la sua rossa, la sua Roxelana, entrasse nella stanza e le cadesse il mondo addosso.
Il fato poco alla volta stava tirando le somme. Una vita era già stata presa dalla paziente e fredda morte, cosa ne sarebbe stato di Roxelana?
   
 
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