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Autore: Mrs Montgomery    05/03/2017    2 recensioni
Piemonte, 1778.
Il duca Andrea Pietrarossa fa ritorno in patria. In seguito alla morte del padre deve occuparsi degli affari in sospeso e questo lo conduce dal marchese Guerra, il quale è in procinto di risposarsi con un’amica d’infanzia del duca. Alla tenuta del marchese incontrerà Giulia, sua figlia, appena tornata da un lungo soggiorno a Verona.
Giovane, ostinata e dall’anima ribelle, Giulia si scontrerà con l’altezzoso duca, sebbene egli si dimostrerà l’unica persona in grado di aiutarla nella ricerca della libertà.
Malate passioni, verità nascoste, feste mondane e perfidi intrighi uniranno lo sfrontato duca Andrea Pietrarossa e l’indomita Giulia Guerra fino a far sbocciare quel potente sentimento che abbatte ogni ostacolo.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Il fiore sabaudo



Capitolo 4
L'inizio dell'avventura

 

 

«E quanto s’intratterrà il duca Pietrablu?»
«Pietrarossa» lo corresse Giulia. «Uhm... credo che soggiornerà alla tenuta per ancora due settimane. Non ho idea di che trattative lo legano a mio padre, ma paiono andar per le lunghe» continuò, posando gli occhi sugli oggetti della seguente bancarella e sorridendo ai commercianti che erano lì a lavorare dall'alba. «È stata proprio un'ottima idea venire al mercato di buon mattino! Tu compri quello di cui i tuoi genitori hanno bisogno e io sto lontana da quella gabbia di matti. Senza contare che almeno possiamo passare un po’ di tempo insieme».
La fanciulla non poteva essere più raggiante in sua compagnia. Non lo prese a braccetto e non gli carezzò il braccio, unicamente perché si trovavano in mezzo al borgo e le persone potevano pensar male. L’apparenza ingannava spesso e con troppa facilità, specialmente se la verità era celata.
«Tuo padre lo sa che sei scesa a trovare la plebaglia?» chiese Giacomo.
«Potrebbe anche esserne a conoscenza, dubito fortemente di ricevere una strigliata al mio ritorno. Il marchese mio padre preferisce avermi lontana da lui e dalla borghesotta. Infatti credo che ultimamente ceniamo tutti insieme solamente perchè abbiamo un ospite. Scommetterei tutti i miei abiti che, appena il duca si toglierà dai piedi, vedrò mio padre e quell'insulsa donna ancor meno di adesso... e ciò non mi dispiacerebbe affatto!»
Giacomo scosse il capo e alzò gli occhi al cielo. La sua cara amica d'infanzia possedeva una bella lingua lunga e sperava la tenesse a freno nei momenti opportuni, magari di fronte al padre, altrimenti si sarebbe cacciata presto nei guai.
Si spostarono alla bancarella della frutta, dove la marchesina riempì la metà del cesto per cederla poi a Giacomo. Il ragazzo tentò di ribellarsi a quel dono offerto da un affetto incondizionato, ma fu tutto inutile e doveva aspettarselo. Sapeva perché Giulia desiderava occuparsi di alcune questioni lo riguardassero e, per quanto ne avessero discusso a lungo, quando la marchesina si ficcava qualcosa in testa era praticamente impossibile dissuaderla. Nonostante ciò Giacomo non le lasciava carta bianca su ogni cosa, detestava che si potesse affermare che si stava viscidamente approfittando della buona fede della fanciulla.
«E com’è questo duca Pietraverde?»
«Pietrarossa» lo corresse nuovamente Giulia.
«Quello che è!»
«Il duca sembra un uomo da bene, molto rispettoso delle nostre abitudini e non è uno di quegli arroganti che tratta la servitù come se fossero panni sporchi» continuò la fanciulla, passeggiando affianco all’amico. «In realtà la prima volta che lo incontrai nel bosco pensai che fosse un pomposo idiota. Be’… è proprio vero che la prima impressione non è sempre corretta».
«Aspetta… l’hai incontrato nel bosco? Era lui quello che disturbò la tua caccia?»
«Esattamente!»
«E ora è entrato nelle tue simpatie?» domandò Giacomo piuttosto stranito.
«Entrato nelle simpatie è affermare qualcosa di grosso. Diciamo che non mi dispiace come compagnia» rispose Giulia spensieratamente.
Il duca Andrea Pietrarossa non soggiornava presso la sua famiglia per sollazzarsi, quindi erano rari i momenti in cui potessero passeggiare, parlare di letteratura o quant’altro, ma quelle rare volte erano state piacevoli.
«La sua unica immensa pecca è di tener su un piedistallo la borghesotta e quell’essere infame di Adriano. Davvero non concepisco cosa possa legare un uomo rispettabile come il duca a quel pazzo!»
«Giulia sei sicura che questo duca sia un uomo da bene come credi? Quello che intendo dire è che se è amico di Adriano forse sono simili di… di carattere e questo non sarebbe affatto una buona cosa. Questo duca Pietragialla ti ha mai carezzato in maniera non consona oppure…»
«Duca Pietrarossa!» rise sonoramente Giulia. Era la terza volta che sbagliava il nome del suo ospite, pareva proprio avere poca memoria. «Innanzi tutto non mi accarezza e non fa nulla per cui tu debba scaldarti. Il duca è una persona scherzosa e nobile nel vero senso della parola. Non si comporta minimamente come Adriano».
«Prima di quello spiacevole fatto Adriano ti sembrava un uomo da bene. Che cosa ti fa pensare che questo duca Pietra-qualcosa non sia uguale?» Giacomo la prese delicatamente per un braccio, fermandola. Divenne serio in viso, spezzando ogni possibile momento di spensieratezza perché voleva che lei lo ascoltasse. «Mi dispiace se ti sembro paranoico. È solo che ogni giorno mi sveglio preoccupato che quel mostro ti possa far del male. Tu stessa mi hai detto che ti provoca di continuo, soprattutto quando non c’è nessuno in giro. Alle volte preferirei che tu non venissi a trovarmi per paura che quell’infame ti possa seguire e… hai capito».
«Forse non dovrei dirti cosa accade dentro quelle mura».
«E invece devi! Nascondermi la verità non ti aiuta. Ti conosco e mi basta solo guardarti in viso per capire quando c’è qualcosa che non va per il verso giusto». Giacomo alzò una mano per carezzarle il viso, ma la riabbassò ricordandosi che non era il luogo adatto. Sospirò miseramente, prima che la rabbia non si impossessasse del suo animo. «Mi domando perché non se ne sta in città con suo padre! Perché deve vivere alla tenuta? È sua sorella che si sposa il marchese, non lui!»
«È stata Elena a chiedere a mio padre di farlo venire a stare da noi. Ancora tre anni orsono disse che in città non c’era nessuno ad occuparsi di lui, siccome suo padre è sempre ad occuparsi degli affari di famiglia e sua sorella ormai era qui» spiegò Giulia, riprendendo a camminare per le strade del borgo.
«Non potrà stare alla tenuta per il resto della sua vita!»
«Onestamente spero di andarmene io via prima. L’unica soluzione è trovarmi un marito e alla svelta! Magari tra gli invitati al matrimonio incontrerò l’uomo della mia vita».
«Per quanto io ti desideri lontano da lì, e lo desidero tanto, non agire impulsivamente. Adriano è un mostro, ma possono essercene tanti come lui travestiti da agnelli. Giulia… non mi permetterei mai di dirti cosa devi fare… ma fai attenzione dannazione!».
La marchesina gli sorrise amorevolmente. Nei suoi occhi riusciva a vedere il bene che le voleva e non era poco. Era certa che fosse costantemente preoccupato per lei e da una parte era dispiaciuta perché non desiderava farlo stare in pena.
«Tenterò di non cacciarmi nei guai. Se ti può consolare, sono sicura che il mio possibile marito dovrà essere approvato da mia nonna e credimi è meravigliosamente terribile» mostrò un largo sorriso nel ricordare quella gran donna, che aveva fatto tanto per lei. «Devo ringraziare lei se sono finita a Verona e non in un convento. Se la conoscessi, sono sicura che ti piacerebbe molto. Ha la sua veneranda età, ma è capace di mettere in ginocchio chiunque».
«Perdonami, lei non sarebbe capace di far qualcosa contro Adriano?»
«Ci sto lavorando» rispose Giulia facendogli l’occhiolino.
A Giacomo scappò un sorriso divertito. Sperò tanto che trovassero una maniera per allontanare per sempre Adriano dalla vita di Giulia. Se quel giorno fosse arrivato, avrebbe fatto festa per un anno intero!
«Ogni giorno prego perché tu possa liberarti di questo incubo, ora più che mai».
«Sei molto caro, Giacomo, e mi auguro che le tue preghiere vengano ascoltate… ma ora basta parlare di questo. Direi che dedichiamo fin troppo fiato a quell’essere ignobile. Perché non parliamo un po’ di te?»
«Di me?»
«Sì, mio caro».
«E di che cosa dovremmo parlare riguardo me?» domandò Giacomo un po’ confuso.
«Sei un bel giovanotto, anzi sei praticamente un uomo… un uomo bello e non sono affatto di parte!» continuò Giulia con una spiccata serietà. «Sono alquanto sicura che avrai qualche bella donzella che ti fa la corte o magari sei tu a fare la corte a qualcuna» concluse guardandolo con la coda dell’occhio. Sembrava molto curiosa e divertita riguardo l’argomento.
Giacomo non potè far a meno di ridere. «Non c’è nessuna donzella».
«Uhm… stento a crederci. Sei così bello e presto o tardi dovrai accasarti. Non vuoi una famiglia?»
«Sì, certamente. Arriverà il momento quando… quando arriverà, ecco!»
La marchesina sembrò rassegnarsi. «Be’ mi auguro che tu non voglia attendere fino a quando i tuoi capelli diverranno grigi e ti cadrà qualche dente. Sai… penso proprio che non saresti così affascinante».
Per Giacomo fu un sollievo vederla allegra di buon mattino. Era sincero quando disse che nutriva preoccupazione nei suoi confronti. Ricordava ancora com’era triste il suo visino il giorno in cui tornò in Piemonte e credeva che quell’umore si sarebbe protratto per parecchio tempo. In tal caso sarebbe stato tremendo. Giacomo era alquanto certo che all’interno della tenuta non si aggirasse un aria tranquilla e non avrebbe sopportato all’idea che nemmeno la sua compagnia avesse potuto rallegrarla. Sebbene fosse migliore di quanto si fosse immaginato, a lui era piuttosto evidente che negli occhi di Giulia non c’era quella stessa luce di tre anni prima.
«Oh guarda!»
L’attenzione di Giacomo venne attirata da un cesto di fiori posto sul basso davanzale di una casupola. Erano piccoli, tantissimi e di un colore pervinca davvero adorabile. Il ragazzo si avvicinò e poi si guardò attorno prima di sfilarne un paio.
«Giacomo! Non puoi rubare i fiori alle persone che abitano vicino a te!»
Il fabbro la ignorò deliberatamente, era troppo intento a legare tra di loro i lunghi steli. Nonostante il suo lavoro richiedesse una buona forza bruta, la delicatezza di Giacomo rimase intatta. Osservando i movimenti delle dita, Giulia ricordò di quando erano bambini e lui era solito costruirle delle piccole corone di fiori. La marchesina lo considerava un talento e lei era consapevole di esserne completamente negata, sebbene Giacomo provò ad insegnarle numerose volte.
«Ecco qui» mormorò il ragazzo, mettendole sotto al naso quei tre fiori che riuscì ad unire.
Giulia prese in mano la sua piccola creazione e la fissò a lungo. Nella sua mente vennero a galla parecchi bei momenti legati alla sua infanzia e in tutti c’era la presenza di un bambino dalla dolcezza infinita. La fanciulla alzò lo sguardo e guardando Giacomo si rese conto che quel bambino era cambiato, era cresciuto, egli divenne un uomo, ma la purezza del suo cuore non mutò minimamente.
«Potresti… potresti mettermeli tra i capelli, come quando eravamo bambini?»
La strada non era affollata. Erano arrivati in un vicolo che conduceva alla bottega del fabbro e non c’erano anime oltre alle loro. Potevo approfittare di quel momento.
«Certo» rispose Giacomo e inserì quel minuscolo mazzolino pervinca tra i capelli scuri della marchesina, poco sopra l’orecchio sinistro, senza scombinare la sua acconciatura.
La mano del ragazzo carezzò teneramente la guancia di Giulia. Lei vi poggiò la sua mano sopra e rimase in quella posizione per qualche attimo. Giacomo era l’unica persona da cui poteva trarre un affetto incondizionato, avrebbe messo la mano sul fuoco riguardo la sua lealtà e aggrapparsi al loro legame era l’unico modo per sopportare le angherie di Adriano.
Entrambi si sorrisero, sicuri che non ci sarebbe stato nulla a poter mai spezzare ciò che li univa.
«Grazie».
«Di nulla… Giulietta» le fece l’occhiolino Giacomo.
Quel nomignolo la faceva sempre sorridere. Era anche come la chiamava sua madre e ciò non le dava tristezza. Le persone più importanti della sua vita, senza mettersi d’accordo chiaramente, avevano scelto di mostrarle affetto anche in quella maniera.
«Ora devo andare al lavoro o mio padre inizierà a brontolare dicendo che scorrazzo troppo, invece che pensare ai miei doveri. Potremmo vederci tra qualche giorno, ma se avrai bisogno di me prima…»
«Non angustiarti troppo per me».
«Sai che non smetterò mai di farlo».
Giulia rise e annuì.
«Ti auguro una buona giornata» lo salutò lei, dandogli un veloce bacio sulla guancia.
Giacomo l’avvicinò a sé e ne posò uno più lungo sulla fronte. Salutarla era la parte più difficile della giornata, perché sapeva dove lei sarebbe tornata e chi avrebbe incontrato.
Le loro strade si divisero. Il giovane fabbro entrò nella bottega di suo padre e la marchesina proseguì lungo la via che l’avrebbe portata al suo cavallo. Difficilmente utilizzava la carrozza per scendere al borgo, non le piaceva creare troppo ingorgo. Al massimo faceva preparare il calesse, ma amava andare a cavallo e quindi ogni scusa era buona per approfittarsene.
Giulia si trovava a poca distanza dal suo destriero, tenuto occupato da un contadino che naturalmente aveva pagato, quando qualcosa - o per meglio dire qualcuno - fermò la sua camminata.
«Marchesina Guerra!»
La fanciulla aggrottò la fronte e si voltò nella direzione in cui proveniva quella suadente voce. Appena uscito dalla locanda non c’era niente poco di meno dell’uomo che stava soggiornando in casa sua.
«Duca Pietrarossa, buongiorno».
L’uomo non traboccava della sua solita eleganza, ma non ci si poteva aspettare niente di diverso visto il posto da cui era uscito. Il duca si avvicinò a lei a passo felpato, abbottonandosi la camicia non più tanto linda e provò a nasconderla con la pervinca redingote.
«Siete molto mattiniera, mia signora».
«Al contrario di voi, a quanto pare» rispose Giulia, lanciandogli una lunga occhiata. «Sapete… i vostri scarmigliati capelli potrebbero lanciare una nuova moda».
«Come siete simpatica! Il buon umore si vede dal mattino, vero?» rise sardonico il duca Andrea.
«In realtà ho passato una magnifica mattinata, sempre al contrario di voi che probabilmente preferivate continuare ciò che ieri sera vi ha tenuto alquanto impegnato».
Il duca strabuzzò gli occhi e si sporse in avanti, fissandola in maniera sgomenta. Fu tentato di pulirsi le orecchie seduta stante, magari aveva udito male, ma voleva preservare quell’eleganza che lo caratterizzava e che in quel momento pareva essersi smarrita.
«Siete veramente impunita! Ho passato qualche tempo a Verona e sono alquanto certo che nessuna giovane nobildonna si permetterebbe mai di proferire una tale…»
«Verità?» suggerì Giulia.
Andrea mise le braccia conserte e assottigliò lo sguardo. «Alla presenza di vostro padre non vi permettete di esprimervi con una simile superbia».
«Be’ non sono così sciocca».
Giulia mostrò un gran sorriso, non uno di quelli furbi, ma uno di quelli che mostravano il suo genuino divertimento. Ciò bastò a sciogliere il duca che si lasciò andare al medesimo sorriso. Solamente che il suo era uno di quelli che si mostrava quando si era colpiti da qualcosa. Ebbene sì, Andrea Pietrarossa venne colpito da quella fanciulla che un attimo prima pareva prendersi gioco di lui, irritandolo con le sue aspre parole, e un attimo dopo gli riservava il sorriso che mostravano i bambini quando intendevano farsi perdonare per qualche marachella.
«Siete scesa al borgo in carrozza?»
«Assolutamente no. È una bella giornata di sole e ho pensato che uscire a cavallo sarebbe stato opportuno sia per me che per il traffico mattutino».
«Vi piace andare a cavallo e cacciare. Siete proprio una campagnola!»
«Touchè» Giulia la prese sul ridere. «Stavo per far ritorno alla tenuta. Voi intendete fermarvi alla locanda o fate ritorno con me?»
«Siete gentile, marchesina. E se invece di tornare alla tenuta non facessimo un giro per il borgo, potreste farmi da guida cosicché io possa intrattenermi in altri luoghi invece che alla locanda, e poi potremmo far ritorno insieme. Che cosa ne pensate?».
«Certo».
Il duca Andrea si avvicinò repentinamente, facendola leggermente sussultare. Fu un attimo stranito da quella reazione. Nei suoi occhi sembrava risiederci il timore, lo stesso di quando Adriano le si avvicinava e non ne capiva il motivo. «Sareste così gentile da mostrarmi la via?»
«Oh! Sì, certo. Ehm… da questa parte».
La marchesina Giulia e il duca Andrea passeggiarono per il borgo osservati dalle persone attorno a loro. La gente comune non era abituata a vedere i nobili di quelle terre aggirarsi tranquillamente in mezzo a loro. Infatti il marchese Guerra non si scorgeva da decenni ed Elena non vi aveva mai messo piede, solamente Adriano si aggirava come se tutto gli fosse dovuto.
Un tempo non era affatto così. Erano in molti a dire che da quando la marchesa Francesca passò a miglior vita le cose erano cambiate e non solo all’interno della tenuta.
La madre di Giulia era di origini nobili ed era abituata alla città, eppure si interessava sinceramente alle persone che si occupavano delle terre di suo marito. La marchesa Francesca si aggirava per il borgo senza ostentare la sua superiorità sociale. La figlia non sembrava da meno, per questo la gente comune non faceva caso se la fanciulla si intratteneva a chiacchierare con Giacomo o altre persone.
«Marchesina Giulia, buongiorno! È un enorme piacere vedervi passeggiare per il borgo».
«Buongiorno Beatrice! Come mai siete lì? Mi pare di ricordare che lavoravate nell’emporio di vostro padre» disse Giulia fermandosi di fronte ad una bancarella piena zeppa di stoffe.
«Ricordate bene, mia signora! Il fatto è che mi sono sposata con Geremia e come membro della famiglia Allevi devo dare il mio contributo. Da qualche mese ho cominciato a vendere questi modesti tessuti fabbricati dalla mia buona suocera o almeno ci provo. Sapete… si fa quel che si può» rispose la giovane donna molto allegramente.
«Vi siete sposata? Oh, congratulazioni!»
«Vi ringrazio e sono lieta di annunciarvi che presto arriverà anche un piccolo Allevi» disse posandosi la mano sul ventre.
Sul viso di Beatrice era dipinta un’espressione raggiante. Era l’incarnazione della vivida felicità, come ogni donna in procinto di diventare madre. La marchesina Giulia si commosse e tentò di nasconderlo per non attirare le frecciatine del suo accompagnatore.
«Porgete le mie felicitazioni anche a vostro marito. Spero che i vostri affari procedano bene».
«Purtroppo non tanto, mia signora. Un tempo le vendite di queste stoffe erano più che buone, ma i tempi stanno cambiando e la gente fatica a procurarsi il cibo in tavola, figurarsi se spende per comprare stoffe» rispose Beatrice con tono desolato. Poi però ispirò profondamente e mostrò un bel sorriso. «In ogni caso io sto qui e tento di vendere qualcosa. Questa mattina ne hanno comprate due di quelle piccole e mi ritengo già molto soddisfatta».
Giulia le sorrise per cortesia, non volendo mostrare la sua tristezza per la situazione. Parlando con Giacomo, era a conoscenza delle condizioni della povera gente e non stentava a credere che si premunissero di comprarsi il pane invece che i tessuti. Avrebbe tanto voluto esser d’aiuto. Le bastarono pochi attimi, intenti ad osservare quelle stoffe, che le venne in mente un’idea brillante.
«Osservando le stoffe cucite da vostra suocera… ehm… sì… credo di aver bisogno di questa stoffa» disse indicandone una di color rosa sbiadito  «e di quella, e quella lassù… oh e anche di quella là!»
Beatrice rimase attonita per qualche attimo. Non era sicura di aver capito bene. Lanciò uno sguardo dubbioso al duca Pietrarossa, che sembrava stranito tanto quanto lei.
«Credo che facendo un veloce calcolo… uhm… dovrebbero bastare, giusto?» continuò Giulia passando alla donna un sacchetto mezzo pieno di monete.
«Mia signora io… io non s-so cosa dire».
«Lo so, sono tante stoffe e io sono qui a cavallo. Lasciatemi pensare un attimo» disse attirando ancor di più gli sguardi confusi di Beatrice e del duca Andrea. «Ci sono! Potreste mettere via queste stoffe e oggi pomeriggio manderò un mio attendente a ritirarle. È un problema o credete che si possa fare?»
«N-no, no… cioè sì… insomma… è perfetto. Grazie, grazie, marchesina!»
«Dunque siamo d’accordo. Bene, ora farò ritorno alla tenuta. Porgete i miei saluti alla vostra famiglia e ancora felicitazioni per il vostro matrimonio e per il piccolo o piccola in arrivo. Andiamo duca Pietrarossa?»
L’uomo annuì, era ancora un po’ stranito, e seguì la giovane marchesina. Quella fanciulla riservava una sorpresa dietro l’altra. Entrambi raggiunsero i propri destrieri, alla fine del borgo, e montarono in sella cominciando a percorrere la via che conduceva  alla tenuta del marchese Pietro.
«Non credevo che vi piacessero le stoffe di quella bancarella. Con tutto il rispetto, credo siano un po’ troppo modeste per il vostro rango e per quello di chiunque» esordì il duca.
«Infatti non mi piacciono».
«E dunque perché le volete indossare?»
Giulia si trattenne dal ridere. «Io non le indosserò affatto».
«Credo di essere un po’ confuso. Le avete comprate. A che cosa potrebbero mai servirvi?»
«Credete veramente che siano per me?»
«Per chi, altrimenti?»
La marchesina scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, stupita che non avesse capito il perché del suo acquisto. «Se volete proprio che vi confessi la verità… a me dispiaceva per quella famiglia e per quella di tanti altri chiaramente. Ho avuto l’occasione di dar loro una mano e l’ho fatto comprando quelle stoffe. Posso sempre usarle per la mia cameriera personale o per chi ne avrà bisogno e le farò cucire da qualche serva capace».
«Siete molto generosa».
«Vi ringrazio» sorrise Giulia, non riuscendo a nascondere un po’ di stupore. «Sapete… credo che questo sia il primo vero complimento che mi fate».
Il duca Andrea bofonchiò una risatina divertita e volse lo sguardo sulla boscaglia attorno a loro, prima di posare nuovamente i suoi chiari occhi sul viso della fanciulla.
«Sarò sincero con voi, marchesina. Ammiro la generosità ed è raro vederlo in una nobildonna di alto rango, quindi credetemi se vi dico che provo una certa stima nei vostri confronti. Ciò però mi confonde sul vostro comportamento nei confronti di Elena».
Se inizialmente Giulia aveva mostrato gioia per il bel complimento ricevuto, ci volle un solo nome per innervosirla.
«Che cosa intendete dire?»
«Ho notato che non sembra scorrere buon sangue tra voi due e ne sono alquanto perplesso. Conosco Elena da moltissimi anni. Mio padre ha interpellato il suo per gran parte dei suoi affari e questo mi ha permesso di frequentare il salotto della sua dimora. So bene che donna sia e quanta bontà d’animo possegga…» parlò Andrea senza alcuna riserva mentre Giulia si stava innervosendo ad ogni lode che lui tesseva nei confronti della matrigna. «Ho passato poco tempo con voi, ma non sembrate una fanciulla senza giudizio. Forse peccate di troppa giovinezza, ciò non significa per forza che siate una sciocca. Quindi mi è davvero difficile comprendere il vostro rapporto. Perdonate se mi mostro leggermente titubante verso la questione. Mi pare strano che qualcuno possa prendere in antipatia la mia cara amica».
Inutile dire che alla marchesina stava letteralmente ribollendo il sangue. Quante ne avrebbe volute dire per smontare la figura candida di Elena, come quella di rinchiudere una ragazzina in un convento di clausura. Era chiaro che non potesse dire la verità.
L’ultima volta chi le aveva creduto?
Inoltre il duca Pietrarossa era davvero in buoni rapporti con la sua cara matrigna e ciò portava a non averlo dalla sua parte.
«È semplice, duca. Esistono fatti di cui voi non siete a conoscenza e dubito che ne sarete mai per certo, dunque vi chiedo la cortesia di non impicciarvi!»
Era stata tagliente e nella sua voce si percepiva un forte astio. Il duca aveva notato la tensione che le scorreva in corpo e non ci teneva minimamente a rovinare quella mattinata con una discussione. Non erano affari suoi. Tentò di capirci sentendo anche l’altra campana della vicenda, ma trovandosi un muro davanti niente lo obbligava a valicarlo.
La questione era chiusa lì.
Lui e Giulia non si rivolsero parola per tutta la durata del tragitto. La marchesina si era irrigidita immediatamente e non gli riservò più nemmeno uno sguardo. Accelerò persino l’andatura del suo cavallo, per raggiungere la tenuta al più presto possibile.
Affrontare quel discorso la metteva di pessimo umore e le rovinava l’intera giornata. Senza dubbio avrebbe trascorso il resto di quel giorno rinchiusa in camera sua, probabilmente a leggere.
«Marchesa Giulia! Mia signora! Marchesa!» urlò una voce femminile, non appena la ragazza e il suo ospite approdarono, scendendo da cavallo.
All’ingresso della tenuta stava una giovane cameriera che sfoggiava un largo sorriso. I suoi occhi blu brillavano alla luce del sole, tanto quanto quelli di Giulia quando si rese conto di chi si trattasse.
«Rosalina!»
La marchesina si fece aiutare da un servitore a scendere da cavallo e, senza minimamente calcolare la presenza del duca Pietrarossa, le andò incontro mentre il suo cuore scoppiava di felicità.
«Gertrude mi aveva detto che eravate fuori a cavallo e infatti speravo di farvi una sorpresa facendomi trovare in camera vostra. A tal proposito devo confessarvi che quella che avete qui è più piccola di quella di Verona…» l’allegra cameriera aveva cominciato a parlare senza sosta e con il suo spiccato accento veronese. «Sono arrivata stamattina presto e la vostra vecchia balia… non intendo vecchia d’età, cioè sì è anziana, ma intendo dire che era la vostra balia… be’ comunque Gertrude mi ha messo subito al lavoro. Ho messo in ordine la vostra camera da letto e ho tentato di infilare gli abiti, che mi avete chiesto di portarvi da Verona, nella cabina armadio, ma senza offesa è troppo piccola».
La marchesina rise, osservando quell’animo spensierato di Rosalina. Le era mancata davvero tanto in quei giorni. L’arrivo della sua cameriera personale le migliorò notevolmente la giornata.
Perfino il duca Andrea se ne accorse, egli abbandonò la scena entrando nella tenuta e ancora una volta si stupì di come quella che appariva come una viziata ragazzina trattava una sua serva come se fosse la sua più cara amica.
Chiaramente il duca non poteva essere al corrente del rapporto che intercorreva tra la piccola marchesa Guerra e la cameriera veronese.
Il suo stupore era più che legittimo. Da quando i nobili diventavano amici dei servi?
Era utopia pura e decisamente andava contro le regole. In un certo senso, la marchesina Giulia e Rosalina non contravvenivano al protocollo sociale. La cameriera le dava del “voi”, si occupava di ogni suo ordine o capriccio, le preparava il bagno caldo, l’aiutava a vestirsi e ad agghindarsi… insomma tutto ciò di cui si occupava abitualmente una servitrice.
Rosalina era più piccola di un solo anno e fu messa immediatamente al servizio della nobile quando ella arrivò a Verona. Trascorsero inseparabilmente i tre anni della sua permanenza e Giulia ricordava perfettamente come quella giovane cameriera si era presa cura di lei.
Rosalina non si era limitata a comportarsi come un’umile servitrice, lei stava sinceramente in pena ogni qualvolta che Giulia non dormiva la notte, causa i suoi terribili incubi.
Alle volte si nascondeva a dormire dietro al paravento su un tappeto, in attesa che la marchesina si svegliasse di soprassalto per accorrerle subito e tranquillizzarla. Rosalina le era molto affezionata e il sentimento era ricambiato dalla sua padrona.
«Mi auguro che l’arrivar qui non sia stato un sacrificio troppo enorme» disse Giulia.
«Sapete bene che non ho famiglia. Mio padre non l’ho mai conosciuto e ho perso mia madre anni orsono. Certamente mi è dispiaciuto lasciare Verona, ma ormai non avevo più alcuno scopo al palazzo dei baroni Piacentini» affermò Rosalina, ostentando tranquillità. Non sembrava affatto demoralizzata dal trasferimento. «Inoltre mi aspettavo di seguirvi dal giorno in cui avete ricevuto la lettera di vostro padre. Quindi è un piacere esser riuscita a raggiungervi ora».
«La tua soddisfazione non può che rendermi orgogliosa. Forza, ora rientriamo. Ho un po’ di novità da raccontarti…»
«Sarà un piacere ascoltarvi, mia signora. Oh! Prima devo riferirvi ciò che mi ha detto vostro padre poco fa» la fermò l’allegra cameriera veronese. «Lui e la… la signora Elena hanno anticipato la loro partenza per la capitale a qualche ora fa, anziché partire dopo pranzo. Mi hanno riferito che dovrebbero far ritorno in pochi giorni… e so che con loro è andato anche Adriano».
«E di questo ringrazio il cielo!» sospirò sollevata Giulia. «Sarebbe stato terribile rimanere sola con quel mostro, sebbene abbiamo un ospite».
«A proposito del duca, vostro padre si raccomanda di mantenere alto il nome di famiglia e quindi di comportarvi come una buona padrona di casa. Ha detto che è vostro compito intrattenerlo e possibilmente condividere i pasti insieme…»
«Sì, sì… ho capito» rispose Giulia, accompagnando le sue parole con un annoiato gesto della mano.
Ci mancava appena quella!
La marchesina immaginò che sarebbero state delle cene alquanto silenziose.
Di che cosa mai avrebbero potuto argomentare?
Giulia sperava solamente che il duca Andrea non si impicciasse nuovamente dei suoi affari. Si domandò perché quel damerino non fosse partito anch’egli per la capitale e poi si ricordò che la notte precedente l’aveva passata con donne di facili costumi. Quindi poverino sarebbe stata troppo dura alzarsi di buon ora, dopo la lunga notte impegnativa.
Sbuffò salendo le scale che portavano al piano della sua camera da letto e mentre pensava a quell’uomo con cui si sarebbe trovata quella sera a cena. Per lo meno l’euforia di aver al suo fianco Rosalina non la buttò completamente a terra. Passò tutta la giornata assieme a lei, raccontandole ciò che era accaduto mentre erano state separate, comprese le provocazioni di Adriano.
La giovane cameriera era una delle poche persone al corrente dei loro trascorsi. Giulia vuotò il sacco su quel terribile accaduto dopo che Rosalina le domandò chi fosse la persona che la perseguitava nei suoi incubi.
Rosalina non fece affatto fatica a crederle, lo vedeva nei suoi occhi ancora spaventati. Ciò faceva riflettere Giulia. Una semplice cameriera che la conosceva da poco più di tre mesi le aveva creduto, al contrario di suo padre.
Era credenza comune che il passato dovesse rimanere nel passato, eppure per Giulia non c’era nulla di passato. La sua lotta era ancora viva e chi aveva commesso un errore doveva ancora pagare. Auspicava nel fatto che alla fine il conto arrivasse per tutti.
«Il duca è una persona piacevole?»
La voce di Rosalina la allontanò dai suoi pensieri.
«Dipende dai suoi discorsi. Se intende elogiare ancora Elena, troverà una cattiva compagnia in me».
La cameriera alzò le spalle. Tirò fuori da un cassettino un paio di orecchini azzurri dalla forma rotonda, che si intonavano all’abito che insieme avevano scelto per la serata.
«Se permettete di darvi un consiglio. Per qualsiasi parola spiacevole che il duca dovesse dire, voi dovreste farvela entrare da un orecchio e farvela uscire dall’altro».
La marchesina abbozzò un sorriso divertito. «Tenterò, sebbene è difficile che io riesca a starmene completamente zitta».
«Oh lo so piuttosto bene! Marchesa, voi lo sapete che a me piace quando tirate fuori gli artigli, ma forse con il duca dovreste trattenervi. È un ospite importante per vostro padre e non sia mai che qualche affare possa andare storto per causa vostra. Da come lo avete descritto, credo proprio che il signor Marchese non vi darebbe tregua».
«Senza dubbio!»
«Questo pomeriggio ho avuto occasione di incontrare questo duca Pietrarossa e… non so se posso dirlo… ma è veramente un bell’uomo».
«Rosalina!» scoppiò a ridere Giulia.
La cameriera divenne tutta rossa in viso e abbassò il capo. «Ecco, lo sapevo che dovevo starmene zitta. Maledetta me e la mia linguaccia!»
La marchesina si alzò dalla toletta e si mise di fronte a lei, guardandola con dolcezza. «Se ti può far sentire meglio, credo anche io che sia un uomo affascinante… ma ciò non toglie che sia un’idiota. Domani ti racconterò di come è stato il nostro primo incontro, sfortunatamente oggi non c’è stato tempo a sufficienza. Credimi, mi mancava poco per tirargli il fucile in testa».
«Marchesa!»
«Non l’ho fatto!»
Rosalina le lanciò un’occhiata d’ammonimento. Con quella testa matta che si ritrovava, presto o tardi si sarebbe cacciata in guai seri.
«Scendete in sala da pranzo, mia signora, o farete aspettare troppo il duca».
«Come se aspettare gli richiedesse un grande sforzo» commentò Giulia ironicamente.
Salutò la sua cameriera e uscì dalla sua camera da letto, prendendosi tutta la calma necessaria. Era certa che sarebbe stata una lunga e noiosa serata. Quando raggiunse la sala da pranzo, vide che il duca Pietrarossa la stava aspettando con aria piuttosto spazientita e ciò non la toccò minimamente.
Fu attirata più dal suo abbigliamento che dal suo viso. Per quella sera, il duca decise di indossare un paio di calzoni scuri, un panciotto rosso con ornamenti floreali e la redingote era del medesimo colore.
«Buonasera, marchesina» la salutò porgendole un veloce baciamano. «Meraviglioso l’abito che indossate. Peccato che stoni con ciò che ho scelto io per l’occasione. Sarebbe stata una serata perfetta trovarsi in simbiosi, non credete?»
Giulia non era certa se stesse parlando seriamente o il suo era il classico atteggiamento di chi si stava prendendo gioco della persona che aveva davanti a sé. Osservando il sorriso sornione, optò per la seconda ipotesi.
«Sì, un vero peccato! La prossima volta che ci toccherà cenare insieme, mandatemi una missiva. In questo modo saprò adeguarmi al meglio».
La marchesina si trattenne dallo scoppiare a ridere, quando vide l’espressione stizzita del duca. Il caro signor idiota non era affatto abituato a esser contro-ribattuto. Per Giulia quel momento fu sensazionale. Lasciarlo a bocca aperta sarebbe stato il suo nuovo divertimento.
«Vogliamo accomodarci?»      
«Volentieri» rispose il duca a denti stretti.
Tentando di non ostentar troppo il suo divertimento, Giulia prese posto a tavola e cominciò a tastare ciò che dalle cucine avevano portato.
La loro cena cominciò con la zuppa di pomodoro, che il duca Andrea non finì perché secondo lui era troppo salata. Seguì l’arrosto di tacchino che l’ospite sembrò gradir molto, la marchesina si sarebbe stupita del contrario, dal momento che nemmeno a Verona aveva mai assaggiato un arrosto così delizioso.
La loro cuoca aveva dei problemi a preparare una buona zuppa, alle volte era troppo calda, alle volte troppo fredda, tanto salata o insipida, ma se c’era un piatto che le riusciva sempre eccellentemente era la carne.
Il marchese Pietro non ribatteva mai sul mancato buon risultato della zuppa, siccome era stata scelta dalla sua fidanzata e guai a sottolineare un errore della futura marchesa Guerra.
Trascorsero gran parte della cena in silenzio, l’unico rumore era quello dei piatti che venivano posati sul tavolo dalle cameriere oppure quello del vino che veniva rovesciato nei calici di cristallo.
Stavano assaggiando il dolce da pochi minuti, quando ad un tratto il duca Andrea sbattè il tovagliolo sul tavolo.
«Posso sapere che cosa ho fatto di così terribile per indisporvi nei miei confronti?»
«Che cosa intendete dire, duca?»
«Mi pareva che avessimo raggiunto una buona intesa e ora non mi rivolgete neanche uno sguardo. Sono confuso».
La marchesina alzò lo sguardo su di lui - in effetti - per la prima volta da quando si erano seduti a tavola. «Confuso perché non sono come le altre donne a cui siete abituato o perché non apprezzo la vostra Elena come vorreste?»
«Siete gelosa di Elena?»
«Come se ci fosse qualcosa per cui esserne gelosa!» esclamò lei sollevando le posate e guardando verso l’alto. Iniziava a dubitare della sanità mentale di quell’uomo. Sospirò e tornò a mangiare la torta di mele.
«Forse temete che possa rubarvi l’affetto di vostro padre?»
L’accidentale stridio del coltello sul suo piatto infastidì Giulia, ma non più di quella domanda.
«Su questo proprio non ho alcun timore» e riprese a mangiare.
«E dunque che cosa ha fatto per meritare il vostro astio?»
La marchesina sospirò nervosa e alzò il capo, lanciandogli un’occhiata fulminea. «Non avevamo detto che questa conversazione era conclusa?»
«In realtà l’avete detto voi, non io» replicò il duca Andrea, con tanto di ghigno furbo stampato sul viso e che la fanciulla detestava amaramente.
«Non è che forse siete voi geloso di Elena? Questo spiegherebbe il perché siete così dannatamente insistente sulla questione» lo provocò Giulia, fissandolo in maniera piuttosto caparbia.
«No» rispose Andrea.
Il suo sguardo quasi la intimidì, che si fosse offeso per quell’allusione?
«Conosco Elena da quando ero un ragazzo…»
«Sì, questo me lo avete già detto».
«Potreste non interrompermi? Mi da fastidio quando qualcuno non mi lascia finire di parlare» disse stizzito il duca Pietrarossa.
La marchesina deglutì il boccone di torta, poggiò la forchetta con delicatezza e poi si mise composta. «Prego, siete libero di continuare».
Andrea sospirò pesantemente. Lo irritava quel suo comportamento presuntuoso. Forse perché non gli permetteva di ribattere o forse perché iniziava a capire che condividevano la stessa presunzione.
«Stavo dicendo… no, sapete una cosa? A voi non interessa ciò che dirò su Elena, come non vi interessa se compirà mai un gesto gentile nei vostri confronti. Non potete soffrirla e dovrò farmene una ragione. Lei è una mia cara amica e perdonate se ho tentato di capire ciò che non funziona tra di voi per potervi aiutare… per aiutare Elena».
«La volevate aiutare perché credete che meriti il meglio» asserì Giulia, arrivata ormai al punto del suo discorso.
«Ovviamente».
«Be’… non posso che ammirare la vostra bontà nei suoi confronti» ed era sincera nel proferir tali parole. La marchesina poteva dargli contro su molte sue affermazioni, ma le era impossibile negare la buona fede dietro a tutto ciò. L’ipocrisia non faceva parte di lei, tanto quanto la falsità. Peccava d’istintività, su quello non c’era alcun dubbio. «Credo… credo che siate un buon amico. Una fortuna di madame Elena è di avervi al suo fianco».
Gli angoli della bocca di Andrea si levarono verso l’alto. «Ora siete voi che mi rivolgete il primo vero complimento, sin da quando ci siamo conosciuti».
Giulia non riuscì a far a meno di sorridere. Era un sorriso timido che fece tenerezza al duca e lo mandava anche in confusione. Un attimo prima sembrava tanto una leonessa inferocita e subito dopo un innocuo gattino. Quella confusione lo intrigava.
«Avete mai visto il corridoio del terzo piano nell’ala ovest?»
«Non credo. C’è qualcosa di interessante là?»
«Mi seguireste per scoprirlo?»
«Vi seguirei in ogni caso».
Giulia era talmente stupita da rimanere a bocca aperta. Dovette riflettere per qualche attimo sulle sue parole, per esser sicura di aver udito bene. Sorrise divertita alzandosi dalla sedia.
«Ottima risposta, duca» affermò la marchesina non sapendo veramente cos’altro potesse dirgli.
«Andrea» disse l’uomo alzandosi a sua volta, pronto a seguirla, «Vi prego, chiamatemi Andrea».
«D’accordo… Andrea».
«E potrei io chiamarvi Giulia?»
«Certamente» gli rispose lei uscendo dalla sala da pranzo.
«Ho chiesto il vostro permesso, perché non sia mai che io possa infastidirvi con i miei modi…»
Giulia si voltò, gli lanciò un’occhiata stranita e si capiva che stava trattenendosi dal ridere. Non gli disse nulla, si girò nuovamente e tornò a camminare con il duca che la raggiunse al suo fianco. La sala da pranzo non era lontana dal terzo piano dell’ala ovest e infatti la raggiunsero abbastanza in fretta.
Ciò che la marchesina voleva mostrargli era una serie di quadri appartenente ai suoi antenati e ognuno di loro aveva un aneddoto personale che veniva raccontato alle generazioni successive. Il fatto che questi aneddoti fossero veri o meno, era tutt’altra questione.
«Lui è Marco Guerra. Ha combattuto al fianco di Federico I di Saluzzo, per riprendersi il marchesato usurpato dal fratellastro Manfredo. Grazie al suo grande sostegno, che aiutò a raggiungere la vittoria, Federico riuscì a fargli ottenere l’appezzamento di terra dove oggi è costruito questo castello» raccontò Giulia ferratissima sulla storia della sua famiglia. «Pare che durante la guerra venne ferito gravemente e riuscì a sopravvivere per l’amore che provava verso l donna che lo attendeva a casa».
«Oh, molto romantico» disse Andrea osservando il quadro assieme a lei.
«Non tanto in realtà. Quando tornò a casa scoprì che lei si stava per sposare con un altro» rivelò Giulia alzando le spalle. «Suppongo sia stata la sua fortuna, visto che questa donna pareva avere un naso enorme. Pensate se quel naso lo avessi ereditato io!»
Il duca scoppiò a ridere e camminò lungo il corrodo, raggiungendo il prossimo quadro. «E lui?»
«Guglielmo Guerra II, primogenito di Marco. Fu lui a far finire di costruire questa tenuta».
«Come ha perso l’occhio?» domandò Andrea indicando la benda nera sull’occhio sinistro.
«Oh, non l’ha perso veramente! Era un burlone e decise di farsi ritrarre in quel modo per far credere di aver vinto chissà quale duello. Vi prego, non domandatemi la sua versione dei fatti di questo fantomatico duello. È estenuante, lunga e troppo inverosimile» spiegò Giulia, lanciandogli un’occhiata d’intesa e facendosi scappare una risatina. «Più interessante la storia di Amedeo e Desdemona. Erano fratelli gemelli e ne combinarono parecchie ai loro tempi. Secondo la storia che so io, entrambi riuscirono a sposarsi delle persone influenti del regno. Uhm… se non ricordo male Amedeo sposò la cugina di quarto o quinto grado del re, mentre Desdemona sposò il consigliere di Sua Maestà. Se non erano matrimoni di interesse quelli…»
«Alquanto ambiziosi».

«Parecchio. Le mali lingue affermavano che tra Amedeo e Desdemona vi fosse una relazione incestuosa, ma nessuna prova diede fondamento a quelle voci».
«Voi che cosa ne pensate?» domandò Andrea con un certo interesse.
Giulia ammiccò un sorriso malizioso e proseguì verso il prossimo parente.
Al duca Pietrarossa parve interessare molto gli aneddoti che Giulia gli stava raccontando. Non si perdeva nemmeno una parola e mentre l’ascoltava, i suoi occhi erano fissi sul viso spensierato della ragazza. Era divertita dalle vicende che avevano coinvolto i suoi antenati e allo stesso tempo fiera delle loro prodezze o mattanze.
Andrea la seguiva passo passo e ogni tanto le rivolgeva qualche domanda. Non si fingeva interessato, lo era veramente. Gli piaceva sentirla parlare, così come il suo orecchio si stava abituando alla sua risata allegra e non troppo pimpante.
Fu un momento che entrambi trascorsero con molto piacere e la sintonia, che parvero scoprire giorni prima, tornò a galla. I loro botta e risposta ne facevano parte, ad essere onesti era ciò che di più apprezzavano. Andrea e Giulia si mostravano esattamente per quello che erano e con sincerità si rispondevano senza esitazione. Era come se l’uno accettasse l’altra. Erano pieni di vita e liberi, questo era ciò che li accomunava sopra ogni cosa.
«È stato un piacere e un onore conoscere la storia della vostra famiglia. Devo ammettere che siete delle persone che si danno un gran da fare per vivere questa vita al meglio!» rise Andrea.
Giulia lo seguì a ruota. «Sì, non ci facciamo mancare niente».
«E voi cosa farete per essere ricordata dai vostri figli, nipoti… insomma… dalle generazioni future?»
Ecco qualcosa a cui non aveva mai pensato.
«Vi ho presa in contropiede, marchesina?»
«Ad essere onesta, sì» rise imbarazzata. «N-non so che cosa combinerò per essere ricordata. Forse avrò una vita normale, monotona e piatta, e verrò ricordata per questo. Magari mi soprannomineranno “la tranquilla Giulia”!»
«Senza offesa, ma tranquilla non è l’aggettivo che più vi si addice».
«E quale aggettivo mi definirebbe meglio?»
Andrea mostrò un sorriso sghembo e poi le mostrò il braccio. «Avreste il desiderio di fare una passeggiata al chiaro di luna? Ciò mi ispirerebbe a trovare l’aggettivo corretto».
«Come potrei mai rifiutare il vostro invito?»
La marchesina posò la sua mano sul braccio dell’uomo e, con un sorriso piacevole sul viso, lo seguì. Scesero le ampie scalinate e dovettero attraversare qualche corridoio per raggiungere la terrazza che dava sul giardino. Era l’unica zona del maniero ad essere illuminata dalle torce accese.
Alzando lo sguardo verso il cielo, quella passeggiata sarebbe stata poco la chiaro di luna, dal momento che essa era parzialmente nasconda da grandi nubi. Poche erano le stelle visibili. Pareva proprio essere una notte oscura.
Le aspettative infrante non rovinarono la passeggiata di Andrea e Giulia.
«Quindi vi piace danzare?»
«E molto anche! Ho perso il conto a quanti ricevimenti ho partecipato quando ero a Verona» rise la marchesina.
«Certamente la vita di città è più vivace di quella di campagna. Io lo so bene. Negli ultimi anni ho trascorso il mio tempo soggiornando a Venezia, poi sono stato a Milano, a Napoli e persino a Versailles...»
La marchesina Giulia arrestò la loro passeggiata e si voltò a guardarlo con occhi sognanti. «Siete stato alla corte di Francia?»
Se il suo sguardo era già carico di ammirazione per quella famosa e splendente reggia, figurarsi come sarebbe stato se un giorno avesse avuto la fortuna di metterci piede. Andrea rimase in silenzio per qualche attimo, osservando quella che era una ragazza desiderosa non solo della libertà, ma anche della bellezza e dello sfarzo che aleggiava attorno alla corte francese.
duca non riusciva ad immaginarla in quel covo si serpi. Sì, sebbene la reggia di Versailles fosse meravigliosa per la sua immensità e per la sua sontuosità, le persone che la vivevano erano invischiate in intrighi per ottenere il favore della famiglia reale, il che poteva dirsi per ogni corte al mondo, eppure Versailles sembrava qualcosa di più grande.
«La corte di Francia ha il suo fascino, lo ammetto» continuò il duca, appoggiandosi alla balaustra della terrazza «ma, se me lo permettere, credo che per voi sarebbe più adatta la tranquilla corte di Napoli. Oltre ad essere ricca di artisti e di accademici, è un vero gioiello. I ricevimenti non saranno sfarzosi come quelli di Versailles, ma possiede una bellezza che oserei definire brillante. Direi che vi si addice molto di più della corte di Francia e sicuramente più della vita di campagna».
Giulia inarcò le sopracciglia, era incuriosita da quel suo pensiero. «Voi dite? Che cosa c’è di male nel vivere in campagna?»
«Oh, assolutamente nulla. Credo solamente che non faccia per voi. Vi ho osservata e a voi piacciono le cose belle, come le grandi feste, magari amate i balli in maschera con il lusso e quell’alone di mistero» affermò Andrea, guardandola dritta negli occhi e scorgendo che aveva colpito nel punto giusto. Se fosse stata una di quelle giovani ingenue, avrebbe peso dalle sue labbra, invece Giulia preservò la sua caparbietà e semplicemente lo ascoltava con attenzione. «Non nego che la natura circostante abbia il suo fascino, ma non adatta a tutti».
«E voi credete che non sia adatta a per me».
«Negate che preferite Verona?»
«No, non lo nego…» ma non per i motivi che pensava il duca. «Se volessi vivere in città potrei andarmene a stare a Torino da mia nonna. Quale miglior posto se non la capitale per partecipare ai ricevimenti?»
«Ottima deduzione, marchesina! Non sono mai stato a palazzo reale e voi?»
«Sfortunatamente no».
«Dunque potremmo recarcisi insieme, magari per uno dei ricevimenti».
Giulia tentennò per qualche attimo e rifletté sulle sue parole, infine scoppiò a ridere. «Mi state prendendo in giro?»
«Potrei mai permettermi?» il duca si mise sulla difensiva, ma lo sguardo d’intesa della fanciulla lo scompose. «D’accordo. Ammetto che provo un dolce divertimento a stuzzicarvi. Ad ogni modo ero alquanto serio».
«Ma non bisogna essere fidanzati per partecipare ad un ricevimento insieme?»
«Potremmo recarsi separatamente e poi, come per volere del destino, incontrarci casualmente» suggerì Andrea con fare poetico, rendendo la situazione per la marchesina ancor più divertente. «Almeno al matrimonio di vostro padre mi concederete un ballo, così da ricordarmi di voi quando tornerò a Napoli».
«Tornerete a Napoli?» Giulia era confusa. «Pensavo che per via degli affari in sospeso del vostro defunto padre, voi sareste rimasto».
«Infatti l’affare con vostro padre è l’ultimo… ed è anche il più lungo per le trattazioni. La tenuta di famiglia non la venderò per rispetto alla mia stirpe. Ad ogni modo è sempre stata mia intenzione andarmene non appena avessi concluso le mie faccende. Non c’è nulla che mi trattiene qui».
«E invece a Napoli qualcosa vi trattiene?»
Sul viso di Andrea apparve un ghigno furbo. Si sporse verso Giulia e disse: «Siete curiosa o temete che mi attenda una bella fanciulla?»
«Fatemi il piacere, duca! La mia è pura curiosità» la fanciulla non riuscì a trattenere una risata divertita.
«In questa maniera mi spezzate il cuore. E io che credevo di avervi conquistata» si finse addolorato.
«Oh sì a forza di battibecchi ce l’avreste fatta sicuramente!»
«Touchè!» esclamò Andrea mostrandole un sorriso radioso. «La verità è che Napoli è il posto che più preferisco al mondo, complice la presenza del mio migliore amico. Se posso confessarvi un segreto, amo starmene per ore a fissare l’orizzonte, oltre il mare, e immaginare che cosa ci sia aldilà…»
«Il Nuovo Mondo?» tentò Giulia, come se fosse ovvio.
«So bene che c’è il Nuovo Mondo… provate ad essere più poetica!»
«C’è l’avventura» affermò subito la fanciulla e quella risposta gli piacque maggiormente.
«Che genere d’avventura?»
«Di ogni tipo! Forse non pari all’Odissea, ma qualcosa di emozionante e che alla fine lascia senza fiato».
«E voi desiderate l’avventura?»    
Giulia sorrise, stava per rispondergli, tuttavia qualcuno lo impedì.
«Passeggiata romantica al chiaro di luna?»
Entrambi si voltarono, osservando la figura altezzosa di Adriano uscire dal buio e mostrarsi lentamente alla luce delle torce. Il cuore di Giulia cominciò a palpitare velocemente. Andò nel panico immediatamente. Credeva che quell’essere mostruoso fosse partito per la capitale assieme a suo padre e ad Elena.
Per quale dannata ragione era lì?
«Amico mio, lo sai che non sono un romantico… non seriamente» rise Andrea.
«Magari il fascino della mia nipotina aveva cambiato il tuo animo bruto».
«Non sono vostra nipote e non è di certo il duca ad avere l’animo bruto» replicò Giulia, fissandolo con astio, come sempre.
Quell’espressione spavalda non scomparve dal viso di Adriano. Si divertiva troppo a vederla in difficoltà e la sua voce, come un ruggito, fermentava la sua passione maledetta. La guardava con un malizioso sbrilluccichio negli occhi blu, lo stesso desiderio con cui la osservava da quando l’ha incontrò.
«Perché siete qui?»
«Vi state domandando perché non sono partito con vostro padre, marchesina?» domandò retorico Adriano. «In realtà ero partito, ma poi la preoccupazione mi stava facendo impazzire. Come potevo lasciavi tutta soletta alla tenuta? Chissà in quali pericoli potevate incappare…»
«Non ero da sola».
«Infatti. Grazie per esservi ricordato di me, amico» aggiunse il duca Pietrarossa, guardandolo con un sopracciglio inarcato.
«Nulla a togliervi, ma io e la mia famiglia non ce la sentivamo di darvi questo peso».
«La marchesina Guerra non è affatto un peso, anzi la sua compagnia mi allieta» la guardò, rivolgendole un sorriso gentile «e se vi fosse stato anche il minimo pericolo, credetemi, l’avrei protetta. È questo che fanno i gentiluomini».
«E voi lo siete, non ho il minimo dubbio. Malgrado ciò, tentate di capirmi, esporvi ad un qualsiasi pericolo sarebbe stato…»
«Il pericolo fa parte dell’avventura, non credete?»
Quella domanda non era rivolta ad Adriano. Lo sguardo di Andrea era completamente rivolto alla marchesina Giulia. Lei era  giovane, non molto in confronto a lui, eppure il suo viso non possedeva l’ingenuità che doveva appartenere ad una fanciulla della sua età.
Era come se fosse capace di vedere oltre il suo naso. Scaltrezza e la volontà ferrea, forse era quello il segreto del suo successo. L’aveva capito fin dal loro primo incontro che non era una bambolina. Possedeva grazia ed eleganza, ma c’era ben altro in lei. Andrea trovò che fosse un peccato che Giulia non ricambiasse il suo sguardo.
La marchesa era fissa su Adriano e viceversa, eppure le espressioni sui loro visi erano completamente diverse e il duca se ne accorse. Giulia era tesa, con lo sguardo duro tentava di non scomporsi, ma aveva paura.
Quell’arrogante di Adriano stava godendo delle sue emozioni. Tra quei due non scorreva proprio buon sangue. Il duca ricordò ancora quel mattino in cui vide il suo amico trattar male la fanciulla mentre non c’era nessuno.
«Perdonatemi, signori. Credo che mi ritirerò nelle mie stanze. Sono un poco stanca».
La marchesina mostrò un leggero inchino ad entrambi e poi fece per andarsene. Adriano si sporse, intenzionato a chiederle di poterla accompagnare. A scongiurare il suo colpo fu l’arrivo dell’allegra Rosalina, cameriera personale di Giulia, che si mise al immediatamente al seguito della sua signora. Non appena furono all’interno del palazzo, Giulia si strinse all’unica alleata che aveva là dentro.
«Grazie».
«Direi che si tratta di dovere, ma non è solo questo marchesa» rispose la bionda veronese. «Ostacolerò come potrò quel farabutto».
«Pare proprio che il numero di partecipanti a quest’avventura sia in crescita».
«Quale avventura, mia signora?»
Giulia non potè far a meno di sorridere.



Mrs. Montgomery
Scusate la mia lunga assenza!
La situazione inizia ad evolversi, sebbene per la nostra Giulia ci siano sempre le malefatte di Adriano ad attenderla.
Il suo peggior nemico è il suo più grande ostacolo.
Quando riesce a fare un passo avanti con il duca, ecco subito che ne compiono due indietro.
Per quanto Giulia riesca a tenergli testa, Adriano è sempre più ostinato e arriverà anche a compiere più di un gesto estremo.
Per il momento, Andrea è uno spettatore di questa faida e per le più curiose rispondo subito che presto si metterà anche lui in gioco.
Bisogna avere un po' di pazienza, ma tutto arriverà.

Vi ringrazio per aver letto. Grazie a chi inserirà la storia nelle varie categorie e chi vorrà recensire.
Se volete seguirmi su facebook ecco il mio profilo. Nelle foto troverete i prestavolto dei protagonisti -- > Charlotte Montgomery
-Baci

 

   
 
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