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Autore: _Frame_    05/03/2017    4 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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117. Magnifico e Brutale

 

 

Fu un alito di vento a scuoterlo. Gli scivolò sulle dita intrecciate dietro la nuca, scompigliò i capelli contro il collo sudato, gli pizzicò la pelle come una manciata di aghi soffiati dall’aria, si infilò sotto il bavero, spanse un formicolio attraverso la spina dorsale, e discese la schiena facendolo rabbrividire di freddo e di paura. La stessa paura che era precipitata nello stomaco come una cannonata quando Romano si era visto arrivare addosso lo stormo di Fulmar guidati dalla corsa di Inghilterra.

L’eco dei due spari sputati dalla semiautomatica stagnava ancora nell’aria. Il vento pregno di quell’elettricità statica gli stava ancora mordicchiando la carne, bollente e gonfio di un’energia simile a quella che teneva fra le mani quando impugnava le sue squadriglie.

Un rotolo di immagini gli sfilò dietro le palpebre strizzate e imperlate di sudore, tremanti come il resto del suo corpo.

Inghilterra, la pistola che aveva estratto puntandola contro di lui, Prussia che gli si precipitava addosso spingendolo via, i due spari, la caduta a terra, e la botta sulla testa.

Romano tremò di nuovo, batté i denti. Fece scivolare le braccia da dietro la nuca e le incrociò davanti al volto, tenendosi rintanato fra i gomiti. Il ronzio degli aerei volò via, ovattato dalle nuvole, e venne sostituito da quello che frullava nella sua testa. Mi ha sparato, ripeté, mi ha sparato, oh mio Dio, mi ha sparato, non sento niente, non sento niente perché sono già morto.

Romano schiuse le palpebre. Spicchi di un cielo grigio e appannato, bagnato dal suo sudore. Sbatacchiò le ciglia per sciogliere le scintille di vertigini, prese un flebile respiro dalle labbra socchiuse, e si toccò il palato con la punta della lingua. Asciutto e amaro. Sollevò la fronte, fece leva sulle spalle tremanti, le braccia si indurirono, cedettero per il dolore ai muscoli, e lui tornò a cadere con il mento fra i gomiti. Lo sguardo ristretto e stordito rivolto alle nuvole su cui si era accasciato.

Un’ombra nera lo avvolgeva come una coperta. La sua presenza intensa e pesante schiacciava il corpo di Romano tenendolo protetto e riparato da quello di Inghilterra più distante da loro.

Soffiò un’altra folata di vento freddo e dall’odore nauseabondo di carburante. Romano si tappò la bocca con il palmo, strinse i denti per resistere ai brividi di nausea che gli era scivolata fino alla pancia. Sollevò il viso e risalì con lo sguardo le gambe di Prussia da cui partiva l’ombra in cui era immerso. Un raggio di sole gli toccò il profilo, si arrampicò lungo le ginocchia flesse, risalì il busto che fremeva per i rauchi respiri affannosi, e batté sulla sua mano lucida di sangue e sudore aggrappata alla spalla. Un altro fremito. Due rivoli di sangue sgorgarono dalle falangi contratte sulla stoffa e scivolarono fra le nocche, sbrodolarono dalle punte delle dita. Prussia strinse i denti, ingoiò il fiato per non gemere, i capelli caduti davanti al viso gli nascosero l’espressione contratta dal dolore. L’ombra creata dai raggi di sole gli infossava i lineamenti del viso sotto le ciocche scompigliate e incollate alle palpebre e alle guance sbiancate per lo sforzo.

Era in piedi. In piedi, ferito, e piazzato saldamente davanti al corpo di Romano che lui stesso aveva spinto a terra.

Romano sussultò. Il cuore divenne di ghiaccio e precipitò nello stomaco, il corpo rimase paralizzato dentro l’ombra di Prussia, larga e scura, proiettata dal sole che brillava alle sue spalle. Sgranò gli occhi e restò a labbra socchiuse, il volto bianco come sale. Nella sua testa, evocò l’immagine dei due spari che esplodevano dalla canna della semiautomatica, i proiettili che attraversavano il fumo, una delle due pallottole che schizzava sopra il braccio di Prussia ancora teso dopo averlo spinto a terra, e la seconda che gli perforava la spalla schizzando una corona di sangue dalla ferita. Una morsa di colpevolezza gli chiuse lo stomaco.

Prussia strizzò le dita contro la spalla. Densi e sciropposi rivoli di sangue colarono fra le nocche, inzupparono la stoffa bruciacchiata della manica, allargarono la chiazza nera da cui aleggiava un sottile velo di condensa. Distese la mano, dalle dita gocciolarono altre perline rosse che luccicarono al sole come resina fresca, ed esalò un sospiro pesante. Riprese fiato inspirando dal naso, sollevò il capo, e il corpo smise di tremare.

Romano abbassò il labbro inferiore, il suo respiro accelerò, un forte peso all’altezza del petto gravò come un sasso fra le costole, gli bloccò la voce e rimase incastrato in gola come un boccone andato di traverso. “Mi...” Rabbrividì. Nei suoi occhi slargati, lucidi di terrore, si riflesse la mano scarlatta di Prussia, bagnata di sangue, e la sua spalla ferita diventata nera. Nella sua carne percepì il dolore di avere il proiettile conficcato nella spalla, a battergli sull’osso a ogni sospiro, a bruciare sulla pelle sciolta e tenuta incollata alla stoffa dal sangue gocciolante. Romano ingoiò un grumo di senso di colpa, stridette un flebile lamento. “Mi dispia...”

“Coprimi.” Prussia scrollò il sangue dalla mano, si asciugò il palmo sulla giacca lasciando un’impronta nera, raddrizzò le spalle e divaricò le gambe. La sua ombra ancora più larga e scura addosso a Romano, come un’appiccicosa chiazza di petrolio che si dilata.

Romano sollevò un sopracciglio, il viso ancora corrugato di sconcerto. Il labbro inferiore vibrò. “Cos...”

“Coprimi!” Prussia mollò la ferita ancora sanguinante, il braccio ferito ciondolò sul fianco, la spalla s’ingobbì leggermente. Affondò un passo pesante davanti a Romano, sollevò la mano laccata di sangue, aprì e strizzò le dita. La sua voce si inasprì come se il sangue gli fosse scivolato in gola. “Posso usare una mano sola, ho bisogno che mi copri.”

Le labbra di Romano tremarono di nuovo, nel cervello abitava soltanto un ronzio acuto che non gli dava pace e che ovattava i pensieri. “S... sì.” Aprì una mano sulla nuvola, raddrizzò le braccia, cadde, raccolse le gambe piegando le ginocchia a terra, forzò il muscolo del polpaccio per sollevare l’anca, ma tutto il suo corpo tremò, pesante come se fosse stato riempito di sabbia. Romano tornò a picchiare il suolo con il fianco, accasciandosi sui gomiti. Digrignò la mandibola, “Ghn!”, e aggrottò la fronte in un’espressione nera come la pece, vide rosso, gli occhi bruciarono come quando stava per scoppiare a piangere, e strizzò i pugni a terra. Raccolse fra le dita tutto il fuoco che gli ruggiva nella pancia.

Spalancò le braccia rimanendo a terra, in ginocchio, dietro le gambe di Prussia, immerso nella sua ombra spanta dai raggi di sole che gli avvolgevano la sagoma nera, e dilatò le mani picchiettando i polpastrelli sull’aria. Scossette di energia serpeggiarono fra le dita, i rombi degli aerei tornarono a ingrossarsi, i ronzii risalirono l’aria, sollevarono ondate di vento che circondarono il suo corpo in una serie di fredde spire dall’odore di mare e carburante.

Lo stormo di Savoia si arrampicò attraverso le nuvole, bucò la coltre, gettò una spazzata di vento addosso alla schiena piegata di Romano, gli agitò i capelli, e le ombre degli aerei crebbero assieme ai ronzii delle eliche, si elevarono in cielo.

Prussia restrinse le dita della mano imbrattata di sangue, quella appesa al braccio sano. I suoi occhi si accesero d’ira, splendettero come il rosso che gocciolava dalla sua pelle. Rivolse il palmo verso l’alto, flesse il polso e chiamò a sé il volo dei Junker.

Un’altra raffica di ronzii esplose alle loro spalle. I bombardieri scesero di quota, infransero la barriera di nuvole, e volarono sopra i Savoia, i musi controsole e i raggi luminosi a specchiarsi sulle ali grigio-nere. Prussia calò il braccio di colpo, il peso dello stormo gli scivolò dalla spalla al polso, lo tirò verso il basso.

Devo allontanarlo.

I Junker scesero compiendo un movimento ad arco, sfrecciarono davanti a lui, lo investirono in un turbine d’aria, coprirono la luce del sole, e volarono dritti addosso a Inghilterra.

Prussia contrasse le dita del braccio ciondolante sul fianco, e uno schiocco elettrico gli attraversò l’osso dalla spalla fino alla mano, si addensò nella consistenza del proiettile conficcato nel muscolo.

Devo allontanare Inghilterra almeno fino a che non riesco a sistemarmi la spalla.

Lo stormo di Junker si allineò, scoprì le squadriglie lontane di Fulmar, il profilo di Inghilterra chino davanti ai raggi del sole, le sue mani chiuse attorno alla scintilla metallica della pistola e l’intenso bagliore verde del suo occhio spoglio che bruciava di frustrazione.

Prussia ricambiò l’occhiataccia d’odio, strinse il pugno senza schiacciare le dita contro il palmo, e ruotò di scatto il polso, spalancò il braccio sul fianco. Lo stormo seguì il suo movimento, la formazione si inclinò, deviò la traiettoria per non incrociarsi con gli spari dei Fulmar, e puntò la distesa del mare mosso dalle onde e dalle gettate di fumo. Romano sussultò, colto di sprovvista, e scivolò in avanti stando sulle ginocchia tremanti, sporse le braccia in basso per seguire lo scatto dei Junker. I Savoia si lanciarono in difesa.

Inghilterra restrinse lo sguardo, seguì la traiettoria dei nemici e l’occhio gli cadde sul profilo della Illustrious circondata da un nastro di fumo. Sobbalzò. Vuole bombardarmela anche lui! Mosse un passo, ma una fitta di dolore al costato gli ricordò del colpo di prima, lo fece piegare e aggrapparsi al fianco con un braccio. Merda, ringhiò la voce nella sua testa, devo scendere per forza, la Illustrious ha la priorità!

Inghilterra si girò, gettò un ultimo e tagliente sguardo di minaccia a Prussia, lo trapassò con la luce di un occhio solo, e strinse i denti. Non finisce qua.

Prussia lo squadrò da dietro il braccio teso davanti al suo viso, digrignò i denti trattenendo un sottile grugnito fra le labbra, e ricambiò l’occhiata d’odio. Aveva tutto il sole in faccia, gli occhi rossi splendevano come fiammate. Ci puoi giurare che non è finita qua. Vedrai come te la faccio pagare dopo.

Inghilterra sbuffò, rinfilò la pistola nel fodero allacciato al fianco, tese il braccio e tagliò un movimento secco davanti al petto. Si smaterializzò in una nube grigia, la nebbia si sciolse trascinata via dalla risacca degli aerei in volo, e lo fece sparire.

Uno scoppio in mare sollevò un ruggente boato che fece tremare lo strato di nuvole e fumo sul quale Prussia e Romano erano sospesi. Romano sussultò, come punto da una scossa, e abbassò le braccia sui fianchi, le mani caddero contro le cosce, le dita disciolte dal legame con i suoi bombardieri formicolarono, riacquistarono calore e sensibilità. Si sporse, sbatté piano le palpebre pizzicanti di sudore, e scrutò i gonfi bitorzoli di fumo che tenevano nascosto il convoglio, l’aria gli soffiò sul viso e agitò i capelli sudati davanti agli occhi ancora sconvolti e smarriti. Il viso bianco come una maschera di carta, il respiro corto e singhiozzante, il cuore appesantito dal senso di colpa e di impotenza.

Il braccio ancora sollevato di Prussia tremò. Prussia strizzò e distese il pugno, fece schioccare le ossa delle dita, le vene pulsarono salendo in rilievo sulla pelle sudata e sporca di sangue. Lo abbassò di colpo, piegò le spalle in avanti esalando un sospiro di sollievo che sciolse tutta la fatica accumulata sulla schiena, “Aah”, e spostò il peso da un piede all’altro per tenersi in equilibrio.

Si tolse i capelli dalla fronte, sporcandoli di rosso, e rivolse lo sguardo alla spalla ferita e nera di sangue. I lineamenti si fecero più distesi e rilassati, gli occhi avevano perso la fiamma d’odio. Prussia alzò la mano del braccio sano, posò le punte delle dita sull’avambraccio, tastò attorno al foro carbonizzato lasciato sul tessuto dal proiettile, e palpeggiò tutt’attorno alla ferita. Sgorghi di sangue zampillarono dalla carne perforata, imbevettero la stoffa. Prussia arricciò una smorfia infastidita con la punta del naso e tastò un’altra volta, massaggiò lentamente per sentire la consistenza dura del proiettile spostarsi dentro il muscolo. Lo individuò.

Romano si passò una manica sulla fronte per asciugarsi dal sudore, tenne le dita infilate fra i capelli per avere gli occhi liberi dalle ciocche, e rivolse lo sguardo ancora buio e teso a Prussia, alla sua sagoma controsole girata di schiena. “Perché lo hai fatto?” Gli occhi volarono sulla sua spalla insanguinata. Il fastidioso nodo di colpevolezza gli strizzò un’altra volta la morsa attorno al cuore.

Prussia emise un piccolo sbuffo, piegò un mezzo sorriso d’amarezza, e spinse le dita un’altra volta sotto la ferita, schiacciando il muscolo fra pollice e medio. “Perché non avrei dovuto farlo?” Staccò le dita insanguinate, sollevò un lembo della giacca, tastò la cinta dei pantaloni e incontrò il fodero del pugnale d’assalto. Lo prese per il manico, lo sfilò dalla cinghia, si sbottonò la giacca e tenne tesa un’ala di stoffa. Affondò la lama seghettata del coltello nel tessuto e lo seghettò ad ampi strappi.

Romano aprì e chiuse le labbra, la lingua impastata sul palato sembrava fatta di sabbia. “Perché...” I suoni secchi degli strappi dati da Prussia alla stoffa della giacca catturarono il suo sguardo. Aggrottò la fronte, sollevò la punta di un sopracciglio in un’espressione smarrita. “Che...” Sbatacchiò le palpebre e gli cercò il viso. “Che stai facendo?”

Prussia lo ignorò. Diede un ultimo taglio alla stoffa, la lama del pugnale d’assalto trapassò l’ultimo angolo di tessuto e lacerò un lembo lungo e sottile. Prussia lo strinse nella mano insanguinata e lo avvicinò alle labbra. “Siamo alleati o no?” Morse la stoffa fra gli incisivi, sbottonò la giacca e la sfilò dalle braccia, rimanendo vestito solo con la maglia nera che lasciava vedere la ferita sanguinante sulla spalla. La croce di ferro gli cadde sul petto, emanò un breve abbaglio e si spense. Prussia si avvicinò di un passo a Romano – la pezza di stoffa ancora fra i denti – e gli lanciò la giacca sulla testa. “E io ho un certo credo da rispettare in guerra.”

Il peso della giacca gli sbatté sulla nuca, Romano chinò la testa, strinse gli occhi gemendo di sorpresa, e la sollevò subito, sbirciando da sotto una manica che gli era piovuta davanti al viso.

Prussia rigirò il pugnale d’assalto, strinse forte l’impugnatura facendo gemere la pelle delle dita bagnate di sangue, e immerse la spalla ferita sotto un raggio di sole. Indirizzò la punta del coltello nel foro della ferita, restrinse lo sguardo e serrò i denti attorno alla stoffa che teneva in bocca.

Romano sbiancò. Una vampata di ghiaccio lo fece rabbrividire. Non vorrà mica...

Prussia inspirò, trattenne l’aria, e piantò il pugnale nella ferita. Schizzi di sangue spruzzarono sulla lama, gemme rosse spante dal vento, e colarono attraverso l’avambraccio disegnando rivoletti che arrivarono fino alle dita. Prussia strinse la presa, aggrottò la fronte, arricciò le labbra contratte nel morso dato al pezzo di stoffa, e ruotò il polso. La lama si rigirò nella carne, affondò penetrando il muscolo – squish! –, altri spruzzi schizzarono dalla ferita, e la punta metallica sbatté su una resistenza più dura. Prussia gracchiò con voce impastata dalla stoffa e dalle fitte di dolore. “Comunque non mi aspetto che tu faccia lo stesso con me.” Inclinò il coltello, la lama scese ancora, scivolando come nel burro.

Romano si tappò la bocca per contenere un gemito di terrore e disgusto. Un violento conato di vomito gli chiuse lo stomaco in un nodo di gelo, in viso divenne giallo come senape, gli occhi spalancati vibrarono di angoscia, il corpo divenne di pietra, il respiro si bloccò fra le dita tremanti e premute sulle labbra.

Prussia diede altre due girate di coltello, raccolse la pallottola con la punta della lama, la snocciolò dal muscolo, diede un forte strattone, e il proiettile schizzò via, si immerse in un raggio di sole, scintillò seguito da un filo di sangue, e precipitò svanendo fra le nuvole. Prussia gettò il capo all’indietro e soffiò un sospiro di sollievo che finì assorbito dal lembo della giacca. La ferita alla spalla lacrimò fiotti di sangue più grossi e scuri che colarono fino alla mano come cera appena sciolta, spansero un sottilissimo velo di condensa che odorava di ferro. Prussia chiuse la lama insanguinata fra indice e medio, diede una strisciata e la ripulì, ficcò il pugnale d’assalto nel fodero sulla cinta, e scrollò le dita. Raccolse il lembo di stoffa dalla bocca, lo passò attorno alla spalla e chiuse un nodo fermo. “Se non ti senti abbastanza forte da starmi dietro...” Sollevò lo sguardo, lo posò sul corpo chino di Romano, rivolgendogli un’espressione dura. Un raggio di sole gli passò sulla guancia, attraversò il viso, gli accese il colore rosso degli occhi. “Allora stattene a guardare.”

Romano si chiuse nelle spalle, rabbrividì, di nuovo seppellito dall’ombra di Prussia e schiacciato dal peso della sua giacca sulla testa. Non riuscì a togliersi dalla mente l’immagine della sua mano che calava, della lama del coltello che si conficcava nella spalla, che si rigirava scavando nel muscolo ed estraendo la pallottola. Altri brividi di nausea gli scossero la pancia, Romano ci vide doppio, si aggrappò alla giacca strappata che Prussia gli aveva lanciato addosso, e desiderò finire sepolto fra le nuvole.

Prussia chiuse una mano sulla spalla colpita, sopra il bendaggio su cui già si stava già allargando una chiazza di sangue nero. Massaggiò l’osso, inclinò il collo di lato e fece scricchiolare le vertebre. Aprì e strizzò la mano. Il muscolo dell’avambraccio nudo e rigato di sangue e sudore si gonfiò, rami di vene bluastre salirono in rilievo come filamenti di radici. Senza togliere la mano dalla spalla, girò lo sguardo verso Romano, e il vento gli agitò i capelli sulla fronte. “Sta’ buono lì e riprendi fiato,” gli fece. Voce e sguardo si erano ammorbiditi. “Sei bianco come una mozzarella.”

Romano abbassò di colpo la faccia come per non farsi vedere, le guance bianche si chiazzarono del rosso della vergogna.

Prussia distese le braccia sui fianchi, divaricò le gambe, raddrizzò la schiena, spalancò le mani e palpeggiò l’aria. Il vento gli soffiò addosso scuotendo le estremità della fasciatura, il sole gli coronò il profilo facendolo diventare un’imponente sagoma nera davanti al globo di luce. Flesse le punte delle dita, allargò le spalle, i rivoletti di sangue corsero lungo il muscolo del braccio, discesero il rigonfiamento, e gocciolarono dalla mano.

Il vento accelerò, ronzii lontani aumentarono i loro rombi sotto le nuvole, fecero vibrare il cielo, e le sfrecciate degli Junker si impennarono alle spalle di Romano. Lo investirono in una violenta ventata di aria calda. Romano si strinse le braccia dietro la nuca, gemette, e si rannicchiò contro le ginocchia per resistere alla sensazione di essere spazzato via come una foglia. Risollevò lo sguardo, nascosto sotto la giacca di Prussia ancora calata sulla sua testa, e si trovò di nuovo davanti alla sagoma nera del suo corpo in piedi davanti al disco del sole.

Romano allargò le palpebre, gli occhi lucidi assorbirono quell’immagine. Il vento caldo che si agitava attorno al suo corpo rannicchiato sulla nuvola gli scivolò dentro il sangue, strinse il cuore strozzandogli un sospiro in gola. Un sospiro di terrore e meraviglia allo stesso tempo.

I raggi splendevano attorno al corpo scuro di Prussia, come un’aura dorata, scintillavano sulle goccioline di sudore e di sangue che brillavano traballando sotto la spinta del vento. Prussia contrasse le dita e, come se avesse tirato dei fili invisibili annodati alle falangi, un’altra squadriglia di Junker schizzò sotto il suo comando. Gli aerei sfrecciarono sopra di lui, investendolo con un’ondata d’aria. Il vento gli scosse i capelli illuminati di luce, e ingigantì la sua ombra in cui Romano era seppellito.

Come... Romano strinse la giacca gettata addosso alla sua testa, si riparò dallo scossone di vento, chinò le spalle, ma i suoi occhi sgranati restarono incollati alla schiena di Prussia. La bocca socchiusa in quel respiro soffocato, il cuore che aveva smesso di battere, il nodo allo stomaco che gli chiudeva la pancia. Come faccio a competere con lui?

Prussia chiuse di più il pugno, calò il braccio, guidò la discesa della squadriglia, e il suo muscolo si gonfiò. La schiena avvolta solo dalla maglietta nera si contrasse, le scapole si strinsero come ali sporgenti, e la luce del sole attorno a lui si infiammò in un’ondata di calore simile a quelle rigettate dai bombardieri.

La vampata di calore ruggì anche addosso a Romano, bruciò rizzandogli la pelle d’oca, formicolò nel sangue arrivando a stringergli il petto, a rendergli il cuore gonfio. Gli strappò un altro gemito. Questa potenza. L’intenso e profondo battito del suo cuore gli trasmise una fredda sensazione di paura, ma i suoi occhi non riuscivano a fare a meno di fissarlo, colmi di incanto come lo sguardo di una falena attirata dalla fiamma della candela. Questa forza che gli scorre dentro... è qualcosa che io non possiederò mai.

Prussia sollevò l’altro braccio – quello ferito e sporco di sangue. Portò la mano sull’orlo del sole, divaricò le dita, gli aerei gli volarono attorno, scesero in picchiata con un forte ronzio. Chiuse il pugno, la luce gli passò attraverso le dita contratte, e il fracasso degli spari infranse l’aria. Boati più profondi esplosero sotto di loro, nubi grigie si gonfiarono sotto gli scoppi, i rombi dell’incendio già acceso sulla portaerei ruggirono come bestie affamate.

Romano piegò di più le spalle, rimanendo chino e riparato. Un brivido di ansia e soggezione gli scosse la schiena. Non potrò mai combattere contro di lui, né per il mio paese e né per Veneziano. Se provassi anche solo a sfidarlo, non reggerei cinque secondi.

Quel senso di meraviglia, impotenza e frustrazione gli inumidì gli occhi, li rese rossi e brucianti come prima di un pianto.

In tutta la mia vita, non ho mai visto una ferocia simile.

Schiacciato dalla sua ombra, in ginocchio dietro la sua immagine, immerso nella sua potenza, intimorito dalla sua feroce aura distruttiva, Romano comprese il vero significato della parola Magnifico.

 

.

 

Inghilterra correva accompagnato dal costante fischio del vento nelle orecchie, il dolore al fianco che lo mordeva sul costato a ogni falcata, e il ronzare degli aerei che sfrecciavano sopra la sua testa. Si passò un braccio sulla fronte per asciugarla dal sudore, tenendo l’altro teso in avanti a guidare i suoi Fulmar. Restrinse l’occhio sano che ci vedeva sempre peggio, e la vista si appannò, le nuvole divennero un’informe massa grigia sopra la distesa indaco del mare mosso.

Due ali di Junker gli volarono addosso, passandogli sui fianchi, e Inghilterra gettò di colpo il braccio verso il basso per allontanare il suo stormo. I Fulmar planarono, forarono le nuvole che si sbriciolarono fra le pale delle eliche, e le loro ombre nere si riflessero sul fumo sgorgato dal lacero sulla portaerei. I Junker spararono. Le mitragliate trafissero l’aria e diluviarono addosso ai bombardieri inglesi, facendo brillare il cielo.

Inghilterra trattenne il fiato, irrigidì il pugno chiuso ma mantenne il braccio dritto, senza poter invertire la rotta. È inutile. Inciampò. Si strinse il dolore al fianco, avanzò di una falcata zoppicante, si riparò la vista con il braccio libero. Non posso basare la mia vittoria sugli inseguimenti.

Una raffica di spari si schiantò addosso a uno dei Fulmar, la scia di fori lo attraversò producendo il fracasso di una spadellata, arrivò all’ala ed esplose in una gonfia bolla rossa e nera.

La risacca d’aria rovente travolse Inghilterra, lo scaraventò fra le nuvole. “Ah!” Inghilterra cadde e rintanò il capo fra le braccia incrociate dietro la nuca. Il vento gli scosse i capelli e i vestiti, e l’abbaglio di fuoco brillò dietro l’occhio strizzato.

I Fulmar non possono reggere un frontale con i Junker. Poi...

Il boato dell’aereo esploso cessò, si prolungò in un fischio, e il Fulmar si schiantò fra le onde, impennando una colonna d’acqua schiumante. Il ronzio degli altri aerei si affievolì, allontanandosi.

Inghilterra sollevò la fronte, senza alzarsi da terra, ancora accartocciato per il dolore al fianco, e voltò lo sguardo all’indietro.

Il vento agitava le sue spire anche attorno al corpo di Prussia, gli scompigliava i capelli contro il viso scurito da una spietata espressione di odio che brillava nei suoi occhi rossi come il sangue che colava dalle sue mani. La benda di stoffa gli tappava la ferita alla spalla, rivoli cremisi e luccicanti scorrevano sul braccio teso e gonfio di fatica, ed entrambe le mani si tenevano strette, aggrappate all’aria e all’energia dei suoi aerei.

Inghilterra emise uno sbuffo seccato. Sollevò una gamba per alzarsi, ma una fitta al ventre lo fece tornare a cadere sul gomito. Scagliò un pugno fra le nubi, soppresse la rabbia in un ringhio.

Quei dannati crucchi sono più resistenti di maledetti carri armati.

Un’altra ondata di Junker gli volò sopra la testa, facendogli di nuovo strizzare l’occhio per il morso di paura che gli aveva addentato il cuore. Inghilterra gettò il capo all’indietro, seguì la traiettoria dei tedeschi, e li vide sparire sotto le nuvole.

Sgranò l’occhio sano, la realizzazione gli arrivò come una mazzata fra le costole.

No!

Le nuvole si schiusero, lasciarono vedere lo stormo rimpicciolito in picchiata verso il convoglio che proteggeva la Illustrious.

Inghilterra gettò il braccio in avanti, si spinse con la mano aperta a terra, e spalancò le dita.

“Fermateli!”

Animati dal panico di Inghilterra che era salito come un’ondata di fuoco, i suoi Fulmar si lanciarono all’inseguimento.

 

.

 

Prussia calò il braccio e corse, le nuvole si sciolsero in mezzo ai suoi piedi, spansero una scia dietro le sue falcate. Restrinse la mano del braccio sano, abbassò ancora il pugno, ruotò leggermente il polso per guidare i Junker più vicini ai Fulmar. Assottigliò gli occhi, la vista si tinse di verde, apparve il mirino calibrato che roteò racchiudendo l’immagine di uno dei Fulmar – Fairey Fulmar MKII – e l’energia raccolta fra i pugni si scaldò, bruciando come la ferita che gli forava il muscolo sotto la benda.

Prussia rivolse un palmo verso l’alto, inclinò il polso rivolgendo le punte delle dita verso il basso. Il suo bombardiere accelerò, si staccò dallo stormo inseguendo il Fulmar, e impennò il muso per poter usare le mitragliatrici posteriori. Prussia stritolò il pugno, schiacciò le unghie contro il palmo, fece partire la raffica, e l’ondata di spari abbatté uno degli aerei inglesi che gli sbarravano la strada. Il Fulmar si inclinò, perse quota seguito da un denso fumo nero, ed esplose fuori dal mirino calibrato racchiuso nella vista di Prussia.

Prussia spalancò le braccia, riaprì i pugni, raccolse il resto dello stormo fra le dita, accelerò anche lui la sua corsa, e abbassò di colpo le mani. I Junker compirono una discesa brusca aprendogli un buco di vuoto nello stomaco e gettandogli addosso la sensazione dell’aria più veloce contro il suo viso.

Le nuvole si schiusero, Prussia restrinse la vista, si proiettò in uno dei bombardieri, e i due anelli concentrici verdi rotearono in direzioni opposte, stridettero e allargarono l’obiettivo sul profilo della portaerei da cui fumava un nastro nero e bitorzoluto. La scritta verde si proiettò accanto agli anelli: ‘HMS Illustrious-R78’.

Prussia stese un ghigno affilato, un ribollio di eccitazione gli bruciò nello stomaco.

Guten Morgen, meine Damen.”

Indirizzò tutto il formicolio in una mano, schiacciò leggermente le dita, palpò la calda e densa energia dei suoi aerei, e abbassò ancora la traiettoria. Uno dei suoi Junker entrò nella visuale del mirino. Prussia stese le punte delle dita, le abbassò, affondò il movimento nell’aria guidando il suo volo a parabola, e mirò la poppa. Il Junker accelerò, calò di colpo, il braccio sano di Prussia tremò di fatica, altro sudore gocciolò dai muscoli, e le dita divennero rosse di fatica.

Prussia trattenne il fiato, aggrottò la fronte, e schiacciò il pugno. “Fuoco!”

Il siluro precipitò dalla pancia del bombardiere, fischiò, crollò all’altezza della poppa, la sua punta penetrò il ponte di volo sollevando un anello di fumo e detriti. Ci fu uno schianto, l’esplosione, la bolla di fuoco rigettò una violenta fumata nera, e tutta l’aria vibrò arroventandosi.

Prussia ruotò il polso verso l’alto e impennò la mano. Tirò a sé il peso del Junker, faticando come se avesse avuto un masso agganciato al muscolo del braccio.

Il bombardiere trapassò la colonna di fumo, sollevò il muso, si trovò davanti a uno stormo di Fulmar. Prussia aprì e strinse le dita sporche di sangue. Il suo aereo rigettò raffiche di spari dalle mitragliatrici posteriori, si aprì la strada fra i nemici.

La mano del braccio sano rimase a sostenere il Junker che si stava disimpegnando. L’altra raccolse l’energia dello stormo in picchiata – Prussia ingoiò un gemito di dolore, una scossa era partita dalla spalla ferita e gli era penetrata nell’osso – e tornò a gettare il pugno in avanti, contro la portaerei.

Il suo sguardo si infiammò. Prussia tese entrambe le braccia, i pugni ristretti tremarono, il sangue che era gocciolato fino alle dita vibrò sotto i raggi di sole. Fece accelerare lo stormo ignorando il ritmico pulsare alla spalla, come se il proiettile fosse stato ancora affondato nella carne del muscolo, a muoversi assecondando al palpito martellante del suo cuore.

Prussia gettò un pugno addosso alla portaerei, guidò un Junker solo, gridò di rabbia.

“Dai, vai giù, stronza!”

Scagliò un altro siluro, tirò su l’aereo di colpo, con un rapido movimento del braccio, e la fusoliera sfiorò la colonna dell’esplosione, il Junker ronzò via.

Prussia tirò sopra la testa anche l’altro braccio, e tornò a calare entrambi i pugni in una violenta gettata di cattiveria.

“Affonda!”

Altre esplosioni si schiantarono a raffica sul ponte di volo, un fitto sudario di fumo si strinse attorno al profilo della portaerei, come un mantello, e la coltre finì di nuovo trafitta dalla formazione di Junker che schizzò fuori dalle lingue di fuoco.

Prussia sciolse la presa, fece scricchiolare le dita bagnate di sangue e sudore, sparse il formicolio che gli scottava attraverso le vene, e tornò a stringere i pugni. Vertigini gli appannarono la vista. Tutta l’energia scaricata dalle esplosioni gli stava svuotando il corpo, prosciugandogli il respiro.

Guadagnò una profonda boccata di fiato, “Non me ne vado finché non ti vedo sparire sotto le onde!”, e tornò all’attacco.

Di nuovo gettò le braccia in avanti, i pugni addosso alla Illustrious nascosta dal fumo, e scagliò altri siluri che alimentarono l’incendio.

 

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Lo schianto di un siluro lo risvegliò di colpo dallo stato di incoscienza. La bocca gli si riempì del ferroso e acidulo sapore del sangue. Un primo crampo di dolore gli addentò il ventre, penetrò la milza e trafisse il fianco.

Inghilterra scivolò supino, il braccio raccolto attorno al busto cadde di lato, la mano stretta al petto si chiuse strizzando le dita sopra il cuore, si aggrappò al dolore che martellava fra le costole. Serrò i denti, risucchiò un respiro fra gli incisivi e grugnì un lamento rauco che vibrò fino alle ossa. Pulsazioni di dolore martellavano nello stomaco e nel petto. Sudori ghiacciati gocciolarono dal viso, si infilarono sotto la benda nera, gli incollarono i capelli alla fronte corrugata e alle guance diventate bianche come le nuvole in cui era accasciato. La testa girava come una trottola.

Inghilterra schiuse l’occhio sano, sbatté le ciglia imperlate di sudore. Macchie nere lampeggiarono davanti al cielo, strinsero un anello di emicrania che gli trapanò la testa da una tempia all’altra. Guadagnò un’altra sorsata di fiato, l’aria scivolò fra le labbra secche, il respiro si condensò accoltellandogli i polmoni e lo soffocò. Inghilterra tossì due volte, schiacciò entrambe le mani al cuore, dove gli faceva ancora male, e tornò a strizzare le palpebre.

La Illustrious. Boccheggiò altri respiri, il fischio nelle orecchie si affievolì, lasciò spazio all’eco dei ruggiti provocati dalle esplosioni. Devo...

Un altro tuono scoppiò sotto di lui. Il cielo si tinse di nero, l’ondata di aria e calore si ritirò. Inghilterra strinse le mani contro il cuore, tese i muscoli del ventre contratto di dolore, e fu scosso da una gettata di brividi.

Devo salvare la...

Sciolse una mano dalla stoffa della giacca, il braccio si tese e ricadde, non sentì nulla. Sbatté l’occhio, lo riaprì affacciandosi alla foschia di confusione che gli appannava la vista, e sollevò di nuovo la mano tremante.

La Illustrious. Abbassò e rialzò le dita. Il gesto di chi cerca di appendersi alle nuvole. Ma non riesco a... Il pannello...

Un altro capogiro gli ovattò la testa. Inghilterra scivolò con la guancia di lato, i respiri rallentarono, sempre più fiochi, la mano aggrappata al petto dischiuse le dita, e il braccio teso precipitò sul fianco, rimase immobile. Le ondate di dolore si ritirarono, gli lasciarono il corpo a galleggiare in un caldo senso di leggerezza e intorpidimento, come quando crollava dopo una sbronza.

Socchiuse le palpebre dell’occhio nudo, sabbia nera si sgretolò davanti alla vista. Si sentì svenire.

Non...

La sabbia nera brillò di viola, esplose in una bolla luccicante simile a un soffione. Un piccolo braccio emerse dalla foschia, la divise in due, ali da libellula ronzarono spargendo la polverina magica e impennarono il volo della fatina.

La fatina girò di scatto il visetto su Inghilterra – i capelli a sventolarle attorno alle guance – e si precipitò ad aggrapparsi alla sua spalla con una manina. Gli gridò nell’orecchio. “Scappiamo!” Allungò il braccio libero, affettò di nuovo l’aria con il fianco della mano, e una nube di polverina lilla li avvolse. Li risucchiò via dal cielo.

 

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Convoglio Force A, Bordo della nave da battaglia HMS Valiant

 

La fatina tenne le braccia tese, le manine spalancate attorno al globo di polverina magica che avvolgeva il corpo martoriato di Inghilterra, e scese in volo depositandolo sul suolo della camera di comando. Il globo luminoso si sciolse, Inghilterra schiacciò la schiena a terra, le spalle si contrassero, diede un colpo di reni e dai denti digrignati gli uscì un gemito strozzato. Si girò sul fianco, strinse le mani sul suolo freddo e duro della camera. Tossì due volte, alla terza sputò uno schizzo di sangue che gocciolò sul pavimento e gli macchiò la guancia. Aveva la pancia in fiamme.

“Inghilterra!” Il coniglietto volante planò attraverso l’aria, atterrò sul pavimento, scivolò fino a sbattere contro il fianco di Inghilterra, e gli posò le zampette sulla spalla. “Oh, no,” avvicinò il musetto umido alla sua guancia, “quante volte ti ha colpito?”

Inghilterra gorgogliò un lamento, raccolse le ginocchia sul ventre contratto di dolore, si aggrappò con le mani tremanti al petto, e un altro filo di sangue gocciolò dall’angolo delle labbra, allargando la chiazza sul pavimento. La voce uscì inasprita dal sangue e dal respiro corto. “Illustrious,” sibilò.

La fatina e il coniglietto si scambiarono uno sguardo preoccupato, gli occhi del coniglietto luccicarono di avvilimento, quelli della fatina si strinsero in un’espressione di conflitto.

Inghilterra sollevò la mano sporca di sangue, il braccio tremò, tornò a crollare. “Devo...” Aderì con il palmo umido al pavimento, spinse con le ginocchia, trattenne il fiato, e strisciò tirandosi sui gomiti. Boccheggiò, la gola bruciava, e altri rivoli di sudore gocciolarono dall’attaccatura dei capelli. “Devo trasferirmi sulla portaerei.” Un capogiro lo riportò con la faccia a terra, a respirare l’odore di ferro dalla macchia di sangue.

La fatina ronzò davanti alla sua faccia, spalancò le ali e gli sbarrò la strada con le braccia. “Negativo,” esclamò. “È troppo pericoloso.”

Il coniglietto zampettò vicino a lei, la guardò con occhietti ansiosi. “Quanti danni hanno fatto?” pigolò.

La fatina aprì una mano e contò sulle punte delle dita, aggrottò la fronte. “Ci hanno colpito sei volte di seguito.” Schioccò le dita, aprì una bolla di polverina che si sciolse rivelando un foglietto di appunti. La fatina lo agguantò al volo e scorse le righe di scritte con gli occhi. “Sono saltati gli impianti elettrici, il timone è allagato e c’è un’avaria, quindi abbiamo dovuto interrompere la navigazione e adesso siamo fermi.” Toccò il fondo della pagina con la punta dell’indice, soffiò via una ciocca di capelli dalla fronte aggrottata. “Per di più è scoppiato un incendio sul ponte di volo che è stato perforato per tre volte. E anche i radar sono saltati, completamente fuori uso.” Staccò le mani dal foglio, schioccò di nuovo le dita, e la pagina si dissolse in una nuvoletta lilla. La fatina si scrollò le dita dalla polverina magica e si strinse nelle spalle. “Ci tocca usare quelli della Valiant.”

Inghilterra schiacciò i pugni a terra, graffiò le unghie sul pavimento e si screpolò le nocche. I denti macchiati di sangue vibrarono di rabbia, la vista attraverso l’occhio nudo si tinse di rosso, un’altra pioggia di tremori lo assalì alla schiena. “No.” Le parole della fatina gli ronzarono in testa come uno sciame di insetti: colpita sei volte, gli impianti elettrici saltati, il timone allagato, il radar fuori uso. Raccolse le forze sulle spalle, tirò le ginocchia più in avanti, fece leva sulle braccia che pesavano come macigni, e una scossa di dolore gli attraversò i muscoli. “Devo trasferirmi là.” Annaspò a fatica, il sapore del sudore si mescolò a quello del sangue. “Devo farla andare avanti, non possiamo fermarci, se ci fermiamo è la fine.”

Il coniglietto scosse la testolina e gli si piazzò davanti premendogli le zampette sulla spalla. “No, aspetta, è troppo pericoloso e...”

La fatina tese il braccio, tagliò l’aria di netto, e svanì inghiottita dalla nuvoletta di polverina viola.

Il coniglietto si girò di scatto, sgranò gli occhietti e tese una zampetta verso l’alto. “Fatina!” Sfiorò la polverina con le unghiette, e la nube si dissolse, si portò via la presenza della fatina con un puf! al profumo di lavanda.

 

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Convoglio Force A, Bordo della portaerei HMS Illustrious

 

La bolla color lilla che avvolgeva il corpicino della fatina si materializzò in uno dei corridoio interni della portaerei, in mezzo alla nebbia di fumo nero che soffocava le pareti. La fatina tese il braccio, divise la polverina viola, sciolse la bolla. Un’improvvisa ventata di fuoco si schiuse come una bocca, le ruggì addosso, srotolò una lingua di fiamma che le leccò la pelle e i capelli.

La fatina diede un colpo d’ali e scattò all’indietro. “Gha!” Gettò le manine aperte addosso all’onda di fuoco, disegnò un arco con le braccia e materializzò di nuovo la bolla di polvere magica. La fiammata sbatté sulla barriera, si impennò brillando e gettando un altro ruggito, e finì inghiottita dal fumo nero. La fatina arretrò ancora, coperta dalla bolla, si scrollò i capelli bruciacchiati spegnendo le punte bionde diventate color carbone, e strofinò il visetto già rosso e pizzicante per il forte calore che l’aveva investita. “Cazzo!” strillò.

La voce del coniglietto le squillò nella testa. “Non dire le parolacce!”

La fatina alzò gli occhi al soffitto in fiamme, si posò entrambe le mani sul petto, e mimò una dolce espressione di scuse. “Oh, pardon, sir, mi modero subito.”

Un boato fece tremare il corridoio. Un forte rombo metallico stridette, qualcosa si spaccò in uno schiocco secco, franò in uno scossone che vibrò attraverso l’aria impregnata di fumo, e una violenta fiammata si impennò brillando di bianco, rigettò uno sbuffo color cenere, allargò uno dei laceri sciolti sul soffitto, e si ritirò. Una lamina d’acciaio si spezzò in due, stridette e crollò dall’alto, si schiantò in mezzo alla nebbia, sollevando una ventata di scintille gialle e rosse.

La fatina volò all’indietro, chiuse un pugno davanti alla bocca, tossicchiò per schiarirsi la voce, e si posò una mano sulla guancia. “Acciderbolina,” disse al coniglietto, “la portaerei va fottutamente a fuoco!”

Un altro schianto fece tremare la nebbia nera. Ci fu un ruggito, un’altra fiammata, e lo scricchiolio del fuoco danzò in un’alternanza di luci scarlatte dietro la cappa. La fatina si girò di scatto, tenne le manine aperte per alimentare la polvere magica che la proteggeva, ronzò in avanti, ma si trovò di nuovo di fronte al fumo e ai riflessi delle fiamme che abbracciarono il globo viola.

La voce del coniglietto tornò a squillare nella sua testa. “Entità dei danni?”

La fatina abbassò un braccio, tese indice e medio, fece scivolare i polpastrelli sull’aria dentro la bolla, e aprì un pannello luminoso. Sul pannello, si materializzò la planimetria della portaerei sezionata. Anelli rossi lampeggiavano nei punti colpiti dai siluri. La fatina portò l’indice sulla prua, senza toccarla, e restrinse gli occhietti. Un anello lampeggiava sulla piattaforma, si intersecava con un altro cerchio che racchiudeva l’angolo a tribordo sul vano di corsa. La fatina spostò il tocco, esaminò gli altri quattro anelli. Uno sul ponte dell’hangar, uno sulla corazza laterale, uno sulla piattaforma S-2, e l’ultimo sulla poppa, dove aveva attraversato il ponte di volo a babordo.

La fatina emise uno sbuffo di stizza, aggrottò la fronte, il suo visetto corrugato di frustrazione riflesse la tinta rossa delle fiamme. “Si è incendiato tutto l’hangar e non possiamo utilizzare il timone, non c’è modo di farla ripartire.” Schiacciò le dita sul pannello, l’immagine della Illustrious sezionata si chiuse a ventaglio e si ritirò.

Un’altra bocca di fuoco divaricò le fauci, si gettò come un’onda addosso alla bolla color lilla, le fiamme si schiantarono e il calore avvolse la fatina, inghiottendola nel fumo.

La fatina gemette di paura. “Ah!” Si buttò all’indietro, allontanandosi dall’incendio. Si riparò con un braccio, portò la mano libera davanti alla bocca per non aspirare il tanfo di ferro sciolto e di fumo carbonizzato che era riuscito a penetrare la barriera protettiva. Strinse i denti. “Merda.” Unì pollice e medio, schioccò le dita, e si smaterializzò prima che un’altra ondata di fuoco si potesse schiantare sulla sua bolla.

 

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Convoglio Force A, Bordo della nave da battaglia HMS Valiant

 

La fatina ricomparve nella camera di comando, ancora rinchiusa nella bolla di polverina magica. Spalancò le ali, spezzò la sfera magica con un netto taglio delle braccia, e scosse il capo strofinandosi i capelli per sciacquarsi via la sensazione di bruciore che le era rimasta incollata sulla pelle. Sbuffò di stizza. “Te lo sogni di salire sulla Illustrious in queste condizioni.” Le guance erano tutte rosse e prudevano per il forte calore. La fatina sbatacchiò una ciocca di capelli dentro i palmi, spense una piccola brace che morì in un filo di fumo, e si strofinò le manine. Le giunse sui fianchi, frullò le ali, aggrottò la fronte sporca del nero dell’incendio, e scoccò un’occhiata a Inghilterra. “Che facciamo?”

Il coniglietto volante si portò le zampine alla bocca, tremò di paura e deglutì. Le orecchie si ammosciarono.

Inghilterra inspirò fra i denti stretti, premette la fronte a terra, i pugni schiacciati vibrarono, le nocche spinsero sul pavimento fino a fargli male, e l’occhio nudo si infiammò d’ira. “Maledetti.” Si tirò sulle ginocchia, sollevò un braccio e si aggrappò a uno dei pannelli. Innalzò anche l’altra mano, si appese prima al polso e poi all’estremità del ripiano. Si trascinò in piedi, flesse le ginocchia ancora doloranti, si appoggiò al pannello con la spalla, raccolse tutto il peso fra i gomiti piegati, e riguadagnò fiato a grandi boccate. Scosse il capo, si asciugò il sudore dalla fronte e scostò i capelli dall’occhio scoperto. “Non posso abbandonare le postazioni d’attacco,” brontolò. Diede una spinta sulle braccia e si rimise in piedi, forzò le spalle a rimanere dritte anche se il dolore al costato continuava a martellarlo e a gridargli di piegarsi in due a massaggiarsi il ventre. “Devo fermare Prussia e Romano prima che mi facciano fuori tutti i convogli.”

Il coniglietto lo guardò con occhi allarmati. “E la Illustrious?”

Inghilterra si strofinò la manica sulle labbra, raschiò via il sapore del sangue che gli impregnava la bocca. “Utilizziamo i meccanismi ausiliari a vapore e rimettiamola in moto.” Forzò due passi in avanti, si massaggiò il fianco, e voltò lo sguardo in cerca della fatina. “A quanto dista Malta?”

La fatina accelerò il frullio d’ali e gli ronzò sopra la spalla, senza sedersi. “Siamo a settantacinque miglia.”

Inghilterra annuì. “Allora avanti tutta verso La Valletta, velocità diciassette nodi. Non fermiamola per nessun motivo.” Strinse i pugni, guardò il soffitto della camera di comando. Rievocò il ricordo dello sguardo feroce e sbeffeggiante di Prussia, e le mani gli bruciarono dalla voglia di mettergliele addosso e di strappargli il ghigno dalla faccia. “Ora io torno su.”

 

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Le spalle chine e gonfie di Prussia tremarono di fatica. Il vento spinto dalle esplosioni e dai ronzii degli aerei gli soffiò addosso, fece luccicare il sudore che imperlava i muscoli delle braccia nude e contratte, altri tre rivoli di sangue sgorgarono dal pezzo di panno annodato alla spalla ferita, un sottilissimo strato di condensa evaporava dal suo corpo bollente di fatica, spargendosi nell’aria fredda del cielo.

Prussia annaspò a fatica, la gola bruciante, la croce di ferro a penzolargli dal collo, le gambe flesse, le mani che bollivano come se fossero state ancora strette all’energia dei Junker, e i muscoli che fremevano a ogni respiro. Lo assalì un senso di vertigini che gli fece vedere doppio. Sentiva il corpo svuotato, i muscoli rigidi e fossilizzati, le membra pesanti, e la testa piena di nebbia. Le silurate lo avevano prosciugato, gli avevano succhiato l’energia lasciandogli addosso un profondo senso di stanchezza e fatica che lo faceva tremare come una foglia.

Prussia raddrizzò la schiena, un paio di vertebre scricchiolarono e lui mugugnò. Si strinse il collo, flesse il capo di lato, e scricchiolarono anche le ossa della spalla. Non posso più continuare con questa squadriglia, ho finito le munizioni. Mollò il collo e soffiò un gemito di fatica.

Le cappe di fumo evaporate dal mare si divisero, scoprirono la sagoma della squadriglia di bombardieri che si stavano ritirando, e l’immagine della portaerei Illustrious circondata da una foschia grigia, divorata da lingue di fuoco che fuoriuscivano dai laceri sulla corazza e sul ponte di volo.

Prussia strinse i denti, le scoccò una feroce occhiata d’odio. “Dannata sgualdrina.” Si strinse il braccio sotto la benda, spremette le dita nel sangue, e si girò, compì un paio di passi verso la piccola figura china ancora avvolta dalla sua giacca strappata. Lo chiamò con un cenno del mento. “Romano.” Gli arrivò davanti, abbassò gli occhi. “Stai bene?”

Gli occhi vitrei di Romano fissavano in mezzo alle sue ginocchia piegate sulla nuvola. Il viso bianco come latte, le mani artigliate alla giacca di Prussia che gli cadeva sulla sua testa china, le labbra socchiuse, l’espressione smarrita nel vuoto. Un fremito lo scosse, gli fece sbattere le palpebre. Romano sollevò gli occhi, guardò Prussia e sussultò, come se si fosse ricordato solo in quel momento dove fosse e cosa stesse facendo. Tremò. Tornò ad abbassare la fronte e scosse il capo, la frangia ciondolante gli nascose gli occhi.

Prussia ridacchiò per sdrammatizzare. “Che c’è? Sei rimasto folgorato dalla magnificenza del Sottoscritto?” Si chinò a raccogliergli il braccio, lo tirò su di peso. “Guarda che succede a tutti, non devi mica vergognarti.”

Lo sguardo di Romano tornò ad accendersi, uno schiocco gli fece ripartire il cervello. Romano premette il peso sui suoi piedi, raddrizzò le gambe e strappò via il braccio dalla mano di Prussia. Lo guardò di traverso. “Sei venuto qua solo per umiliarmi o cosa?” abbaiò.

Prussia ritirò il braccio e fece roteare lo sguardo, mimò un’espressione annoiata. “Prego, non c’è di che.”

Romano sollevò un sopracciglio, lo sguardo ancora confuso e smarrito, ma incrinato da quella ruga di irritazione sulla fronte.

Prussia si mise di profilo, indicò il fumo che evaporava dalla Illustrious con un pollice. “L’ho colpita sei volte,” disse, “si era fermata ma ora l’ho fatta ripartire a rilento. Possiamo comunque provare a buttarla giù con un’altra ondata prima che arrivi a La Valletta.”

A Romano vibrarono le labbra, ebbe l’istinto di rintanarsi nella giacca di Prussia che pesava sulle spalle. “Ma...” Davanti agli occhi ricomparve la sua sagoma nera davanti al sole, le gambe divaricate, le braccia contratte lungo i fianchi, l’energia spanta dal suo corpo e dai suoi muscoli in tensione. Quell’energia che gli entrava nelle viscere facendogli battere il cuore in quella morsa di timore e ammirazione. L’ombra così grande da seppellirlo, da farlo sentire un gattino fra le zampe di una tigre.  “Tu...” Romano scosse il capo e guardò Prussia in viso. “Tu te lo scordi che io riesco a fare quello che hai fatto tu prima. Come posso...”

“Di certo non con i Savoia,” rispose Prussia. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni, estrasse un modellino di aereo e lo espose a un raggio di sole. La luce batté sull’ala del piccolo Junker. “Ma con i miei Junker sì.”

Romano arretrò di un passo, sentì freddo alla pancia, una coltellata di panico gli affettò il cuore, in viso tornò a impallidire. “C-cosa?” Posò lo sguardo sul piccolo Junker tenuto fra le dita di Prussia. Un aereo tedesco. Un aereo tedesco impugnato dalle sue mani. Scosse di nuovo il capo, arretrò di un altro passo. “Oh, no.” Inasprì il tono, strizzò i pugni sui fianchi, il viso divenne nero di indignazione. “No, no, no e ancora no, fottutamente no!” Scagliò l’indice addosso a Prussia. “Tirati fuori da quella tua testa di cazzo l’idea che io prenda in mano uno di quelli.”

Prussia sospirò e abbassò il braccio. “Romano, ascolta,” avanzò di un passo e guardò Romano dritto negli occhi, “dobbiamo dargli il colpo di grazia.” Tornò a indicare un punto alle sue spalle. “Ancora settanta miglia e questi attraccano a Malta, non possiamo lasciarglielo fare. Dobbiamo abbattere la Illustrious qui, e dobbiamo farlo adesso.” Si posò la mano sul petto, parlò con tono ruvido ma voce sincera. “Io ci sto mettendo anima e corpo per aiutarti, Romano.” Restrinse le palpebre, affilò gli occhi rossi. “Adesso è arrivato il tuo turno di starmi dietro.”

Romano inspirò, trattenne il fiato, e si lasciò scuotere da altri tremori di rabbia.

Lo sguardo gli cadde sulla croce di ferro di Prussia, che ora cadeva sulla maglia nera e non più sulla giacca, poi lo spostò sulla sua spalla bendata, sui rivoli di sangue che si erano seccati e scuriti seguendo la forma dei muscoli, e sulle gocce di sudore che ancora scivolavano fra le vene bluastre salite in rilievo per lo sforzo. Il sole si posò di nuovo sull’ala del Junker in miniatura racchiuso nella sua mano, scintillò sulla croce bianca e nera dipinta sulla vernice.

Romano deglutì, si strinse la sua spalla, sfregò via il dolore proiettato dall’immagine della ferita di Prussia, e l’eco della sua voce gli ammassò un fastidioso grumo di sensi di colpa attorno al cuore.

“Se si combatte assieme, Romano, il gioco funziona solo se ci si fida l’uno dell’altro.”

“Perché se sarai disposto a fidarti di me, prometto che ti farò vincere.”

“Io ho un certo credo da rispettare in guerra. Comunque non mi aspetto che tu faccia lo stesso con me.”

Romano si morse il labbro inferiore, ringhiò un sottilissimo grugnito di sconfitta, gettò lo sguardo ai suoi piedi. “E...” Tese il braccio e gli strappò via il modellino dalla mano prima di ripensarci. “E va bene.” Si girò di profilo e chiuse forte le dita fino a sentire le ali, il carrello di atterraggio e le punte delle eliche pungergli la carne. Un viscido senso di disgusto tornò a impregnargli la mano come quando aveva scambiato la stretta con Prussia, gelido e colloso fra le dita come se stesse stringendo un lumacone. Rabbrividì e non degnò il modellino nemmeno di un’occhiata.

Prussia annuì, sospirò sollevato. “Bravo.” Rivolse gli occhi all’orizzonte, la luce del sole e brillargli sul viso ancora lucido di sudore, e si massaggiò l’avambraccio sporco di sangue senza toccare la benda. “Dunque, tu avrai a disposizione cinque Junker della Duecentotrentasettesima Squadriglia e uno della Duecentotrentaseiesima. Io ti farò da scorta, ma posso occuparmi sia dell’attacco che della difesa, mentre tu è meglio che ti occupi unicamente dell’offensiva.”

Romano inarcò un sopracciglio e gli lanciò un’occhiata offesa. “E perché?”

Prussia sollevò il mento, si posò la mano sul petto, sotto la croce. “Perché io sono più bravo.” Non lo disse con aria da sbruffone, lo disse come fosse un dato di fatto.

Romano strinse forte i pugni e digrignò i denti per resistere alla tentazione di piantargli un cazzotto sulla faccia.

“Hai ancora Savoia a disposizione?” gli chiese Prussia. “Se me li affidi, uso una squadriglia di quelli.”

L’espressione di Romano perse la ruga di rabbia, la fronte si distese ma il sopracciglio rimase sollevato nel dubbio. Si voltò anche lui, guardò alle sue spalle, e si strofinò la nuca. “Posso far arrivare una squadriglia di Fiat Falco del Centocinquantaseiesimo Gruppo, da Trapani.” Passò il piccolo Junker nell’altra mano e infilò quella libera nella tasca dei pantaloni, scavò sul fondo. “Vediamo se...” Strinse le dita su una doppia ala metallica, non singola come quella di un Savoia-Marchetti, ed estrasse il modellino. Aprì la mano tendendola a Prussia, e gli porse un Fiat ‘Falco’ C.R.42 in miniatura. 

Prussia piegò un mezzo sorriso. “Ottimo.” Si sporse a raccogliere il modellino di Fiat, lo fece rimbalzare due volte sul palmo, lo riacciuffò, e si premette il pollice sul petto. “A loro penserò io. E penserò anche a Inghilterra.”

“Ma cos...” Romano allargò le braccia e rivolse a Prussia un’occhiata confusa. “E cosa dovrei fare io?”

Prussia rigirò il piccolo Fiat fra le dita, passò il pollice sulla doppia apertura alare, il tocco sfilò anche lungo la fusoliera, fino alla coda. Inspirò per raccogliere energia nel petto. “Il piano è questo.” Puntò l’indice su Romano. “Tu abbatti la Illustrious. Non pensare a nient’altro, colpiscila come ho fatto io ora, come se volessi vederla ridotta a un mucchietto di ferro fuso.”

Romano aggrottò la fronte, quella stessa energia raccolta da Prussia gli corse nel sangue. “È quello che voglio.”

“Meglio così.” Prussia tornò a battersi ripetutamente il pollice sullo sterno. “Io invece tengo occupato Inghilterra, ti difendo con i Fiat, metto fuori uso Mister Sopracciglio, e poi mi unisco a te con i Junker del mio gruppo.” Gli rivolse un’intensa occhiata d’intesa. “Tutto chiaro?”

Romano trattenne il fiato, annuì. “Sì.” Il pugno si chiuse sul modellino di Junker.

Prussia ghignò. “Sehr gut.” Gli passò vicino, gli diede un piccolo colpo di incoraggiamento sulla spalla. “Vai, comincia a prendere posizione.”

Romano si strofinò il braccio, sfregò il tocco sulla giacca di Prussia che ancora gli avvolgeva la schiena, e sbarrò gli occhi ricordandosi solo in quel momento di averla ancora addosso. Se la sfilò dalle spalle e la tese verso Prussia. “A-aspetta, questa...”

Prussia lanciò un’occhiata distratta da sopra la spalla, sollevò un sopracciglio. “Mh?” La posò sulla sua giacca e sventolò una mano. “No, tienila tu.” Si massaggiò il muscolo sotto la spalla ferita, fece roteare l’avambraccio per snodare le giunture. “Non voglio opprimere troppo la ferita.” Fece lo stesso anche con l’altro. “Poi mi sono scaldato abbastanza.” E camminò lontano da lui, lasciandolo solo.

Romano guardò la giacca dell’uniforme tedesca strappata su un lembo e macchiata dall’impronta di sangue lasciata dalla mano di Prussia. Rivolse lo sguardo anche al piccolo Junker che teneva nell’altra mano, e un pesante sentimento di conflitto gli rabbuiò il volto. Sospirò, chinò il capo, e accettò la decisione con cuore pesante e un duro senso di colpa a premergli sulla schiena. Infilò la prima manica della giacca tedesca, riuscì a indossarla sopra la sua, gli era più larga, e rimboccò i lembi senza abbottonarla.

Un intenso odore di ferro e di sangue gli penetrò i polmoni, paralizzò il respiro, lo fece rimanere immobile, a occhi spalancati, schiacciato dalla pesante sensazione della giacca sopra la sua. 

Questa...

Tirò un lembo, rigirò il tessuto, lo accostò alle labbra e chiuse gli occhi, riprese a respirare. Di nuovo l’odore di ferro, di terra bruciata e di sangue, gli entrò in corpo, lo intrappolò nella stessa sensazione che aveva provato quando aveva stretto la croce di ferro di Italia fra le sue dita, la sensazione di quando si era trovato davanti alla sagoma di Prussia ingigantita davanti al sole, la stessa scossa che anche ora sentiva nella mano impugnata al Junker.

Che strana...

Scosse il capo, scrollò via quei brividi che gli gonfiavano il cuore in una sensazione calda e opprimente, e puntò gli occhi all’orizzonte, avvolto da una spira di vento che gli agitò i capelli davanti al viso concentrato. Inspirò, trattenne il fiato, e si preparò a ricominciare.

 

.

 

Prussia fece rimbalzare il modellino di Fiat Falco, lo acchiappò al volo, strinse il pugno e accostò le nocche alle labbra. Restrinse gli occhi all’orizzonte, picchiettò l’unghia del pollice sull’aereo italiano, e un formicolio di dubbio gli fece arricciare un angolo delle labbra. Davvero basterà questa offensiva? Io ho sempre gli Heinkel a disposizione, ma non voglio tirarli fuori subito, sarebbe eccessivo.

Un peso sul fianco gli fece abbassare lo sguardo. Prussia posò gli occhi sul pugnale d’assalto che aveva usato per strappare il lembo di stoffa dalla giacca, e un formicolio di rabbia e risentimento gli attraversò il cuore come un ramo elettrico. E poi... Abbassò il braccio e sfiorò il manico infoderato. Il dolore alla spalla pulsò, gli ricordò del proiettile snocciolato via dal muscolo con quella stessa lama. Voglio sventrare Inghilterra con le mie stesse mani.

Chiuse il pugno, il braccio fremette già per l’eccitazione di piantargli la lama nella carne, di vedere il sangue sgorgare a fiotti e bagnargli la pelle, di sentirne l’odore e la consistenza viscida colargli fra le dita.

Ma come faccio a metterlo fuori gioco? È inutile che io provi ad ammazzarlo, non morirebbe mai in queste condizioni. Riportò il pugno stretto al piccolo Fiat Falco davanti al viso e tamburellò l’unghia sull’ala. Devo mettere fuori uso le sue armi. Restrinse le palpebre. Quindi le mani. Ripensò alle dita contratte di Inghilterra strette sull’energia dei suoi aerei, ai pugni schiacciati che facevano partire le raffiche di spari anche dall’artiglieria della portaerei. O i piedi. Lo rivide correre fra le nuvole, sfrecciare nel cielo trascinando con sé le ombre dei Fulmar.

Davanti al suo sguardo si materializzò di nuovo il viso di Inghilterra, il suo sorriso affilato, la fronte aggrottata, quell’aria di ferocia ad avvolgerlo come una fiammata, le sopracciglia corrugate e la benda nera a tappargli l’occhio sinistro.

Prussia ghignò ed emise una ridacchiata acida.

Oppure potrei cavargli l’altro occhio.

Guardò il piccolo Fiat, lo passò da una mano all’altra, lo infilò in tasca. Stese le braccia lungo i fianchi, sgranchì le dita, divaricò leggermente le gambe, e tornò serio in viso. Gli occhi scuri e spietati.

Ho il coltello, lui ha la pistola. Devo mirare alle gambe, magari a un tendine, in modo che non possa reggersi in piedi, oppure potrei affettargli le mani in modo che non possa tenere gli aerei e guidarli.

Assottigliò lo sguardo, lo concentrò sulle cappe di fumo che salivano dalla Illustrious lacerata dalle sue silurate. Rimase in attesa, la guardia alta, l’udito attento, il sangue e l’adrenalina a corrergli nelle vene, ma il battito del cuore calmo e regolare.

Ora, dipende tutto da chi riuscirà ad aggredire l’altro per primo.

 

.

 

Inghilterra spazzò via con il braccio un getto di fumo, si premette la mano sulla bocca per non inspirare l’improvvisa ventata di aria pregna del tanfo degli scoppi e dell’acqua di mare esplosa, e tossì due volte tenendo il braccio schiacciato al fianco per sopprimere i crampi di dolore. La foschia delle nuvole e del fumo si dissolse, Inghilterra restrinse lo sguardo forzando l’occhio nudo a vedere attraverso l’aria sporca. Una sagoma scura corse attraverso le nuvole, scompose la nebbiolina, e Inghilterra riconobbe il profilo di Romano. Correva verso i convogli, il viso contratto di tensione e fatica, gli occhi bassi e concentrati, i pugni stretti, la giacca di Prussia indossata sopra la sua a sventolargli sulla schiena, e il ronzio dei bombardieri tedeschi a seguirlo.

Inghilterra fece schioccare la lingua. “Non si fermano,” mormorò. Stese le braccia sui fianchi, sgranchì le dita, e allungò una prima falcata per inseguirlo. “Ma non mi fermo nemmeno io!”

Romano si girò di scatto, attirato dalla sua voce, e sgranò gli occhi in un’espressione di panico. Si bloccò di colpo, come quando Inghilterra gli era venuto contro prima di sparare a Prussia, e le sue mani strette attorno all’energia degli aerei fremettero, impotenti.

Inghilterra continuò a correre, ghignò, e sollevò un braccio sopra la testa per richiamare i suoi Fulmar. “Ti distruggo.”

Uno spostamento d’aria lo colse alle spalle, trascinò una voce aspra che arrivò come una graffiata di artigli sulla schiena. “Giù le zampe dal mio alleato!”

Inghilterra ingollò un gemito, sbarrò l’occhio sano. Voltò il viso e buttò lo sguardo sopra la spalla. Il pugno di Prussia disegnò un arco attraverso l’aria, si schiantò contro la sua guancia facendogli scricchiolare lo zigomo, e gli scaricò una saetta di dolore attraverso il cranio.

Inghilterra finì con il capo ribaltato, gemette, “Bwah!”, incrociò due passi e si strinse il capo per fermare le vertigini che gli erano esplose in testa.

Prussia sollevò un piede, piegò la gamba di lato e gli rifilò un calcio di sbieco sulle caviglie. Inghilterra cadde, “Wha!”, e Prussia si gettò ad acchiapparlo al volo prima che potesse schiantarsi a terra. Gli chiuse le braccia dietro la schiena, infilò la gamba fra le sue, ed entrambi precipitarono fra le nuvole, caddero sul fianco.

Prussia strinse forte la presa contro le sue costole e gli schiacciò un ginocchio sul ventre. Inghilterra diede uno strattone di lato, si ribaltò a pancia ingiù, prese un forte respiro che gonfiò il busto sotto la presa di Prussia, gli spinse una mano fra le braccia, si girò sguazzando con le gambe fra le sue, e gli scagliò addosso un’occhiataccia di odio.

“Ghn ~ bastardo!”

Prussia strinse più forte, sollevò il viso e lanciò un urlo verso Romano. “Romano!” Inghilterra si mosse ancora, strisciò in avanti trascinandolo con sé. Prussia chiuse la presa fino a sentire le sue costole flettersi sotto la morsa dei muscoli, urlò contro il torso di Inghilterra. Lo fece vibrare. “Vai, non fermarti, corri!

Romano rivolse un’occhiata smarrita a Prussia, poi al corpo intrappolato di Inghilterra, poi di nuovo a Prussia, e scattò via come gli aveva ordinato, sfrecciò in direzione dei convogli.

Inghilterra diede uno strattone con la spalla, allungò il braccio e tese le dita rinchiudendo l’immagine di Romano che si stava allontanando. “No!” esclamò.

Prussia ghignò di perfidia. Tirò anche lui in avanti il ginocchio incastrato fra le gambe di Inghilterra, e calò un braccio in cerca del pugnale d’assalto allacciato al fianco. “Dove credevi di andare, monocolo?” gracchiò. Strinse il manico del pugnale, si spinse in avanti per non farsi scivolare Inghilterra dalla presa e gli premette un gomito contro il fianco. “Devo ancora ringraziarti per il proiettile alla spalla.”

Inghilterra smise di agitarsi, boccheggiò, calò anche lui il suo braccio, strinse qualcosa, e stese lo stesso sorriso affilato e crudele stampato anche sulle labbra di Prussia. “Ringraziami per questo.” Girò di scatto il busto, chiuse la mano sul calcio della semiautomatica appena sfilata dal fodero, puntò la canna alla testa di Prussia, e schiacciò il grilletto.

Lo sparo partì, fischiò affianco all’orecchio di Prussia e gli colpì la tempia, sfrecciando via. Prussia abbassò il viso di colpo, strinse i denti, strizzò gli occhi, e l’improvvisa botta di calore esplose bruciando attraverso la testa. Una colata di sangue caldo gli tinse i capelli di rosso, scivolò dalla tempia colpita, gli attraversò l’occhio, imbrattò la guancia gocciolando dal mento.

Inghilterra grugnì di frustrazione, premette di nuovo il grilletto e sparò altri due colpi.

Prussia inclinò il capo insanguinato e schivò i due proiettili che fischiarono accanto all’orecchio. Stritolò le dita attorno al manico del pugnale d’assalto, rivolse la lama seghettata verso l’alto, e lo impennò con uno scatto.

La punta del pugnale si infilò fra il calcio della pistola e il palmo di Inghilterra. Prussia lo spinse in alto, la lama affondò nella carne della mano, la trafisse spruzzando un primo getto di sangue. Inclinò l’angolatura e penetrò ancora, incontrò le ossa, le spezzò con un secco scricchiolio di ramoscelli che vanno in frantumi. La punta metallica già sbrodolante di sangue fece volare via la pistola ed emerse dall’altra estremità della mano di Inghilterra. Il sangue colò dalla punta, disegnò il profilo dei denti metallici, e si raccolse fra le sue nocche.

Inghilterra non si accorse subito del dolore.

Rimase a occhio sgranato, fisso sulla sua mano trafitta dal pugnale bagnato di sangue, le labbra socchiuse ancora piegate in quel mezzo ghigno. Contrasse le dita già rigate di sangue, sentì la lama spostarsi nella carne e sbattere contro le ossa spezzate. Il filo di metallo seghettato salì ancora e produsse il suono – squish-crack! – di un’ala di pollo crudo tranciata via dal petto del pennuto. Una prima affondata di dolore gli attraversò il braccio come una secca frustata, fino alla spalla, e gli ghiacciò le vene.

Inghilterra sbiancò, il ghigno cadde e la bocca si contrasse in un urlo di sofferenza. “Aaargh!” L’occhio lucido di dolore riflesse l’immagine della sua mano contratta e stigmatizzata dalla lama di pugnale.

Prussia ghignò di soddisfazione. Il sangue colò dalla ferita alla tempia e gli bagnò la fronte: una mascherina rossa attorno agli occhi dello stesso colore. Strinse le dita sul manico del pugnale, indurì il polso, lo ruotò per inclinare la lama, e spinse il pugnale verso l’alto. La lama sollevò un suono scricchiolante di altri ossicini segati, schizzi di sangue spruzzarono dalla mano contratta di Inghilterra, e Inghilterra gridò ancora. Prussia inclinò il pugnale, lo mosse avanti e indietro, frantumò carne e ossa all’altezza delle nocche. Fermò la lama, chiuse forte le dita, e diede un forte strappo verso il basso.

Estrasse il pugnale di colpo, si portò dietro una scia di perline di sangue, e Inghilterra cadde all’indietro.

Raccolse la mano ferita contro il petto, si strinse il polso, e rantolò altri lamenti a denti stretti, il corpo tremante, il sangue che sbrodolava dalle dita come sciroppo. Annaspò di dolore e fatica, “Anf, anf, anf”, sollevò la mano chiusa attorno al polso di quella ferita, e tirò su il palmo davanti al viso sudato e bianco di dolore. La mano controsole tremava e gocciolava sangue dal lacero nero e scavato nella carne, la pelle slabbrata si infossava nel taglio e lasciava vedere il bianco lucido dei tendini strappati.

Inghilterra strinse i denti per contenere un lamento, ruotò di scatto il busto, buttò in avanti il braccio sano e sbatté le dita contro la pistola che gli era volata via. Spinse sulle ginocchia, scattò via dalle braccia di Prussia, sfilandosi dalla sua presa come un serpente che si libera dalla muta, e sbatté un’altra volta la mano contro il calcio della semiautomatica. L’arma gli scivolò dalla presa e ricadde poco più avanti.

Prussia chiuse un braccio attorno alle gambe di Inghilterra che gli premevano sul petto, tirò l’altro braccio sopra la testa, rivolse il pugnale verso il basso, la lama insanguinata scintillò di rosso, e calò l’arma. Piantò il coltello nella coscia di Inghilterra, spanse un fiore di sangue nero, e rigirò la lama nel muscolo teso.

Inghilterra ghiacciò di colpo, trafitto da un’altra scossa. Inarcò la schiena, schiacciò i pugni sul fumo della nuvola, e trattenne un mugugno di sofferenza fra i denti.

Prussia inclinò la lama, allargando il lacero nella pelle sotto la stoffa dei pantaloni, e strappò via il pugnale dalla sua carne con la facilità con cui aveva tagliato prima la sua giacca.

Una fiammata di rabbia inghiottì il dolore di Inghilterra, gli fece vedere rosso. Inghilterra tornò ad avvitare il busto, tirò su la gamba sana, la flesse di lato, e scaraventò un calcio sulla faccia insanguinata di Prussia, ribaltandogli il capo. Prussia sputò un gemito, la presa del suo braccio allentò.

Libero.

Inghilterra sentì l’adrenalina schizzargli alla testa, formicolargli nelle vene e gonfiargli il cuore martellante. Si aggrappò a terra, spinse una volta, ricadde sui gomiti. Altra spinta, gettò entrambe le braccia in avanti, ignorando il dolore della mano stigmatizzata e quello alla coscia, e afferrò il calcio della pistola. Il sangue lo fece scivolare. Inghilterra riagguantò l’arma e la schiacciò nella sua presa.

Allargò un tremolante sorriso di vittoria, sgranò l’occhio nudo che brillò di esultanza nonostante il pallore del viso. “Sì!

Un altro affondo di dolore gli trapassò il fianco.

Inghilterra ingoiò un gemito, contrasse il busto, strinse le labbra, e rigettò un fiotto di sangue. Girò il viso, l’occhio di nuovo infossato nel nero e affogato nel dolore, e squadrò il profilo di Prussia che era tornato a gettarsi addosso a lui.

Prussia aveva le braccia distese sopra le sue gambe, il viso chino, i pugni avvolti attorno al manico del pugnale d’assalto che affondava nel fianco di Inghilterra, fra l’anca e la costola. Sollevò la fronte pregna di sangue e ghignò di nuovo: una mezzaluna di denti nel volto nero. Gli occhi brillarono nella maschera di sangue che gocciolava dalle punte di capelli diventati scarlatti, un rivolo colloso gli rigò la guancia e corse di fianco all’angolo della bocca tirata in quel profondo e crudele sorriso di soddisfazione. “Vediamo se da qui riesco a spezzarti una costola.” Prussia inclinò le mani impugnate al coltello, aprì un palmo sull’estremità del manico, spinse verso il basso, e la lama penetrò più a fondo. Si infilò sotto la costola di Inghilterra, si inclinò sbattendo sull’osso, ed emise uno scricchiolio secco.

Inghilterra non riuscì a contenere un grido, “Aah!”, ma l’affondo di dolore tornò a dargli una scossa al cervello. Mollò una mano dalla pistola, avvitò il busto, tese indice e medio della mano sana, e li piantò contro la fascia sulla spalla di Prussia. Gli ficcò le dita nella carne fino alla seconda falange, le immerse in quella consistenza molle e umida come l’interno di una bistecca.

Prussia sgranò gli occhi che lampeggiarono di dolore e il ghigno cadde. “Ghnaah!” Mollò la presa sul pugnale ma senza sfilarglielo dal fianco.

Inghilterra staccò le dita dal foro di proiettile portandosi dietro un filo colloso di sangue. Piegò una gamba e gli colpì lo stomaco con il ginocchio. Prussia si accartocciò, si chiuse le braccia sulla pancia e rotolò sul fianco, rantolando a denti serrati.

Inghilterra aprì i palmi in mezzo alle nuvole, la pistola sotto la mano sana, strinse i muscoli del ventre per non far cadere il coltello dal costato, spinse all’indietro trascinando le gambe, e si allontanò. Cadde sul gomito, la lama del pugnale spinse ancora più a fondo, si infilò sotto la costola, schizzò un grumo di sangue, e Inghilterra grugnì di dolore, avvicinò il palmo ferito al manico.

Prussia si aggrappò alla spalla che aveva ripreso a sgorgare a fiotti, il sangue gli gocciolò dalle dita, e aggrottò la fronte tenendo i denti stretti. Scagliò lo sguardo, imbrattato anche quello di sangue, addosso a Inghilterra, e gli rifilò un’occhiata più tagliente del suo pugnale. “Figlio di...” Piegò il capo e finì la frase in un lamento spezzato.

Inghilterra si mise supino, la pistola accanto a lui, il respiro pesante che gli contraeva il busto trafitto, e raccolse i palmi attorno al manico del pugnale ancora affondato sotto la sua gabbia toracica. Sbatté le palpebre dell’occhio nudo per scrollarlo dal sudore, boccheggiò pesantemente, deglutì sciogliendo il sapore di sangue che gli stagnava fra le guance, e si aggrappò al coltello. Inspirò, contò a mente – uno –, buttò fuori l’aria – due – inspirò di nuovo dal naso – tre – trattenne l’aria, e strizzò gli occhi.

Iniziò a sfilare il pugnale. La lama seghettata gli rosicchiò la carne, fiumi di sangue gli bagnarono la pelle, impregnarono la stoffa della giacca. Tirò ancora, il pugnale si bloccò, un’azzannata di dolore gli ingabbiò tutto il busto e gli fece girare la testa. Inghilterra si sentì mancare. “Ghn~!” Girò il capo, premette la guancia fra le nuvole, e gorgogliò un lamento disperato. “Caaazzo che male.” Diede un’ultima forte tirata, e il pugnale venne fuori di colpo sbrodolando uno sgorgo di sangue dai denti della lama. Inghilterra soffiò un ansito di sollievo. “Aah.” Lo stesso sollievo che si prova a cavare un dente malato dalla gengiva.

Scosse il capo, scrollò via le vertigini che gli ronzavano attorno alla testa dandogli l’impressione di svenire. Allungò il braccio tremante, riagguantò la pistola, e si asciugò la fronte sudata con la manica. Tese anche l’altra mano – quella trafitta – e la chiuse attorno allo stesso coltello che lo aveva ferito. Si girò sul fianco, gorgogliò un altro lamento, si sollevò sulle ginocchia e barcollò in piedi, zampettò di lato e tornò in equilibrio, alto davanti al corpo ancora accasciato di Prussia. Tese le braccia, la pistola in una mano e il pugnale d’assalto nell’altra, i capelli spettinati e sudati davanti alla benda da pirata, e riuscì a ghignare di nuovo. Una flebile risata gracchiante che gli scosse le spalle. “Ora chi è che ride, eh, Prussia?”

Prussia sollevò il viso bagnato di sangue, annaspò anche lui di fatica, ancora aggrappato alla spalla, e nei suoi occhi si specchiarono le scintille metalliche delle due armi impugnate da Inghilterra. Un lampo di panico gli attraversò il volto, lo rese rigido, il cuore fermo e la rabbia a gorgogliargli nelle vene.

Un’esplosione scoppiò sotto di loro, uno schianto nel mare, ma nessuno dei due ci badò.

Il viso di Inghilterra tornò di colpo buio e contratto di odio. Inghilterra strinse la mano attorno al pugnale, incastrò l’indice nel grilletto della pistola, e compì un passo in avanti, guardando Prussia dalla penombra che gli oscurava il viso. “Voi dell’Asse avete finito di fare i vostri comodi dove –” Sbiancò di colpo, l’occhio sgranato, le labbra ancora socchiuse, e il corpo si contrasse come aveva fatto dopo una delle pugnalate. Il suo occhio si spense, come quello di una bambola. Inghilterra incrociò un passo, ammosciò le braccia, e cadde di colpo, come un burattino senza fili. Pugnale e pistola schizzarono via dalle sue mani, il suo viso giacque immobile fra i gomiti, il corpo pietrificato.

Prussia spalancò gli occhi come se avesse visto comparire il fantasma di Fritz. Cosa? Ma che diavolo gli è...  

Un’altra esplosione scoppiò sotto di loro, una colonna di fumo trafisse le nuvole, il ronzio familiare dei Junker la circondò, e il fischio di un altro siluro in picchiata si sovrappose all’ululato del vento.

Prussia si sporse tenendo la mano stretta alla spalla, e guardò attraverso le nubi. L’espressione sfocò nell’incredulità. Romano? In mezzo al mare, circondata dal ronzio dei Junker in volo, la Illustrious andava a fuoco.

   
 
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