Prima
di iniziare.
Le Renaj non
sono particolarmente
popolari nel fandom italiano, ma purtroppo investo anima e cuore in
missioni
impossibili. I know.
Il rating
successivamente
diventerà rosso, perché dopotutto questa resta
una storia molto cliché, e le
scene sexy dovrò pur metterle da qualche parte.
Uh,
post Advent Children by the way.
Ps: Ho paura
di scrivere per
questo fandom. Non odiatemi per la mia incompetenza, pls.
1)
Not
my style.
Era svenuto,
o almeno sembrava
fosse svenuto. Quando aprì gli occhi, debolmente, sbattendo
un paio di volte le
palpebre per meglio mettere a fuoco il mondo dinnanzi a sé,
desiderò vivamente
perdere i sensi ancora una volta. Quello che gli si presentava davanti
non era
esattamente un luogo accogliente. Era il genere di scenario che si
poteva
vedere in un incubo, o in un film dell’orrore. Uno di quei
torture porn pieni
di psicopatici che si divertono –letteralmente- sulla pelle
degli altri, autorizzandosi
in virtù di una giustizia divina fai-da-te. Invece era una
tremenda,
claustrofobica, buia realtà.
Il ragazzo
aprì gli occhi azzurri
a quell’ambiente terrificante, talmente sporco da sembrare il
girone infernale
di qualche maniaco del pulito. Ragnatele adornavano pilastri in legno
come se
fossero decorazioni di Halloween, il parquet marcio quasi sembrava
cadere sotto
ai suoi piedi, e lo scarso mobilio che riempiva la stanza serviva solo
a dare
un’atmosfera ancor più decadente e malata: un
tavolo pieno di mozziconi di
sigaretta e siringhe, una sedia con su brandelli di stoffa e qualche
goccia di
sangue, e altro che non era lecito sapere. La finestra c’era,
ma non serviva a
molto: dal vetro sporco entrava una luce fiacca, timida, come se
nemmeno i raggi
del sole volessero avere a che fare con quella situazione. Constatato
lo
squallore attorno a sé, il malcapitato potette ricapitolare
su come ci era
arrivato: il tempo di guardarsi intorno che si ricordò di
essere legato e
trascinato da un gruppo di brutti ceffi, il genere che non si vorrebbe
incontrare di notte in un vicolo. Analizzandoli uno ad uno, se ne
potevano
contare cinque. Il primo, un ammasso di muscoli e probabilmente
metanfetamine,
dalla testa liscia come un uovo e l’abbigliamento ed il
fisico di chi passa
troppo tempo in palestra, lo stava tirando con una corda,
strattonandolo senza
alcuna cura qualora qualche parte del pavimento troppo ruvida non gli
rendesse
il compito facile, quasi stesse trasportando un fastidioso sacco di
farina con
sé. Altri due, che a malapena riusciva a vedere, gli stavano
ai lati come una
scorta poco principesca. Sembravano due scimmie troppo alte, dal muso
pronunciato e con qualche pelo di troppo sulle braccia, uno con dei
capelli a
spazzola color ruggine, l’altro con un codino nero e dei
baffi che lo avrebbero
reso con prepotenza il sospettato numero uno in un caso di violenza
minorile.
Gli altri due erano fuori dal suo campo visivo, così dovette
accontentarsi di
giudicarli dalle voci: due idioti sgrammaticati, che non facevano altro
che
commentare cosa avrebbero fatto di quel loro nuovo prigioniero.
Apparentemente,
non erano cose da poter dire in pieno giorno senza doversi sentire come
un
peccatore in chiesa.
-È
un tipino niente male,- diceva
uno dei due, con una goffa risata gutturale, quasi fosse uscito da un
cartone
animato. –Di sicuro un malato che lo compra a caro prezzo lo
troviamo.
-Sangue
reale, mi sembra…-
continuava il secondo, accompagnando ogni singola parola da un
fastidiosissimo
aspirare col naso, come se fosse perennemente raffreddato. –O
così mi è parso
di capire quando lo abbiamo acciuffato. Quanti guil ricaviamo da questa
puttanella?
Come
diavolo mi ha chiamato? Sembrò
pensare il diretto interessato, che provò a girare il viso
nonostante la scomoda
posizione in cui si ritrovava. Ma nel momento in cui accennò
il tentativo, una
pistola alla tempia gli ricordò che forse non era il caso di
agire con
leggerezza. Mister Baffo non sembrava averlo preso in simpatia. O
meglio…non in
quella giusta.
-Buono,
signorino. Stiamo solo
decidendo cosa fare con te. Però prima dobbiamo conoscerci
meglio, ti pare?
A quelle
parole, il ragazzo venne
slegato, ma solo ai piedi, mentre i polsi rimanevano stretti in una
morsa, ma
ne approfittò per accasciarsi un po’ a terra,
mentre gli altri tizi
continuavano ad analizzare quella figura vestita solo di una camicia
piuttosto
larga, ormai non più bianca a causa del sudiciume del
pavimento, e da pantaloni
neri a sigaretta, di ottima fattura. Gli sguardi affamati su di lui,
quasi
fosse una bambolina in vetrina.
-Capelli
rossi…saranno veri? Dopo
conviene controllare sotto…-
-Quegli
occhioni sono di un
colore raro. Faranno sicuramente salire il prezzo.
-Che saranno
mai quei segni sul
viso? Sarà un cazzo di indù o cose simili?
-Sembra
anche ben piazzato…avanti
dolcezza, perché non ti spogli e non fai vedere agli zietti
quanto sei carino?
C’era
così tanto…viscidume in
quelle parole, che il ragazzo sentì l’impellente
bisogno di bloccare un fremito
di disgusto. Si sentiva sporco anche solo ad essere guardato da quegli
scarafaggi in corazza umana.
Forse, ma
non era certo, fu
proprio per quello che rimase semplicemente sul pavimento, in
ginocchio…iniziando a singhiozzare disperato. Una visione
quasi patetica per
una persona della sua età –poteva avere ventotto
anni al massimo, nonostante
conservasse ancora un’aria di fresca gioventù,
…- ma non accennava a smettere,
mentre si stringeva in sé stesso, il viso basso e gli
atteggiamenti timorosi di
una preda che tenta disperatamente di sottrarsi al suo triste destino.
-Vi
prego…- sussurrava tra un
singhiozzo e l’altro, le lacrime che sgorgavano copiose sulle
guance candide,
se non per due archi rossi all’altezza degli zigomi.
–Vi prego, lasciatemi
andare…la mia famiglia sarà in
pensiero…-
Quella
vocina tremante da un
ragazzo così cresciuto fece scoppiare a ridere i cinque, i
quali adesso, senza
alcuna preoccupazione, si stavano dirigendo verso un frigobar -che
funzionava
probabilmente a volontà divina per quanto era vecchio- per
tirare fuori qualche
bottiglia di Whiskey.
-Oh, ma non
possiamo…- ghignò il
tipo tutto muscoli e niente capelli, versandosi un copioso bicchiere di
Jack
proprio davanti ai suoi occhi, in maniera quasi canzonatoria.
–Sei una vera
miniera d’oro, dolcezza. Scommetto che se non riuscissimo a
venderti intero, i
tuoi organi varrebbero comunque una fortuna.
Questa
è una cazzata vera e propria. Non sai come sono messi i miei
reni.
Gli occhi
del ragazzo sembravano
perplessi a quella affermazione; tuttavia non fece altro che abbassare
il viso,
asciugandosi le lacrime come poteva col palmo delle mani, seppur legate.
-Ma sono
ancora…- sembrava
piuttosto restio a pronunciare quanto seguiva. Quasi si vergognasse di
dirlo, o
stesse trovando le parole giuste…ma poi prese un grosso
respiro, continuando a
mantenere quell’espressione addolorata. –Sono
ancora…-nascose di nuovo lo
sguardo, come una scolaretta timida, lasciandosi sfuggire un altro
singhiozzo,
nascondendosi agli occhi famelici dei suoi aguzzini -…sono
ancora vergine. Non
procuratemi questo dolore. Lasciatemi andare…!
La notizia,
invece che
impietosire quel tetro quintetto, sembrò interessare
più del dovuto: qualcuno
scoppiò a ridere fragorosamente, qualcun altro invece, come
l’inquietante tipo
coi baffi ed il codino, iniziò a massaggiarsi il mento,
riflettendo per quanto
quei poveri operai sottopagati dei loro cervelli potevano permettersi.
-Ma sai che
questa è proprio una
bella notizia…- Camminando verso la fonte di interesse, a
passi lenti, l’uomo
decise di avvicinarsi di più.-…invece che
venderti, potremmo tenerti tutto per
noi. Il nostro caro animaletto.- Subito dopo si abbassò
verso la figura
piangente a terra, sollevandogli il viso e constatando la rigidezza di
quel
corpo, quasi pietrificato alla sua presenza. –Eh
sì…non sei niente male. Voglio
tenerti tutto per me, bambolina.
Il ragazzo
sembrò inorridire a
quelle parole, tradendo per qualche secondo l’espressione di
pura innocenza
assunta finora ed indietreggiando per sfuggire al tocco di quelle dita
sporche,
con un velo di disgustato panico nei suoi occhi.
-Cosa
caz…- per un secondo sembrò
piuttosto rude. Sembrò accorgersene, perché
subito dopo, ritornò al solito
piagnisteo. –Cosa… dite…io non potrei
mai…
Insistendo,
l’uomo gli afferrò la
mascella, avvicinandolo di più ed impedendogli di sfuggire.
Il suo tono di voce
diveniva sempre più sottile, fino a ridursi ad un sussurro
puzzolente di
whiskey e scarsa igiene.
-Coraggio…che
cosa ne dici?
Guarda che ce l’ho grosso. All’inizio fa male, ma
poi strillerai come una
troietta in calore.
-I…io…io
non…-
-Andiamo,
non è che hai molto da
scegliere…sarà più piacevole se ti
concedi…
-…cristo,
non ne posso più…- si
sentì il prigioniero sussurrare, a volto basso, sempre
più teso…
Ma
l’uomo non smetteva. Anzi,
sembrava trovarci godimento in tutto quel disagio.
-Su
dolcezza, adesso ci
divertiamo e…e dimmi, come ti chiami?
-RUDE, CHE
CAZZO, TI SENTO
RIDERE, MI DISTRAI!
Di
tutta il risposta, il ragazzo sbottò nervoso, strillando
improvvisamente
al…nulla, lasciando perplessi i presenti in sala.
Non
si capiva effettivamente con chi ce l’avesse: nessuno di loro
si chiamava Rude.
Che razza di nome era Rude, poi? Il principino che avevano catturato
era forse
un lunatico?
Il
tipo inquietante coi baffi sembrò a sua volta parecchio
spaventato da quella
reazione così insolita, al punto da rialzarsi lentamente,
non senza cercare di
agguantare la propria pistola. Il ragazzo coi capelli rossi si
rialzò a sua
volta, come se improvvisamente non ci fosse più terrore o
dolore a fermarlo,
anzi. Sembrava piuttosto tonico, ed in salute. Cos’era quel
cambiamento da un
momento all’altro? Come se non bastasse, stava continuando a
parlare al vuoto,
fregandosene altamente di essere circondato da una banda di cinque
carogne
armate ed alcolizzate. Ciarlava ininterrottamente.
-Sì,
OK, IMMAGINAVO. Mai più farò la donzella in
pericolo. Il primo che me lo
propone si becca uno sparo in gola…che significa, che ero
credibile? Per forza,
sono un fottuto genio dell’arte drammatica. Togliete
quell’Oscar a Di Caprio, è
mio di diritto. Scusate un secondo…- con un movimento
fluido, si liberò
tranquillamente i polsi, davanti agli occhi sbalorditi del resto del
gruppo,
ancora incapace di realizzare quanto stesse accadendo. Lo stavano
trascinando
inerme fino a qualche minuto fa, e ora si ergeva in mezzo a loro come
una sorta
di dio della ribalta, completamente inconsapevole del pericolo che
correva.
Quando il ragazzo si portò una mano all’orecchio,
come se stesse cercando di
aggiustarsi una sorta di auricolare, tutto fu chiaro: avevano
decisamente
catturato la persona sbagliata. No, peggio: avevano abboccato ad una
pericolosissima esca.
Un’esca
che non esitò a mostrarsi spavalda e trionfante ai loro
occhi, lanciando loro
sguardi di pura perfidia e, c’era da dirlo, di assetata
vendetta.
-…chi
è che avreste chiamato puttanella, voi?
-FATELO
FUORI, IDIOTI, COSA ASPETTATE?
Ad
un unico segnale, tutta la banda puntò una pistola contro il
logorroico
intruso, che non sembrava particolarmente turbato da ciò. Se
pure avessero
voluto capirne la ragione, non ne ebbero il tempo. Il ragazzo li
fissò
ghignante, con le mani sui fianchi, squadrandoli da capo a piedi come
se li
stesse giudicando dall’alto di un potere ancora non rivelato;
subito dopo,
continuò il secondo atto di quella che finora era stata una
recita dannatamente
strana. Imitò con le dita il gesto di una pistola, e
sussurrando dei giocosi
“bang, bang” puntava di volta in volta ognuno dei
membri della
squadra…facendoli cadere, esanimi, a terra, sotto agli occhi
atterriti dei
superstiti.
L’ultimo
rimasto in vita, proprio quello che aveva intenzione di fare cose
indicibili al
ragazzo, si accasciò a terra, tremante e confuso. Questo
comportò al pistolero
magico di avvicinarsi a passi lenti verso di lui, con una risatina
sinistra. Si
piegò davanti alla sua figura impaurita, con sguardo quasi
maniacale.
-Cos’è
che volevi farmi, tu?
-CHI…CHI
DIAMINE SEI…? – fu la risposta urlata e quasi
supplicante del poveraccio a
terra, che indietreggiava ancora, finché un muro lercio non
bloccò la sua
patetica fuga.
L’uomo
dai capelli rossi continuò a seguirlo, facendo risuonare
volontariamente i
propri passi in quella stanza fetida ora anche di morte, come se
fossero
lancette di un’inevitabile condanna a morte.
-Non
l’hai ancora capito? Sono il demonio.
Allungò
nuovamente la mano, allungando solo l’indice, il medio e
l’anulare della mano
sinistra, per imitare nuovamente il gesto di poco prima, godendosi
l’estremo
impallidire della sua povera vittima, ormai conscia del suo destino.
-Bang,
bang.
Il
ragazzo dai capelli rossi si guardò intorno, con aria
piuttosto soddisfatta. La
schiera di cadaveri ai suoi piedi aveva avuto ciò che si
meritava, e ora poteva
tranquillamente riprendere ad essere sé stesso.
Gettò
uno sguardo alle finestre, notando con piacere quei piccolissimi buchi
ai
vetri. I cecchini erano stati fantastici. Non solo erano stati
silenziosi e
precisi, ma avevano seguito alla perfezione le sue indicazioni. La
carneficina
più teatrale e scenica che avesse mai organizzato.
Riallungò
la mano verso l’orecchio, ricominciando a parlare con tono
estremamente
soddisfatto.
-Qui
Reno, la via è libera. Mi addentro nel seminterrato e vi
dico cosa trovo.
Fece
scricchiolare un po’ le dita, prima di procedere. Giusto un
paio di passi verso
quella che presumibilmente doveva essere la porta che conduceva al
misterioso
seminterrato, oggetto della sua missione. Prima di aprire il pomello,
si diede
una veloce sistemata, sollevandosi i pantaloni e scuotendo via la
polvere e
riabbottonandosi la camicia, che stava rivelando un po’
troppa della sua merce
preziosa. La giacca era sparita nella finta colluttazione che aveva
preceduto
quella violenta parentesi, ma Reno era sicuro che la Shinra gliene
doveva
almeno altre dieci nuove di Armani dopo quell’umiliante
messinscena. Finalmente,
si decise a mettere in atto la seconda parte di quel piano non
esattamente
accurato, ma comunque d’effetto, com’era nello
stile dei Turks. Anzi, come era
nel suo stile. Per quanto i Turks –Nome per esteso:
Dipartimento di Ricerca
Amministrativa- fossero un gruppo omologato e dalle regole ben precise,
Reno
era capace di rivoluzionarle tutte col suo modus operandi talvolta
eccentrico,
talvolta sfacciato. L’importante era sempre distinguersi,
qualcosa che gli
riusciva dannatamente bene.
…ma
quando abbassò la maniglia della porta, l’entrata
scenica non gli riuscì come
avrebbe voluto.
Un
corridoio lungo, nero e buio lo accolse. Non c’era nemmeno
una finestra, non
uno spiraglio di luce naturale. C’erano delle lampadine che
sembravano quasi
essersi impiccate, per quanto penzolavano male dal soffitto, che
emettevano a
malapena l’illuminazione sufficiente a rendersi conto della
situazione
catastrofica. La cosa che colpì Reno fu soprattutto
l’odore pungente di sudore
e sangue, e l’irreale silenzio che dominava quel luogo. Ai
lati del corridoio
si ergevano sbarre arrugginite, dietro alle quali stavano inermi dei
corpi vestiti
a malapena, giovanissimi, macchiati dalla stanchezza e dal degrado di
quel posto.
Alcuni di loro erano così scheletrici ed immobili da
maturare in Reno il dubbio
che fossero davvero morti. Mentre percorreva con lentezza esasperante
quella
specie di Inferno artificiale, riuscì a notare un dettaglio:
ognuna di quelle
persone era di una bellezza disarmante. Tantissime anime innocenti
erano state
catturate per il piacere perverso di qualcuno, senza
possibilità di potersi in
qualche modo ribellare. Magari lo avevano fatto, ma Reno vedeva nei
loro occhi
spenti un cimitero di speranze.
Poteva
stare ancora lì a contemplare il tutto, a compatire quegli
angeli caduti…
…ma
di certo non era nel suo stile.
-SVEGLIA,
BAMBINI.
Urlò
con tale forza che molti di loro trasalirono agghiacciati. Ok, si rese
conto
che forse quello non era il modo migliore di sembrare un eroe ai loro
occhi.
Anzi, probabilmente lo avevano scambiato per l’ennesimo
cliente pronto a
scegliere il suo prossimo diletto. Quegli occhi lucidi e spaventati che
lo
fissavano lo fecero sentire come perforato da un milione di aghi,
neanche
avesse dato fastidio ad un Cactuar.
Bisognava
immediatamente volgere la situazione sotto ad una luce che non fosse
quella
vacillante di quella cantina.
Senza
troppi preamboli, ed ignorando le reazioni spaventate dei presenti, si
avvicinò
ad una delle sbarre, alzando appena il viso per notare una ragazzina
dai
capelli rossi che vacillava all’indietro, gli occhi
già gonfi di lacrime, che
sussurrava flebilmente qualcosa che Reno non riuscì a capire
subito ma che
suonava vagamente come un “Ti prego, non me, non
me…”.
Reno
sfilò dalla tasca quello che poteva essere un cacciavite, ma
piuttosto
allungato e con ben più punte del normale. Una chiave
bulgara.
-Che?
No, non aver paura. Vi sto liberando.
Quelle
parole, dette con estrema nonchalance, si librarono in quel
claustrofobico
regno di disperazione…trasformandolo, dopo una manciata di
eterni, esasperanti
secondi di silenzio, in un giubileo di grida entusiaste.
Tutti
quei ragazzi semorenti, che sembravano volersi quasi mimetizzare con le
pareti
pur di non incrociare il suo sguardo, ora si gettavano alle sbarre,
allungando
le mani ed implorando Reno di far presto, facendo sgorgare fiumi di
pianto.
Ohh, Reno adorava quella sensazione. Avrebbe fatto il bagno nelle loro
lacrime
di gratitudine. Tutto, pur di soddisfare il suo ego. Con una lieve
forzatura, il
cancello che teneva prigioniera la ragazza si aprì, con
incredulità della
suddetta. Inizialmente, come un animaletto tenuto in
cattività, sembrò quasi
reticente alla sua ritrovata libertà. Ma quando Reno si fece
da parte e fece un
cenno con la testa, l’incantesimo si spezzò. Con
un urlo di gioia, la fanciulla
si precipitò fuori, tra l’ammirazione e la gioia
dei presenti che avevano
assistito alla scena.
-Fuori
troverete la nostra squadra che vi darà coperte e bevande
calde e vi riporterà
alle vostre famiglie, non-vi-affollaaaate…-
cantilenò quasi, avvicinandosi alla
gabbia successiva e ripetendo il gesto, osservando soddisfatto, di
volta in
volta, le persone che scappavano da quella realtà troppo
orribile per essere
anche solo concepita. Le gabbie si svuotarono e l’odore di
prima svanì a poco a
poco. Reno già pregustava i titoli dei giornali che
descrivevano la Shinra, ma
soprattutto lui, come la più grande cosa mai avvenuta
all’umanità. Avevano
decisamente bisogno di una ventata di nuova reputazione. Chi aveva
seguito le
varie vicissitudini in passato, poteva infatti affermare, senza ombra
di
dubbio, che il pianeta aveva rischiato decisamente grosso grazie alla
compagnia
elettrica che sfruttava l’energia della terra senza troppi
scrupoli. Nessuna
sorpresa se l’opinione pubblica non si era esattamente
espressa a favore della
loro nuova riapertura, sebbene fosse stato messo nero su bianco che la
Shinra
avrebbe seguito una nuova politica eco-friendly volta al benessere del
popolo.
Sorpresa, sorpresa: nessuno ci aveva creduto. Ecco perché
era nata una sorta di
campagna sociale dove al centro di opere benefiche c’erano
sempre loro, e
sempre “per puro caso”. Quell’operazione
di salvataggio e di smascheramento di
commercio sessuale altro non era che un altro passo della loro campagna
propagandistica, classificata come “Missione 017”,
che Reno aveva
affettuosamente soprannominato “Missione Siamo
meglio di Gesù Cristo”. Stava
già scegliendo il miglior atteggiamento da
adottare davanti ai giornalisti: come doveva apparire? Sconvolto?
Traumatizzato? Desideroso di giustizia per quello che avevano dovuto
patire
quelle povere anime? O sprezzante del pericolo appena corso, roba da
“Non è
niente, gente!”? E soprattutto, quali dovevano essere le
parole che avrebbe
detto alla stampa, una volta uscito da lì, mentre apriva
altre gabbie.? “Ho
semplicemente fatto il mio dovere” sembrava
piuttosto banale. E se invece
avesse esordito con un “Nessuno
sporco
figlio di puttana la fa franca se va contro i nostri nobili
ideali”? Sì,
quello sembrava eroico e dannatamente badass,
sebbene una vera e propria messinscena: Reno di ideali non ne
aveva
affatto, e di certo non li aveva maturati nel corso della loro campagna
di
beneficenza. Ma, come aveva potuto dimostrare in quella missione, era
un attore
dannatamente bravo.
Con
un ulteriore “clack clack” della sua strabiliante
chiave magica, Reno era
convinto di aver liberato l’ultima ragazzina seminuda e di
potersi dire un po’
più lontano dalla dannazione eterna. Ehi, era tutta una
messinscena
propagandistica, ma tecnicamente aveva compiuto un’ulteriore
buona azione, no?
Stava per andarsene, quando…
-…nghhh…-
…
il silenzio venne interrotto da uno strano mugugno. Reno si
guardò le spalle
più volte, perplesso. Guardò tutte le celle: non
c’era nessuno che tendeva le
braccia chiedendo disperatamente la salvezza, tantomeno gli
sembrò di scorgere
qualche movimento umano. Dunque due erano le cose: o il commercio del
sesso
andava forte anche tra gli spettri, oppure lì
c’era rimasto ancora qualcuno. Per
quanto allenati i suoi occhi da pilota fossero, non gli
sembrò di scorgere
niente in quella insopportabile penombra. Guardò
più e più volte, senza
successo. Un altro mugugno. La cosa stava iniziando a dargli i nervi:
ripercorse stizzito il corridoio, squadrando da cima a fondo. Non
sembrava
esserci davvero nessun-
Oh.
Nell’ultima
cella, proprio quella in fondo, la più piccola e stretta,
notò un corpicino che
si rannicchiava in un angolo buio. Non era sicuro si trattasse di un
corpo
femminile, tanto era esile e delicato, anche se era difficile da dire
in quella
posizione, ma il mugugno aveva un qualcosa che risuonava vagamente di
cromosoma
XY. C’era da dire che di sicuro era rimasto sorpreso: aveva
quasi
volontariamente ignorato quelle sbarre, convinto stessero trattenendo
il nulla.
Invece, a quanto pareva, non aveva salvato proprio tutti. Per quanto
stanco ed
annoiato fosse, di certo non poteva lasciar morire l’ultimo
idiota lì rimasto.
Anche se…beh…in teoria, chi l’avrebbe
mai scoperto? Sarebbe sicuramente morto
di fame e stenti, già piccino e debole com’era,
che minaccia poteva
rappresentare?
…ma
beh, ormai era lì, e c’era da dirlo: Reno aveva
fin troppi morti sulla sua
–piccola- coscienza. Tanto valeva tirare fuori di nuovo la
chiave, seppur
sbuffando.
-Che
cazzo, amico, potevi farti sentire prima. Ho esaurito la mia dose di
bontà, per
oggi, quindi non farmi perdere la pazienza.
Fece
scattare la cella con un movimento brusco, aprendola. Attese
all’uscio che il
ragazzo, o la ragazza, si precipitasse come tutti avevano fatto, ma
niente.
Restava fermo, o ferma, nel suo angolino, mugugnante. Reno stava
davvero
iniziando ad innervosirsi. Fece cigolare più volte le
sbarre, come a volergli
segnalare che ora non erano più un problema, che poteva
tornare dai suoi cari
ed insomma, quel posto puzzava da morire, perché perdere
tempo così?
-…oh,
ma ci senti?
Gli
era stato vietato di toccare le vittime, reduci di contatti
traumatizzanti ed
umilianti, ma dio, che voglia aveva di prenderlo –o
prenderla- a ceffoni. Prima
di tutto, come osava ignorarlo così? E seconda cosa, che
diamine aveva da
starsene lì immobile quando fuori c’era il mondo
ad aspettarlo?
Non
era mica un vero fantasma? Se si fosse avvicinato, magari, si sarebbe
voltato
rivelando un volto demoniaco che lo avrebbe fatto crepare sul colpo per
lo spavento.
Il
pensiero quasi lo bloccò: la porta era aperta, tanto, quindi
hasta la vista e
buona vita, no?
Invece
Reno decise che nemmeno le anime dell’oltretomba dovevano
azzardarsi a farlo incavolare in
quella maniera, così
irritato si avvicinò al personaggino della cella,
afferrandolo per una spalla.
-E
CHE CAZZO, TI VUOI MUOV…-
…Reno
dovette interrompersi per l’ennesima volta.
A
quanto pareva, quella serata era davvero piena di sorprese.
Quello
che stava scuotendo non era un ragazzino qualunque.
Lo
conosceva, sebbene…in quello stato non lo avrebbe mai
immaginato.
Lo
riconobbe.
Sul
corpo candido c’erano degli stracci che a malapena gli
coprivano il
bassoventre, lasciando ben in vista tutto il resto, così
delicato e sottile che
Reno temeva potesse spezzarsi da un momento all’altro.
Riconobbe gli occhi
socchiusi che rivelavano un colore incredibile, seppur spento, un misto
di
verde ed azzurro che ricordava profondità di oceani
inesplorati, incantevoli
nella loro miseria. E soprattutto riconobbe quei capelli morbidi
nonostante la
polvere e lo sporco, quei sottili strati di argento che rivelavano un
visino
aggraziato, anche se Reno lo aveva visto assumere espressioni non
esattamente
innocenti, per quanto lo sembrasse.
Non
c’erano dubbi. O era uno scherzo ben elaborato, o era un
sosia, oppure quello
era…
-…Kadaj?
Lo
sollevò per un braccio, divorandolo ancora con lo sguardo,
troppo incredulo per
poter dire altro. La reazione tardò ad arrivare, ma dopo un
po’ il ragazzo
sollevò piano il viso, cercando di incrociare i suoi occhi,
senza davvero
vederlo.
-…M-madre…?
Ok,
non c’era bisogno di ulteriori conferme.
-Cazzo,
Kadaj, non ricominciare.
Note
Illusi. Se
avevate capito che il
tipo legato era Reno, non dovevate credere nemmeno per un secondo alle
sue
lacrime. Mi ha divertito però immaginarmelo come una damsel in distress.
Se questo
primo capitolo vi è
piaciuto, yay. Grazie~
Sennò…scusate,
potessi
restituirvi il tempo perduto a leggere questa accozzaglia lo farei
volentieri.
Dedico
questo capitoletto,
nonostante tutto, ad una persona per me ancora molto speciale.
Non che ci
sia qualcosa da
dedicare in questa storiella senza pretese.
Ma diciamo
che mi ha aiutata a
riprendermi un po’.
Aggiornamento: no, tal persona non si merita manco una dedica. Vai all'inferno, lurida bugiarda.