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Autore: adler_kudo    09/03/2017    1 recensioni
Occorre poco affinché cambi una vita, qualche attimo perché essa finisca, pochi incontri per ricominciarla e un solo istante per abbracciare la morte.
Mail non aveva ancora idea di cosa fosse vivere, lo ha scoperto solo quando da morto ha incontrato la vita. [Seconda guerra mondiale AU]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio | Coppie: Matt/Mello
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1943, Treblinka

 

“Piove” è il primo pensiero di Mail quando si sveglia. No, non è pioggia quella che sente gocciolare  poco distante, sono perdite di tubi dell'acqua. Si stropiccia gli occhi provando a girarsi un po'; è impossibile trovare una posizione comoda su quei tavolacci di legno impilati gli uni sugli altri nei quali dormono per ogni riga minimo in venti. Mail è al terzo piano, non gli è andata affatto bene: fa freddo, si sentono gli spifferi dal soffitto a capriate lignee e gocciolano i tubi che passano sopra la sua testa. Per ogni detenuto c'è una sorta di tavolozza ricoperta di stoffa che funge da cuscino e un panno talmente usurato da non essere buono ormai più per nulla. Guarda fuori dalle poche finestre che ci sono e nota che è già l'alba; la prima notte al campo è passata piuttosto bene in fin dei conti, non c'è stato nessuno che lo ha disturbato, nessuno che gli ha gridato di andare al lavoro nel cuore della notte, nessuno che lo ha ucciso nel sonno. Ne è lieto, e pare che questo sia il sentimento comune di ogni persona ogni mattina a giudicare dalle espressioni dei suoi vicini di letto appena svegli. Si chiede come mai lo siano, perché già svegli quando è solo l'alba, ma la risposta gli arriva poco dopo quando una sirena riecheggia per tutto il campo destando chiunque.

Tutti cominciano a scendere in fretta e furia, a sistemarsi e molti, con la gavetta in mano, tirano già su la manica sinistra per rivelare il nome. In poco tempo sono tutti schierati in righe e file e la porta si apre rivelando due cambusieri che portano dentro un pentolone di zuppa e pane che finisce in un lampo. Dopo che se ne sono andati compare una guardia ucraina che, con manganellate e spintoni non necessari, butta fuori ogni uomo dalla baracca. Parla con uno di loro, l'unico tra tutti ad essere armato di un corto e spesso legno, questi dunque, quando la guardia se ne va, inizia a dare ordini sbraitando come un ossesso.

-Quelli nuovi vadano alla fabbrica! Gli altri alle loro mansioni! Veloci!-

Mail si accoda ai suoi compagni incerto mentre osserva l'uomo spingere con brutalità un altro che è inciampato. Si domanda perché nessuno lo fermi, non è un nazista, non è un soldato, è un deportato come tutti gli altri.

-Quello è un kapo.- gli sussurra uno tirandolo per farlo allontanare e non perdere il gruppo. Quando Mail si gira nota che è lo stesso della sera prima, quello che il tedesco ha coperto.

-Cos'è un kapo?-

-È uno di noi... Che si è venduto ai nazisti in cambio di favoritismi. Fa lo stesso loro lavoro, solo  con più violenza.-

Mail annuisce facendo segno di avere inteso; aveva sospettato ci fosse una gerarchia del genere in quel posto.

-Tu non sei nuovo.- dice svoltando a destra attorno ad un'altra baracca mentre segue gli altri -Perché vieni con noi?-

-Perché lavoro lì-

-Ma non facevi il cambusiere?-

-Imparerai presto che per chi vive non c'è un solo lavoro da saper fare.-

Quando raggiungono la fabbrica si rendono conto che in realtà sono ben tre: una fucina, un calzaturificio e un'armeria. Vengono smistati in modo del tutto casuale tra le varie mansioni e a Mail tocca il calzaturificio; è fortunato, pensa, è il lavoro meno pesante tra i tre, ma presto l'ottimismo svanisce. È seduto con altri attorno ad un immenso tavolo rettangolare sul quale vi sono innumerevoli suole da incollare al rispettivo involucro e non c'è il tempo per una matricola di imparare, tutto deve essere fatto alla svelta e con precisione, le guardie osservano.

-Così ci metti una vita, fai come me.- gli dice il medesimo uomo di prima sottovoce. Quasi nessuno parla, tutti lavorano in silenzio, stanchi, affamati, con gli occhi cerchiati di nero per le sostanze chimiche che sono costretti a maneggiare senza protezioni. Probabilmente anche lui diventerà così in poco tempo: un fantasma tremante senza più la forza di alzare lo sguardo o aprire bocca.

-Perché siete quasi tutti pelati, Henryk?- domanda ad un tratto come se avesse notato solo in quel momento quel particolare.

-È la prassi di quando siamo arrivati. Ma non la fanno sempre. A volte è tardi e si dimenticano. Non fa molta differenza dopotutto.- risponde questi, ma poi aggiunge stranito -Come ti ricordi il mio nome?- 

-È lo stesso di mio fratello. Sei qui da molto?-

-Quasi un anno.-

-Sai dove sono le donne?-

Quella domanda gli nasce spontanea sulle labbra; non l'ha premeditata, in realtà non aveva nemmeno intenzione di porla, ma inconsciamente non desidera altro che conoscere la sorte della sua famiglia.

-Sono nell'altro campo. Non so altro.-

-Voi due! Basta parlare!- ordina una delle guardie con la minaccia di piantargli un proiettile in fronte se lo rifaranno di nuovo.

Mail si ammutolisce e riprende il lavoro; ha già le dita che bruciano, annerite, per la colla che usano, ma continua a fare ciò che gli è stato ordinato a ritmo quasi meccanico. Comprende il piano dei nazisti: non è solo uccidere, è togliere ogni dignità umana a coloro che ritengono umani non esserlo. Ingegnoso, non sa in che altro modo definirlo.

Il tempo scorre lento e tutto uguale in quella sordida baracca colma di effluvi chimici che già gli stanno dando alla testa; non appena arriva ora di pranzo fa in fretta ad abbandonare il lavoro e a mettersi in fila per la zuppa come tutti gli altri; è appena arrivato e già ha compreso l'andamento del campo e ne ha acquisito i ritmi, non male. Ha ancora le mani luride di quella colla industriale disgustosa, ma dubita che ci sia un modo per lavarsele che non sia sfregarle sulla camicia. Pranzano vicino alla fabbrica, all'aperto; per fortuna sta arrivando la bella stagione o gelerebbero. Non fa nemmeno in tempo a terminare il magro pasto che una guardia viene a chiamarlo. Non si tratta di un ordine casuale dato al primo che passava come ha visto talvolta accadere ai suoi compagni nel corso della mattina, ma proprio di una richiesta rivolta a lui in persona, e di questo se ne stupisce molto.

-Tu, sei quello che parla tedesco?- domanda sbrigativo il nuovo arrivato. Ha il fiatone, deve aver corso molto per arrivare fino a lì nel minor tempo possibile.

Annuisce circospetto; è un male che si ricordino di lui, vorrebbe solo passare inosservato.

-Vieni.- ordina la guardia e lo spinge via dal resto del gruppo. Prima di svoltare l'angolo, Mail si volge dalla parte di Henryk che lo guarda quasi affranto. Dovrebbe esserne felice che qualcuno si preoccupi per lui, ma riesce a leggere chiaramente anche nei suoi occhi, come in quelli degli altri del resto, una sfumatura di sollievo: non tocca loro oggi.

Portato con parole offensive dentro la zona adibita ad alloggi dei militari, rimane un attimo spiazzato quando viene spinto dentro un ufficio e cade, alza la testa e alla scrivania vi trova l'ufficiale della sera prima che ricambia il suo sincero sconcerto.

-È lui?- domanda stranito il ragazzo biondo alla guardia.

-Sì. Con permesso, tenente.- e si congeda con un altisonante saluto militare nazista che fa rabbrividire il sangue nelle vene a Mail.

Dopo che la porta si è chiusa, sente il ragazzo gettarsi all'indietro sulla sedia e sospirare. Si alza facendo attenzione a non sporcare troppo il pavimento di legno con le sue mani lorde di nero e attende a testa china. Non è ancora troppo sicuro che sia un buon soggetto, ma di sicuro non l'ha mandato a chiamare per farlo uccidere o non avrebbe chiesto la conferma della sua identità.

-Perché te tra tutti!- sbuffa d'un tratto l'ufficiale quasi in tono isterico.

-Come?-

-Sei sordo? Ho detto perché te tra tutti! Ho chiesto un polacco che sapesse il tedesco, non quello dai capelli rossi che sa il tedesco! Stupidi ucraini che non sanno un cazzo di tedesco!- si lamenta mentre si ravviva i capelli biondi, un po' troppo lunghi per essere di un militare. È seduto sbracato sulla sedia e non indossa la giaccia, che è sull'appendiabiti.

-Cosa ti occorre?- domanda Mail incuriosito. Vede delle carte sulla scrivania, ma sono tutte di lingua tedesca, non comprende a cosa gli occorra un interprete.

-Mettiamo in chiaro una cosa. A me non occorre nulla, tanto meno da un ebreo, ma sono così magnanimo nei confronti di voi poveri esseri da concedervi di potermi dare una mano.-

-Ok, in cosa potrei darti una mano, io povero essere?- ironizza, ma se ne pente un secondo dopo. Non può scherzare con il suo aguzzino, anche se ha la sua età può ucciderlo a ragione per un solo dito alzato.

-Ti senti spiritoso, feccia? Apri quel fottuto armadio e metti in ordine alfabetico tutti gli... Aspetta, aspetta, aspetta! Cosa sono quelle luride mani?- indica quasi sconvolto il nero che avvolge ogni singolo polpastrello dell'altro che, a sua volta, le osserva per nulla scioccato.

-Ho lavorato fino ad adesso in fabbrica.-

-Tu conciato così qui non ci lavori. Vai a fare la doccia.-

Il cuore di Mail perde un battito a quella parola; non quella doccia però gli viene indicata, ma una direttamente dentro l'alloggio del tedesco. Alla vista di un bagno così lindo, non può fare a meno di imbambolarsi come se avesse appena visto un tesoro; non ha il tempo però di contemplarla così a lungo perché l'altro lo ha già spinto dentro e ha tirato il paravento di fronte.

-Cinque minuti solo. Il sapone è a destra.-

Il tono con cui il biondo pronuncia quella frase pare carico di rimprovero verso se stesso; probabilmente sta pensando a quanto idiota deve sembrare a fare tutto questo per un ebreo. Mail non ci impiega molto e non ha intenzione di fargli pesare quel gesto, ma all'uscita deve per forza chiedere un asciugamano.

-Tieni.- 

Il soldato scosta appena il paravento, si può notare il rossore imporporagli le gote, ma con lo sguardo più stoico possibile gli passa il telo ordinando di sbrigarsi.

-Non sei circonciso!- esclama però senza riuscire a trattenersi.

Mail non si scompone, sapeva che prima o poi qualcuno lo avrebbe notato, anche se non immaginava in quella circostanza.

-No.- 

Non lo nega; perché negarlo quando è così lampante? Ma non vuole nemmeno lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione che il tedesco gli ha inconsciamente dato.

-Ti piace guardarlo agli uomini?-

-Che dici!- replica il soldato imbarazzato e torna alla scrivania con lo sguardo rivolto verso le tende della finestra.

Mail ride di gusto; era da un po' che non lo faceva. Ormai vestito, esce dalla doccia e chiede all'altro -Cos'è che dovevo fare?-

Il sorriso che ha stampato in faccia provoca nell'altro una reazione differente da quella che si aspettava, questi infatti abbassa lo sguardo come se triste. 

-Sei un idiota.- mormora.

-Come fai a dirlo? Non mi conosci neanche.-

-Lo sei di sicuro perché sennò sei pazzo.-

Mail non è sicuro di capire a cosa si riferisca e dunque fa per parlare, ma l'altro lo blocca tirandolo steso sulla scrivania e piantandogli addosso due perforanti occhi ghiacciati.

-Sai dove sei, vero?- chiede con durezza; si vede il dolore colorare i suoi occhi sorprendentemente chiari.

-In un campo di lavor...-

Il tedesco lo interrompe strattonandolo per le spalle -Sbagliato! È un campo di sterminio dall'anno scorso!-

Mail impallidisce a quella rivelazione, ma non ha tempo di preoccuparsi di come reagire: è più impegnato a studiare la bocca dell'altro contorcersi in una smorfia e mollare una bestemmia in tedesco; sa che non doveva dirlo, ma ormai non può far altro che proseguire.

-Ed è per ebrei principalmente! Tu cosa cazzo sei?-

-Ariano.- risponde senza alcun problema. È certo che tanto non lo rispedirà a casa, piuttosto lo ucciderà definitivamente; sarebbe la cosa migliore per tutti dato quello che sa.

Tocca al tenente impallidire stavolta; lascia la presa su di lui lentamente e si getta sulla sedia con un sospiro, è visibilmente sconvolto.

-Che ci fai qui?- esala chiudendo gli occhi.

-Ho seguito i miei fratelli.-

Mail vede l'altro fare un respiro profondo e strizzare gli occhi; sta cercando di calmarsi.

-E che cazzo ci fanno i tuoi fratelli qui! Cazzo, devo cavarti le parole di bocca?!-

-Sono ebrei loro. Gli hanno presi a Varsavia.-

Ora l'altro è piuttosto stranito; sbatte le palpebre un paio di volte prima di domandare -Se loro sono ebrei perché tu no?-

-Perché non sono miei fratelli veri. Mio padre li ha adottati prima di morire, nulla di legale ovviamente.-

-I tuoi genitori erano tedeschi ariani, sono morti in Polonia, ma prima hanno preso sotto la loro ala due ebrei e tu li hai seguiti fino a qui... per?-

-Perché non posso lasciarli soli. Sono il maggiore.-

Il tedesco si passa la mano su tutta la faccia e sospira forte.

-Alzati da lì.- ordina -Hai dato asilo a due ebrei, secondo le regole è sufficiente per stare qui, non ti fa migliore di loro.-

-Anche tu, ieri...-

-Stiamo parlando di te, ora! Continuerai a lavorare per me. Ogni pomeriggio vieni qui e ogni sera tornatene al tuo alloggio. Darò disposizioni perché ti lascino passare. Non dire a nessuno di questo o ti faccio fuori.-

Mail non fatica a crederlo, così si limita ad annuire. Dentro di sé, però, sorride: non è cattivo, è nazista, ma non è cattivo. Come ci può essere finito uno così in un posto del genere? È con la guerra che si vedono se le persone sono davvero d'animo buono o cattivo.

-Cosa dovrò fare?-

-Mi...-

-Ti?-

-Insegnerai.-

-Come?-

-Mi insegnerai il polacco, dannazione!- strepita l'ufficiale incrociando le braccia.

-Va bene, va bene! Non c'è bisogno di urlare...-

Mail si ricompone e lo aiuta a tirare su le carte che sono cadute dalla scrivania poco prima.

-Inizia a riordinare l'armadio.- ordina il biondo riprendendo il suo lavoro.

-Va bene, Mihael.-

-Chi ti ha detto che puoi chiamarmi per nome?-

-Perché, non posso?-

-No, ma non te l'ho concesso.-

C'è un attimo di silenzio tra loro nel quale entrambi si guardano negli occhi e poi iniziano a ridere sommessamente per prendere sempre più foga.

-Sul serio, lavora ora.- fa Mihael ritrovando la serietà.

Mail apre l'armadio e una catasta di fogli cade in ogni direzione. Sospira sconsolato e si accascia sul pavimento per iniziare a riordinare. Sfoglia le carte e le impila diligentemente in base alla lettera del tipo di rifornimento che trattano; nota che sono tutte bolle di spedizione.

-E quindi ti occupi dei rifornimenti?- 

-Sì.-

-Quando non fai finta di fare il duro.-

L'altro sbuffa -Io sono un duro.-

-E quando non fai finta di picchiare la gente.-

Mihael taglia corto in un modo che Mail non può che definire adorabilmente odioso -Meno parlare e più lavorare.-

  
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