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Autore: Kalesh    10/03/2017    1 recensioni
In un futuro prossimo in cui il mondo è controllato da industrie votate ad un progresso commerciale e la tecnologia è diventata solo un mezzo di lucro. Gin, un giovane ingegnere impiegato presso una di queste, incontrerà una strana ragazza, che, sconvolgendo la sua vita lo trascinerà in una fitta trama di intrighi macchinati dalle grandi potenze commerciali.
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anno 2150, i governi mondiali sono caduti in seguito ad una grave crisi economica, le redini sociali e politiche sono state rilevate da alcune grandi industrie divise in tutto il globo che governano i luoghi sottoposti alle loro sfere di influenza. Tra le più ricche ed influenti troviamo in particolare industrie fondanti la propria fortuna su una nuova tecnologia: i potenziamenti cibernetici. Questo tipo di innovazione consiste nel sostituire parti del proprio corpo con tessuti artificiali sviluppati in laboratorio e controllati da diversi chip, aumentando notevolmente il potenziale umano. In quest'epoca di transizione diverse e contrastanti sono state le opinioni riguardanti quest'evoluzione forzata della razza umana, evoluzione che poteva essere effettuata unicamente a pagamento e non senza rischi, ma senza alcun freno rimasto ad opporsi all'operato di queste grandi industrie, la ricerca proseguiva senza alcun freno inibitore, in una sfrenata e a volte immorale corsa all'oro.

Gin era un ragazzo dell'età di venticinque anni e, nonostante lo odiasse, aveva un ottimo lavoro come ingegnere presso la CyberLink, una delle grandi società che effettuavano potenziamenti biologici. Diversi tessuti, non più adatti alla nuova epoca venivano sostituiti garantendo diversi vantaggi a chiunque ne avesse usufruito: si poteva scegliere quale potenziamento ricevere, dai più economici per un aumento della forza o dell'agilità, a quelli più costosi che permettevano di trasferire la propria coscienza all'interno di un computer, aumentare la velocità di pensiero o persino di incrementare il proprio quoziente intellettivo. Queste scelte però non tardarono a presentare il proprio rovescio della medaglia: infatti, non tutte le persone potevano sostenere all'interno del proprio corpo un numero elevato di potenziamenti, una qualsiasi persona mediamente ne poteva sostenere non più di due senza subire danni collaterali, ma Gin aveva anche letto, all'interno dei propri resoconti di lavoro, di alcune persone che erano state in grado di acquisirne addirittura tre, o raggiungere il record attualmente noto, che era stato di quattro. Queste persone sovraccaricandosi di potenziamenti avevano unicamente presentato un invecchiamento accelerato, cosa che ,pensò, doveva essere stata una vera fortuna, altri soggetti, a cui non era capitata la stessa sorte, videro il proprio corpo rigettare l'impianto cibernetico, nonostante fosse solo il primo, e conseguentemente morire lentamente, tra atroci dolori. La razza umana si stava evidentemente evolvendo, e un DNA in grado di tollerare gli upgrade biologici che i vari colossi commerciali proponevano era evidentemente il successivo passo dell'evoluzione umana: il futuro, futuro che Gin odiava.
- Allora Gin, come procede il progetto del potenziamento per il controllo remoto di dispositivi ? - Così lo riportò alla realtà il suo caporeparto che esigeva al più presto la sua parte del lavoro per poter concludere la fase prototipale: 
- Ci sono un sacco di ragazzi ricchi annoiati là fuori che non vedono l'ora di poter comandare gli elettrodomestici con la forza del pensiero! - aggiunse lui scherzando. Al ché il ragazzo replicò in tono scherzosamente ironico: 
- Diamine, devo proprio cercare di sbrigarmi, ho una stretta al cuore al solo pensiero che qualcuno non possa divertirsi ad attivare il tostapane o regolare il termostato mentre hanno il culo  piantato sul divano, che vita triste!- Poi si fece serio per un momento e aggiunse: 
- Domani avrai tutto il materiale, tranquillo, per oggi me ne vado -. Al ché il caporeparto fintamente contrariato sentenziò: 
- Certe volte vorrei proprio essere come te, nonostante lavori a malapena cinque ore al giorno, riesci a portare a termine ogni progetto entro le consegne! Ci vediamo domani -. Questo era, in effetti, anche uno dei pochi motivi che legavano Gin a quel lavoro il fatto di avere unicamente delle scadenze gli permetteva di organizzare la propria attività a suo piacimento restando in ufficio non più del necessario, il che gli garantiva diverse ore di tempo libero extra, oltre al fatto di poter lavorare negli orari che riteneva più consoni, orari che spesso si trovavano a coincidere con la notte fonda, non era infatti insolito che si recasse in ufficio alle 22:00 per poi uscirne alle 2:00. Quella sera, come tante altre Gin prese il suo cappotto nero, il suo ombrello, e si apprestò ad uscire dall'ufficio, trovandosi di fronte all'immensa vetrata che lasciava una veduta meravigliosa sui giardini della CyberLink. Questi avevano la particolarità di essere costellati di ciliegi e peschi piantati seguendo la geometria di una scacchiera, al cui centro la regolarità lasciava spazio ad un'enorme fontana sopra la quale si ergeva un marmo raffigurante il logo dell'industria: una mano robotica che sorreggeva il globo terrestre. Gin si soffermò qualche istante ad osservare il meraviglioso giardino bagnato dalla pioggia, quando, fu improvvisamente ridestato da quel momento di ammirazione. Alle sue spalle infatti, diverse persone, che dal loro abbigliamento il ragazzo giudicò dirigenti, se ne andavano a spasso spedito e con una strana espressione in volto.
"Strano..." pensò il ragazzo "...solitamente se non per occasioni particolari non visitano mai il piano della progettazione, e quando lo fanno hanno dei sorrisi talmente finti che potrebbero far accapponare la pelle..." rise tra sé e ignorando il motivo per il quale i dirigenti, che stavano al piano più alto, avessero avuto voglia di fare quella passeggiata fuori programma si diresse all'ascensore che lo condusse fino all'ingresso dell'edificio dove si trovava l'uscita. Il ragazzo si arrestò poco prima della porta girevole che dava direttamente sulla strada, e, osservando che la pioggia aveva aumentato la sua portata e si era fatta martellante, aprì l'ombrello e uscì. Gin si trovò travolto dalle luci notturne di Volta.
 Questa città non aveva nulla di storico, risaliva, infatti, a circa cinquant'anni addietro: alcune compagnie industriali avevano fondato questa città in Zambia, nella cosiddetta "copperbelt" per un tornaconto economico, infatti ,onde evitare di dover pagare le spese di trasporto di materia, prima potevano lavorarlo senza dover trasportare minerali grezzi, idea che ebbe grande successo e nel giro di nemmeno vent'anni, la piccola città che ospitava non più di tremila abitanti si trasformò radicalmente, diventando una delle città più popolose dell'Africa settentrionale.
Gin s'incamminò verso casa, le luci del marciapiede erano fioche ma, man mano che lui vi si avvicinava, queste si facevano più luminose permettendogli di vedere meglio anche se, data l'elevata quantità di insegne al neon, l'illuminazione pedonale appariva quasi superflua. Per la maggior parte del tragitto regnò una dolce quiete notturna, la quale era spezzata occasionalmente da qualche macchina elettrica che ronzava sulla strada e del baccano proveniente dai pub notturni. Camminò per circa venti minuti, ormai era quasi giunto a casa, quando d'un tratto un nuovo rumore spezzò la quiete, qualcosa di diverso, un rumore sordo, proveniente dal vicolo a pochi passi dal ragazzo, al che si arrestò, come in attesa di nuovi rumori, passò circa un minuto, il cuore gli martellava frenetico nel petto, ma nulla, nessun suono fece eco al primo. "Sarà stato un gatto..." la sua mente non voleva elaborare nulla di diverso, passò ancora un minuto di silenzio, e Gin non si spostò, nonostante la paura che lo attanagliava voleva controllare, mise mano al taser che teneva in tasca, senza però estrarlo, mentre con l'altra reggeva l'ombrello e si avvicinò all'ingresso del vicolo, dapprima spiò con una mossa rapida, ma non vide nessuno nell'oscurità del vicolo, al che scelse di addentrarsi, il cuore gli batteva all'impazzata, ma non si sarebbe mai perdonato di aver lasciato qualche povero indifeso alla mercé di chissà quale malintenzionato. Camminò per una manciata di secondi, giusto il tempo di arrivare al centro del vicolo, l'occhio a fatica gli si abituò all'oscurità, ma ancora non c'era traccia di alcun essere vivente, impugnando il taser dentro la tasca e facendo il pieno di coraggio chiamò con voce imponente:
- C'è qualcuno? -. Dopo qualche secondo di silenzio il ragazzo cominciò a calmarsi e l'adrenalina che aveva in circolo cominciò a scemare, quando sentì un lieve suono, che subito identificò come un respiro pesante, proveniente da un piccolo cono d'ombra a qualche metro da lui, sforzando l'occhio distinse una sagoma distesa, ma nulla di più, era stato dietro un monitor per le precedenti ore e i suoi occhi non ne volevano sapere di abituarsi al buio. Con la precedente paura che si era ormai tramutata in preoccupazione abbandonò la presa dall'arma che aveva in tasca e corse verso quella sagoma attivando la torcia incorporata nel bracciale metallico che aveva al polso destro, il quale era divenuto l'erede di ciò che fino a un secolo prima era uno smartphone. La sagoma si definì rapidamente, una volta che Gin vi puntò contro la luce. Era una ragazzina, avrà avuto a malapena diciotto anni, era accasciata su un fianco, dei lunghi capelli verde lime le coprivano il volto, mentre il corpo era avvolto da una cappa nera intrisa di uno strano liquido, che osservò essere di colore verde dall'odore acre.
Subito il giovane scostò i capelli dal volto della ragazza, aveva un naso piccolo e sottile, delle sopracciglia sottili anch'esse, ma ben marcate, e soprattutto anche queste dello stesso verde dei capelli, gli occhi chiusi e le fini labbra rosso scuro serrate in una smorfia di dolore, Gin provò a svegliarla, ma nulla: era svenuta. Per prima cosa pensò di portarla in ospedale, ma non mancò di accorgersi che non aveva al collo la piastrina identificativa che avevano tutti gli abitanti di Volta, questa veniva utilizzata per ottenere qualunque tipo di servizio pubblico gratuitamente. Esitò un attimo, la povera ragazza avrebbe avuto non pochi problemi al suo risveglio, dalla parcella medica alla polizia che sicuramente avrebbe indagato sulla sua identità, Gin in un istante prese la sua decisione,  che in quello stato sarebbe stato meglio per lei ricevere subito delle cure, e che se non se le sarebbe potute permettere avrebbe pagato di tasca propria. Sollevò delicatamente la ragazza che continuava a respirare affannosamente e si diresse verso casa sua, che distava al massimo un paio di minuti a piedi, ma il ragazzo non perse tempo nonostante le condizioni della ragazza parevano stabili, corse per circa un minuto e giunse davanti alla sua automobile, parcheggiata a bordo della strada, toccò la maniglia con il pollice e subito lo scanner di impronte digitali aprì la portiera posteriore davanti a cui il ragazzo si trovava, posò la ragazza nei sedili posteriori senza curarsi della mantella bagnata. Il ragazzo si mise rapidamente alla guida del veicolo e sfrecciò per le strade semideserte di Volta, giunse molto rapidamente davanti all'ospedale, stava per entrare nel parcheggio quando si accorse tramite il monitor retrovisore di una sagoma alle sue spalle, la ragazza si era alzata in piedi, grugnì qualcosa di incomprensibile e con una mossa repentina si infilò tra i due sedili anteriori puntando al volante, lo afferrò con una sola mano, riuscendo comunque a sopraffare il ragazzo e impedendogli la manovra di ingresso per il parcheggio dell'ospedale. Fissò per qualche momento Gin dritto negli occhi con le sue iridi dello stesso verde di cui erano i capelli, ma di intensità molto più elevata che apparivano minacciosi, mal nascondendo però qualcosa che Gin percepì come paura, quello scambio di sguardi proseguì per qualche secondo, quando la ragazza lo interruppe facendo no con la testa, e cadde nuovamente svenuta tra i sedili anteriori dell'auto, che nel frattempo si era fermata.
Non voleva dunque essere portata in ospedale e, dato che aveva ripreso coscienza e il respiro dopo lo svenimento si era fatto più regolare, il giovane decise di portarla a casa propria, nel frattempo avrebbe provato a pensare a una qualche soluzione, o, se si fosse risvegliata nuovamente, avrebbe tentato di convincerla ad andare in ospedale, ridistese la ragazza sui sedili posteriori dell'auto e ripartì. Il viaggio verso casa durò pochi minuti, minuti in cui la testa del ragazzo si popolava di domande e dubbi, aveva veramente fatto bene a portarla a casa? E soprattutto chi era? Perché era lì? E perché aveva rifiutato di andare in ospedale al punto di gettarsi a capofitto sul volante? Ogni secondo che passava la trama di pensieri nella sua mente si infittiva, per fortuna il viaggio fu breve. Il giovane riprese in braccio la ragazza e la condusse nel suo appartamento, anche qui uno scanner aprì la porta al ragazzo che non dovette neppure posare la giovane, la distese sul divano e finalmente le levò di dosso quella cappa che ancora grondava, di liquido verde misto a pioggia, una volta rimossa Gin restò impietrito, non poteva credere a ciò che i suoi occhi stavano vedendo.
Ciò che gli saltò subito all'occhio furono diverse lacerazioni sul corpo della ragazza, ma la cosa più sorprendente risultava essere il sangue stesso, questo non era rosso, era bensì verde, in un istante Gin realizzò che la mantella era impregnata di sangue e quell'odore acre... si diede dello stupido per non essere riuscito a riconoscerlo, per un momento si abbandonò al panico e deciso a tornare in ospedale riprese il cappotto che nel frattempo si era sfilato. Poi si interrogò, poteva davvero portarla in ospedale senza ripercussioni? La osservò un momento, le emorragie si erano fermate, e nel volto della ragazza la precedente smorfia di dolore aveva lasciato posto ad un'espressione più rilassata, così il giovane decise che avrebbe vegliato su di lei fino al giorno successivo, monitorando le sue condizioni e decidendo che, nel caso fosse peggiorata l'avrebbe portata in ospedale, anche se questo andava contro la sua volontà. Gin, quindi, prese delle bende e un paio di forbici, e accuratamente, tagliò la tuta monopezzo che la ragazza indossava nei punti in cui lei presentava le lesioni e la medicò tamponando le ferite ancora pulsanti con delle garze. Completato il lavoro andò a prendere una coperta, si arrestò un momento a guardarla, ora che non era più coperta dalla mantella nera risaltava il suo fisico atletico, mentre i suoi capelli presentavano dei riflessi di nero esposti alla luce della stanza, la sua pelle appariva pallida, probabilmente per la perdita di sangue, nel frattempo la ragazza si era rannicchiata e Gin ebbe l'impressione che avesse freddo, le sfilò quindi le scarpe e la distese sopra la coperta che le era andato a prendere, quando d'un tratto si arrestò repentinamente e si sentì pervadere da un brivido, nella spallina della tuta della ragazza compariva un logo che vi era stato cucito sopra, fin troppo familiare per il ragazzo: una mano robotica che sorreggeva il globo terrestre.
Gin si sedette ed iniziò a fissare la ragazza con la mente offuscata da pensieri e da dubbi, ma nonostante tutto non riusciva ad elaborare un'idea precisa su chi potesse essere la ragazza, gli turbinarono in mente le idee e i pensieri più disparati, ma non trovò un riscontro plausibile in nessuno di questi, nel mentre la tensione che aveva accumulato nel corso di quell'improbabile serata stava allentandosi sempre più, finché il ragazzo, avvolto in quei pensieri, piombò in un profondo e buio sonno.
   
 
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