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Autore: DarkYuna    10/03/2017    1 recensioni
"Inarca le sopracciglia, livida in viso, sta per dare sfogo alla furia e il malcapitato è il sottoscritto. Se è in fase premestruale posso iniziare a scrivere il mio necrologio. Migé avrebbe potuto cantare al funerale o magari Linde, un’Ave Maria Heavy Metal, con chitarre distorte e voci roboanti."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13.
*Il tempo in una bottiglia*







 
È la prima volta che sono innamorato perdutamente di una persona, senza averci fatto l’amore un paio di volte. Credevo fosse importante per me, che gusto c’è a stare assieme ad una persona impedita a letto, che non ti soddisfa e che per di più è totalmente negata?
Un azzardo comprare la merce senza essere provata!
Invece mi ritrovo con una ragazza che ho baciato a malapena tre volte, capace di incantarmi, che è riuscita a smuovere qualcosa di oscuro nei meandri del mio essere… per soli due mesi, poi sarà il male più devastante che abbia mai saggiato. Non l’ho presa bene, ma per le urla e i comportamenti da pazzo psicolabile, preferisco attendere la sua assenza, magari i miei genitori sono le persone appropriate per darmi la forza necessaria per affrontare tale situazione.
 
 
 
Asciugo le lacrime silenziose, mentre la tengo stretta sul cuore, lei si abbarbica meglio e il letto cigola. Ne ha viste di donne questo letto, ma mai donne vestite, mai donne con malattie inguaribili, mai donne che lo fanno cigolare per abbracciarmi e non per fare sesso.
Si può amare senza aver mai condiviso il corpo, ma solo l’anima e il cuore.
 
 
Apre gli occhi e mi scruta con uno sguardo intenso, abissale, puro, che mi pugnala più e più volte, infilzando la stessa ferita. Ricordo una frase di Bukowski, sembra scritta per lei, cucita addosso: “Sembri tutta equilibrata, ma in realtà sei emotivamente disturbata. E poi hai questi enormi occhi, e la cosa certe volte mi travolge.
Vorrei recitargliela, le parole mancano, così come tutto il resto.
Non riesco a rendermi conto che il suo tempo è limitato, che il mio tempo con lei è limitato, che due mesi sono relativamente pochi per tutto quello che avrei voluto fare con lei. E mi sento schiacciare sotto il peso insopportabile degli eventi.
 
 
<< Non pensarci, Ville. >>, sussurra mesta sulla mia bocca asciutta, ho la carta vetrata in gola e un nodo ai polmoni.
 
 
Schiarisco più volte la voce, non sono certo che non tremi. Devo darle forza, non il contrario. Non sono in grado di dare coraggio ad una condannata a morte.
<< Non posso. >>, replico e percepisco il crollo dei nervi sfondarmi le costole, incenerirmi lo stomaco e inzaccherare malamente il cervello. Mi manca l’aria, tuttavia non oso muovermi, voglio godermi l’attimo fino in fondo.
 
 
<< Io non ho paura. >>, afferma e quello è il colpo di grazia, perché ho talmente paura per lei e, egoisticamente, anche per me, che non riesco a formulare un pensiero logico da quando l’ho saputo.
Che cosa posso risponderle? Cosa si dice in questi casi? Che cazzo devo fare?
 
 
Una straziante sensazione di caos brutale si fa beffe della mia mente, è come se non riuscissi a rassegnarmi in alcun modo e avessi appena perso qualsiasi forma di pace acquisita, grazie a lei. Solo ora capisco davvero perché è meglio che gli esseri umani non sappiano la data della propria morte, altrimenti c’è il rischio di schiattare di crepa cuore prima di quel giorno.
Sto per scoppiare, Amelia sembra intuirlo, deve essere già accaduto a tutte le persone care intorno a lei, perché sa esattamente come smorzare l’agitazione fatale. Balza in ginocchio sul letto, poi scende in piedi sul pavimento e stende il braccio, mano aperta verso di me.
 
 
<< Balliamo. >>, propone con un sorriso vero, non c’è niente di finto o artificioso, non sta cercando di mascherare l’angoscia, è davvero contenta di essere lì con me e di invitarmi a ballare.
 
 
<< Non riesco ad accettarlo. >>, confesso alla fine. Stupidamente sono certo che rendendola partecipe, io possa sentirmi meglio, invece no, non è così, sto di merda. Decisamente.
 
 
È ferma nella medesima posizione, l’offerta è ancora valida.
<< Nessuno ti ha chiesto di farlo. Io non l’ho accettato… se l’avessi fatto, non sarei qui. >>. Smuove la mano sotto il mio naso, non vuole più parlarne, io invece non vorrei fare altro, ho bisogno di trovare una ragione, un perché concreto, una spiegazione che possa darmi un briciolo di rassegnazione. Non ne vengo a capo e sono sul punto d’impazzire. << Balla con me, Ville, ti prego. >>. E come se gli occhi da cerbiatta non fossero una motivazione abbastanza convincente, la voce è un dolce sussurro che riecheggia melodiosa nelle orecchie.
 
 
<< Non c’è musica… e poi non so ballare. >>, mormoro, la voglia di mostrarmi contento è pari a zero.
 
 
Sbuffa, è di nuovo bambina, la stessa bambina che mi ha schiaffeggiato, deriso e lanciato frecciatine. È la stessa Amelia di sempre, se non fosse per il colorito malato della pelle.
<< Oh quante scuse! Non ti ho mica chiesto di partecipare ad una gara, eh? Devi ballare con me, pestarmi i piedi e muoverti in maniera scoordinata, nient’altro! Credi di potercela fare? >>.
 
 
Avverto il viso contratto rilassarsi, le sopracciglia abbandonare il cipiglio scuro, la bocca distendersi e il mal di testa salutarmi affannosamente.
<< Ce li pestiamo a vicenda? >>, riesco a dire, in un barlume di letizia, fasulla come una banconota da sei euro.
 
 
<< Ti avverto: sono una pestatrice di piedi provetta! Dubito che potrai competere con me. >>. Si atteggia a gran donna e lo è davvero una gran donna, una donna che sta guardando in faccia la morte, continuando a vivere al massimo fin quando potrà.
 
 
Le prendo gentile la mano, scendo dal letto e siamo uno di fronte all’altra. L’afferro lentamente in vita, lei mi getta le braccia al collo ed arriva al mio cuore, vi poggia l’orecchio sopra.
<< Eccola, la musica… >>.
 
 
Non sono portato, imito i suoi passi, miracolosamente nessuno dei due pesta i piedi al proprio compagno e non c’è nient’altro per un tempo indefinibile. Annuso il profumo di zucchero filato che proviene dai capelli morbidi e lucenti.
<< Cosa vorresti che facessi per te? >>. Suona molto come: “esprimi un ultimo desiderio, lo esaudirò”. Ho un groppo dolorosissimo in gola, deglutisco più e più volte, ma non riesco a mandarlo giù.  
 
 
Solleva il viso, l’espressione è di pura estasi.
<< Niente di più di quel che già stai facendo. Comportati come se non l’avessi saputo, segui il tuo istinto. Dopo un po’ ci farai l’abitudine. Cosa avresti fatto oggi, se non ci fossimo incontrati in ospedale? >>.
 
 
Rammento la promessa che mi ero fatto dopo aver visto Irina.
<< Volevo comprarti un mazzo di fiori e dei cioccolatini, per chiederti di ripensarci dopo la decisione che avevi preso. >>.
 
 
Le iridi di grano brillano di una luce ammaliante.
<< Pensavo non fossi tipo da fiori e cioccolata. >>.
 
 
Scrollo le spalle, azzardo una mossa di danza che riesce a stenti, la faccio ruotare su se stessa e poi è di nuovo al sicuro tra le mie braccia.
<< Essere gentile, di tanto in tanto, può fare solo che bene. >>.
 
 
<< Mi piacciono i fiori, e la cioccolata è sempre una buona idea per fare pace in maniera dolce. >>.
 
 
Sono vicino dal dirle che conosco una maniera ancor più dolce di fare pace, però mi trattengo, suona squallido, non ho la più pallida idea di come debba comportarmi, di cosa sia giusto dire o fare, e cosa no.
 
 
Si avvicina in punta di piedi al mio orecchio e, come se avesse letto nei pensieri più inaccessibili e scabrosi, dà voce alle fantasie.
<< Conosco una maniera ancor più dolce di fare pace. >>. Nota l’espressione smarrita, sto combattendo contro me stesso, una guerra che non avrà vincitori, solo vinti. << Guarda che non sono vergine. >>, aggiunge, preoccupata che sia questo il problema fondamentale che mi ha trasformato in un ghiacciolo vivente.
 
 
Scoppio in una frenetica risata, che non è proprio una risata, almeno all’inizio è così, poi qualcosa scatta, un clic nella testa. Sciolgo l’abbraccio, siedo sul letto e affondo il volto tra le mani, scoppiando in un pianto selvaggio, che non accenna a calmarsi minimamente, anzi, più ci penso e più sono certo che il cervello cederà e perderò la ragione.
 
 
Amelia si inginocchia ai miei piedi, lambisce i capelli e bacia la fronte, provando a dare un sollievo che dovrei darle io.
<< If I could save time in a bottle, the first thing that I'd like to do, is to save every day, till Eternity passes away, just to spend them with you. >>, inizia a cantare con voce soave, amabile, che fa anche più male del silenzio stesso. Ora sono certo che non sarò in grado di vederla morire, senza che io possa fare nulla. << If I could make days last forever, If words could make wishes come true, I'd save every day like a treasure and then. Again, I would spend them with you. >>. Non conosco questa canzone, le parole restano impigliate nel cuore, scritte indelebili, stampate per sempre a fuoco.
 
 
I suoi occhi sono lo specchio limpido e trasparente dei sentimenti, non attende che sia io a fare la prima mossa, non ha più tempo per attenersi ai ruoli, lo sguardo diviene languido, asciuga le lacrime con l’indice, poi lo sostituisce con le labbra. Traccia una scia di baci, si sofferma sulle gote, s’attarda a gustare il sapore salato e caldo dei lucciconi, si tiene lontana dalla bocca, preferisce farmi agognare il più importante dei contatti, accende un fuoco corvino che sarà la mia fine. Ho così voglia di lei che le blocco il viso tra le mani e sono io a baciarla con un’intensità in grado di annientarmi immantinente.
È anche più di un bacio, è il bisogno spasmodico di fermare il tempo che scivola via, la necessità di far cessare l’urgenza vorticosa che è insorta nel petto.
Non riesco a capire come mi sento, non ne vengo a capo, è come essere spezzati a metà, una parte vuole una cosa e l’altra l’esatto opposto, entrambe combattono per inseguire la brama concupiscente in due direzioni differenti. Vogliono la stessa cosa: lei.
Al contempo, vorrei frenarmi, mi sto addentrando in un labirinto privo d’uscite, sto per vedere quanta è profonda la tana del bianconiglio.
Una voce nel cervello grida di non farlo, ma ho smesso di seguire la ragione molti anni fa e se devo soffrire come un cane, preferisco essere felice da far schifo finché la vita me lo permetterà.
Sono pasta modellata tra le mani affusolate, potrebbe farmi fare qualsiasi cosa desideri ed io non opporrò alcuna resistenza.
 
 
<< Voglio che tu mi dica tutto, Amelia, ogni cosa ti passi per la testa, non devi risparmiarmi niente. >>, mormoro a stenti, tra un bacio e l’altro e, mentre sto per proseguire la frase, mentre sto per dirle che voglio esserci fino alla fine, lei poggia una mano sulla mia bocca per zittirmi e mi guarda… no, non mi guarda negli occhi, mi guarda nell’anima. 
 
 
<< Voglio fare l’amore con te, Ville. >>, rivela, assecondando ciò che le ho detto. Si alza in piedi, inducendomi a fare lo stesso. Riprende a baciarmi con trasporto, è lei a condurre il gioco, lascio che sia così, non ho bisogno di dimostrare la mia bravura, non è più una gara a chi vince sull’altro.
Lei ha già vinto.
 
 
Immagino che non abbia aspettato altro da chissà quanto. La regola fondamentale “mai legamenti con le fans”, è andata a farsi allegramente benedire, visto che non la vedo neppure più come un essere umano, è una creatura celestiale , che ho incontrato per fortuna e che resterà con me per poco, troppo poco, tempo. Voglio amarla, come non ho mai amato nessuna prima, né dopo.
 
 
Mi sfila via la maglia, ha qualche difficoltà, sono troppo alto. Ridacchiamo complici, ci baciamo ancora e ancora, la spoglio con estrema dolcezza, di solito sono impaziente, intemperante, sbrigativo, ma voglio che avvenga tutto con infuocata calma, devo ricordarmi anche i particolari più futili della nostra prima volta insieme. Ne sono come ossessionato.
Fantasticare il suo corpo nudo è niente in confronto ad avercelo tra le braccia, è calda, soffice, di velluto, prova a nascondere alcune cicatrici che le hanno provocato le cure inefficienti.
Se solo fossi stato più attento, avrei capito molto prima.
Deve aver sopportato così tanto dolore, da farmi sentire male. E solo ora capisco il perché non siamo finiti prima a letto, il piccolo heartagram tatuato sul cuore è la prova evidente dell’immenso amore che nutre per me ed ha preferito celarlo fin quando ha potuto.
 
 
Ne traccio i contorni, lo bacio, arrossisce. Adoro il colorito vivace che hanno ripreso le gote, gli occhi sfavillanti sono fissi nei miei, non riesce a guardarmi dalla vita in giù, è agitata, ho l’impressione che stia tremando, più nervosa di quanto lasci vedere.
Sorrido tenero, finalmente spetta a me tranquillizzarla, non lo faccio con le parole, qualsiasi cosa dicessi adesso suonerebbe eccessivamente melensa, stupida e ridicola. Lascio che sia il mio corpo a darle la calma che ha perso.
Il letto è fin troppo grande per ospitare due anime che ne stanno divenendo una sola. È sotto di me, dentro di me, nel sangue, scorre come lava fluida, l’avverto in ogni più piccola cellula che mi compone, è un’unione che supera la comprensione umana, è così forte che taglia i ponti con la realtà. Un’unione carnale e spirituale che mi ha assorbito totalmente.
Se questo è il paradiso, non rimpiango di aver abbandonato l’inferno, con tutti i demoni e i mostri. Lei non è Satana, è l’angelo più bello del paradiso, che Dio mi ha concesso in cessione e che presto rivorrà al suo fianco.
 
 
Il respiro cresce, non riesco ad essere più dolce e pacato come speravo, la lussuria è così forte da agire per me, cerco l’appagamento fisico e non resisterò a lungo. D’un tratto Amelia si agita, inarca la schiena, la bocca umida dischiusa, le palpebre chiuse tremano, sono io ad averla portata a quel punto, il piacere impetuoso l’invade.
Basta questo per scatenare il mio.
Inizia con una calma quasi impalpabile, cresce in maniera esponenziale ed è come annegare in un mare di luce, ma, anziché essere desolante e spaventoso, è benessere puro, godimento che non ha fine… ed avevo ragione io, poiché, nel momento stesso che l’apice è stato toccato, intuisco che, benché io abbia quasi quarant’anni e certi azzardi non mi sono più concessi, sono di nuovo pronto a ricominciare e che non mi basterà tutto il pomeriggio o la notte intera per saziarmi di lei. 










Note: 
Dopo averci riflettuto a lungo e dopo la recente notizia dello scioglimento degli HIM, ho deciso di non scrivere più sugli HIM e su Ville. 
Era una decisione che aleggiava già da tempo, ma il loro scioglimento ha reso effettiva la mia scelta. 
Quindi, questa è l'ultima ff che scriverò su di loro e non ce ne saranno altre, mai più. Porterò, comunque a termine questa storia. 

Detto ciò, la canzone all'interno della storia è quella che ha dato il titolo al capitolo "Time in a bottle" di Jim Croce. 


La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.
DarkYuna   




 
 
 
  
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