“I was once like you are now, and I know
that it's not easy to be calm when you've found something going on, but take
your time, think a lot. Why?
Think of everything you've got for you will still be here tomorrow, but your
dreams may not”. 1
In
un colore sbiadito, in una, cento, mille parole non comprese, in tanto impegno
non ricompensato, in tante, troppe speranze spese a vuoto, e tra tomi e pagine
polverosi.
Il
problema dell’essere giovani è
questo: non capire chi siamo, cosa stiamo facendo, dove stiamo andando, cosa
faremo nel nostro domani.
Oppure,
ahinoi, comprenderlo fin troppo bene.
E
temere quel domani così inesorabilmente lontano, ma anche fin troppo vicino.
Perché
si teme quel che si diventerà.
Si
teme di non essere all’altezza, quando l’asticella degli standard si alza
troppo, e di deludere chi si ha intorno.
Senza
capire che quelle stesse persone sono al loro posto, al tuo fianco, proprio per
aiutarti a rialzarti dopo una brutta caduta.
Perché
dopo le cadute ci si rialza, si impara a farlo, col tempo.
Sempre.
Ma
quando si è giovani ed ancora questo non si è compreso, è difficile, tanto,
troppo difficile.
I
vestiti ci stanno stretti, sformati e scoloriti su una figura che ancora non ha
trovato sé stessa.
Anche
se non è vero, spesso e volentieri: si è già diventati un’opera d’arte, a modo
nostro, come qualsiasi opera d’arte, dopotutto, un bozzetto a carboncino su
carta pregiata che, in sé, ha già tutta la potenzialità di un vero e proprio
capolavoro.
Ma
noi non lo capiamo, e quel foglio ben levigato, candido e bellissimo, lo
appallottoliamo e lo gettiamo da parte, dimenticandolo.
I
libri ci sembrano noiosi, polverosi e pesanti, anche se in quel mare di carta
ed inchiostro, lettere e sillabe, perderemmo volentieri noi stessi, con la sola
paura di non riemergere mai.
Senza
nemmeno sapere se sarebbe davvero una benedizione, sì, quella di sparire tra le righe di quel pesante
tomo, la copertina rigida ed ornata.
E
no, la risposta non è MAI quella di sparire: la nostra vita appartiene anche
alle tante persona che abbiamo intorno e che ci vogliono bene.
E
bisogna imparare che il vuoto che lasceremmo è troppo grande per essere
colmato, anche se si pensa di non valere nulla, di essere facilmente
sostituibili.
Certo
che lo siamo: ognuno di noi lo è, ma, al contempo, è una piccola gemma sulla
vita di un altro.
Quindi
non pensare di sparire: non servirebbe.
La
vita, dopotutto, è bella proprio perché va vissuta, fino in fondo, nel bene e
nel male, un po’ come il matrimonio.
“Your life is not your own. Keep your hands off it.”.2
L’impegno
non ci sembra mai abbastanza, MAI,
sebbene ci sembra di non fare altro che questo: impegnarci, sì, allo stremo,
per qualcosa in cui crediamo e che amiamo.
Eppure
quell’obiettivo, quella meta, si allontana ogni giorno di qualche passo,
diventando utopica e distante.
Lottare
per raggiungerla, però, sarà la soddisfazione che avremo infine una volta
giunti.
Dove?
A
casa.
Dove
apparteniamo e dove sempre avremmo voluto stare.
Perché,
di questo dobbiamo essere certi, ci arriveremo.
Passioni
che scorrono, come fotografie sbiadite e parole solitarie su una pagina, la
penna che non riesce a scrivere.
Eppure
noi VORREMMO farlo.
Vorremmo
vedere, sentire, scrivere, fare.
Ma
qualcosa ce lo impedisce.
Non
sappiamo ancora, probabilmente, che quel qualcosa siamo noi stessi.
Che
ci mettiamo di fronte, costantemente, piccoli-grandi ostacoli, come una prova
continua contro noi stessi.
Impareremo,
un giorno, che per andare avanti dobbiamo solo imparare a volerci bene per
quelli che siamo.
Perché
quello che siamo è l’unica cosa che conta.
Non
contano i pareri, le voci, le paure, gli esami, gli insuccessi, ma solo quello
che NOI siamo e sappiamo di essere.
E
di questo dobbiamo imparare ad andare fieri.
Se
non ci amano per quello che siamo, semplicemente, lo sbaglio non risiede in
noi, ma negli altri: a modo nostro siamo già perfetti come siamo.
Certo,
ciò non esclude che si possa ancora crescere, migliorare, imparare.
Siamo
giovani, dopotutto: il tempo non ci manca, l’energia nemmeno.
L’autocritica
e la volontà di migliorarsi sono buone, ma senza eccedere.
Perché
senza quel pizzico di amor proprio non impareremo mai che a tarparci le ali
siamo proprio noi stessi, da soli, con le nostri mani, che, per paura,
insicurezza, timore, ci impediamo, ogni giorno, di spiccare il volo.
Anche
se ce lo meriteremmo.
Procedendo
per luoghi comuni potremmo dire: la vita è un esame.
Crescendo
impareremo quanto è vero.
E
quanto questo vada interpretato come sfida, mai come sconfitta.
Tutto
ciò che vorremmo dire, ogni giorno, ci resta impigliato in gola, semplicemente,
perché temiamo di essere giudicati.
Quando
siamo giovani, l’ALTRO è un ostacolo, una paura, una sofferenza.
Poi,
magari, impareremo che l’ALTRO è solo ricchezza.
Che
dalle cattiverie si impara e dall’amicizia di (ri)nasce, ogni giorno.
Nel
ripetersi dei giorni, di pagine, messaggi, pasti e paure, ci sentiamo sempre
uguali a noi stessi, inesorabilmente, e non capiamo quanto siamo speciali,
troppo occupati ad osservare quanto lo sono gli altri.
Altro
luogo comune: l’erba del vicino è sempre più verde.
Beh,
invece di temere che il vicino ci derida per la nostra erba magari ancora un
po’ spelacchiata, che non si è ripresa da una brutta gelata, chiediamo allo
stesso vicino cosa ha fatto per rendere la propria così rigogliosa.
La
risposta, come la gentilezza, spesso ci stupirà.
La
paura, infine, costante e tremenda, di essere abbandonati, di sentirsi soli, di
non aver nessuno accanto a cui raccontare le più piccole cose: cosa hai fatto
oggi, cosa hai mangiato, cosa hai letto, cosa hai acquistato, cosa hai detto,
scritto, pensato.
Perché
l’affetto si nasconde nelle piccole cose, ma noi, tutt’oggi, non lo capiamo.
Spesso
temiamo di essere lasciati, senza capire che, così, involontariamente, lasciamo
andare, noi, per primi, per timore di essere feriti.
Solo
allora capiamo che è meno doloroso lasciare, anche se, di questo, non dobbiamo
farci vanto: lasciare fa meno male, ma, dopotutto, pensiamo a chi lasciamo
indietro?
“It's
easier to leave than to be left behind: leaving was never my proud”.3
Finchè,
almeno, non si incontra qualcuno più testone di noi, che, inesorabilmente, ci
resta vicino in tutto e per tutto, stupendoci ed aiutandoci ogni giorno.
Non
sempre pensiamo che chi abbiamo di fronte potesse essere esattamente come noi e
che possa quindi capire.
Ma
è giusto: crediamo nell’unicità di noi stessi, per quanto la possiamo percepire
sbagliata.
Solo
che non è MAI sbagliata: nel nostro essere unici, siamo già perfettamente
compiuti.
E
qualcuno che lo capirà, prima o poi, arriverà.
Forse
è già arrivato e noi nemmeno lo sappiamo.
Ogni
mattina, svegliandoci, pensiamo ai sogni che stiamo lasciando svanire.
Dovremmo
imparare a corrergli dietro, a quei sogni, senza arrendersi: non sapremo,
dopotutto, se domani saranno ancora lì ad aspettarci.
In
una lunga predica come questa, che non vuol essere né apologia né rimprovero,
solo pensieri, sparsi, triturati, forse, triti e ritriti, soprattutto, si può
individuare una sola colpa: essere giovani.
Perché
essere giovani è bello, forse, sì, come dicono gli anziani, senza rughe e con
tanta energia, ma fa anche decisamente schifo.
Semplicemente
perché ci si sente incompleti, soli, stupidi, spaventati, incapaci, ma, in
realtà, si è solo e soltanto giovani.
NdA:
A Simona, che, ogni giorno, col suo essere meravigliosamente sé stessa, mi fa
comprendere un po’ meglio me stessa. Tu sai a cosa mi riferisco e cosa voglio
dirti, anche se, probabilmente, te l’avrò già detto mille volte.
*Il
titolo della storia viene dal testo della canzone “Father&Son”, Cat
Stevens, “Tea for the Tillerman” (1970).
1
“Father&Son”, Cat Stevens, “Tea for the Tillerman” (1970).
2 “The Case-Book of Sherlock Holmes”, A. Conan Doyle
(1927).
3
“Leaving New York”, R.E.M, “Around the Sun” (2004).