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Autore: 9dolina0    11/03/2017    3 recensioni
«Il futuro di Chichi è drammaticamente avvolto da una coltre di nebbia attraverso la quale i miei poteri non possono penetrare. Vedo i malvagi incombere sul suo regno; vedo il sangue scorrere lentamente lungo le terre di Furipan e contaminare il vostro fiume; ma non posso vedere cosa ne sarà esattamente di vostra figlia. Perderà, usurpata dai malvagi, il controllo delle sfere del drago, ma che lei sopravviva o meno alla venuta di quegli esseri non posso in alcun modo saperlo. Tuttavia, riesco distintamente a scorgere accanto a lei la figura di un giovane forte e valoroso. Non so chi sia, né da dove venga, né se sarà davvero in grado di proteggerla. Cerca quel giovane e spera che possa davvero fare qualcosa. Ma sta’ attento a non confondere il designato con un malintenzionato: il destino di tua figlia potrebbe essere nelle sue mani.»
Amore, lotta, usurpazione e sentimenti...
Un destino da cambiare e una principessa da salvare.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Chichi, Goku | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha, Chichi/Goku
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Strategie

Capitolo XX – Reagire


A Furipan.
Le sfere del drago non si erano mai spostate da lì.
O forse sì; ma, in ogni caso, chiunque le avesse fatte sparire aveva poi pensato bene di riportarle nel regno di Chichi.
A Bulma venne un brivido di stizza quando, insieme al principe Vegeta e al generale Bardack, ella entrò di prepotenza nell’albergo in cui aveva alloggiato prima dell’inizio del torneo. Le venne in mente Yamcha e una delle ultime chiacchierate che avevano fatto insieme.
Che cosa accidenti si erano detti?
La scienziata, per la verità, faticava a ricordare nei dettagli quella conversazione, ma sapeva benissimo che comunque era finita male.
Come sempre, del resto.
Questo, però, non giustificava affatto il suo tradimento, né il modo in cui lo aveva ignorato negli ultimi tempi. Dire a sé stessa che non aveva avuto altra scelta era piuttosto ipocrita: va bene, si era ritrovata ad essere la scienziata personale del sovrano dei saiyan, ma sapeva di essere in gamba a tal punto da potersi mettere in contatto con il suo fidanzato qualora lo avesse voluto.
A Crilin era riuscita a inviare quel fottuto messaggio.
Certo, probabilmente nemmeno era arrivato a destinazione visto che del suo amico non c’era traccia in giro, ma per lo meno ci aveva provato.
Con Yamcha no, neanche quello.
Bulma si sentiva una merda. Il suo compagno – se ancora avesse potuto definirsi tale – aveva parecchi difetti e per una come lei era decisamente troppo infantile.
Troppo.
Ciò non toglieva però che fosse una brava persona e che, soprattutto, sul conto di Kakaroth ci avesse visto giusto. Lei era stata la prima a screditare la sua ipotesi senza nemmeno provare a indagare
su chi fosse realmente il misterioso protettore. Si era lasciata ingannare come una pivellina qualunque ed era finita tra le grinfie dei malvagi e, soprattutto, del loro principe.
Già,
Vegeta.
Il tipo che in quel preciso istante stava camminando a passo fiero tra i corridoi di quel dannato albergo
l’aveva costretta a lavorare su progetti quasi impossibili e, alla fine, l’aveva anche fatta sua.
E lei era caduta tra le sue braccia senza nemmeno tentare di opporre la benché minima resistenza.
Dare la colpa al fatto che non avrebbe potuto fare nulla per allontanarlo da sé era una sciocca bugia, che avrebbe potuto raccontare agli altri solo per lavarsi la coscienza: la verità era che a lei il principe piaceva da morire e che con lui aveva fatto il miglior sesso della sua vita.
Peccato che quell’uomo fosse anche uno sporco assassino e che mirasse a spazzare via dalla Terra la razza umana.
Cosa farsene altrimenti delle onde Bluetz?
Tra l’altro, Bulma non aveva avuto ancora modo di capire quale collegamento ci fosse esattamente tra queste ultime e la coda dei saiyan.

Distratta dai suoi pensieri, la scienziata andò a sbattere contro la schiena di Bardack.

«Scu… scusami.»

Il saiyan non si degnò nemmeno di voltarsi a guardarla.
Erano giunti a destinazione: quella era la stanza in cui il radar aveva segnalato la presenza delle sfere del drago.
Vegeta buttò giù la porta con un colpo energetico e si precipitò all’interno della camera.
I preziosi oggetti che cercava erano lì in bella vista.

«Ah, lo sciocco che le ha nascoste qui non si è nemmeno preoccupato di nasconderle un po’ meglio. Il tipo doveva avere parecchia fiducia in sé stesso.»

Bardack non commentò.
Egli non aveva voluto rivelare al principe il nome del ladro.
Non che a quel punto della vicenda la questione avesse molta importanza, ma non aveva alcuna intenzione di raccontare
come ne fosse venuto a conoscenza e soprattutto chi glielo avesse detto.
Se lo avesse fatto, Mamanu sarebbe finita nei guai insieme a lui e a Kakaroth.
Per la verità, al generale ancora non era molto chiaro come mai la sua amante sapesse di Tensinhan e del suo furto – anche se immaginava che fosse stato lui stesso a rivelarglielo – ma il fatto che avesse taciuto per chissà quanto tempo avrebbe sicuramente fatto irritare il già parecchio suscettibile sovrano.
E poi, sebbene egli faticasse ad ammetterlo persino con sé stesso, non voleva assolutamente che a Mamanu succedesse qualcosa. Era stato lui il primo a rimanerci male per il silenzio ostentato dalla donna nonostante le sue pressanti richieste di chiarimento, e il fatto che ella si fosse decisa a parlare solamente perché sorpresa da Chichi nella sua stanza gli dava oltremodo noia.
Eppure, Mamanu stava diventando per lui molto importante.
Anche troppo importante.
Era la prima volta, dopo la morte della madre dei suoi figli, che Bardack intratteneva una relazione più lunga di un paio di giorni con la stessa donna,
e il fatto che quest’ultima dimostrasse nei suoi confronti un sentimento diverso dal solo timore referenziale gli faceva in un certo senso piacere.
Il suddito più potente di Vegeta non aveva mai pensato prima di allora a quanto avesse bisogno di una compagna. Non ci aveva mai pensato perché non era mai incappato in qualcuna che meritasse quel tipo di attenzioni.
Anche se Mamanu si era dimostrata per certi versi una donna remissiva e arrendevole, egli aveva scorto in lei un’enorme forza interiore ed era assolutamente convinto che se ella si fosse liberata dello scomodo ruolo di moglie di Giumaho – e quindi di tutrice di Furipan – avrebbe potuto tirare fuori tutte le buone qualità che nascondeva.
Prima tra tutte, quella di riuscire ad accaparrarsi la fiducia di chiunque.
E poi, quella di saper controllare le masse.
Chiunque avesse consigliato a quel vile di Giumaho di prenderla in sposa ci aveva visto giusto, peccato che non avesse suggerito al sovrano di prendersene cura in maniera adeguata.
Fin dalla prima volta in cui aveva stretto Mamanu tra le braccia, Bardack aveva colto il profondo bisogno di affetto che quella donna covava dentro di sé e che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare al marito. Ella, pur comprendendo benissimo il ruolo e la pericolosità di Bardack, aveva fatto l’amore con lui senza remore, regalando al saiyan tutta la passione e la dolcezza di cui era capace. Mai una donna si era rapportata a lui in un modo che altri saiyan avrebbero definito sfacciato: il prorompente fascino e l’indubbia prestanza di Bardack non erano mai bastati a far sì che una creatura del gentil sesso si lasciasse andare a lui completamente. Il timore reverenziale che egli incuteva e l’implicita minaccia di morte che si celava dietro a ogni atto sessuale avevano frenato praticamente tutte le sue partner, sebbene queste ultime fossero quasi tutte molto più forti di Mamanu.
Eppure, non sembrava affatto che per lei la debolezza fisica fosse un difetto: piuttosto, ella aveva imparato a usarla come tacita scusa per richiedere implicitamente la protezione del generale.
Perché era quello che la donna cercava ogni volta che finiva a letto con Bardack: voleva sentirsi protetta, al sicuro, immune dai rischi e dalle pressioni che il suo ruolo non voluto di matrigna di Chichi le recava ormai da anni.
La faccenda delle sfere del drago era soltanto l’ultima piaga che le si era scagliata addosso per colpa della principessa. E, oltretutto, quell’imbecille di suo figlio aveva provveduto a metterci un bel carico da novanta.

«Bardack, metti qui dentro le sfere e andiamocene.»

Il principe lanciò al generale un sacco che aveva trovato rovistando a terra, poi si voltò a dare un’occhiata alla stanza.
Non sapeva chi accidenti avesse alloggiato lì dentro ultimamente, ma di sicuro, chiunque egli fosse, era stato lì solo di passaggio. Non pareva, infatti, che qualcuno avesse giaciuto su quel letto.
La cosa, in realtà, non aveva molta importanza dato che ormai, in ogni caso, i preziosi oggetti che aveva tanto bramato erano nelle sue mani; tuttavia, egli non poteva fare a meno di riflettere su quanto quei dannati esseri umani fossero scaltri.
Li aveva sottovalutati: il ladro era riuscito a sottrargli le sfere del drago da sotto il naso nascondendole praticamente a due passi dal castello di Furipan.
Gran bella beffa.
E per ritrovarle, oltretutto, era dovuto volare fino alla Città dell’Ovest e recuperare un dannato radar.

«Ho eseguito l’ordine, Vegeta.»

«Perfetto. Andiamocene. Non ho voglia per ora di incrociare Kakaroth.»

Bardack accennò a una smorfia di sufficienza.
Già, come se a Vegeta importasse davvero qualcosa di rinviare l’incontro con il suddito che gli aveva messo i bastoni tra le ruote. Evidentemente, il principe non aveva ancora ideato una strategia. Come accidenti avrebbe potuto, infatti, convincere Chichi a farsi rivelare il segreto delle sfere del drago?
Durante il silenziosissimo viaggio in elicottero che aveva riportato i due saiyan e la scienziata a Furipan, il potente sovrano doveva aver riflettuto parecchio su quanto Bardack gli aveva detto alla Capsule Corporation: tentare di far fuori Kakaroth sarebbe stata una mossa controproducente, soprattutto alla luce del fatto che se c’era qualcuno che av
rebbe avuto qualche speranza di farsi dire dalla principessa come funzionassero quei dannati oggetti, quello era proprio il figlio del generale.
Magari, Vegeta stava pensando di tendere ai due giovani un’imboscata mettendoli in qualche modo alle strette.
In ogni caso, egli era riuscito comunque a guadagnare un po’ di tempo e avrebbe dovuto sfruttarlo al meglio per impedire a suo figlio di fare una brutta fine.
Ah, se invece di quell’idiota di Napa, Vegeta avesse portato sulla Terra Radish, forse Bardack avrebbe avuto qualche possibilità in più. Però, chissà… Magari avrebbe potuto convocarlo comunque lui stesso e sperare che arrivasse prima dell’inevitabile scontro tra il principe e il protettore.


***


Muten, nascosto in una delle camere situate nello stesso piano di quella in cui si erano precipitati Vegeta, Bardack e Bulma, aveva assistito a tutta la scena.
Tutta.
Chichi e Goku avevano definitivamente perso il controllo delle
sfere del drago e lui non aveva potuto fare niente per impedirlo.
Non restava altro da fare che sperare che il principe le portasse al castello e decidesse di nasconderle lì da qualche parte, ma, ovviamente, egli non era sciocco a tal punto da credere che Vegeta fosse tanto sprovveduto.
Doveva avvertire qualcuno.
Già, ma chi?


***


Napa si era letteralmente fossilizzato davanti ai fogli che aveva sottratto a Condor, dimenticandosi quasi di non essere solo.
Crilin non aveva la più pallida idea di quale fosse il contenuto di quelle carte ma, a giudicare dall’espressione del colosso, doveva essere qualcosa di estremamente importante.
Il giovane guerriero si ritrovò per un istante ad apprezzare il silenzio tombale calato in quel laboratorio tecnologico di fortuna: era stanco, avvilito e decisamente preoccupato per ciò che stava succedendo lì fuori da qualche parte, però sentiva che il proprio corpo e la propria mente avevano urgentemente bisogno di staccare la spina. Quella situazione era insopportabile persino per uno come lui, che aveva sempre fatto del coraggio e della perseveranza le sue doti maggiori. Da quando i saiyan erano entrati nella sua vita, l’allievo più promettente di Muten Roshi aveva seriamente iniziato a dubitare delle proprie capacità, sia di guerriero che di amico.
Aveva lasciato Chichi in balia di un presunto protettore che non ci aveva pensato due volte a darle le spalle e ad allearsi con il popolo che lo aveva spedito sulla Terra quando ancora era un ragazzino; non aveva messo in guardia la principessa sul rischio di passare troppo tempo da sola con Kakaroth; aveva taciuto quando li aveva sorpresi a baciarsi nella palestra; aveva ignorato le richieste di aiuto più o meno esplicite da parte di Bulma, vittima, se possibile, di un aguzzino ben più spietato e temibile; aveva abbandonato la scienziata al suo destino lasciandola nelle grinfie di Vegeta.
Ah, certo, aveva anche tentato di impedire che Chichi venisse a sapere della relazione tra la sua matrigna e il generale Bardack; ma anche in quel caso il suo buon proposito si era concretizzato in un mero buco nell’acqua.
Che cosa ci facessero, poi, Condor e Giumaho nel laboratorio di Bulma, nemmeno osava chiederlo: per quel che lo riguardava, aveva già abbastanza grattacapi.
E sensi di colpa.

«Ehi, nanerottolo!»

La testa di Crilin scattò come in un gesto automatico.
Il saiyan che lo aveva appena chiamato aveva un volto indecifrabile, a metà tra il preoccupato e l’inviperito.

«Che cosa vuoi?»

«Tu non sei forse la cavia di tutti gli esperimenti della scienziata?»

Un cipiglio di angoscia si disegnò sul viso già contratto del terrestre.

«Sì, e allora?»

«Come mai la tua amica ha fatto degli studi sulle onde Bluetz

Crilin prese a fissare Napa con perplessità.

«Non ho la più pallida idea di che cosa siano queste onde Bluetz, mi dispiace.»

Il saiyan si avvicinò al ragazzo con fare minaccioso e lo sollevò per il collo.

«Non cercare di fare il furbo con me.»

«Sto dicendo la verità, accidenti. So che Bulma stava lavorando a un progetto molto importante, ma su esplicita richiesta del tuo principe, io dovevo starne fuori. Più di questo, non so che dirti.»

Napa mollò la presa e lasciò cadere a terra Crilin.

«Al diavolo. Voi terrestri siete completamente inutili.»

Il guerriero d’élite era molto preoccupato.
Quella involontaria scoperta non faceva che mettere ulteriore luce sul fatto che a corte ci fossero dei grossi problemi e, soprattutto, sul fatto che Vegeta avesse voluto lasciarlo fuori. Le onde Bluetz non erano cosa da poco: i saiyan scatenavano tutta la loro potenza repressa quando la Luna piena brillava nel cielo ed erano capaci di fare danni anche irreversibili al pianeta su cui si trovavano.
Era per questo che a molti neonati di terza classe la coda veniva recisa: non tutti i siayan, infatti, erano in grado di controllare l’
Oozaru. Certo, Vegeta ovviamente non faceva testo dato che apparteneva una categoria di guerrieri decisamente superiore; ma il fatto che il principe avesse in mente di risvegliare il suo potere oscuro voleva dire che, per qualche assurdo motivo, si sentiva minacciato da qualcosa.
O da
qualcuno.
Che fosse Bardack a preoccuparlo tanto?
Forse; ma il guerriero d’élite non capiva come mai il principe dovesse temere il suo generale.
Sebbene quel tipo non fosse mai stato simpatico a Napa, egli non poteva certo negare la sua fedeltà nei confronti di Vegeta. Da quel punto di vista, era assolutamente affidabile.
Possibile che quel pazzo volesse davvero ripudiare il suo sovrano?
Al guerriero pareva praticamente impossibile.
No; doveva esserci un’altra spiegazione.
Probabilmente non era lui l’avversario da battere.
Già; ma allora chi accidenti poteva essere?
A parte lui e Bardack, nessun altro saiyan poteva aspirare ad avere un livello di combattimento lontanamente simile a quello del principe, ed era fuori discussione che quest’ultimo intendesse trasformarsi in Oozaru per uccidere proprio Napa.
Il fatto, poi, che avesse sorpreso i due terrestri nella stanza del generale doveva essere collegato in qualche modo a tutta quell’oscura faccenda.
Doveva, accidenti.
Altrimenti proprio non riusciva a capire cosa diavolo stesse succedendo.

Fu in quel momento che il suo rilevatore captò l’aura di Bardack.
Finalmente, quello smidollato si era deciso a rientrare nel castello.
Da solo, però.
Di tutti gli altri continuava a non esserci traccia.

Napa si diresse verso l’uscita del laboratorio, spalancò la porta e corse via più in fretta che poteva, ignorando completamente i terrestri rimasti lì dentro.
Tanto – ne era certo – quei quattro babbei non sarebbero stati così sciocchi da tentare la fuga e, se anche lo avessero fatto, lui aveva cose ben più urgenti di cui occuparsi.


***


«Siamo arrivati tardi, accidenti.»

Kakaroth sfondò con un pugno una delle pareti di quella stramaledetta stanza, ignorando completamente il moto di stizza di Chichi.
Vegeta era arrivato prima di loro e aveva già fatto sparire le sfere del drago.

«Sei assolutamente certo di averle nascoste qui dentro?»

«Sì, sicurissimo.»

«Questa non ci voleva.»

Il breve scambio di battute fra Tensinhan e Kakaroth aveva messo Jaozi ancora più in agitazione di quanto non fosse.
In quel momento, sebbene egli fosse ingenuo quanto un bambino, sentiva di aver commesso un’enorme sciocchezza nell’aver assecondato il suo maestro quando gli aveva chiesto di partecipare a quello strano torneo di arti marziali.
Perché lo aveva fatto?
Che cosa importava a lui dei piani di conquista di Condor?
Era stato divertente schierarsi con lui nelle forze del male, ma il trovarsi i fronte creature molto più pericolose di lui gli aveva fatto aprire gli occhi sull’inutilità di comportarsi come un teppista. E a lui, tutto sommato, il ruolo di brava persona piaceva abbastanza. Da quando i malvagi erano giunti sulla Terra, nessuno si era più preoccupato delle minacce di Condor e dei suoi allievi, e il piccolo Jaozi aveva potuto sperimentare il ruolo di “neutrale”.
Tutto sommato, gli si addiceva abbastanza.
Più passava il tempo e più si convinceva del fatto che Muten sarebbe stato un maestro migliore e che anche Tensinhan avrebbe potuto apprezzare molto di più la tranquillità della vita se avesse voltato le spalle al vecchio che li aveva incastrati in quella brutta storia.

«A questo punto, non ci rimane altro da fare che cercare Vegeta,» proferì l’unico saiyan presente, tentando di nascondere il più possibile la rabbia.

«Ma insomma, si può sapere che cosa sta succedendo?»

L’intrusione improvvisa e inaspettata di Muten colse di sorpresa tutti i presenti.
L’anziano maestro non si era mosso dall’albergo da quando aveva visto Vegeta, Bardack e Bulma rubare le sfere del drago. Non aveva potuto far niente per impedire loro di compiere quel gesto, ma il fatto di essere completamente impotente lo aveva reso parecchio nervoso.
Possibile che ormai fosse ridotto al solo ruolo di spettatore passivo in tutta quell’assurda vicenda? Possibile che proprio non potesse in alcun modo tentare di mettere i bastoni tra le ruote a quei vili che stavano usurpando Furipan e tutta la Terra?
L’arrivo di Chichi gli aveva ridato in un certo qual modo una lieve speranza.
La principessa, evidentemente, sapeva che le sfere del drago erano lì e aveva tutta l’intenzione di andarsele a riprendere.
Peccato che non fosse sola e che fosse arrivata troppo tardi.
Come mai Kakaroth, Tensinhan e Jaozi erano con lei?
Che il giovane falso protettore avesse deciso di schierarsi contro il suo legittimo sovrano e contro suo padre?
La faccenda puzzava, e anche parecchio, e lui, sebbene ormai vecchio e debole rispetto ai giovani guerrieri in circolazione, aveva comunque il dovere morale di vederci chiaro.
E di fare un tentativo per risolvere il problema.

«Ah, Muten! Siamo nei guai fino al collo. Abbiamo perso le sfere del drago… anzi, ce le hanno rubate.»

Chichi era quasi in lacrime.
Stava facendo uno sforzo madornale per trattenerle e Muten non capiva davvero come mai una ragazza tanto forte stesse subendo in quel momento una tale pressione. D’accordo, gli oggetti che aveva il sacro compito di custodire erano scoparsi, ma ciò non significava affatto che chi le aveva rubate avesse la possibilità di utilizzarle.

«Lo so, ho assistito a tutta la scena. Ma non è il caso di farsi prendere dal panico, Chichi: tu sei l’unica a conoscerne il segreto e senza di te le sfere sono solo delle inutili palle di vetro. Asciugati le lacrime e siediti un attimo. Hai bisogno di ritrovare il controllo di te.»

Chichi non ribatté. Trasse un enorme respiro e, sebbene a malincuore, accettò la proposta di Muten di ristorarsi un attimo. Era stanca, provata e indebolita dagli enormi sforzi fisici e mentali compiuti durante quell’assurda giornata.
Sapeva che stava tenendo un comportamento decisamente anomalo per una come lei, ma proprio non riusciva a essere forte pensando che Vegeta potesse scoprire il segreto delle sfere del drago e che quella sciocca di Mamanu avesse temporeggiato chissà quanti giorni prima di rivelare chi le avesse rubate.
Già, Mamanu. La bellissima, affascinante, dolcissima Mamanu.
La donna che aveva sposato il suo povero padre diversi anni prima e che aveva pensato bene di tradirlo con il padre di Goku. Se fino a quel momento Chichi pensava di non essere in grado di provare odio, le circostanze in cui era incappata dovettero farla ricredere.
Lei detestava la sua matrigna.
La detestava perché non l’aveva mai davvero aiutata nel suo delicato ruolo e aveva lasciato sulle sue giovani spalle incombenze che nessun adulto avrebbe accettato di sopportare; la odiava perché, mentre lei buttava sangue e sudore nell’arduo tentativo di apprendere come controllare le sfere del drago, Mamanu si accaparrava la benevolenza dei suoi sudditi facendo implicitamente passare la principessa per egoista; provava disgusto perché, non paga della bella vita che lo stregone del toro le aveva concesso, aveva pensato bene di pugnalarlo alle spalle buttandosi tra le braccia di Bardack.
E questo, più di ogni altra cosa, non glielo avrebbe mai perdonato.
Mai.

«Sai dove si siano diretti dopo aver preso le sfere?»

«No, Goku, mi dispiace.»

«Non chiamarmi così, accidenti!»

Muten non disse altro.
Avrebbe voluto fare un sacco di domande, ma capiva perfettamente che tutti i presenti avevano i nervi a fior di pelle. Doveva essere successo qualcosa di molto grave se la principessa era buttata su un letto quasi in lacrime e se Goku – o come diavolo si chiamava – stava faticando più del solito per trattenere la sua aura. Nemmeno il fatto che Bulma si trovasse con Bardack e Vegeta era normale.
Era chiaro che la scienziata si fosse cacciata, volutamente o meno, in un grosso guaio e che evidentemente non aveva avuto altra scelta che assecondare gli usurpatori.
Ma che diavolo poteva aver combinato?
E come faceva Vegeta a sapere che le sfere si trovassero lì?
Che fosse colpa di quello strano marchingegno che stringeva tra le mani?
Una cosa era certa: appena Chichi avesse ritrovato un po’ di contegno, lui le avrebbe fatto un interrogatorio degno di un detective privato.

«Chichi, dobbiamo andarcene. Non possiamo restare nei dintorni di Furipan.»

La principessa sollevò appena il capo dal cuscino e si asciugò l’unica lacrima che le era sfuggita.

«Che cosa vuoi dire, Kakaroth

«Che finché non elaboro un fottuto piano per scovare e affrontare Vegeta, non ha senso rimanere qui.»

«Già, tutto sommato hai ragione. E dove vorresti andare, sentiamo?»

«Chiama la tua nuvola e seguimi, senza fare domande.»

Tensinhan prese a guardare il saiyan con insistenza.
Era chiaro: il protettore non voleva che qualcun altro seguisse lui e la principessa.
Non si fidava, e aveva ragione.
Possibile però che già avesse dimenticato i suoi propositi di vendetta?
Possibile che non tentasse di ammazzarlo, dato che lui era il primo responsabile di quella situazione?
Evidentemente, Vegeta doveva essere per lui una grande minaccia.

«E noi? Che cosa dovremmo fare noi?» chiese Tensinhan con un tono che a Kakaroth doveva essere parso piuttosto arrogante.

«Per quel che mi riguarda, potete pure ammazzarvi.»


***


Quel dannato rilevatore non funzionava mai quando serviva.
Bardack aveva già perso diversi minuti nel tentativo di collegarsi con suo figlio, ma pareva proprio che quello stupido aggeggio avesse deciso di non collaborare.
Merda.
Il saiyan tentò per l’ennesima volta di scollegare e collegare qualche cavo, sperando di riuscire a ristabilire la funzionalità dell’apparecchio.

«Ah, finalmente!»

A Bardack capitava raramente di parlare da solo, ma quando si sentiva particolarmente sotto pressione, si lasciava sfuggire qualche imprecazione di troppo.
E in quel momento, accidenti, dire che era sotto pressione era un eufemismo.

Il rilevatore emise un paio di flebili segnali acustici prima che il tanto atteso interlocutore rispondesse.

«Ehi, papà...»

«Ascoltami bene, Radish, non ho molto tempo da perdere...»

In quel momento, il generale sentì spalancarsi la porta dietro di sé e scorse il viso dubbioso e furente di Napa.
Lo ignorò.
A quel pallone gonfiato avrebbe pensato in un altro momento.

«Prendi la prima navicella che trovi e raggiungici sulla Terra. Le coordinate esatte sono 21ӄӃӁҵҶ ҰүҰӀӍ44.»

«Ehi, tu,» si intromise Napa, «ma che diavolo stai combinando?»

«Non ora, accidenti!»

Bardack guardò il guerriero d’élite dritto negli occhi, assumendo lo sguardo più minaccioso che potesse lanciare.
Lo avrebbe attaccato.
Se quel ficcanaso avesse osato provare a interrompere quella chiamata, il generale non ci avrebbe pensato due volte a scagliare contro di lui uno dei suoi attacchi più potenti.
Il tempo di fare buon viso a cattivo gioco era finito e lui non poteva più permettersi di lasciare in mano ad altri il controllo di una situazione già disperata.
E, soprattutto, non avrebbe permesso al principe di commettere un’altra sciocchezza.
Questo dettaglio, probabilmente, Napa non lo avrebbe mai colto.

«Papà, ma che sta succedendo? Con chi stai parlando?»

«Lascia perdere. Muoviti a venire sulla Terra! È un ordine.»

La chiamata si interruppe bruscamente.
Radish era perplesso, molto perplesso.
Sospirò con fare rassegnato e si voltò verso la donna che lo attendeva già nuda sul letto.

«Mi dispiace, ma devo andare. A quanto pare è successo un casino.»


***


Da quando avevano messo piede nella dimora del Supremo, Chichi non aveva fatto altro che starsene buttata sul letto che Popo le aveva gentilmente preparato e poltrire in religioso silenzio.
Non aveva alcuna voglia di parlare, e non lo aveva fatto nemmeno dopo le non troppo velate richieste di spiegazione da parte di Goku.
Il saiyan aveva capito perfettamente che in lei c’era qualcosa che non andava, che per qualche strano motivo era davvero sconvolta; ma la principessa non aveva alcuna voglia di parlare, tanto meno con lui.
Se non altro, l’incombenza delle sfere del drago da recuperare lo aveva in qualche modo persuaso dal continuare a tormentarla. Aveva delle priorità in quel momento e, per fortuna della principessa, lei non ci rientrava affatto.
O, almeno, così credeva.

Il saiyan aveva messo subito al corrente il Supremo del furto da parte di Vegeta e aveva intimato alla divinità di non rivelargli, qualora si fosse presentato lì, il segreto delle sfere.
Kakaroth sapeva benissimo, infatti, che Chichi non era la sola a poterle attivare e che anche il loro creatore, ovviamente, avrebbe potuto utilizzarle e servirsene.
Per la verità, era assolutamente improbabile che Vegeta sapesse dell’esistenza del Supremo ma, in ogni caso, da quando quella sciocca scienziata si era messa a collaborare con lui, ci si sarebbe potuto aspettare di tutto dal potente principe dei saiyan.
Bulma, in fondo, era la fidanzata di Yamcha ed era dunque altamente probabile che il guerriero l’avesse informata circa l’esistenza sulla Terra di cotanta divinità superiore.
Se così fosse stato, probabilmente sarebbe stato lo stesso Vegeta e raggiungerli.
Chichi però pareva disinteressata a tutto.
Ormai si era quasi autoconvinta che non ci sarebbe stato più niente da fare per fermare il correre degli eventi e, tutto sommato, non aveva nemmeno chissà quanta voglia di lottare ancora.
Contro chi, poi?
O contro cosa?
Se non fosse stato Vegeta a esprimere il suo desiderio, lo avrebbe fatto Kakaroth e, in ogni caso, di sicuro non avrebbe chiesto la pace nel mondo.
Era fottuta.
E non aveva nemmeno un protettore degno di questo nome, visto che il grande Son Goku si era rivelato essere uno sporco impostore. Oltretutto, in quel momento, ella non avrebbe potuto fare affidamento su nessun altro oltre a lui.

«Gran bella merda.»

«Che c’è? Adesso parli anche da sola?»

Chichi non si era accorta dell’ingresso di Kakaroth nella stanza.
Per la verità, pensava che quel tipo l’avrebbe evitata come la peste vista la sua reticenza nell’intavolare una conversazione decente.
Era di pessimo umore e gli aveva già fatto capire chiaramente che non aveva alcuna intenzione di mettersi a parlare con lui di sfere del drago, furti, principi megalomani e padri voltagabbana.
Eppure, sembrava proprio che il saiyan non avesse intenzione di lasciarla in pace.
Si era persino chiuso la porta alle spalle, segno che, evidentemente, aveva intenzione di affrontare di nuovo con lei qualche discorso.
O, semplicemente, di passare la notte lì.
Ormai era tardi e il sole era calato da un pezzo, ma pareva proprio che fino a quel momento Chichi non ci avesse badato poi molto.
Continuava a pensare a quanto fosse stata sciocca e debole, a come aveva tradito la promessa fatta a suo padre di vegliare sulle sfere e al modo in cui Mamanu lo aveva tradito.
Già, quella brutta storia non riusciva proprio a digerirla.
Le sembrava un affronto troppo grande da poter anche solo prendere in considerazione l’idea di non prenderla a schiaffi la prossima volta che l’avrebbe incontrata. Perché, accidenti, prima o poi l’avrebbe rivista e allora le avrebbe scagliato addosso tutti gli insulti che la sua bocca avrebbe potuto lanciare.

«Lasciami stare, per favore.»

Kakaroth assottigliò lo sguardo e si avvicinò a lei, mettendosi a sedere al suo fianco sul letto.
No, non l’avrebbe lasciata stare.
Quella non era la Chichi che aveva conosciuto e che aveva imparato ad ammirare anche contro la sua volontà. Le era successo qualcosa, qualcosa che doveva essere legato in qualche modo alla scoperta su chi avesse rubato per primo le sfere del drago.

«Come facevi a sapere che era Tensinhan il colpevole?»

Ecco.
Quello era proprio il discorso che la principessa non voleva aprire.

«Che importanza vuoi che abbia? Tanto siamo arrivati tardi comunque.»

«Ti ho fatto una domanda: rispondi.»

Chichi si voltò verso il saiyan rivelandogli lo sguardo più astioso che avesse mai recato in viso.

«Non piace l’arroganza con cui ti rivolgi a me. È possibile che tu non riesca mai a capire quando è il momento di chiudere la bocca e rispettare il silenzio altrui?»

«Accidenti, Chichi! Qui è in gioco il tuo regno, il tuo popolo e il tuo destino e tu, proprio oggi che hai perso le sfere del drago, hai pensato bene di chiuderti in una dannata stanza e piagnucolare come una femminuccia qualunque. Dimmi, principessa, è questo che il Supremo si aspettava da te quando ti ha affidato quei dannati oggetti? È questo che tuo padre voleva che tu facessi quando temeva che sarebbero arrivati i malvagi

«Non lo so, cavolo! Io non lo so che razza di aspettative avessero su di me, lo capisci? Ma cosa posso fare io, da sola? Che cosa? Tu vuoi sottrarmi le sfere – e non negare che sia così – e il Supremo, a parte vegliare sulle sorti di questo pianeta, non ha intenzione di muovere un dito. Per non parlare di quello zuccone di mio padre che… Che...»

Chichi non trattenne più le lacrime.
Per la prima volta dopo tanto tempo si lasciò cadere in un pianto copioso, carico di angoscia, rabbia e delusione. Avrebbe voluto dirgli quanto il suo genitore fosse stato sciocco ad affidare le sorti del Regno a lei e a Mamanu e quanto la sua assenza nelle ultime settimane avesse fatto precipitare gli eventi.
Entrambe le donne avevano in qualche modo tradito la sua fiducia: sua figlia restituendo le sfere del drago al Supremo e Mamanu andando a letto con il generale Bardack.
Ah, oltretutto, Chichi si era anche presa una bella cotta per Gok… Kakaroth e la sua matrigna aveva taciuto per chissà quanto tempo sul fatto che Tensinhan avesse rubato le sfere.
Gran bella situazione, quella.
E ora il suo protettore pretendeva che lei gli raccontasse tutto, che mettesse a nudo le sue debolezze e si facesse sbeffeggiare ancora di più.
No, non lo avrebbe fatto, anche se piangendo aveva già ceduto.

Dal canto suo, Kakaroth provava tanta rabbia quanta angoscia.
Rabbia, perché la principessa stava pericolosamente precipitando dentro a un pericolosissimo buco nero; angoscia perché – ahimé – la ragazza aveva ragione: lei, da sola, non avrebbe potuto fare nulla contro Vegeta e contro i saiyan.
Ma non era sola, accidenti!
Davvero pensava che lui non si sarebbe assunto le sue responsabilità di fronte al principe e a suo padre? Davvero pensava che avrebbe potuto abbandonarla al suo destino?
La testa gli diceva , ma il guerriero sapeva perfettamente che ormai quella ragazza contava per lui più di tutta la fottuta razza saiyan.
Suo padre non si era fatto scrupoli, a suo tempo, nel mandarlo su un pianeta lontano chissà quanti anni luce dal suo e Kakaroth non aveva certo intenzione di dimenticare questo piccolo particolare.
Non glielo avrebbe mai rinfacciato, ovviamente, ma neanche avrebbe mai dimenticato.
E per quanto assurdo e ridicolo potesse sembrare, egli si stava pian piano convincendo del fatto che continuare a vivere sulla Terra, magari proprio al fianco di Chichi, non sarebbe stato poi così vergognoso e frustrante.
Certo, come aveva giustamente affermato la principessa, lui puntava a sottrarle le sfere del drago ; però non gli interessava diventare il despota dell’universo.
Lui del potere non sapeva che accidenti farsene.

«Va bene, Chichi, adesso smettila di piangere,» sussurrò accarezzandole delicatamente il viso con le dita. «Ne verremo fuori.»

Chichi ebbe un impercettibile sussulto causato dal gesto inaspettato di Goku.

«Fino a poche ore fa eri tu quello che aveva perso completamente il lume della ragione.»

«Sì, è vero. Ma ho pensato a diverse cose nel frattempo, e sono convinto che abbiamo ancora diverse possibilità di farcela.»

«Abbiamo?» ripeté Chichi a metà tra lo scetticismo e il sarcasmo.

«Sì, principessa, abbiamo.»

Il bacio che seguì sancì l’inizio di una nottata fatta di lacrime, dolore, speranza e passione.


CONTINUA


Angolo dell’autrice


Buonsalve a tutti!
Il capitolo è stato abbastanza corposo, e infatti ho impiegato parecchio tempo per riuscire a buttarlo giù tutto. Avevo un sacco di idee, ma erano decisamente troppe da scrivere tutte qui. In ogni caso, spero che la lettura non sia stata noiosa e che abbiate colto qualche spunto interessante.
Da parte mia, la vera sorpresa del capitolo è l’ingresso in scena di Radish, fino ad ora quasi nemmeno menzionato. Chissà come mai Bardack gli ha ordinato di venire sulla Terra!
Chichi e Goku si apprestano a passare una bella nottata.
Bulma e Vegeta non si sa che fine abbiano fatto.
E Napa… Napa inizia a innervosirsi parecchio.

Ringrazio chiunque abbia letto il capitolo e spero di poter aggiornare presto.

Un bacio :*

9dolina0

   
 
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