Capitolo XX – Reagire
A
Furipan.
Le
sfere del drago non si erano mai spostate da lì.
O
forse sì; ma, in ogni caso, chiunque le avesse fatte sparire aveva
poi pensato bene di riportarle nel regno di Chichi.
A
Bulma venne un brivido di stizza quando, insieme al principe Vegeta e
al generale Bardack, ella entrò di prepotenza nell’albergo in cui
aveva alloggiato prima dell’inizio del torneo. Le venne in mente
Yamcha e una delle ultime chiacchierate che avevano fatto insieme.
Che
cosa accidenti si erano detti?
La
scienziata, per la verità, faticava a ricordare nei dettagli quella
conversazione, ma sapeva benissimo che comunque era finita male.
Come
sempre, del resto.
Questo,
però, non giustificava affatto il suo tradimento, né il modo in cui
lo aveva ignorato negli ultimi tempi. Dire a sé stessa che non aveva
avuto altra scelta era piuttosto ipocrita: va bene, si era ritrovata
ad essere la scienziata personale del sovrano dei saiyan, ma sapeva
di essere in gamba a tal punto da potersi mettere in contatto con il
suo fidanzato qualora lo avesse voluto.
A
Crilin era riuscita a inviare quel fottuto messaggio.
Certo,
probabilmente nemmeno era arrivato a destinazione visto che del suo
amico non c’era traccia in giro, ma per lo meno ci aveva provato.
Con
Yamcha no, neanche quello.
Bulma
si sentiva una merda. Il suo compagno – se ancora avesse
potuto definirsi tale – aveva parecchi difetti e per una come lei
era decisamente troppo infantile.
Troppo.
Ciò
non toglieva però che fosse una brava persona e che, soprattutto,
sul conto di Kakaroth ci avesse visto giusto. Lei era stata la prima
a screditare la sua ipotesi senza nemmeno provare a indagare su
chi fosse realmente il
misterioso protettore.
Si era lasciata ingannare come una pivellina qualunque ed era finita
tra le grinfie dei malvagi e,
soprattutto, del loro principe.
Già,
Vegeta.
Il
tipo che in quel preciso istante stava camminando a passo fiero tra i
corridoi di quel dannato albergo l’aveva
costretta a lavorare su progetti quasi impossibili e, alla fine,
l’aveva anche fatta sua.
E
lei era caduta tra le sue braccia senza nemmeno tentare di opporre la
benché minima resistenza.
Dare
la colpa al fatto che non avrebbe potuto fare nulla per allontanarlo
da sé era una sciocca bugia, che avrebbe potuto raccontare agli
altri solo per lavarsi la coscienza: la verità era che a lei il
principe piaceva da morire e che con lui aveva fatto il miglior sesso
della sua vita.
Peccato
che quell’uomo fosse anche uno sporco assassino e che mirasse a
spazzare via dalla Terra la razza umana.
Cosa
farsene altrimenti delle onde Bluetz?
Tra
l’altro, Bulma non aveva avuto ancora modo di capire quale
collegamento ci fosse esattamente tra queste ultime e la coda dei
saiyan.
Distratta dai suoi pensieri, la scienziata andò a sbattere contro la schiena di Bardack.
«Scu… scusami.»
Il
saiyan non si degnò nemmeno di voltarsi a guardarla.
Erano
giunti a destinazione: quella era la stanza in cui il radar aveva
segnalato la presenza delle sfere del drago.
Vegeta
buttò giù la porta con un colpo energetico e si precipitò
all’interno della camera.
I
preziosi oggetti che cercava erano lì in bella vista.
«Ah, lo sciocco che le ha nascoste qui non si è nemmeno preoccupato di nasconderle un po’ meglio. Il tipo doveva avere parecchia fiducia in sé stesso.»
Bardack
non commentò.
Egli
non aveva voluto rivelare al principe il nome del ladro.
Non
che a quel punto della vicenda la questione avesse molta importanza,
ma non aveva alcuna intenzione di raccontare come ne
fosse
venuto a conoscenza e soprattutto chi
glielo avesse
detto.
Se
lo avesse fatto, Mamanu sarebbe finita nei guai insieme a lui e a
Kakaroth.
Per
la verità, al generale ancora non era molto chiaro come mai la sua
amante sapesse di Tensinhan e del suo furto – anche se immaginava
che fosse stato lui stesso a rivelarglielo – ma
il fatto che avesse taciuto per chissà quanto tempo avrebbe
sicuramente fatto irritare il già parecchio suscettibile sovrano.
E
poi, sebbene egli faticasse ad ammetterlo persino con sé stesso, non
voleva assolutamente che a Mamanu succedesse qualcosa. Era stato lui
il primo a rimanerci male per il silenzio ostentato dalla donna
nonostante le sue pressanti richieste di chiarimento, e il fatto che
ella si fosse decisa a parlare solamente perché sorpresa da Chichi
nella sua stanza gli dava oltremodo noia.
Eppure,
Mamanu stava diventando per lui molto importante.
Anche
troppo importante.
Era
la prima volta, dopo la morte della madre dei suoi figli, che Bardack
intratteneva una relazione più lunga di un paio di giorni con la
stessa donna, e il fatto che
quest’ultima dimostrasse nei suoi confronti un sentimento diverso
dal solo timore referenziale gli faceva in un
certo senso piacere.
Il
suddito più potente di Vegeta non aveva mai pensato prima di allora
a quanto avesse bisogno di una compagna. Non ci aveva mai pensato
perché non era mai incappato in qualcuna che meritasse quel tipo di
attenzioni.
Anche
se Mamanu si era dimostrata per certi versi una donna remissiva e
arrendevole, egli aveva scorto in lei un’enorme forza interiore ed
era assolutamente convinto che se ella si fosse liberata dello
scomodo ruolo di moglie di Giumaho – e quindi di tutrice di Furipan
– avrebbe potuto tirare fuori tutte le buone qualità che
nascondeva.
Prima
tra tutte, quella di riuscire ad accaparrarsi la fiducia di chiunque.
E
poi, quella di saper controllare le masse.
Chiunque
avesse consigliato a quel vile di Giumaho di prenderla in sposa ci
aveva visto giusto, peccato che non avesse suggerito al sovrano di
prendersene cura in maniera adeguata.
Fin
dalla prima volta in cui aveva stretto Mamanu tra le braccia, Bardack
aveva colto il profondo bisogno di affetto che quella donna covava
dentro di sé e che non aveva mai avuto il coraggio di reclamare al
marito. Ella, pur comprendendo benissimo il ruolo e la pericolosità
di Bardack, aveva fatto l’amore con lui senza remore, regalando al
saiyan tutta la passione e la dolcezza di cui era capace. Mai una
donna si era rapportata a lui in un modo che altri saiyan avrebbero
definito sfacciato: il prorompente fascino e l’indubbia prestanza
di Bardack non erano mai bastati a far sì che una creatura del
gentil sesso si lasciasse andare a lui completamente. Il timore
reverenziale che egli incuteva e l’implicita minaccia di morte che
si celava dietro a ogni atto sessuale avevano frenato praticamente
tutte le sue partner, sebbene queste ultime fossero quasi tutte molto
più forti di Mamanu.
Eppure,
non sembrava affatto che per lei la debolezza fisica fosse un
difetto: piuttosto, ella aveva imparato a usarla come tacita scusa
per richiedere implicitamente la protezione del generale.
Perché
era quello che la donna cercava ogni volta che finiva a letto con
Bardack: voleva sentirsi protetta, al sicuro, immune dai rischi e
dalle pressioni che il suo ruolo non voluto di matrigna di Chichi le
recava ormai da anni.
La
faccenda delle sfere del drago era soltanto l’ultima piaga
che le si era scagliata addosso per colpa della principessa. E,
oltretutto, quell’imbecille di suo figlio aveva provveduto a
metterci un bel carico da novanta.
«Bardack, metti qui dentro le sfere e andiamocene.»
Il
principe lanciò al generale un sacco che aveva trovato rovistando a
terra, poi si voltò a dare un’occhiata alla stanza.
Non
sapeva chi accidenti avesse alloggiato lì dentro ultimamente, ma di
sicuro, chiunque egli fosse, era stato lì solo di passaggio. Non
pareva, infatti, che qualcuno avesse giaciuto su quel letto.
La
cosa, in realtà, non aveva molta importanza dato che ormai, in ogni
caso, i preziosi oggetti che aveva tanto bramato erano nelle sue
mani; tuttavia, egli non poteva fare a meno di riflettere su quanto
quei dannati esseri umani fossero scaltri.
Li
aveva sottovalutati: il ladro era riuscito a sottrargli le sfere
del drago da sotto il naso nascondendole praticamente a due passi
dal castello di Furipan.
Gran
bella beffa.
E
per ritrovarle, oltretutto, era dovuto volare fino alla Città
dell’Ovest e recuperare un dannato radar.
«Ho eseguito l’ordine, Vegeta.»
«Perfetto. Andiamocene. Non ho voglia per ora di incrociare Kakaroth.»
Bardack
accennò a una smorfia di sufficienza.
Già,
come se a Vegeta importasse davvero qualcosa di rinviare l’incontro
con il suddito che gli aveva messo i bastoni tra le ruote.
Evidentemente, il principe non aveva ancora ideato una strategia.
Come accidenti avrebbe potuto, infatti, convincere Chichi a farsi
rivelare il segreto delle sfere del drago?
Durante
il silenziosissimo viaggio in elicottero che aveva riportato i due
saiyan e la scienziata a Furipan, il potente sovrano doveva aver
riflettuto parecchio su quanto Bardack gli aveva detto alla Capsule
Corporation: tentare di far fuori Kakaroth sarebbe stata una mossa
controproducente, soprattutto alla luce del fatto che se c’era
qualcuno che avrebbe
avuto
qualche speranza di farsi dire dalla principessa come funzionassero
quei dannati oggetti, quello era proprio il
figlio del generale.
Magari,
Vegeta stava pensando di tendere ai due giovani un’imboscata
mettendoli in qualche modo alle strette.
In
ogni caso, egli era riuscito comunque a guadagnare un po’ di tempo
e avrebbe dovuto sfruttarlo al meglio per impedire a suo figlio di
fare una brutta fine.
Ah,
se invece di quell’idiota di Napa, Vegeta avesse portato sulla
Terra Radish, forse Bardack avrebbe avuto qualche possibilità in
più. Però, chissà… Magari avrebbe potuto convocarlo comunque lui
stesso e sperare che arrivasse prima dell’inevitabile scontro tra
il principe e il protettore.
***
Muten,
nascosto in una delle camere situate nello stesso piano di quella in
cui si erano precipitati Vegeta, Bardack e Bulma, aveva assistito a
tutta la scena.
Tutta.
Chichi
e Goku avevano definitivamente perso il controllo delle sfere
del drago e lui non aveva potuto
fare niente per impedirlo.
Non
restava altro da fare che sperare che il principe le portasse al
castello e decidesse di nasconderle lì da qualche parte, ma,
ovviamente, egli non era sciocco a tal punto da credere che Vegeta
fosse tanto sprovveduto.
Doveva
avvertire qualcuno.
Già,
ma chi?
***
Napa
si era letteralmente fossilizzato davanti ai fogli che aveva
sottratto a Condor, dimenticandosi quasi di non essere solo.
Crilin
non aveva la più pallida idea di quale fosse il contenuto di quelle
carte ma, a giudicare dall’espressione del colosso, doveva essere
qualcosa di estremamente importante.
Il
giovane guerriero si ritrovò per un istante ad apprezzare il
silenzio tombale calato in quel laboratorio tecnologico di fortuna:
era stanco, avvilito e decisamente preoccupato per ciò che stava
succedendo lì fuori da qualche parte, però sentiva che il proprio
corpo e la propria mente avevano urgentemente bisogno di staccare la
spina. Quella situazione era insopportabile persino per uno come lui,
che aveva sempre fatto del coraggio e della perseveranza le sue doti
maggiori. Da quando i saiyan erano entrati nella sua vita, l’allievo
più promettente di Muten Roshi aveva seriamente iniziato a dubitare
delle proprie capacità, sia di guerriero che di amico.
Aveva
lasciato Chichi in balia di un presunto protettore
che non ci aveva pensato due volte a darle le spalle e ad allearsi
con il popolo che lo aveva spedito sulla Terra quando ancora era un
ragazzino; non aveva messo in guardia la principessa sul rischio di
passare troppo tempo da sola con Kakaroth; aveva taciuto quando li
aveva sorpresi a baciarsi nella palestra; aveva ignorato le richieste
di aiuto più o meno esplicite da parte di Bulma, vittima, se
possibile, di un aguzzino ben più spietato e temibile; aveva
abbandonato la scienziata al suo destino lasciandola nelle grinfie di
Vegeta.
Ah,
certo, aveva anche tentato di impedire che Chichi venisse a sapere
della relazione tra la sua matrigna e il generale Bardack; ma anche
in quel caso il suo buon proposito si era concretizzato in un mero
buco nell’acqua.
Che
cosa ci facessero, poi, Condor e Giumaho nel laboratorio di Bulma,
nemmeno osava chiederlo: per quel che lo riguardava, aveva già
abbastanza grattacapi.
E
sensi di colpa.
«Ehi, nanerottolo!»
La
testa di Crilin scattò come in un gesto automatico.
Il
saiyan che lo aveva appena chiamato aveva un volto indecifrabile, a
metà tra il preoccupato e l’inviperito.
«Che cosa vuoi?»
«Tu non sei forse la cavia di tutti gli esperimenti della scienziata?»
Un cipiglio di angoscia si disegnò sul viso già contratto del terrestre.
«Sì, e allora?»
«Come mai la tua amica ha fatto degli studi sulle onde Bluetz?»
Crilin prese a fissare Napa con perplessità.
«Non ho la più pallida idea di che cosa siano queste onde Bluetz, mi dispiace.»
Il saiyan si avvicinò al ragazzo con fare minaccioso e lo sollevò per il collo.
«Non cercare di fare il furbo con me.»
«Sto dicendo la verità, accidenti. So che Bulma stava lavorando a un progetto molto importante, ma su esplicita richiesta del tuo principe, io dovevo starne fuori. Più di questo, non so che dirti.»
Napa mollò la presa e lasciò cadere a terra Crilin.
«Al diavolo. Voi terrestri siete completamente inutili.»
Il
guerriero d’élite era molto preoccupato.
Quella
involontaria scoperta non faceva che mettere ulteriore luce sul fatto
che a corte ci fossero dei grossi problemi
e, soprattutto, sul fatto che Vegeta avesse
voluto lasciarlo fuori. Le onde Bluetz
non erano cosa da poco: i saiyan scatenavano tutta la loro potenza
repressa quando la Luna piena brillava nel cielo ed erano capaci di
fare danni anche irreversibili al pianeta su cui si trovavano.
Era
per questo che a molti neonati di terza classe la coda veniva recisa:
non tutti i siayan, infatti, erano in grado di controllare l’Oozaru.
Certo, Vegeta ovviamente non faceva testo dato che apparteneva una
categoria di guerrieri decisamente superiore; ma il fatto che il
principe avesse in mente di risvegliare il suo potere oscuro voleva
dire che, per qualche assurdo motivo, si sentiva minacciato da
qualcosa.
O
da qualcuno.
Che
fosse Bardack a preoccuparlo tanto?
Forse;
ma il guerriero d’élite non capiva come mai il principe dovesse
temere il suo generale.
Sebbene
quel tipo non fosse mai stato simpatico a Napa, egli non poteva certo
negare la sua fedeltà nei confronti di Vegeta. Da
quel punto di vista, era assolutamente affidabile.
Possibile
che quel pazzo volesse davvero ripudiare il suo sovrano?
Al
guerriero pareva praticamente impossibile.
No;
doveva esserci un’altra spiegazione.
Probabilmente
non era lui l’avversario da battere.
Già;
ma allora chi accidenti poteva essere?
A
parte lui e Bardack, nessun altro saiyan poteva aspirare ad avere un
livello di combattimento lontanamente simile a quello del principe,
ed era fuori discussione che quest’ultimo intendesse trasformarsi
in Oozaru per uccidere
proprio Napa.
Il
fatto, poi, che avesse sorpreso i due terrestri nella stanza del
generale doveva essere collegato in qualche modo a tutta quell’oscura
faccenda.
Doveva,
accidenti.
Altrimenti
proprio non riusciva a capire cosa diavolo stesse succedendo.
Fu
in quel momento che il suo rilevatore captò l’aura di Bardack.
Finalmente,
quello smidollato si era deciso a rientrare nel castello.
Da
solo, però.
Di
tutti gli altri continuava a non esserci traccia.
Napa
si diresse verso l’uscita del laboratorio, spalancò la porta e
corse via più in fretta che poteva, ignorando completamente i
terrestri rimasti lì dentro.
Tanto
– ne era certo – quei quattro babbei non sarebbero stati così
sciocchi da tentare la fuga e, se anche lo avessero fatto, lui aveva
cose ben più urgenti di cui occuparsi.
***
«Siamo arrivati tardi, accidenti.»
Kakaroth
sfondò con un pugno una delle pareti di quella stramaledetta stanza,
ignorando completamente il moto di stizza di Chichi.
Vegeta
era arrivato prima di loro e aveva già fatto sparire le sfere
del drago.
«Sei assolutamente certo di averle nascoste qui dentro?»
«Sì, sicurissimo.»
«Questa non ci voleva.»
Il
breve scambio di battute fra Tensinhan e Kakaroth aveva messo Jaozi
ancora più in agitazione di
quanto non fosse.
In
quel momento, sebbene egli fosse ingenuo quanto un bambino, sentiva
di aver commesso un’enorme sciocchezza nell’aver assecondato il
suo maestro quando gli aveva chiesto di partecipare a quello strano
torneo di arti marziali.
Perché
lo aveva fatto?
Che
cosa importava a lui dei piani di conquista di Condor?
Era
stato divertente schierarsi con lui nelle forze del male, ma il
trovarsi i fronte creature molto più pericolose di lui gli aveva
fatto aprire gli occhi sull’inutilità di comportarsi come un
teppista. E a lui, tutto sommato, il ruolo di brava persona piaceva
abbastanza. Da quando i malvagi erano giunti sulla Terra,
nessuno si era più preoccupato delle minacce di Condor e dei suoi
allievi, e il piccolo Jaozi aveva potuto sperimentare il ruolo di
“neutrale”.
Tutto
sommato, gli si addiceva abbastanza.
Più
passava il tempo e più si convinceva del fatto che Muten sarebbe
stato un maestro migliore e che anche Tensinhan avrebbe potuto
apprezzare molto di più la tranquillità della vita se avesse
voltato le spalle al vecchio che li aveva incastrati in quella brutta
storia.
«A questo punto, non ci rimane altro da fare che cercare Vegeta,» proferì l’unico saiyan presente, tentando di nascondere il più possibile la rabbia.
«Ma insomma, si può sapere che cosa sta succedendo?»
L’intrusione
improvvisa e inaspettata di Muten colse di sorpresa tutti i presenti.
L’anziano
maestro non si era mosso dall’albergo da quando aveva visto Vegeta,
Bardack e Bulma rubare le sfere del drago. Non aveva potuto
far niente per impedire loro di compiere quel gesto, ma il fatto di
essere completamente impotente lo aveva reso parecchio nervoso.
Possibile
che ormai fosse ridotto al solo ruolo di spettatore passivo in tutta
quell’assurda vicenda? Possibile che proprio non potesse in alcun
modo tentare di mettere i bastoni tra le ruote a quei vili che
stavano usurpando Furipan e tutta la Terra?
L’arrivo
di Chichi gli aveva ridato in un certo qual modo una lieve speranza.
La
principessa, evidentemente, sapeva che le sfere del drago erano
lì e aveva tutta l’intenzione di andarsele a riprendere.
Peccato
che non fosse sola e che fosse arrivata troppo tardi.
Come
mai Kakaroth, Tensinhan e Jaozi erano con lei?
Che
il giovane falso protettore avesse deciso di schierarsi contro
il suo legittimo sovrano e contro suo padre?
La
faccenda puzzava, e anche parecchio, e lui, sebbene ormai vecchio e
debole rispetto ai giovani guerrieri in circolazione, aveva comunque
il dovere morale di vederci chiaro.
E
di fare un tentativo per risolvere il problema.
«Ah, Muten! Siamo nei guai fino al collo. Abbiamo perso le sfere del drago… anzi, ce le hanno rubate.»
Chichi
era quasi in lacrime.
Stava
facendo uno sforzo madornale per trattenerle e Muten non capiva
davvero come mai una ragazza tanto forte stesse subendo in quel
momento una tale pressione. D’accordo, gli oggetti che aveva il
sacro compito di custodire erano scoparsi, ma ciò non significava
affatto che chi le aveva rubate avesse la possibilità di
utilizzarle.
«Lo so, ho assistito a tutta la scena. Ma non è il caso di farsi prendere dal panico, Chichi: tu sei l’unica a conoscerne il segreto e senza di te le sfere sono solo delle inutili palle di vetro. Asciugati le lacrime e siediti un attimo. Hai bisogno di ritrovare il controllo di te.»
Chichi
non ribatté. Trasse un enorme respiro e, sebbene a malincuore,
accettò la proposta di Muten di ristorarsi un attimo. Era stanca,
provata e indebolita dagli enormi sforzi fisici e mentali compiuti
durante quell’assurda giornata.
Sapeva
che stava tenendo un comportamento decisamente anomalo per una come
lei, ma proprio non riusciva a essere forte pensando che Vegeta
potesse scoprire il segreto delle sfere del drago e che quella
sciocca di Mamanu avesse temporeggiato chissà quanti giorni prima di
rivelare chi le avesse rubate.
Già,
Mamanu. La bellissima, affascinante, dolcissima Mamanu.
La
donna che aveva sposato il suo povero padre diversi anni prima e che
aveva pensato bene di tradirlo con il padre di Goku. Se fino a quel
momento Chichi pensava di non essere in grado di provare odio, le
circostanze in cui era incappata dovettero farla ricredere.
Lei
detestava la sua matrigna.
La
detestava perché non l’aveva mai davvero aiutata nel suo delicato
ruolo e aveva lasciato sulle sue giovani spalle incombenze che nessun
adulto avrebbe accettato di sopportare; la odiava perché, mentre lei
buttava sangue e sudore nell’arduo tentativo di apprendere come
controllare le sfere del drago, Mamanu si accaparrava la
benevolenza dei suoi sudditi facendo implicitamente passare la
principessa per egoista; provava disgusto perché, non paga della
bella vita che lo stregone del toro le aveva concesso, aveva
pensato bene di pugnalarlo alle spalle buttandosi tra le braccia di
Bardack.
E
questo, più di ogni altra cosa, non glielo avrebbe mai perdonato.
Mai.
«Sai dove si siano diretti dopo aver preso le sfere?»
«No, Goku, mi dispiace.»
«Non chiamarmi così, accidenti!»
Muten
non disse altro.
Avrebbe
voluto fare un sacco di domande, ma capiva perfettamente che tutti i
presenti avevano i nervi a fior di pelle. Doveva essere successo
qualcosa di molto grave se la principessa era buttata su un letto
quasi in lacrime e se Goku – o come diavolo si chiamava – stava
faticando più del solito per trattenere la sua aura. Nemmeno il
fatto che Bulma si trovasse con Bardack e Vegeta era normale.
Era
chiaro che la scienziata si fosse cacciata, volutamente o meno, in un
grosso guaio e che evidentemente non aveva avuto altra scelta che
assecondare gli usurpatori.
Ma
che diavolo poteva aver combinato?
E
come faceva Vegeta a sapere che le sfere si trovassero lì?
Che
fosse colpa di quello strano marchingegno che stringeva tra le mani?
Una
cosa era certa: appena Chichi avesse ritrovato un po’ di contegno,
lui le avrebbe fatto un interrogatorio degno di un detective privato.
«Chichi, dobbiamo andarcene. Non possiamo restare nei dintorni di Furipan.»
La principessa sollevò appena il capo dal cuscino e si asciugò l’unica lacrima che le era sfuggita.
«Che cosa vuoi dire, Kakaroth?»
«Che finché non elaboro un fottuto piano per scovare e affrontare Vegeta, non ha senso rimanere qui.»
«Già, tutto sommato hai ragione. E dove vorresti andare, sentiamo?»
«Chiama la tua nuvola e seguimi, senza fare domande.»
Tensinhan
prese a guardare il saiyan con insistenza.
Era
chiaro: il protettore non voleva che qualcun altro seguisse
lui e la principessa.
Non
si fidava, e aveva ragione.
Possibile
però che già avesse dimenticato i suoi propositi di vendetta?
Possibile
che non tentasse di ammazzarlo, dato che lui era il primo
responsabile di quella situazione?
Evidentemente,
Vegeta doveva essere per lui una grande minaccia.
«E noi? Che cosa dovremmo fare noi?» chiese Tensinhan con un tono che a Kakaroth doveva essere parso piuttosto arrogante.
«Per quel che mi riguarda, potete pure ammazzarvi.»
***
Quel
dannato rilevatore non funzionava mai quando serviva.
Bardack
aveva già perso diversi minuti nel tentativo di collegarsi con suo
figlio, ma pareva proprio che quello stupido aggeggio avesse deciso
di non collaborare.
Merda.
Il
saiyan tentò per l’ennesima volta di scollegare e collegare
qualche cavo, sperando di riuscire a ristabilire la funzionalità
dell’apparecchio.
«Ah, finalmente!»
A
Bardack capitava raramente di parlare da solo, ma quando si sentiva
particolarmente sotto pressione, si lasciava sfuggire qualche
imprecazione di troppo.
E
in quel momento, accidenti, dire che era sotto pressione era
un eufemismo.
Il rilevatore emise un paio di flebili segnali acustici prima che il tanto atteso interlocutore rispondesse.
«Ehi, papà...»
«Ascoltami bene, Radish, non ho molto tempo da perdere...»
In
quel momento, il generale sentì spalancarsi la porta dietro di sé e
scorse il viso dubbioso e furente di Napa.
Lo
ignorò.
A
quel pallone gonfiato avrebbe pensato in un altro momento.
«Prendi la prima navicella che trovi e raggiungici sulla Terra. Le coordinate esatte sono 21ӄӃӁҵҶ ҰүҰӀӍ44.»
«Ehi, tu,» si intromise Napa, «ma che diavolo stai combinando?»
«Non ora, accidenti!»
Bardack
guardò il guerriero d’élite dritto negli occhi, assumendo lo
sguardo più minaccioso che potesse lanciare.
Lo
avrebbe attaccato.
Se
quel ficcanaso avesse osato provare a interrompere quella chiamata,
il generale non ci avrebbe pensato due volte a scagliare contro di
lui uno dei suoi attacchi più potenti.
Il
tempo di fare buon viso a cattivo gioco era finito e lui non poteva
più permettersi di lasciare in mano ad altri il controllo di una
situazione già disperata.
E,
soprattutto, non avrebbe permesso al principe di commettere un’altra
sciocchezza.
Questo
dettaglio, probabilmente, Napa non lo avrebbe mai colto.
«Papà, ma che sta succedendo? Con chi stai parlando?»
«Lascia perdere. Muoviti a venire sulla Terra! È un ordine.»
La
chiamata si interruppe bruscamente.
Radish
era perplesso, molto perplesso.
Sospirò
con fare rassegnato e si voltò verso la donna che lo attendeva già
nuda sul letto.
«Mi dispiace, ma devo andare. A quanto pare è successo un casino.»
***
Da
quando avevano messo piede nella dimora del Supremo, Chichi non aveva
fatto altro che starsene buttata sul letto che Popo le aveva
gentilmente preparato e poltrire in religioso silenzio.
Non
aveva alcuna voglia di parlare, e non lo aveva fatto nemmeno dopo le
non troppo velate richieste di spiegazione da parte di Goku.
Il
saiyan aveva capito perfettamente che in lei c’era qualcosa che non
andava, che per qualche strano motivo era davvero sconvolta; ma la
principessa non aveva alcuna voglia di parlare, tanto meno con lui.
Se
non altro, l’incombenza delle sfere del drago da recuperare
lo aveva in qualche modo persuaso dal continuare a tormentarla. Aveva
delle priorità in quel momento e, per fortuna della principessa, lei
non ci rientrava affatto.
O,
almeno, così credeva.
Il
saiyan aveva messo subito al corrente il Supremo del furto da parte
di Vegeta e aveva intimato alla divinità di non rivelargli, qualora
si fosse presentato lì, il segreto delle sfere.
Kakaroth
sapeva benissimo, infatti, che Chichi non era la sola a poterle
attivare e che anche il loro creatore, ovviamente, avrebbe potuto
utilizzarle e servirsene.
Per
la verità, era assolutamente improbabile che Vegeta sapesse
dell’esistenza del Supremo ma, in ogni caso, da quando quella
sciocca scienziata si era messa a collaborare con lui, ci si sarebbe
potuto aspettare di tutto dal potente principe dei saiyan.
Bulma,
in fondo, era la fidanzata di Yamcha ed era dunque altamente
probabile che il guerriero l’avesse informata circa l’esistenza
sulla Terra di cotanta divinità superiore.
Se
così fosse stato, probabilmente sarebbe stato lo stesso Vegeta e
raggiungerli.
Chichi
però pareva disinteressata a tutto.
Ormai
si era quasi autoconvinta che non ci sarebbe stato più niente da
fare per fermare il correre degli eventi e, tutto sommato, non aveva
nemmeno chissà quanta voglia di lottare ancora.
Contro
chi, poi?
O
contro cosa?
Se
non fosse stato Vegeta a esprimere il suo desiderio, lo avrebbe fatto
Kakaroth e, in ogni caso, di sicuro non avrebbe chiesto la pace nel
mondo.
Era
fottuta.
E
non aveva nemmeno un protettore degno di questo nome, visto
che il grande Son Goku si era rivelato essere uno sporco impostore.
Oltretutto, in quel momento, ella non avrebbe potuto fare affidamento
su nessun altro oltre a lui.
«Gran bella merda.»
«Che c’è? Adesso parli anche da sola?»
Chichi
non si era accorta dell’ingresso di Kakaroth nella stanza.
Per
la verità, pensava che quel tipo l’avrebbe evitata come la peste
vista la sua reticenza nell’intavolare una conversazione decente.
Era
di pessimo umore e gli aveva già fatto capire chiaramente che non
aveva alcuna intenzione di mettersi a parlare con lui di sfere del
drago, furti, principi megalomani e padri voltagabbana.
Eppure,
sembrava proprio che il saiyan non avesse intenzione di lasciarla in
pace.
Si
era persino chiuso la porta alle spalle, segno che, evidentemente,
aveva intenzione di affrontare di nuovo con lei qualche discorso.
O,
semplicemente, di passare la notte lì.
Ormai
era tardi e il sole era calato da un pezzo, ma pareva proprio che
fino a quel momento Chichi non ci avesse badato poi molto.
Continuava
a pensare a quanto fosse stata sciocca e debole, a come aveva tradito
la promessa fatta a suo padre di vegliare sulle sfere e al modo in
cui Mamanu lo aveva tradito.
Già,
quella brutta storia non riusciva proprio a digerirla.
Le
sembrava un affronto troppo grande da poter anche solo prendere in
considerazione l’idea di non prenderla a schiaffi la prossima volta
che l’avrebbe incontrata. Perché, accidenti, prima o poi l’avrebbe
rivista e allora le avrebbe scagliato addosso tutti gli insulti che
la sua bocca avrebbe potuto lanciare.
«Lasciami stare, per favore.»
Kakaroth
assottigliò lo sguardo e si avvicinò a lei, mettendosi a sedere al
suo fianco sul letto.
No,
non l’avrebbe lasciata stare.
Quella
non era la Chichi che aveva conosciuto e che aveva imparato ad
ammirare anche contro la sua volontà. Le era successo qualcosa,
qualcosa che doveva essere legato in qualche modo alla scoperta su
chi avesse rubato per primo le sfere del drago.
«Come facevi a sapere che era Tensinhan il colpevole?»
Ecco.
Quello
era proprio il discorso che la principessa non voleva aprire.
«Che importanza vuoi che abbia? Tanto siamo arrivati tardi comunque.»
«Ti ho fatto una domanda: rispondi.»
Chichi si voltò verso il saiyan rivelandogli lo sguardo più astioso che avesse mai recato in viso.
«Non piace l’arroganza con cui ti rivolgi a me. È possibile che tu non riesca mai a capire quando è il momento di chiudere la bocca e rispettare il silenzio altrui?»
«Accidenti, Chichi! Qui è in gioco il tuo regno, il tuo popolo e il tuo destino e tu, proprio oggi che hai perso le sfere del drago, hai pensato bene di chiuderti in una dannata stanza e piagnucolare come una femminuccia qualunque. Dimmi, principessa, è questo che il Supremo si aspettava da te quando ti ha affidato quei dannati oggetti? È questo che tuo padre voleva che tu facessi quando temeva che sarebbero arrivati i malvagi?»
«Non lo so, cavolo! Io non lo so che razza di aspettative avessero su di me, lo capisci? Ma cosa posso fare io, da sola? Che cosa? Tu vuoi sottrarmi le sfere – e non negare che sia così – e il Supremo, a parte vegliare sulle sorti di questo pianeta, non ha intenzione di muovere un dito. Per non parlare di quello zuccone di mio padre che… Che...»
Chichi
non trattenne più le lacrime.
Per
la prima volta dopo tanto tempo si lasciò cadere in un pianto
copioso, carico di angoscia, rabbia e delusione. Avrebbe voluto
dirgli quanto il suo genitore fosse stato sciocco ad affidare le
sorti del Regno a lei e a Mamanu e quanto la sua assenza nelle ultime
settimane avesse fatto precipitare gli eventi.
Entrambe
le donne avevano in qualche modo tradito la sua fiducia: sua figlia
restituendo le sfere del drago al Supremo e Mamanu andando a
letto con il generale Bardack.
Ah,
oltretutto, Chichi si era anche presa una bella cotta per Gok…
Kakaroth e la sua matrigna aveva taciuto per chissà quanto tempo sul
fatto che Tensinhan avesse rubato le sfere.
Gran
bella situazione, quella.
E
ora il suo protettore pretendeva che lei gli raccontasse
tutto, che mettesse a nudo le sue debolezze e si facesse sbeffeggiare
ancora di più.
No,
non lo avrebbe fatto, anche se piangendo aveva già ceduto.
Dal
canto suo, Kakaroth provava tanta rabbia quanta angoscia.
Rabbia,
perché la principessa stava pericolosamente precipitando dentro a un
pericolosissimo buco nero; angoscia perché – ahimé – la ragazza
aveva ragione: lei, da sola, non avrebbe potuto fare nulla contro
Vegeta e contro i saiyan.
Ma
non era sola, accidenti!
Davvero
pensava che lui non si sarebbe assunto le sue responsabilità di
fronte al principe e a suo padre? Davvero pensava che avrebbe potuto
abbandonarla al suo destino?
La
testa gli diceva sì, ma il guerriero sapeva perfettamente che
ormai quella ragazza contava per lui più di tutta la fottuta razza
saiyan.
Suo
padre non si era fatto scrupoli, a suo tempo, nel mandarlo su un
pianeta lontano chissà quanti anni luce dal suo e Kakaroth non aveva
certo intenzione di dimenticare questo piccolo particolare.
Non
glielo avrebbe mai rinfacciato, ovviamente, ma neanche avrebbe mai
dimenticato.
E
per quanto assurdo e ridicolo potesse sembrare, egli si stava pian
piano convincendo del fatto che continuare a vivere sulla Terra,
magari proprio al fianco di Chichi, non sarebbe stato poi così
vergognoso e frustrante.
Certo,
come aveva giustamente affermato la principessa, lui puntava a
sottrarle le sfere del drago ; però non gli interessava
diventare il despota dell’universo.
Lui
del potere non sapeva che accidenti farsene.
«Va bene, Chichi, adesso smettila di piangere,» sussurrò accarezzandole delicatamente il viso con le dita. «Ne verremo fuori.»
Chichi ebbe un impercettibile sussulto causato dal gesto inaspettato di Goku.
«Fino a poche ore fa eri tu quello che aveva perso completamente il lume della ragione.»
«Sì, è vero. Ma ho pensato a diverse cose nel frattempo, e sono convinto che abbiamo ancora diverse possibilità di farcela.»
«Abbiamo?» ripeté Chichi a metà tra lo scetticismo e il sarcasmo.
«Sì, principessa, abbiamo.»
Il bacio che seguì sancì l’inizio di una nottata fatta di lacrime, dolore, speranza e passione.
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Buonsalve
a tutti!
Il
capitolo è stato abbastanza corposo, e infatti ho impiegato
parecchio tempo per riuscire a buttarlo giù tutto. Avevo un sacco di
idee, ma erano decisamente troppe da scrivere tutte qui. In ogni
caso, spero che la lettura non sia stata noiosa e che abbiate colto
qualche spunto interessante.
Da
parte mia, la vera sorpresa del capitolo è l’ingresso in scena di
Radish, fino ad ora quasi nemmeno menzionato. Chissà come mai
Bardack gli ha ordinato di venire sulla Terra!
Chichi
e Goku si apprestano a passare una bella nottata.
Bulma
e Vegeta non si sa che fine abbiano fatto.
E
Napa… Napa inizia a innervosirsi parecchio.
Ringrazio chiunque abbia letto il capitolo e spero di poter aggiornare presto.
Un bacio :*
9dolina0