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Autore: adler_kudo    11/03/2017    1 recensioni
Occorre poco affinché cambi una vita, qualche attimo perché essa finisca, pochi incontri per ricominciarla e un solo istante per abbracciare la morte.
Mail non aveva ancora idea di cosa fosse vivere, lo ha scoperto solo quando da morto ha incontrato la vita. [Seconda guerra mondiale AU]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio | Coppie: Matt/Mello
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1943, Treblinka II

 

Sono passate due settimane da quando è arrivato a quello che si è rivelato essere un campo di sterminio. È un buon risultato quello di essere ancora vivo, anche se gran parte del merito non è suo. Continua a ripeterselo, è troppo fortunato, tra poco succederà qualcosa che gli presenterà il conto di tale fortuna. Lavora, tanto; ogni giorno, la mattina con la colla industriale che gli appiccica le mani e gliele tinge di nero, dal pomeriggio a sera nell'ufficio del tenente biondo che ha la presunzione di imparare il polacco in pochi giorni. Sono sempre strepiti quando deve insegnargli, soprattutto da quando hanno iniziato a studiare i verbi giacché pretende di saperli senza nemmeno ripassarli. Spera vivamente nessuno lì senta, o dalle conversazioni potrebbero trarne conclusioni piuttosto errate. Si sente un po' stupido a sorridere mentre i miasmi delle sostanze che è costretto maneggiare gli irritano occhi e naso; stupido perché, invece di pensare a sopravvivere come chiunque in quel campo cerca di fare, sta pensando a come fare entrare in testa l'avere a quello zuccone di un tedesco. Il che potrebbe essere anche pensato come uno stratagemma per vivere; in  solo due settimane ha visto così tanti suoi compagni passare per il camino solo perché erano divenuti innecessari per le SS, qualsiasi fosse il loro ruolo. Ogni giorno vede vecchi volti scomparire d'improvviso, vede i loro giacigli, sporchi e freddi, riempiti da nuovi arrivi alcuni dei quali non fanno nemmeno tempo ad arrivare al primo pasto che già sono selezionati. Ha visto in soli quattordici giorni così tanti uomini arrendersi al loro destino, venire brutalmente picchiati, ammalarsi ed esser gettati via come stracci usati che si domanda come faccia ancora ad essere incolume. Il merito non può essere certo di quel ragazzo del quale è diventato praticamente amico, è solo un tenente, non ha il potere di tenerlo in vita. La sua buona stella deve aver fatto la sua parte affinché riuscisse a sfuggire ad ogni chiamata casuale alla morte, ma se è finito lì un motivo c'è, solo il conto sarebbe arrivato più tardi, questo è il mantra che ripete per convincersi a non abbassare la guardia. Non può dire certo di fare la bella vita, nessuno lì la fa. Sa di aver perso molti chili in poco tempo e sa ancora meglio che l'unico motivo per il quale non si è ancora ammalato di tifo è che il tedesco lo obbliga a lavarsi ogni giorno prima di iniziare il suo lavoro, tuttavia già si fa sentire la tosse secca che arrochisce la voce di tutti i suoi compagni più anziani. Henryk, che si è rivelato essere un ex-professore, gli ha spiegato che è dovuta, oltre che alle sevizie, agli agenti chimici che sono costretti a maneggiare senza alcuna protezione. Si è domandato spesso, Mail, come avesse fatto da solo a non cedere quell'uomo. Lui ce la stava facendo a malapena, si è calato in una maschera di apatia, ignorando ogni cosa a partire da una parte di sé che continua ripetere di esser solo. Si ricorda con un mesto ghigno di quando ne ha avuto la certezza. Era arrivato da appena quattro giorni, era pomeriggio, il sole già calava all'orizzonte. Mihael aveva insistito per conoscere di più su i suoi fratelli. Non si fidava ancora di lui, ma il sapere che non era concesso a chi stava in quel campo di passare in quello accanto e che ad ogni detenuto veniva riservato lo stesso trattamento lo convinsero a parlare. Raccontò, dei due fratelli ebrei, di come erano diventati anche i suoi. Ricordò le trecce che Wilhelmina non aveva mai voluto portare, la sua precoce maturità, il carattere tutto pepe del piccolo Henryk, così diverso dall'omonimo che conosceva ora. Durante la storia, si era accorto delle mani di Mihael, tremavano. Lo sguardo basso, colpevole. Quando gli aveva chiesto se qualcosa non andava l'unica cosa che aveva fatto era stata quella di mordersi il labbro inferiore. Ricorda ancora il tono, indescrivibile, di come aveva pronunciato quelle semplici quanto avvelenate parole. “Mi dispiace”, aveva detto solo questo. Si era alzato di scatto ed aveva sciacquato il viso con l'acqua gelata. Mail non aveva inizialmente capito a cosa si riferisse. Fu duro. Come uno schiaffo in faccia, come se gli avessero strappato il cuore dal petto quando, accasciandosi, l'altro confessò in un sussurro che dal carico arrivato con lui avevano avuto l'ordine di tenere solo gli uomini abili; neanche le donne atte al lavoro erano potute rimanere, non c'era posto nel loro piccolo dormitorio. Mail si inginocchiò con lui. Non piangeva, ma gli occhi gli dolevano come se lo stessero facendo, colpa delle colle che intorpidivano le mucose. Non sa nemmeno a distanza di giorni perché lo fece, ma quella volta allungò la mano verso la spalla di Mihael, la strinse come a cercare un appiglio. Cercare appiglio nel proprio carnefice. Si era mai vista una cosa del genere? Porta ancora con sé il ricordo del sussulto dell'altro e ciò che ne seguì. Un fugace sguardo alla porta chiusa e Mail si trovò avvolto tra le sue braccia. Non lo poteva vedere in faccia, tanto era premuto, quasi spupazzato, contro il suo petto, ma avvertì lo stesso una goccia bagnata cadergli sulla testa. Solo una; una sola goccia di pioggia che cadeva dalla volta color ghiaccio sopra di lui. Non aveva però cuore per sentire il calore che quel gesto trasmetteva; come poteva riceverne da uno dei responsabili? “Scusami”, si sentì dire. Non bastava solo quello però a far perdonare un assassinio. La presa di Mail era ancora solo sulla spalla, dal suo lato l'abbraccio era freddo, gelido. “Non sono qui per scelta”, gli aveva detto, “La mia famiglia vuole che faccia qualcosa per il Reich. L'unica cosa che vorrei davvero fare è farlo a pezzi”. Nemmeno quella confessione, stranamente senza uso di intercalari, ebbe la forza di fare sciogliere l'apatia di difesa nel quale era caduto il ragazzo, come fosse stato da sempre sull'orlo di un baratro e ora vi fosse caduto davvero. Era sopravvissuto per quattro giorni solo per sentirsi dire che poteva morire, nessuno avrebbe pianto per lui. A risvegliarlo dallo stato catatonico nel quale avrebbe voluto restare per quel poco che gli restava fu il gesto più sconsiderato che mai potesse essere fatto: un bacio. Un caldo, casto, violento bacio. L'aveva tirato su per il colletto dello straccio che lo copriva e aveva gettato con foga le labbra sulle sue. Il cuore che prima aveva cessato il battito, aveva ripreso a pompare. Gli arti, divenuti inermi, avevano riottenuto vitalità. Gli occhi, che non vedevano altro che nebbia, erano chiusi, serrati, per assaporare ogni attimo di quel gesto che sarebbe stata la loro condanna a morte. Come se rinato, fu lui a prendere il controllo di quel contatto che diventava sempre più profondo e se ne stupì quando l'altro glielo lasciò fare. Il sole era calato all'orizzonte, ma era come se fosse sorto in una sola persona per loro due. Al ricordo di questo, Mail scrolla le spalle e riprende a concentrarsi nel lavoro; non può sorridere tutto il giorno come una ragazzina innamorata, soprattutto non può pensare a lui senza doverlo associare al più testardo tra i tedeschi, già testoni di loro. Non ha idea di cosa prima lo faccia morire: la colla o lui. In ogni caso sa di avere il destino segnato, attende solo il momento per saperlo e sa che non è lontano, tuttavia perché non godere della gioia effimera di cui due idioti vittima dei due più grandi mali del mondo possono avere. Sta ancora sorridendo e se ne rende conto. Se ne rende conto però anche una guardia ucraina che lo tira giù dalla panca su cui è seduto facendolo sbattere sul pavimento lurido.

-Tu, non stai lavorando!- gli urla contro e gli assesta un calcio potente all'addome. A Mail manca immediatamente l'aria; annaspa cercando di recuperare il respiro, ma un nuovo calcio più in alto glielo impedisce. Il pesante stivale dell'uomo si infrange di nuovo sul suo corpo indebolito e ne colpisce la schiena ai reni, il volto più volte; usa anche il calcio della carabina che porta alla spalla. Con quei pochi movimenti che Mail riesce a fare per ripararsi vede la follia omicida in quegli occhi giallognoli. Un nuovo calcio gli fa saltare via un dente, annaspa di nuovo, si sente come le formiche da piccolo si divertiva a torturare. Gli altri attorno a lui non lo aiutano, non lo guardano nemmeno. Ha imparato che deve essere così per sopravvivere, ma fa male. Fatica a sorreggersi, scivola sul suo stesso sangue schizzato a terra e l'altro continua a percuoterlo con sempre più foga. Non ha ancora perso conoscenza e se ne domanda il perché. Soffre, vuole finire quel supplizio. Se la fortuna lo ha abbandonato in quel momento però non c'è altro da fare che attendere. Ma non è finita per lui. D'un tratto entra una SS e senza scomporsi richiama l'ucraino per un altro lavoro; è immediata l'esecuzione dell'ordine. Mail ora è terra, privo di forze, ma vivo. Respira a fatica, gli duole ovunque; tenta di rialzarsi, ma si accascia nell'immediato sputando sangue. Deve avere qualche costola rotta. C'è un'altra guardia che lo osserva poco distante: sta sicuro valutando se portarlo a morire o no. Ma lui non vuole morire. Non ora che ha trovato qualcosa di nuovo per cui vivere. Nasconde lo sforzo sovrumano con cui si solleva in piedi barcollante, morde a sangue il labbro per non mostrare segni di cedimento e si risiede al suo posto riprendendo il lavoro. Si asciuga in fretta  parte del sangue che continua a sgorgargli dalle ferite sul volto e comincia di nuovo. La colla brucia ancora di più sui tagli, vede il sangue già annerirsi come imputridito per reazione con gli agenti che contiene il composto, ma non cessa di incollare suola e scarpa, suola e scarpa. Basta un solo segno di cedimento e verrebbe spedito in infermeria e lì non ci vuole andare. È finta, lo sanno tutti molto bene: chi finisce lì, finisce ai forni. Raccoglie dell'altro sangue sulla manica della camicia che è più  lorda di prima. Cosa stava dicendo sul verbo avere?

 

Cammina a fatica alla fine del turno. Quando le guardie li hanno lasciati liberi di mangiare, solo Henryk gli ha teso una pezza bagnata per pulirsi, ma nulla di più. È anche troppo quel gesto tenendo conto che non sa nemmeno dove abbia raccattato quello straccio pulito inumidito con disinfettante. Se lo passa sul volto, non percepisce neanche il bruciore sulle ferite da quanto male prova nel resto del corpo. Non pranza neppure, ha perso l'occasione: la zuppa è finita nel frattempo che lui si è ripulito. Va immediatamente al suo prossimo incarico ignorando il fisico che lo implora di fermarsi.

Bussa come al solito alla porta e semplicemente gli viene ordinato di entrare; zoppica dentro e chiude a chiave l'uscio. Mihael non è al suo solito posto in ufficio, sente l'acqua scorrere dal bagno poco distante.

-Vieni.- lo chiama la sua voce in tono suadente, Mail non recepisce subito il messaggio implicito, anzi, controvoglia, avanza verso di lui e si rende conto solo in quel momento di non aver una scarpa. Mihael pare accorgersi che qualcosa non va, infatti esce dal bagno avvolto nel solo asciugamano e sgrana gli occhi a vederlo. 

-Sono ridotto così male?- domanda Mail con un sorriso, smorfia sdentata che gli procura solo dolore.

-Che cazzo ti è capitato?- replica l'altro e recupera la camicia dall'attaccapanni, se la rimette veloce addosso e lo afferra per un polso per avvicinarlo.

-Ahia! Fai piano, dannazione!- 

Mihael ritira la mano quasi spaventato e usa modi più delicati di farlo accomodare sulla sua sedia. Osserva attentamente le ferite che il compagno mostra sulle parti esposte del corpo; le mani annerite e insudiciate coperte di sangue, il volto macchiato da ematomi, il labbro spaccato... Mail è convinto di vederlo rabbrividire quando gli sfiora il naso rotto; come poi folgorato da un pensiero gli apre la camicia fulmineo e impallidisce a vedere il corpo costellato di lividi.

-Chi cazzo ti ha ridotto così?- sibila, ha ancora gli occhi allibiti puntati sul suo torace.

-Non è nulla. Sono solo...-

-Non provare a dire che sei caduto! Non sono deficiente, idiota!- 

Il suo tono di voce è più alto di almeno un ottava; è rabbioso, lo nota bene Mail dai suoi occhi ghiacciati che ha imparato a conoscere e ad amare in così breve tempo.

-È colpa mia. Mi ero distratto al lavoro.-

-E c'è bisogno di ridurti così?!-

“Sì” risponde mentalmente Mail. È ovvio che sia così. Non è in villeggiatura, sta cercando di vivere in un posto dove la vita pare un privilegio ed è un bene che sia capitata una cosa del genere: si stava abituando troppo a rifugiarsi nella sua mente; era troppo convinto che la vita fosse quella piccola baracca dove, silenziosamente, due persone diverse come l'acqua e il fuoco avevano il loro connubio e ignoravano, sfidavano, le leggi che li condannavano come mostri.

-Chi?-

-Una delle guardie, non ho idea del nome...-

-Dimmi chi cazzo è stato! Gli farò ingoiare la carabina!-

-Mihael, calmati! Anche se ti indicassi chi è stato cambierebbe qualcosa? Andrai là a frustarlo davanti a tutti per cosa? Per aver dato una lezione ad un ebreo? Ti sfido a farlo.-

Mail sa di aver ragione e infatti vede l'altro ammutolirsi per qualche attimo. Forse si è meritato, in fondo, di finire in quel campo, si è finto ebreo per entrarci, ma ci sarebbe finito lo stesso se avessero scoperto il suo orientamento; anzi, no, non ci sarebbe finito: nemmeno lui lo avrebbe scoperto se non avesse incontrato il tedesco biondo che ora lo sta fissando negli occhi. 

-Spogliati.- gli ordina dopo un po'.

-Mihael, non mi sembra il caso di far...-

-Spogliati che vediamo di fasciarti le ferite. Se si infettano, sei spacciato. Non pensare sempre male, pervertito.-

-Io sarei il pervertito?- domanda Mail mentre, ridacchiando, si lascia portare in bagno. Nota solo quando l'altro comincia a passargli l'acqua fredda sui lividi che oltre alla camicia non indossa nulla a coprirlo.

-Non puoi metterti un paio di pantaloni?-

-Hai qualche problema, idiota?-

-No, solo che...-

-Lo vedi che sei tu il pervertito?-

Mail non può fare a meno di ridere, ma si interrompe per il volto che gli duole. Mihael gli passa la spugna sulla guancia ripulendolo dal sangue e dalla sporcizia.

-Quei bastardi nazisti...- sussurra con rabbia.

-Ti ricordo che anche tu ne fai parte. Dovrei odiarti, specialmente dopo stamattina.-

-Dovresti farlo, sì, ma chi ti leccherebbe le ferite se non ci fossi io?-

-Non stai leccando.-

Il tedesco alza il sopracciglio scettico -Vuoi che lo faccia?-

-No, no, scherzo.- sorride e si accorge che l'altro è rimasto con la spugna a mezz'aria, perso a fissarlo.

-Che c'è?- gli domanda in tono dolce.

Mihael risponde in tono malinconico -Mi chiedo solo come fai a sorridere ancora.-

-È proprio brutto vedermi sdentato?-

-Idiota! Non intendevo questo!-

 

Il pomeriggio passa rapido. Per non perdere tempo, il biondo insiste affinché, mentre gli fa le spugnature con il disinfettante, ripassino i verbi in polacco. È un ovvio disastro. Mail che trattenendo a stento le lacrime lo corregge tra i gemiti di dolore e Mihael che, arrabbiato per non riuscire, lo cura in modo sempre più violento. Il sole è già calato quando Mail ritiene di dover far ritorno alla baracca; lo hanno già beccato una volta fuori oltre il coprifuoco e lo hanno minacciato, dopo il trattamento di quella mattina non ci tiene a subirne ancora. Si riveste e mentre lo fa carezza il torace, le mani, il viso fasciato; è di spalle, l'altro non lo vede, ma sorride al pensiero di quella gentilezza solo per lui. Sorride anche quando, prima di aprire la porta, il biondo gli si attacca delicatamente al braccio. 

-Puoi restare, per stanotte.- gli concede.

-No, lo sai.-

Gli posa un bacio sulla fronte e gira la chiave.

-Ehi, non sono un bambino!-

Un fugace bacio a fior di labbra e tutto quello che si concedono prima che Mail noti l'ora tarda e scappi via, con una scarpa sì e una no, al dormitorio. Fa male ancora tutto il corpo, ma il dolore è ben compensato da altro. Fino ad allora non aveva mai creduto possibile che un uomo potesse essere davvero felice pur sapendo di dover morire.

Veloce, raggiunge gli altri suoi compagni per la cena e per fortuna ne trova ancora di zuppa riempiendosi la gavetta quanto più possibile. Non si cura troppo degli sguardi stralunati attorno a lui che lo vedono come un fantasma; a fargli notare la stranezza è il suo amico Henryk.

-Sei ancora vivo?- gli domanda come fosse impensabile.

-Certo.-

-Ti sei presentato dai crucchi conciato come stamattina e sei vivo. Non noti che qualcosa non va?-

-In che senso?-

-Sei rotto. Ti avrebbero dovuto buttare via.-

Sorride lieve mentre ripensa a ciò che dovrebbe essere e ciò che invece è: la realtà nascosta è diversa da quella che tutti credono.

-Non dirmi che vai ancora da quel tedesco!-

Stranamente Henryk pare conoscerlo troppo bene per essersi parlati poche volte ed è un male; non riesce a nascondere nulla a uno che gli ricorda la sua famiglia. Non risponde, ma per l'altro è come se fosse stata un'affermazione.

-Devi smetterla! Stai tirando troppo la corda! Lui è magnanimo, ma non vuol dire che non possa decidere della tua vita. È un tedesco bastardo come tutti gli altri!-

-Non è vero!- risponde con durezza, ma dallo sguardo dell'altro sa di avere esagerato e se ne pente.

-Ce qualcosa che dovrei sapere?-

-Nulla.-

-Tu non vai solo là per lavorare, vero? Sei suo amico? Oppure…-

Negare. Negare fino alla morte, è ciò che deve fare. Non può compromettere Mihael più di quanto abbia già fatto. 

-Che dici! È solo per sopravvivere. Lo hai detto tu. O così o il camino.-

Taglia corto, troppo corto perché la conversazione decada sul serio e si ritira nella sua cuccetta di legno umida al terzo piano. Si addormenta in fretta, nonostante sia davvero scomodo stare stesi su duri tavolacci di legno con le costole rotte. Prima di chiudere gli occhi pensa alla conversazione di poco prima con Henryk; non crede che lo vada a dire alle SS, in fondo anche lui è stato salvato più volte da Mihael, al massimo non gli parlerà più come prima. Esausto, si addormenta, sentendo la pioggia ticchettare sul legno accanto al suo.

  
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