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Autore: Francine    11/03/2017    3 recensioni
Spagna, Febbraio 1979.
In un paese che si sta risvegliando dalla dittatura franchista, un giovane Shura si rifugia alle pendici dei Pirenei - lì dove è diventato Santo di Athena e dove inizia il Cammino di Santiago - per ritrovare se stesso e placare la mente dagli incubi e dai dubbi che lo tormentano dalla Notte degli Inganni.
Ma esiste davvero un angolo di pace per colui che ospita Excalibur nel proprio braccio?
Pre Episode G
Prima pubblicazione: 12.01.2006
Versione riveduta e corretta.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scripta Manent'
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Teruel
 

 
In Spagna, i morti sono più vivi che i morti di qualsiasi altro paese del mondo.
Federico García Lorca
 
 




Hernán Lorca Cuarón e Gregorio Romera Navarro si fissano, seduti l’uno di rimpetto all’altro, mentre il treno parte dalla stazione di El Portillo in direzione di Teruel.
Solo due giorni prima se ne stavano al caldo, a curare i giardini che costeggiano il Viale della Civetta, quello che attraversa tutto il Santuario da nord a sud, congiungendo il retrobottega di Agathê all'Arena dei tornei. L'alloro che delinea il viale in composte siepi quadrate è cresciuto oltre misura e Gerasimos, il giardiniere ufficiale del Santuario, ha chiesto loro una mano nel lavoro di potatura. Tuttavia, prima ancora che Gerasimos inserisse i loro nomi nella lista, l'Ufficio per le Relazioni ha diramato una convocazione ufficiale per quei due latini che avevano tentato di diventare Saint una buona dozzina di anni addietro. E così Hernán, nato a Ibiza, e Gregorio, originario della sterminata Pampa argentina, hanno fatto armi e bagagli e sono volati alla volta dei Pirenei, sulle tracce del venerabile Shura di Capricornus. Sapevano che fosse giovane, sapevano che fosse un tipo taciturno, ma l'incontro è stato ugualmente lontano da ogni loro aspettativa.
E questo spaventapasseri sarebbe un Santo d’Oro?, si è chiesto Hernán, un po’ deluso, non appena Ruy è apparso in casa di don Antso, la giacca indossata distrattamente e la sciarpa gettata di malavoglia sul collo magro. Un ragazzino di sedici anni, ad essere di manica larga, capelli corti e ribelli, sguardo tagliente e modi silenziosi. Li ha ascoltati piazzando i suoi occhi – affilati come quelli delle aquile – su di loro, limitandosi a dei cenni del capo ogni tanto per far capire che aveva compreso il messaggio del Gran Sacerdote. E poi ha detto «Andiamo.», con una solennità nello sguardo che ha fatto tremare i polsi dei due uomini.
Il paesaggio dell'Aragona scorre monotono e brullo attraverso il finestrino. Man mano che il treno lascia Saragozza sembra di dirigersi verso una terra sempre più disabitata e riarsa, almeno d'estate. Stiamo andando verso la terra del diavolo, si dice il povero Hernán, abituato a passare in maniche corte buona parte dell'anno. Si stringe nel cappotto verde bottiglia. E poi osserva il riflesso del venerabile Shura sul vetro sporco del finestrino. Rodrigo, come lo chiamano tutti al villaggio, è sprofondato contro lo schienale del sedile, le mani intrecciate in grembo, lo sguardo a rincorrere il dettagliato dossier che Hernán e Gregorio gli hanno consegnato. E il treno prosegue la sua corsa a passo di lumaca verso Teruel e verso la Cappella degli Amanti.


Tutti gli abitanti di Teruel sono assiepati per metà all'imbocco del Viadotto che collega il borgo medievale alla città nuova, mentre l'altra metà è raggruppata oltre le transenne che delimitano Plaza Mercedes, gli occhi fissi all'acquedotto che punta verso Tarragona. Le torri mudejar, che svettano sul colle dove si concentra la città vecchia, contribuiscono a dare al paesaggio, delimitato da esigue parti di mura di cinta, un aspetto lunare e onirico. Una città fantasma. E cosa c'è di più desolato di una città fantasma posta sulla sommità di una valle al centro di una terra deserta?
Un paesaggio da incubo, di quelli che infiammavano Dalì e che scorrevano nelle liriche disperate di Federico García Lorca.
Shura si fa largo tra la folla, assiepata e tenuta indietro dalla camicie verdi della Guardia Civil, protetto da una cappa color terra bagnata che lo riveste da capo a piedi, lasciando scoperto solo il viso. Gli è sufficiente mostrare il documento rilasciato dal Santuario che Hernán custodisce gelosamente nello zaino, perché gli consentano di attraversare il Viadotto.
«È solo un ragazzino! Cosa può fare?», borbotta qualcuno alle sue spalle, mentre lui avanza e supera le transenne.
Sciocchezze!, pensa osservando una città onirica stagliarsi contro un cielo grigio che promette neve. L'alito si condensa in leggero vapore mentre lascia vagare lo sguardo alla ricerca del suo obbiettivo. La Cappella degli Amanti è ben visibile dal Viadotto, leggermente spostata sulla destra, a segnalare la contigua chiesa di San Pedro.
Che si siano rintanati lì dentro?, si chiede avanzando lungo Calle San Andreas sotto l'eco dei suoi stessi passi. 


Tap, tap, tap.


Né un cane, né un gatto per le strade della città vecchia. E questo non gli piace.
Tuttavia, nessun edificio sembra essere stato intaccato, almeno recentemente. All'incrocio con Calle Abadia, il Mausoleo. Che invece di avere il tetto imbiancato di neve e il marciapiede di pietra velato da un sottile strato di ghiaccio, è avviluppato in un intrico di rovi rigogliosi su cui fanno bella mostra di sé dei teneri boccioli di rosa. Rossi come il sangue.
Chiude gli occhi e si concentra: sì, nel Mausoleo c'è qualcuno, ma non sembra avere intenzioni ostili. Vuole solo essere lasciato in pace, ma, per come si sono messe le cose, Shura dubita che potrà esaudire questa richiesta.
Fissa la porta d'accesso alla cappella, leggermente aperta dagli arbusti che si sono insinuati all'interno dell'edificio. Sembra, a detta di Hernán – Gregorio parla poco e si liscia sempre la barba folta – che tre giorni prima, due fidanzati prossimi alle nozze, Isabel Rodriguez Pereira e Juan Diego Peñareal Mendoza, si siano recati al Mausoleo degli Amanti per pregare davanti alle tombe dei due sfortunati ed avere la benedizione di quegli infelici che portavano i loro stessi nomi. Come se un Romeo e una Giulietta dei nostri giorni si recassero in pellegrinaggio sotto al balcone di Verona.
Non riesce a vederci nient'altro che del macabro in tutto ciò, ma non si fa domande e prosegue a ricordare le informazioni presenti nel rapporto che ha ricevuto.
Mentre i due fidanzati erano in raccoglimento davanti ai corpi di don Diego e donna Isabel, le due salme – e ricorda di essere rabbrividito arrivato a quel punto – hanno improvvisamente preso vita, scoperchiando le bare, alzandosi e protendendosi verso i due.
Data l'ora, fuori tempo massimo per le visite, nella Cappella erano presenti solo i due fidanzati e l'aiutante di don Ramiro, don Jaime, che li aveva fatti entrare di straforo. Quando le rose fresche, che i ragazzi avevano donato agli Amanti, hanno iniziato ad attorcigliarsi ai polsi di Isabel, don Jaime è stato sbalzato fuori dalla Cappella dal semplice movimento del dito della salma dello sfortunato don Diego.
«…e le porte si sono chiuse imprigionando i due fidanzati dentro al Mausoleo», sussurra Shura fissando il doppio battente di bronzo rinforzato.
L'unico che ne sa qualcosa sulla morte è Death Mask, mentre l'esperto di fiori è Aphrodite di Pisces.
Intuisce che i due Amanti della Leggenda si siano rianimati, ma non azzarda ad indovinare la sorte dei due ragazzi. 
Poveretti, gli viene da pensare.
Ha provato ad immaginare la scena man mano che leggeva il rapporto. Lei, con i capelli lisci e scuri, la gonna lunga e gli occhi neri. Lui, più alto, pizzetto e camicia sportiva. Sono arrivati con il treno, sono scesi alla stazione e si sono incamminati per la Scalinata. Magari hanno anche scattato delle fotografie con il panorama brullo sullo sfondo. Sono arrivati fuori tempo massimo. Don Jaime si sarà mosso a pietà e li avrà accompagnati per una visita lampo. E poi…


E ora?, si chiede Ruy fissando la costruzione. Gli ordini del Santuario sono chiari: riportare l'ordine in città. La Guardia Civil ha provato di tutto per rompere i rovi che si sono avviluppati attorno al Mausoleo e che minacciano di inglobare gli edifici circostanti. Fuoco, seghe elettriche, acido, diserbante. Niente di tutto questo è riuscito a debellare la pianta maligna che, anzi, come veniva intaccata, sembrava gemere e respingeva con furia e sdegno gli assalitori.
Un soldato giace in un letto d'ospedale con tre costole rotte in seguito all'impatto con il muro della vicina chiesa di San Pedro: un ramo, più grosso degli altri, lo ha sollevato e sbattuto con violenza contro i mattoni ocra fino a quando non l'ha lasciato cadere a terra mezzo morto.
Sono senzienti, recita una nota del Santuario, ma Shura non è riuscito a capire fino a che punto. L'ufficiale della Guardia Civil ha tenuto lontani i cittadini e ha evacuato la zona del Centro Storico, come da ordini di re Juan Carlos in persona, ma non gli ha saputo dire altro, quel pupazzo in grigio-verde, tutto fiero delle sue mostrine.
Pazienza, mi arrangerò, pensa girando attorno all'edificio con circospezione. Si sente osservato, ma non riesce a credere che sia la pianta a tenere d'occhio le sue mosse. 
Non può essere! Gli arbusti, con le spine che brillano di luce sinistra sotto il cielo grigio, sembrano sempre orientati secondo i suoi passi. Non devo lasciarmi suggestionare! Anche le rose di Aphrodite sembrano vive, eppure sono statiche come tutte le rose!
«Ehi, signore!»
Adesso parlano?, si chiede sbattendo gli occhi perplesso.
«Sono qui!»
È una voce umana quella che lo sta chiamando. Alle sue spalle. In alto. 
Leggermente spostato sulla sinistra. Eccolo! È un bambino, sette anni al massimo, che lo sta osservando da una finestra al terzo piano di un palazzo che si affaccia sul Calle immediatamente alle spalle del Mausoleo. Riesce a vedergli bene solo la parte superiore del viso, il collo tirato come se lo stesse osservando in punta di piedi.
«Che fai lì? Perché non sei con gli altri?» gli chiede tornando a guardare la pianta.
«Mia nonna e mia sorella sono ammalate», gli risponde il ragazzino. «Tu chi sei? E che fai qui? Attento, ché quel coso è pericoloso!»


Vorrebbe rispondergli che è venuto a salvarli, ma la pianta non gliene dà il tempo: un ramo schizza nella sua direzione e s'incastra alle sue spalle. Il bambino lancia un urlo vedendo la cappa scura sventolare appesa al muro sotto la sua finestra, come se qualcuno l’avesse stesa ad asciugare. È solo un attimo: una figura dorata atterra sul ramo vivente, un braccio piegato a difendere il viso come fosse una spada affilata.
«Sei vivo!?», trilla il ragazzino tutto eccitato, puntellandosi con i gomiti per vedere meglio lo straniero rivestito d'oro.
«Ragazzino!», gli intima Shura tenendo d'occhio il ramo. «Chiudi le imposte non appena sarò passato. Chiaro?»
«Sì!», risponde il ragazzino entusiasta.
Il Capricorno spicca un salto, rimbalzando a destra e a manca sui muri dei palazzi che si affacciano su quel tratto di Calle Bartolomé Esteban, mentre la sacra lama di Excalibur si abbatte di taglio sul roseto quiescente.
Shura piega le caviglie sullo stabile preda dei rovi e balza in direzione dell'unica finestra non sprangata di tutta la città vecchia. Atterra su un pavimento piastrellato ad esagoni rossi e neri, tra polvere e colpi di tosse grassa.
«Che stai aspettando? Chiudi quelle imposte!», grida al ragazzino che è rimasto a fissarlo a bocca spalancata in piedi su di una cassetta di plastica rovesciata, di quelle che si usano per contenere le bottiglie. Il piccolo sembra riaversi, ma quando fa per voltarsi ed eseguire il comando, il ramo entra dalla finestra e gli sfiora le tempie, facendolo cadere a terra. Non è lui l'obbiettivo, ma il polso destro del Capricorno. 
«Sta giù!», urla il guerriero, mentre Excalibur si sfoga contro il ramo, riducendolo in tanti piccoli segmenti che avvizziscono a contatto con il pavimento. Il rovo si ritira spargendo schizzi di clorofilla come se fosse un maiale sgozzato e Ruy scatta a chiudere le imposte sotto gli occhi increduli del piccolo.
«Quel… quel pezzo!», mormora il ragazzino indietreggiando sul sedere mentre indica allo straniero che gli è atterrato in casa, e che sta serrando le imposte, un troncone più robusto degli altri che si sta agitando sul pavimento come se fosse la coda di una lucertola staccata di fresco.
Shura prende il pezzo di ramo e lo getta nella stufa a legna che sonnecchia in fondo alla stanza, avendo cura di chiudere lo sportellino d'acciaio. Il fuoco crepita e scoppietta come se il moncone si stesse lamentando, come se fossero i gemiti di una persona arsa viva. Un minuto scarso, poi tutto tace. Ruy riprende a respirare e si volta verso il giovane ospite, trovandolo seduto sul pavimento, le gambe addormentate davanti a lui.
«Scusami per l'intrusione», gli dice mentre si avvicina per sincerarsi della salute di quel monello. «Tutto bene?»
Lo vede annuire mentre continua a fissarlo con gli occhi sgranati e bocca spalancata. Otto anni a voler essere generosi, capelli ricci addormentati su una testa grande, occhi nerissimi sotto due sopracciglia folte, camicia a scacchi bianchi e neri che sporge da un pullover a rombi bordeaux e bianchi, pantaloni di velluto a costine sabbia e calzini spaiati ai piedi, uno rosso e l'altro a righe verdi e nere. 
S'è vestito al buio?, si chiede tra sé e sé: forse lo stato di completa anarchia in cui versa la casa può essere una giustificazione per quell'abbigliamento da clown.
«Come ti chiami?», gli domanda sedendosi sui talloni.
«Cri… Cristobal…», risponde il clown deglutendo per poter parlare. «E tu?»
«Puoi chiamarmi Ruy», replica togliendosi il diadema. «Ti va di raccontarmi che è successo?»


Ha approfittato della ritirata del nemico per capirci qualcosa. Mentre il ragazzino è sceso in cantina a prendere altra legna da mettere nella stufa, Shura si è avvicinato all'imposta e attraverso le fessure del legno ha spiato i movimenti del roseto, che si è ritirato dentro il Mausoleo. Detesta gli imprevisti, specie dopo aver letto ventidue pagine dettagliate di resoconto.
«Cerchiamo di non svegliare Monserrat e la nonna», gli ha ripetuto Cristobal fino allo sfinimento, dimenticando di tenere bassa la voce mentre gli raccontava la sua versione su quando sta accadendo in città.
Le cose non sono andate esattamente come ha riferito la Guardia Civil.
Tanto per cambiare.
Isabel e Diego si sono fermati a Teruel perché la lancetta del radiatore non segnalava il riscaldamento dell'acqua. Così la fiammante automobile di Diego è sbottata in una nuvola di vapore alla periferia sud della città. Hanno lasciato la vettura alle costose cure di Pepe, il meccanico che staziona nella prima strada a destra come si entra in città, e si sono avventurati per il borgo vecchio maledicendo ogni ciottolo che calpestavano ed incontravano sul loro cammino.
Si sono fermati a mangiare proprio nel ristorante sotto casa di Cristobal, lo stesso dove lavora di tanto in tanto sua sorella, e dove serve ai tavoli il suo fidanzato, Luis, amico fraterno di Pepe. Rifocillati – e spennati a dovere – i due, nel loro tamburellante accento di Madrid, hanno chiesto quali fossero le attrazioni in quel posto arroccato sul cucuzzolo di un colle al centro di una valle provata dal freddo d'inverno e dalla siccità d'estate.
«Beh, potreste visitare la Cappella degli Amanti!», ha proposto loro Luis prima di andare a chiamare Cristobal perché li accompagnasse proprio in fondo alla strada e mettesse una buona parola con don Ramiro. «Cristobal! Posa la palla e accompagna i signori al mausoleo!», gli aveva gridato prima che quei due antipatici uscissero dal ristorante e lo squadrassero da sotto in su.
Don Ramiro non c'era e don Jaime, sempre estremamente gentile – «anche con chi non se lo merita», come afferma a più riprese Cristobal – li ha fatti entrare mentre lui se ne tornava a casa chiamato dalla nonna alla finestra.
Ricorda solo che è salito in casa, si è lavato le mani e si è messo a tavola assieme alla nonna, perché sua sorella era a letto con la febbre dal giorno prima, e poi ha sentito solo un gran botto e tanta calca per la strada.
Vedere non ha visto niente: la nonna lo ha allontanato dalla finestra e ha chiuso le imposte mentre si segnava e invocava il nome della Madonna. Dopo dieci minuti, il silenzio. 
Il giorno dopo i pompieri si sono messi al lavoro, sotto lo sguardo attento e vigile della Guardia Civil, per sradicare le rose attorno all'isolato che comprende la chiesa, il Mausoleo, il ristorante ed un paio di palazzine a tre piani.
Il giorno successivo ancora, vista l'impossibilità di riportare all’ordine il Borgo Vecchio, la Guardia Civil è passata per le strade costringendo gli abitanti ad abbandonare le case per un paio di giorni. Cristobal ha fatto orecchie da mercante, con la sorella e la nonna allettate e febbricitanti, e i gendarmi sono andati oltre.
«E questo è quanto», termina il ragazzino posando due scodelle spaiate sull'unica tovaglia pulita.
Cristobal vive da solo con sua nonna Ines e sua sorella Montserrat, di ventidue anni. Suo padre lavora in un ufficio comunale a Saragozza e torna a casa solo il venerdì sera, per ripartire la domenica dopo le sei di pomeriggio. In settembre sua sorella dovrebbe sposare Luis, l'eroico fidanzato che se l'è data a gambe levate – senza passare a vedere se stavano bene, «o anche solo a salutare!», rincara la dose Cristobal armeggiando con una scatoletta di fagioli in scatola, mentre Ruy non ha perso d'occhio il Mausoleo.
«Cristobal…», chiama una voce di carta frusciante da un'altra stanza.
«S’è svegliata. Arrivo, nonna», risponde il bambino trotterellando fuori dalla cucina.
Ruy ne approfitta per prendere una sedia ed accomodarsi alla finestra, tra il clang dell'armatura: le giunture della gamba sinistra sono da far stringere e deve passare la cera lucidante e la polvere di orikalkos sui bracciali. Cristobal rientra poco dopo, prendendolo per mano e dicendogli: «La nonna ti vuole conoscere.».


Lo segue docilmente, pregando che il roseto non decida di attaccare proprio in quel momento, e passa lungo un corridoio buio su cui si affacciano ritratti e fotografie di visi curiosi che sembrano non perdersi ogni suo passo. Cristobal lo fa entrare nella stanza dove nonna Ines lo aspetta sotto una spessa coltre di coperte e copertine ammonticchiate su una donna infagottata in un pigiama pesante, sotto una mantella di lana nera lavorata ai ferri e una cuffia che non trattiene alcuni ciuffi ribelli color argento.
Sembra la nonna della favole, quella di Cappuccetto Rosso che dorme tutto il giorno nella casetta nel cuore del bosco, pensa Ruy avvicinandosi al letto in ferro battuto sotto lo sguardo azzurro di nonna Ines.
«Saresti tu lo straniero che ha salvato mio nipote?»
Annuisce, mentre Cristobal gli avvicina una sedia robusta e Ines lo scruta a lungo, come se volesse leggere l'anima dell'ombra che vede davanti a sé. «Dimmi, sei forse uno di quei Santi? Quelli delle leggende?»
«Ma signora, lei come…?», domanda perplesso: com'è possibile che questa donna sia a conoscenza del Santuario, luogo segretissimo ai comuni mortali?
«Eh, eh, eh…», ridacchia la vecchina con la sua vocina sottile mostrando due candide fila di denti che annoverano un paio di defezioni. «Mia nonna mi raccontava la leggenda dei Santi per farmi addormentare la sera. La nostra Spagna è sempre stata benedetta dalla presenza di validi eroi, primo fra tutti quello che abitava a Nord, sui Pirenei, la cui spada non sbagliava mai.»
Ruy sussulta dentro di sé, sforzandosi di restare impassibile. La cui spada non sbagliava mai.
«E io che pensavo che fossero delle fiabe, delle fole per passare le sere di neve, come la storia di Santiago Matamoros che da solo sgominava orde intere di mussulmani, lui, uno dei dodici Apostoli di Nostro Signore! Mia nonna aveva ragione, è tutto vero, che bellezza!», prosegue la donna adagiandosi sulla torre di guanciali alle sue spalle. «Dimmi, ragazzo… come ti chiami? Dal tuo accento sembra che tu provenga da Nord.»
«Il mio nome celeste è Shura di Capricornus, signora. Ma voi potete chiamarmi Rodrigo.»
«In buon'ora cingeste la vostra spada…»
«Voi mi onorate signora. Tuttavia…», e racconta alla donna per sommi capi cos'è successo in città durante l'ultima settimana.
«Madre santissima!», commenta Ines segnandosi man mano che il Santo prosegue il racconto. «Gli Amanti si sono dunque risvegliati? Vergine santa, proteggici tu!»


Gli Amanti si sono risvegliati?! Lo ha detto come se fosse una possibilità, per quanto remota; una di quelle affidate alle leggende, il colpo di coda.  
«Donna Ines dovete abbandonare la vostra casa al più presto. Non so che cosa potrebbe accadere se il rovo decidesse di menar fendenti fino a quando non avesse distrutto tutti i palazzi e le torri di Teruel.»
«È davvero così pericoloso?», gli chiede Cristobal, il quale non si è perso una sola parola dell’intero racconto.
«Fila a vedere come sta tua sorella, piuttosto!», e Ines lo spedisce fuori della stanza tra i borbottii del ragazzino.
«Donna Ines, sono serio. Dovete andarvene», riprende Ruy con fare deciso. «E al più presto.»
«E come? Io sono debole, non riesco ad alzarmi. E mia nipote ha la febbre alta. Possiamo solo aspettare e avere fiducia in te. Adesso che tu sei qui, non abbiamo nulla da temere…», e la vecchina scivola nel sonno.
Ruy scuote la testa e abbandona di gran carriera la stanza. Lasciarli lì? Sciocchezze! È semplicemente folle!
Se la ragazza è in grado di camminare, li porterò oltre il ponte e mi darò alla pazza gioia con quella pianta troppo cresciuta. Non posso mettere a repentaglio le vite dei civili, non me lo perdonerei mai!
Sorpassa le fotografie degli avi che lo fissano appesi alle pareti buie del corridoio e rientra in cucina dove l'attende uno sconsolato Cristobal, le braccia incrociate sotto il mento.
«Tua sorella?»
«Ha il viso pieno di macchie rosse…», risponde a mezza bocca scalciando i piedi in aria.
«Rosse?», domanda Ruy. «Di che forma sono?»
«Piccolissime. E la febbre non scende.»
«Cazzo! Cazzo! Cazzo!», impreca Ruy ricordando che solo due anni prima tutta Orreaga è stata flagellata da un'epidemia di scarlattina. «Devo fare una telefonata!», e Cristobal lo accompagna in corridoio dove riposa un vecchio telefono a disco in bachelite grigia rivestito di stoffa a fiorellini gialli, sotto la faccia schifata di zia Erminia.
Com'è il numero…? Ah, sì…, e fa girare il disco nella speranza che Lupe sia in canonica. «Lupe?», esclama quando la donna risponde.
«Lupacchiotto, sei tu? Come stai?»
«Stammi bene a sentire…», e le descrive per filo e per segno le condizioni in cui versa Montserrat.
«Eh sì, è proprio scarlattina…», sentenzia la donna. «Hai chiamato un medico? Tienila al caldo e falle scendere la febbre, capito? E… Ruy?»
«Sì?»
«Torna presto!»
Sorride. «D'accordo. Risolvo questa grana e torno.»
Riaggancia e chiede a Cristobal di cercargli il numero del medico.
«Se ne sarà andato anche lui…», fa spallucce il ragazzino. E Ruy sa che ha ragione.
«Prendi l'elenco telefonico. Ne hai uno in casa, vero?»


È nervoso, nonostante la fredda calma che lo contraddistingue; ha una missione da compiere e Javier gli ha inculcato l'idea di risolvere al più presto gli incarichi. La Giustizia non va mai fatta attendere, è il motto preferito del suo maestro e lui lo segue alla lettera, o almeno ci prova, visto che questa missione si sta rivelando più rognosa del previsto. Gli imprevisti non sono mai positivi. Mai.
Cristobal gli porge una vecchia rubrica con dei cavalieri dorati; alla O di ospedale trova mezza dozzina di numeri. Decide di chiamare la Guardia Medica, compone il numero e prega che qualcuno risponda dall'altro capo. 
Clac, trr, clac, trr, clac, trr… e finalmente sente una voce con cui parlare: «Guardia medica, prego?».
«Buongiorno, mi trovo in Calle Esteban e ho una ragazza con la febbre alta e il corpo ricoperto da macchie rosse. Che devo fare?»
La voce dall'altra parte gli dice di attendere e gli passa un medico al quale ricapitola al situazione.
«Sì,  potrebbe essere scarlattina», è la diagnosi che fanno dall'altra parte del cavo. Potrebbe? «Ti mando qualcuno. Dove sei?»
Ruy sogghigna. «Calle. Bartolomé. Estéban», risponde, scandendo l’indirizzo. «Alla Cappella degli Amanti»
E la voce dall’altra parte replica esattamente come si aspettava avrebbe fatto: «Ah. Ho capito. Non possiamo venire. Devi portarla da un medico. Subito. Va bene anche il posto di blocco all’entrata della città, ma tu sbrigati.».
«Non ci siamo capiti: ha un febbrone da cavallo!», protesta Ruy perplesso. Ma come, si chiede, ho sempre saputo che non si deve prendere freddo quando si ha la febbre alta per non peggiorare la situazione?
«Appunto per questo!», ribatte il medico. «Devo prescriverle delle medicine, ma non posso fare nulla se non la visito e se non vedo con questi occhi se si tratta effettivamente di scarlattina. E se ti fossi sbagliato e io le prescrivessi tutt'altro?»
Ruy appoggia la testa al muro coperto da una bizzarra carta da parati a fiori gialli su fondo verde bottiglia ed inizia a dare delle testate sempre più forti, mentre dall'altra parte si sente chiedere: «Pronto? Pronto? Ci sei ancora?».
«Dottore, quanto tempo ho per portarle la ragazza in ospedale?»
«Prima lo fai, meglio è. Io allerto il Pronto Soccorso, ma per amor del Cielo, spicciati!»
Attacca e si passa una mano sul viso; la pianta gli sta concedendo un po' troppo tempo per riorganizzarsi e tutto ciò è strano. Troppo strano. E troppo bello per essere vero. Per quel che ne sa, può sfondare le imposte da un momento all'altro e lui non ha tempo, maledizione, per giocare al dottore.
«Tua sorella è in condizioni di parlare?», chiede a Cristobal, che fa cenno di no con la testa. «Portami lo stesso da lei.»


Montserrat riposa due stanze più in là della foto di zia Erminia. Una cascata di boccoli neri si è impadronita del cuscino, candido contro la pelle olivastra di lei ricoperta da delle macchioline rosso scuro. Respira con la bocca, le labbra screpolate e spaccate da tanti tagli verticali. Quattro giorni fa stava preparando la cena quando si è sentita poco bene e si è messa a letto con un febbrone da cavallo. Non si è più alzata. Per quel che ne può sapere lui, potrebbe trattarsi del normale decorso della malattia, come potrebbe essere già troppo tardi. 
Montserrat dorme, gli occhi chiusi e le ciglia nerissime che proiettano un'ombra lunga sul viso. Deve portarla in ospedale, ma dai rumori che sente provenire da fuori, sa che il roseto non glielo permetterà.
Perfetto!, si dice mentre decide di prendere il toro per le corna. Priorità: abbattere il roseto, salvare i due fidanzati e portare Montserrat in ospedale.
Adesso Rodrigo sorride, perché sa cosa fare.
«Cristobal, io esco. Chiudi bene le finestre dietro di me.»


 
 

 









Note:  il quarto capitolo, a sorpresa, di sabato sera!

Teruel e il Mausoleo dei due Amanti esistono davvero. Anzi, Teruel è addirittura la capitale dell'omonima provincia, nella comunità autonoma dell'Aragona.
Il mausoleo è una Cappella annessa alla Chiesa di San Pedro. Qui si possono visitare le tombe in marmo dei due sfortunati amanti, le cui statue si tengono per la mano.

Mudejar, dall’arabo Mudajjan, che significa “reso domestico”. è un termine che si riferisce a quegli arabi cui fu consentito di rimanere in Spagna dopo la Reconquista (1492), e la conseguente conversione (forzata) al cattolicesimo. L’arte mudejar è quella arabeggiante che definisce Toledo, Siviglia e Saragozza.

La Guardia Civil, detta La Benemerita, è una forza di gendarmeria e polizia spagnola.

«Ya, Campeador, en buena çinxiestes espada!», Cantar de mio ÇidCantar PrimeroDestierro del Çid, 4, 41
   
 
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