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Autore: Warlock_Vampire    12/03/2017    2 recensioni
"Io, che ho conosciuto molto presto cosa fossero dolore e odio e che solo dopo molto tempo ho compreso l'amore; io, che ho imparato ad uccidere prima ancora di saper vivere; io, che ho vissuto per secoli nella profonda convinzione che ognuno può ottenere ciò che vuole, sempre e comunque, sacrificando tutto, se necessario; dopo così tanto ho davvero bisogno di mettere nero su bianco i fatti."
In queste memorie Katherine Pierce si racconta, dalla sua fragile umanità alla trasformazione in Vampiro, ripercorrendo tutte le tappe più significative della sua lunga esistenza.
AVVERTENZA: La lettura di questa storia è un contributo, una spin off, di The last challenge (il nostro crossover). Pertanto, consigliamo la lettura di The last challenge, anche se non è essenziale.
Inoltre, essendo la "nostra" Katherine, le vicende in cui è coinvolta sono frutto dell'immaginazione degli autori e nulla hanno a che vedere con la Katherine di The Vampire Diaries, pur ricalcandone l'aspetto e il carattere.
Precisato questo, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Varna – Regno di Bulgaria 1419
 
Quel mio accettare l’offerta di Nikolaj era stato un gesto scontato e assolutamente bugiardo. Avrebbe dovuto capirlo anche Nikolaj, che io non ero fatta per stare alle regole e che non avrei mai desiderato una vita immortale se ciò avesse significato la prigionia eterna. E checché volesse farmi credere Nikolaj, questo era ciò che mi offriva e nulla di più.
Ma forse non mi conosceva abbastanza da sapere cosa pensassi veramente.
Nel 1419, sei anni dopo la mia trasformazione, ero una donna diversa e lo affermo con orgoglio. Di questo, almeno di questo, devo dare merito a Nikolaj. Lui rispettò la sua parte dell’accordo e fece di me una gran dama; istruita, elegante e di ottime maniere.
Insomma, era tempo per me di lasciarlo. Ma occorreva un piano ben architettato, perché Nikolaj –da intelligente antico Vampiro- sospettava che prima o poi me la sarei data a gambe. La prova di questa mia supposizione sta nel fatto che ottenni un anello solare solo due anni dopo la mia trasformazione. Il ché, come avrete capito, significa che passai due anni segregata nel suo maniero, uscendo solo la notte.
Dopo che mi ebbe dato finalmente quel dannato anello solare, Nikolaj rimase a sorvegliarmi per settimane, aspettando di cogliermi nel punto di abbandonarlo. Ancora non aveva capito che io non sono persona da tali sventatezze. Io pianifico e poi agisco.
Adesso ormai Nikolaj aveva abbassato la guardia, si era convinto nell’intimo che avrei rispettato quell’accordo stretto sei anni prima da una Katerina sull’orlo della disperazione, che vide l’immortalità davanti a sé e non seppe rinunciarvi.
Come era sciocco da parte sua.
 
L’occasione si presentò un giorno d’inverno, quando Nikolaj mi informò che l’indomani sarebbe partito e sarebbe stato lontano per un po’. Non mi disse molto altro; era sempre piuttosto riservato riguardo i suoi affari.
Ma questa notizia da sola non sarebbe bastata ad attuare il mio piano. Mi occorreva qualcun altro, e nello specifico, Yuliya, la Strega più fidata al servizio di Nikolaj, nonché colei che aveva creato il mio anello solare. Il destino volle che Nikolaj la invitasse a cena proprio quella sera al preciso scopo di ordinarle di costituire una barriera magica intorno al maniero, così che “le minacce non potessero penetrarlo e diventare un pericolo per me”. In altre parole, Nikolaj voleva che Yuliya evocasse delle sbarre invisibili che mi avrebbero imprigionata fino al suo ritorno.
La Strega arrivò quello stesso pomeriggio e io mi offrii di accoglierla, visto che Nikolaj dopo il nostro pomeriggio d’amore doveva ancora finire di rivestirsi. Pensai che forse non me l’avrebbe permesso, che non si sarebbe fidato, ma sorprendentemente Nikolaj mi lasciò fare.
Fu così che lasciai le stanze del Vampiro e percorsi le infinite scale di pietra fino all’ingresso, dove già alcuni servitori aiutavano Yuliya a scendere dal carro che l’aveva portata fin lì.
«Signorina Petrova» mi salutò, chinando il capo con galanteria.
Era vestita poveramente, ma era molto bella. I suoi occhi di ghiaccio mi perforarono per un lungo istante, in attesa del mio saluto. Poi una ciocca dorata le finì davanti agli occhi e lei distolse lo sguardo.
«Chiamami Katerina» replicai, «è un piacere averti qui, Yuliya». Le sorrisi debolmente e lasciai che mi seguisse fino alla sala attigua, dove ci intrattenemmo fino all’arrivo di Nikolaj.
Aspettai impazientemente che i servitori si allontanassero da noi, ordinando loro di prepararci qualcosa per ingannare l’attesa del padrone come scusa. Non appena l’ultimo ci ebbe lasciate sole, presi Yuliya per un braccio, cogliendola di sorpresa, e la spinsi contro il muro, lasciando che il suo corpo cozzasse contro un aratro di antica foggia che mostrava le gesta di guerra di non so chi.
Yuliya non ebbe nemmeno il tempo di lamentarsi o di reagire.
«Ascoltami bene» sibilai al suo orecchio, parlando il più a bassa voce possibile, «io so cosa ti tiene legata a Nikolaj. Ti aiuterò, se tu aiuterai me».
Poi mi staccai da lei e lasciai che riflettesse sulle mie parole.
Nikolaj teneva suo figlio prigioniero nelle segrete –si, effettivamente aveva una passione particolare per la prigione-. Quel bambino era praticamente cresciuto in cella. Yuliya serviva Nikolaj e in cambio lui manteneva in vita il moccioso. Un metodo crudele ma estremamente efficace per piegarla al suo volere.
Avevo scoperto la cosa molti anni prima, ma mi erano sempre mancate le occasioni per servirmene. Non mi importava nulla del bambino, né tantomeno di Yuliya, ma avrei finto, avrei fatto di tutto pur di fuggire.
«Cosa vuoi?» sputò la Strega, fissandomi con sfida e un malcelato dolore.
Non potei rispondere perché Nikolaj apparve, vestito di tutto punto e pettinato, col suo solito sorriso bieco che era di potere e al tempo stesso di cortesia. Venne verso di noi, baciò appena le nocche della mano che Yuliya gli porse e poi mi mise un braccio intorno alle spalle col suo solito fare possessivo.
Arrivarono anche i servitori, portando del vino e qualche pasticcino.
E così si chiacchierò, fino a quando la governante non venne a dirci che era pronta la cena.
 
Seduti a tavola, io e Nikolaj ai capi del lungo e stretto tavolo, Yuliya sola a un lato, non si parlò molto fino a quando gli avanzi non furono portati via e come di consueto, due dei servitori si fecero avanti, offrendo il loro sangue a Nikolaj.
«Vieni qui, Katerina» mi disse il Vampiro. Obbedii e quando lo ebbi raggiunto, Nikolaj mi porse uno dei due calici di sangue che i servitori avevano versato per lui. Gli poggiai una mano sulla spalla e rimasi a guardare Yuliya, fissandola intensamente mentre Nikolaj le ordinava di evocare la barriera.
Per una frazione di secondo gli occhi chiarissimi di Yuliya saettarono dal suo padrone a me, per poi tornare a puntarsi sul Vampiro e acconsentire alla sua richiesta.
Nikolaj non poteva sospettare nulla. Non sapeva nemmeno che io avevo scoperto del figlio di Yuliya. Eppure, quando qualche ora dopo si apprestò a salutarmi prima di partire, per un istante le parole che mi rivolse mi fecero quasi credere che avesse scoperto tutto.
Yuliya aveva ormai evocato la barriera e stava in disparte a guardare Nikolaj e me salutarci.
«Mi mancherai, Katerina» confessò, le mani strette sul mio viso, gli occhi intensamente posati nei miei.
«Ci vedremo presto» replicai, più falsa che mai.
«Mi tranquillizza saperti qui, al sicuro» sospirò, rivolgendo lo sguardo al maniero alle nostre spalle, «anche se so che sei forte abbastanza da difenderti da sola».
Gli sorrisi, maliziosa, e posai le labbra sulle sue. Nikolaj mi strinse a sé per un lungo momento, prima di lasciarmi, montare a cavallo e ordinare a Yuliya di seguirlo sull’altro cavallo che aveva messo a disposizione per lei.
Yuliya lo seguì, diligente, ma prima di partire al trotto sulla scia di Nikolaj, mi rivolse un lungo sguardo carico di sottintesi.
 
Non dovetti attendere a lungo, prima di sentire gli zoccoli del cavallo sul viale di sassi che conduceva alla residenza. Uscii dunque all’aria aperta, col vento freddo dell’inverno che sferzava, innocuo per un essere immortale come me, un po’ meno per Yuliya, che saltò giù dal dorso dell’animale battendo i denti.
«Dovremo fare presto e non dobbiamo farci vedere» le dissi, sbrigativa, «i servi sono soggiogati e quando Nikolaj tornerà, gli racconteranno tutto».
«Lo so» ribatté, con una punta di amarezza che non mi interessò indagare.
Mi seguì dentro, nell’ingresso e poi nella saletta dove la sera prima l’avevo spinta contro il muro. Camminavamo svelte, temendo di incontrare qualche inserviente ancora sveglio, intento a risistemare chissà cosa.
«C’è una porta segreta… proprio qui» mormorai, palpando la parete di arazzi della sala da pranzo in cerca di quell’increspatura nella tela che mi aveva portata a scoprire la scaletta angusta e buia che conduceva alle stanze sotterranee.
La trovai. La spinsi appena, facendo leva sulle pieghe dell’arazzo, finché si aprì, con un cigolio sinistro, rivelando una stretta scaletta di pietra immersa nell’oscurità.
Yuliya evocò un fascio di luce che rischiarò l’area, e mi precedette, scendendo per prima le scale. Si fidava, questo dedussi. Si fidava che non l’avrei tradita. O forse era solo desiderosa di ritrovare suo figlio.
Non così in fretta, Strega” pensai.
«Di qua» le dissi, prendendo un corridoio a sinistra. I sotterranei erano una sorta di cimitero, ma non credo che gli scheletri lì sepolti fossero parenti di Nikolaj, né tantomeno Vampiri. In fondo poi, stavano alcune cellette sbarrate da pesanti portoni di ferro ormai arrugginito dal tempo.
«Eccoci» sospirai, bloccandomi davanti a una delle celle.
Yuliya si gettò sul portone, ma io l’afferrai prima che potesse arrivarci.
«Prima togli la barriera» sibilai.
«Prima voglio vederlo» ribatté, puntando i suoi occhi cristallini nei miei con una determinazione almeno pari alla mia. Sapeva giocare anche lei, in fondo.
«Io apro la porta e tu intanto togli la barriera» proposi.
Yuliya acconsentì, chiuse gli occhi e pronunciò l’incantesimo. Attesi qualche secondo e poi con un calcio a velocità vampiro buttai giù la porta della celletta, rivelando un interno piccolo e buio.
La Strega si gettò tra le braccia del figlio, dimentica di tutto, anche di me.
Li guardai abbracciarsi e riconoscersi a stento, tanto era passato dall’ultima volta in cui erano stati assieme. Scena commovente, che riportò alla mia mente ricordi lontani di mia madre. Ma non avevo tempo da perdere e li scacciai. Avevo fretta di andarmene e non tardai a ricordare a Yuliya che aveva degli obblighi nei miei confronti.
«Allora?» esclamai.
«Sei libera» biascicò lei tra le lacrime, ancora stringendo il moccioso di dieci o undici anni smilzo e pallido come un cadavere.
«Ti consiglio di scappare. Nikolaj ti cercherà». Detto questo, scomparii a velocità vampiro fuori dal maniero, raggiunsi la stalla, sellai un cavallo e galoppai lontano, libera per la prima vera volta nella vita.
 
Non mi fermai fino a quando non ebbi raggiunto il porto. Cavalcai nella notte buia e fredda, attraversando sentieri malmessi nel bosco, stradine deserte e villaggi addormentati.
Un grumo di capanne in riva al mare era ciò che costituiva un paesetto di pescatori, con l’aggiunta di una taverna. Di fronte, la spiaggia e il mare nero come la pece. Una nave era attraccata agli ormeggi.
La taverna era l’unico elemento da cui traspariva una parvenza di vita e lì mi diressi, lasciando il cavallo libero di riposare insieme ad alcuni altri che sostavano fuori dalla bettola.
Entrai. La luce soffusa delle candele rischiarava un ambiente povero ma accogliente e caldo, con i tavoli di legno, molti dei quali ancora occupati da gente del luogo e marinai di passaggio. Un cantastorie in un angolo suonava una triste melodia per alcuni spettatori già ubriachi.
Mi sedetti ad uno dei pochi tavoli rimasti liberi e aspettai che la cameriera venisse da me. Le ordinai un liquore e attesi che me lo portasse, guardandomi attorno in cerca di una soluzione. Non avevo un’idea precisa sul da farsi, ma quel che era certo, era che avrei dovuto lasciare il Regno Bulgaro, se volevo avere anche solo la minima speranza che Nikolaj non potesse trovarmi.
«Buona sera, signorina» si presentò un uomo dall’accento straniero, che fino a qualche minuto prima era seduto al tavolo accanto al mio.
Chinai il capo in segno di saluto e rimasi ad osservarlo mentre prendeva posto davanti a me. Nel frattempo tornò la cameriera col mio liquore e l’uomo ne ordinò un altro per sé.
«Che ci fa una gran dama come voi in una taverna come questa?» chiese poi, desideroso di fare conversazione.
«Beve il suo liquore» replicai, con un sorriso bieco. In cuor mio meditavo se soggiogarlo subito o se più semplicemente ucciderlo.
«Dove siete diretta?» domandò.
Uomo arguto. Ci ripensai e decisi che non l’avrei ucciso.
«E voi? Non sembrate di qui» lo provocai.
«Sono veneziano, infatti. La mia nave è attraccata qui fuori. Riparto domattina».
Quale occasione migliore per me? Lo soggiogai perché mi obbedisse.
Katerina Petrova sarebbe andata a Venezia.




Guest Starring per questo capitolo: Alycia Debnam-Carey nei panni di Yuliya

 
 
  
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