Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: allonsy_sk    12/03/2017    3 recensioni
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La cucina ha l'aria di un posto che viene usato di rado, dal monolite bianco del frigorifero vuoto istoriato di magneti noiosi e volantini di diversi take away, alle mattonelle shabby-chic macchiate d'oro.
C'è un segno sulla parete, a circa un piede dal battiscopa che corre al lato del frigorifero, dove Sherlock è sicuro che Mycroft lasci cadere la valigetta ogni sera, fermandosi poi ad aprire il frigorifero prima di cedere alla stanchezza, alla pigrizia o alla gola.
Lo fa al buio, a giudicare dal modo in cui le sue impronte digitali sono distorte, piccole chiazze leggermente oleose sulla superficie liscia e altrimenti lucida dell'elettrodomestico.
È tanto più strano, quindi, che la cucina profumi di cioccolato e burro e che il pavimento immacolato sia sporco di farina.
La vista più strana, comunque, è Mycroft in jeans e maglioncino, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e un grembiule bianco.
Se non fosse completamente pulito da ben due mesi tre settimane e due giorni, Sherlock penserebbe di avere di fronte una delle sue più assurde allucinazioni.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eurus Holmes, John Watson, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Brother Mine

 

8 - Sabato 6 Febbraio 2016

 

Mycroft sospira di sollievo quando il familiare portone del 221b di Baker Street entra nella sua visuale. Smonta dall'auto e congeda l'autista, alzando una mano ad aggiustarsi la cravatta in un gesto istintivo.

Questa volta seppellirsi nel lavoro non ha avuto nessun risultato pratico, se non quello di dargli un'emicrania feroce e costringerlo a fumare una sigaretta dopo l'altra, alternate con troppi bicchierini della staffa e troppi pasticcini.

Anthea e Lady S si sono coalizzate in una riluttante alleanza, e non hanno fatto altro che girargli intorno come lune silenziose intorno ad un pianeta deserto e brullo, accertandosi che le sue necessità primarie siano soddisfatte.

Sherlock aveva ragione, però, quando erano chiusi nella cella di Eurus a Sherrinford. La famiglia è sempre un affare difficile, e in questo caso non c'è lavoro che tenga. Mycroft ha bisogno di conforto dall'unico membro della famiglia che in questo momento non gli dia sui nervi - anche se fatica sempre un po' ad ammetterlo.

Sale le scale sentendo già la tensione che gli azzanna il trapezio e il collo rilassarsi un po', cedere leggermente.

Sherlock gli apre la porta con la punta del piede. È vestito, ma ha la vecchia vestaglia azzurra sopra la camicia - niente giacca - un giochino a forma di ape in una mano e la piccola Watson aggrappata al fianco come un cucciolo di koala biondo e riccioluto.

"Mycroft," saluta Sherlock, bilanciando il peso della bimba contro di sé. La piccola ha una mano stretta nel tessuto della vestaglia, l'altro braccio steso per afferrare il giocattolo.

"Sherlock, giovane Watson," saluta Mycroft, come se stesse presiedendo un importante incontro al vertice (forse lo è, effettivamente).

Sherlock fa una smorfia, mentre arretra di qualche passo per far entrare Mycroft.

"Ah- via le scarpe. Lasciale su quel pezzo di tappeto nell'angolo."

Mycroft solleva le sopracciglia, ma si accoscia per slacciarsi le scarpe e lasciarle a far compagnia a quelle di Sherlock e a un paio di vezzose e minuscole scarpine bianche.

Senza giacca e in calze bordeaux di puro filo di Scozia decorate a elefantini, Mycroft segue il fratello in cucina.

Sherlock mette su l'acqua per il tè e si accomoda con la bimba in braccio, consegnandole finalmente il tanto agognato balocco. La piccola Watson si applica con enorme concentrazione a mordere un'ala dell'ape, ma non sposta il suo sguardo azzurro e attento da Mycroft.

"Fai il babysitter, Sherlock?" Non può impedirsi di lanciare una frecciatina. Ne ha bisogno.

Sherlock gli fa una smorfiaccia, mostrandogli persino la lingua. "John aveva da fare. E io e Watson qui ci intendiamo molto bene, vero, Watson?"

La bambina lo ignora, troppo presa dall'esame di questa persona nuova e interessante nel suo spazio familiare.

Mycroft non si può dire a proprio agio. Gli è già successo di essere sotto lo sguardo fermo e troppo adulto di una bambina dall'aspetto inoffensivo, persino adorabile. La piccola Watson è figlia anche di Mary Morstan, e i suoi geni non depongono a favore della sua futura personalità. O forse Mycroft è soltanto molto paranoico di fronte a bambine troppo intelligenti per la propria età. Gli sembra una paura stupida, ma non pensa che qualcuno, nella sua stessa situazione, potrebbe mai biasimarlo.

Ovviamente Sherlock ha mangiato la foglia, e l'osserva con una piega preoccupata tra le sopracciglia mentre accarezza i ricci della bambina.

"Guarda che non ti mangia, Mikey. È solo una bambina. Ed è normale. Vuoi prenderla in braccio?"

Mycroft rabbrividisce suo malgrado. Saranno anche passati più di trent'anni, ma l'orrore che ha sempre provato, sottile, strisciante e ossessivo, nei confronti di Eurus non dà segno di volersi affievolire. Avrà sempre un'avversione istintiva per le bambine indemoniate dagli occhi celesti che va ben oltre la sua generica avversione per la stupidità del genere umano.

"Non credo che sia il caso, Sherlock. Non so neanche se sia... prudente … che la tenga tu."

Sherlock gli fa un'altra smorfia offesa, acchiappando l'ape giocattolo al volo quando la bambina lascia la presa all'improvviso, distratta. Rosamund - oh santo cielo - Rosie si è stufata di giocare e adesso si agita in braccio a Sherlock, cercando di alzarsi in piedi sulla sua coscia, tutta aggrappata alla vestaglia blu.

Sherlock la aiuta a scivolare in piedi sul pavimento, tenendola con attenzione per le manine. La bimba riesce a stare in piedi per qualche passo anche da sola, poi si affloscia seduta vicino ai piedi di Mycroft, incuriosita dai suoi calzini.

"Guarda che sono un papà perfetto, parola di Mrs. Hudson. E se lo dice lei farai bene a crederle."

Mycroft apre la bocca per ribattere, si interrompe quando sente le mani di Rosie che tracciano gli elefantini in rilievo.

"Fafini," proclama dopo un istante, estremamente fiera.

"Elefantini, Watson, elefanti. Se è africano è Loxodonta africana . Devi imparare a esprimerti correttamente."

"Fafini!" insiste Rosie, aggrappandosi alle calze di Mycroft e iniziando a mettersi in piedi molto laboriosamente, sotto gli occhi attenti di Sherlock.

Una volta in piedi alza lo sguardo su Mycroft oltre la sommità delle sue ginocchia e lo osserva aggrottando appena le sopracciglia bionde.

"Buonasera, giovane Watson," saluta Mycroft piuttosto affabile. Rosie Watson sembra inoffensiva, ma è anche vero che è troppo piccola per essere pienamente leggibile.

"Su!" dichiara la bambina, sollevando le braccia in un inequivocabile ordine. "Su!"

Mycroft sospira e la prende in braccio, dicendo addio tra sé e sé alla sua camicia preferita. L'alta sartoria non va d'accordo con i bambini, questo è poco ma è sicuro.

"Non mi hai ancora chiesto perché sono qui, Sherlock," inizia, tentando di riportare la conversazione su un terreno meno minaccioso. È già abbastanza difficile pensare con in braccio nove chili di infante curiosissima e sveglia, ancora di più se detta infante è ipnotizzata dallo scintillio della luce sull'oro del suo fermacravatta e sta senza dubbio architettando un piano malvagio per la sua conquista.

Mycroft si permette di rialzare lo sguardo su Sherlock, che sta fissando la scenetta con un sorriso molto divertito. Ora che lo guarda bene, Mycroft si rende conto che nel giro di pochi giorni suo fratello ha cambiato espressione.

C'è qualcosa di molto soffice che gli brilla negli occhi e gli incurva il sorriso e Mycroft è tentato di roteare gli occhi per l'ovvietà del tutto. L'ottimo ma cocciuto Dottor Watson deve aver smesso di nascondersi dietro a un dito, rivendicando strenuamente e inutilmente una eterosessualità che nessuno gli ha mai chiesto di dimostrare o giustificare.

Insomma, è contento per Sherlock, che sembra aver ottenuto finalmente ciò che vuole da anni, e spera che il buon dottore si meriti Sherlock, perché per quanto questi possa essere difficile da gestire e da sopportare, i suoi pregi superano di gran lunga i suoi difetti.

"Non ho bisogno di chiedertelo, Mikey, come tu non hai bisogno di chiedermi ciò che stai pensando. Ammazzarti di lavoro non è servito a niente e ora hai bisogno di compagnia. Lusingato che tu abbia scelto me e Watson, qui, per la tua serata in famiglia. Allora, resti a cena? Conosco un posto lercio che fa un kebab spettacolare e che consegna a domicilio."

Mycroft è molto tentato di rifiutare graziosamente e ritirarsi nei propri appartamenti. Tuttavia Baker Street è il solito delirio bohemien, il regno di due uomini disordinati che conducono una vita disordinata - non senza qualche tocco di baby-proofing , pensa, osservando il nuovo tavolino da caffè con gli spigoli arrotondati - e nonostante Mycroft ami storcere il naso, è sempre stata molto più accogliente di casa sua.

Vernet House a Pall Mall è un grazioso lascito di zio Rudy, certo, e gli permette di raggiungere a piedi i suoi uffici e il silenzio ovattato del Diogenes Club, se si sente persuaso a camminare. Ma l'elegante palazzetto circondato da un ameno giardino e con un'invidiabile vista sul fiume ha troppe stanze buie e troppi pavimenti scricchiolanti, sorvegliati da austeri ritratti.

Zio Rudy non ha mai amato molto quella casa, e quando ha scelto di ritirarsi in Francia per vivere al meglio gli anni della pensione, ha ceduto senza remore l'immobile al nipote. Mycroft l'ha sempre trovata più di suo gusto di quanto forse lo zio ha mai pensato le rare volte che l'ha usata come base a Londra. Ma d'altra parte, lo zio è sempre stato una persona particolare.

In questi giorni, però, Mycroft non ha nessun desiderio di rinchiudersi tra quelle pareti e quelle ombre, da solo con i propri demoni. Meglio il disordine vissuto di Baker Street, e l'enigma palese del sorriso appena accennato di Sherlock.

"Suppongo che per una volta del cibo di dubbia origine e igiene non potrà uccidermi," annuncia con sussiego, interrotto non tanto dal sopracciglio alzato e dubbioso di Sherlock quanto dall'urletto gioioso di Rosie Watson, che è riuscita finalmente a sfilargli il fermacravatta.

"Notevole, giovane Watson," osserva Mycroft, tendendo una mano per recuperare il gioiello prima che la bambina possa farsi male. "Adesso però ti invito a rendermelo, cortesemente. Non vorrei che ti ferissi, soprattutto non mentre sei seduta sulle mie gambe."

"No," proclama la bambina, tutta impegnata a esaminare l'oggetto scintillante. "No no no no."

Mycroft scrolla appena le spalle, e continua a tenerla sotto controllo. "Beh, suppongo che non sia mai troppo presto per iniziare a creare una dote. Consideralo un regalo da parte di uno zio, giovane Watson."

"Uno zio?"

"Taci, Sherlock, o nominerò quell'argomento che ti fa tanto rabbrividire e che credo ora ti riguardi molto più da vicino."

Sherlock si zittisce immediatamente, non senza fargli un'ennesima smorfia. Prende il telefono e un mazzetto di volantini, e si ingegna per ordinare la cena mentre sorveglia Rosie in braccio a suo fratello.

Non la serata che immaginava di passare, ma nient'affatto spiacevole e qualcosa gli dice che suo fratello la pensa allo stesso modo.

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Dopo cena Mycroft si ritrova seduto sul divano di Baker Street, con i piedi comodamente incrociati sul tavolino da caffè e Rosie Watson addormentata in grembo. La bambina ha insistito per evadere dal rifugio delle braccia di Sherlock e per arrampicarglisi in braccio, trascorrendo un buon quarto d'ora nell'impresa di tirargli ciò che resta dei suoi capelli.

Poi si è appunto addormentata, succhiandosi il pollice e stringendo forte un'ameba di peluche (ridicolo). Mycroft non ha avuto il cuore di svegliarla, non fosse altro perché Sherlock ha scelto di guardare un film in bianco e nero che Mycroft adora. Deve averlo fatto apposta, anche perché non crede che il fratello apprezzi questo tipo di media, e quindi può sopportare di fare da cuscino alla piccola Watson.

La telefonata arriva quando Mycroft stesso ha le palpebre a mezz'asta e Sherlock ronfa da mezz'ora a bocca aperta, con la testa reclinata sullo schienale del divano.

Mycroft sospira amaramente, chiedendosi se sia peggio ipotizzare che si tratti di sua madre o di un'emergenza. Anthea è in grado di gestire quasi tutto, e Lady Smallwood gli ha promesso di coprire la sua assenza per qualche giorno. Con tutto il lavoro che ha fatto negli ultimi giorni, poi, non c'è che da tenere sotto controllo la situazione. Spera vivamente che non sia qualcosa di meno grave di un'invasione aliena.

Ma, no. Non è Anthea e non è Lady Smallwood, e grazie al cielo non è sua madre. Il numero è straniero e non è memorizzato.

Mycroft si acciglia e cerca di rispondere senza svegliare la bambina, né disturbarne il peso caldo e abbandonato contro di sé.

"Pronto," risponde guardingo, pacato.

La voce dall'altra parte della linea è l'ultima che si aspetterebbe e l'unica che ha mai pensato di voler sentire di recente.

"Mycroft, ragazzo mio, che piacere sentirti! Puoi parlare? Hai un minuto per il tuo vecchio zio?"

Mycroft sorride prima ancora di concettualizzare, rilasciando con sollievo un respiro che non sapeva di aver trattenuto.

"Oh, zio Rudy," gracchia, grato a tutte le divinità esistenti e anche a qualcuna inventata. "Ma come stai? Dove sei?"

"Seduto, figliolo! Seduto nella mia carrozzina a cinque marce, cosa che non mi impedisce di portare la moglie a ballare, anzi. Le ruote sono sottovalutate. Ma non parliamo di me, ragazzo, ti chiamo perché mi sono giunte delle voci e vorrei notizie certe e qualche aggiornamento."

Mycroft non ha bisogno di chiedere allo zio che voci possano essergli giunte. Quando la sua salute ha iniziato a cedere e lo zio ha deciso di ritirarsi in pensione in Provenza, Mycroft è subentrato pienamente come tutore legale di Eurus. Lo zio ha continuato a ricevere aggiornamenti. Mycroft suppone che, anche se non l'ha chiamato di persona per avvertirlo degli ultimi eventi, qualcosa sia riuscito comunque a raggiungerlo dall'altra parte della Manica.

Mycroft gli riassume i fatti brevemente. Non vuole ripetere tutto per l'ennesima volta e con zio Rudy non è necessario farlo, anche a questa distanza e anche attraverso il telefono. È l'unico che ha sempre capito senza bisogno delle melodrammatiche spiegazioni di Sherlock.

"Questo è quanto, zio, adesso me l'hanno tolta dalle mani e sinceramente non saprei dirti come mi sento."

La risata dello zio è sempre profonda e piena, anche se ha preso la qualità tremolante della vecchiaia. Mycroft continua a ripersi - a ripetere a chiunque voglia ascoltare, davvero - che tutti muoiono, che la morte è l'unica cosa su cui qualsiasi essere umano sarà costretto alla fine ad adeguarsi. Una condizione ineluttabile della vita. Ma quello che invece non ammette se non in circostanze estreme è che esistono alcune persone che gli rendono l'idea della morte spaventosa, qualcosa di fastidioso a cui pensare il meno possibile.

Sherlock, sorprendentemente. I suoi genitori - via, che la sua freddezza sia soltanto uno schermo l'ha capito anche la piccola Watson.

E zio Rudy, che un giorno se ne andrà lasciando un vuoto molto più grande della sua figura alta ora ripiegata in una sedia a rotelle.

Per ora, comunque, lo zio ride di gusto e Mycroft può quasi vederlo scuotere la testa con affettuosa indulgenza.

"Ti senti sollevato, figliolo. Un po' frustrato e molto sollevato. E fai bene. Non avresti dovuto avere questa responsabilità, ma l'hai affrontata come meglio potevi. Comunque non avresti mai vinto. Non c'era una soluzione che avrebbe accontentato tutti."

Mycroft sospira di nuovo, accennando un breve sorriso.

"A sentire mia madre non è stato così, anzi, sembra che io l'abbia delusa su tutta la linea."

Zio Rudy sbuffa sarcastico. "Lascia stare Violet. Lo sai che le prendono i cinque minuti e poi si pente di quello che dice. E su questa faccenda non può essere obiettiva, questo lo sai anche tu. Non le sto dando ragione. Ma conoscendola adesso è offesa, tanto vale lasciarle il tempo di sbollire."

Mycroft sorride ancora. "Molto diplomatico."

Lo zio ride un'altra volta. "Conservo le frecce migliori in caso dovessero servire. Come state, ragazzo? Tu, Sherlock?"

"Adesso bene, direi. Io… sono molto contento che tu abbia chiamato, zio. Mi dispiace non averti chiamato. Pensavo che una volta in pensione volessi goderti il tuo tempo libero e pensare alla tua famiglia."

Mycroft quasi vede lo zio che scuote la testa, percepisce il suo sorriso indulgente. È sempre stato l'unico che con la sua forza e la sua empatia gli ha permesso, quando ne ha avuto bisogno, di mostrarsi debole, bisognoso di conforto. Con lo zio Rudy non ha mai dovuto fingere di non essere stanco, frustrato o spaventato, che si trattasse dei problemi relativamente semplici di un ragazzino insicuro o dei demoni di un uomo ormai adulto e troppo chiuso.

"Mio caro ragazzo, ma tu sei parte della mia famiglia. Tu e anche Sherlock, ovviamente. Senza niente togliere ai tuoi genitori, ma ho sempre pensato di avere due bellissime figlie e due magnifici figli."

Mycroft alza gli occhi al cielo. Troppe dimostrazioni d'affetto in un solo giorno, eppure non se la sente di protestare, come se non se la sente di rettificare il proclama dello zio e aggiungere Eurus al conteggio. Mycroft sa benissimo che lo zio non si è dimenticato di lei, anzi, ma che desidera porre l'accento sui due Holmes maggiori, ignorando per un attimo la sorella minore che per lungo tempo ha attratto su di sé tutte le attenzioni degli adulti.

"Grazie, zio," mormora, con la gola un po' stretta e asciutta. Non si fida della propria voce. "Se ti fa piacere ti terrò informato."

"Chiamami quando vuoi, figliolo. Per qualsiasi cosa," continua lo zio.

Mycroft si schiarisce la gola, cercando disperatamente di cambiare argomento.

"Posso passarti Sherlock, zio? Credo che gli farebbe piacere salutarti," continua Mycroft, voltandosi verso Sherlock che ha rialzato la testa e sbatte le palpebre come un gufo disturbato nel sonno.

"Certo, non lo sento da un pezzo. Riguardati Mycroft, e chiamami se ne hai bisogno. Sono vecchio, non morto o demente, chiaro?"

"Cristallino."

Mycroft cede il telefono al fratello sentendosi un po' più leggero, al punto da deporre una carezza molto cauta sui capelli della piccola Watson, ancora profondamente addormentata.

"...penso che accetterò le tue congratulazioni, zio Rudy," sta dicendo Sherlock, con una risata affettuosa e quasi fanciullesca nella voce. Mycroft ci ha visto giusto, allora (non che ne dubitasse, a dire il vero).

"... certo, ti mando una foto se vuoi. Penso che ti piacerà. Potremmo venire a trovarti, appena la situazione si sarà un po' calmata..."

Già, la situazione.

È un groviglio minaccioso e intricato, una tempesta incombente che scurisce l'orizzonte e non promette nulla di buono. Mycroft non crede facilmente alla predestinazione - come ha detto non troppo tempo fa a Sherlock - ma ultimamente ha faticato molto a non sentirsi condannato ad un futuro alquanto scuro.

Questo - la compagnia di Sherlock e della piccola Watson, la telefonata dello zio Rudy, le attenzioni di Anthea e Lady Smallwood - è il primo squarcio di sereno che riesce a intravedere in fondo alle nubi temporalesche.

È il caso di godersi questo illusorio raggio di sole.

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