Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: Tormenta    13/03/2017    2 recensioni
[Destiel | AU]
Castiel è un angelo, Dean nulla più d'un normale essere umano e la loro storia è raccontata interamente in rima. Dal testo:
Accadde un giorno: dopo aver combattuto una lunga guerra, / l’angelo di nome Castiel si ritrovò bloccato su questa Terra. / Tutta colpa d’un’ala ferita, / tale poiché in battaglia era stata colpita. [...] / Doveva dunque restare, rimettersi in sesto, / e pensò che se fosse rimasto immobile e muto / lì, sul cemento del vicolo dov’era caduto, / allora il processo di guarigione sarebbe stato più lesto. / Si mise quindi silenziosamente a sedere; / come unico compagno, le gocce fredde che piovevano da nuvole nere.
Genere: Poesia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5.
Here we go

 
 
 

Dean ci avrebbe scommesso:
se Sam fosse venuto a sapere
che a qualcosa era servito il suo «Chiedere è la metà di avere»,
di rinfacciarglielo non avrebbe mai smesso.
Dunque lui patteggiò con sé stesso:
non gli avrebbe parlato delle proprie più recenti preghiere.
Lo decise in un baleno,
senza pensarci neanche granché,
distratto com’era da Cas e da quel suo sguardo alieno
che dopo tanto aveva di nuovo di fronte a sé.
Era ancora meravigliato –
l’angelo davvero era lì, era tornato
e lui non poteva credere che chiederglielo fosse bastato.
«Sei per davvero in vacanza?» domandò con la gola annodata,
ricordando le parole e la cadenza frammentata
con cui la notte prima s’era a lui rivolto
(per altro, sentendosi un completo stolto).
«No» rispose Castiel con tono sottile
mentre sul volto gli scorreva un’ombra ostile;
corrucciò quindi la fronte, incupito
e gli si dipinse addosso la preoccupazione,
ma presto sparì quell’espressione
e il suo viso tornò duro come il granito.
Se credeva che Dean del rapido cambiamento non si fosse accorto
allora aveva profondamente torto;
l’uomo l’aveva notato eccome
e d’ignorarlo non aveva alcuna intenzione.
«Cas, non sei nei guai, vero?»
l’interrogò con timore austero;
quasi sbuffò, poi, quando la sua inquietudine fu giustificata
dal fatto che l’altro gli lanciò la tipica, incerta occhiata
di chi pondera se sorvolare o meno
su un dettaglio ben poco sereno.
L’avvisò, allora: «Dimmi la verità»
e la replica fu: «Loro non sanno che sono qua.
Scendere sulla Terra è una cosa che non dovrei fare –
non senza una missione da completare,
o una giustificazione di rilievo.
Ma— volevo».
A quell’affermazione, il respiro di Dean ebbe un singhiozzo
e lui nel petto d’un che di tiepido sentì l’abbozzo;
intanto, l’angelo proseguiva:
«Andrà bene finché non sanno che agisco di mia iniziativa,
ed è una cosa che posso mascherare;
è sufficiente che non tardi troppo a tornare».
«Quindi— quanto puoi restare?»
«In Paradiso il tempo scorre in modo differente»
mormorò Castiel riflettendo accuratamente,
«ho qualche ora, almeno,
e sarà come se non fossi mai stato sul terreno».
Al che, l’uomo prese nota ed annuì
e guardando di sfuggita l’officina retrostante
bofonchiò: «Aspettami qui»
assicurando che sarebbe tornato in un istante.
Castiel s’esibì in un semplice cenno d’intesa
e si mise silenziosamente in attesa;
osservò Dean rientrare, sparire sul retro
voltandosi ogni pochi passi indietro –
di quella particolare azione,
non capì l’esatta ragione
(certo non poteva concepire
che l’altro si girasse perché temeva che lui potesse scomparire).
Comunque, come gli era stato promesso,
presto l’uomo fu di nuovo di fronte all’ingresso:
la macchia scura sulla sua guancia era sparita
e non erano più sporche nemmeno le dita;
poi la giacca era cambiata
passando da quella da lavoro, vecchia e usurata,
a quella di pelle da lui tanto amata.
«Ho chiesto di avere il resto della mattinata libera» annunciò,
dopodiché con gli occhi vaganti per un attimo esitò,
prima di proporre: «Facciamo un giro, ti va?»
Nella sua voce vibrò un’indefinibile perplessità
come se dell’altro dubitasse la risposta;
Castiel, però, non aspettava che una simile proposta:
praticamente per quello era sceso dagli alti quartieri,
e difatti subito disse: «Certo, volentieri».
Così, raggiunsero l’Impala e salirono a bordo
e mentre l’angelo si compiaceva
sfiorando gli interni dell’auto come da tempo non faceva,
Dean mise in moto concedendosi un mezzo sorriso balordo.
 
 
 
Optarono per raggiungere i giardini,
e una volta là, su una panchina si sedettero vicini.
Così come durante il viaggio,
tennero gli argomenti emozionali in ostaggio
e parlarono di sciocchezze, perlopiù:
del nuovo cane di Sam; di quanto piccola la Terra sembrasse da lassù.
Certo ad entrambi sarebbe piaciuto
saper scandire ciò che restava taciuto –
ad esempio, il genuino e sentito “Mi sei mancato”
che tutt’e due, con parole loro, avevano pensato –
ma non si sarebbero mai lamentati della loro comunicazione,
perché certo non li lasciò insoddisfatti:
avevano modi alternativi per esprimere devozione
e li trovavano più che adatti;
gli sguardi ben più lunghi del dovuto, per dirne una,
lanciati come se per l’uno poter vedere l’altro fosse la più gran fortuna,
o il toccarsi riservato su una spalla, su un braccio,
anche quello discretamente prolungato, e mai a casaccio.
 
 
 
Si fece ora di pranzo, e Dean doveva mangiare –
Castiel non tentennò nel sostenere di volerlo accompagnare;
una volta accomodati ad un tavolo, però,
alla richiesta d’ordinare anche lui qualcosa dovette dire di no.
Il cibo, infatti, era una peculiarità
unica dell’umanità;
non poteva rischiare che la sua luce di nuovo si macchiasse,
per quanto l’idea d’abbuffarsi lo stuzzicasse:
gli altri angeli l’avrebbero potuto notare
e non era il caso di dar loro motivo di sospettare.
Così, invece di consumare pietanze per tre,
ascoltò Dean dibattere fermamente
del come e del perché
la crostata fosse il miglior dolce esistente,
ed apprezzò ogni momento.
Non tanto perché dell’altro condividesse il convincimento,
quanto piuttosto perché vederlo sfoggiare una tale passione
per ciò che era apparentemente banale e quotidiano
mai avrebbe smesso di riempirlo d’ammirazione:
era lo spettacolo più grande, tra tutto ciò che c’era d’umano.
 
 
 
Usciti dal locale, Castiel annunciò che doveva tornare su
e Dean ebbe un brutto, brutto déjà-vu.
Affondò i denti in una guancia
ed ignorò l’antipatico rimestarsi nella pancia,
poi fece sì con la testa
e, per far sì che la sua sparizione non fosse troppo manifesta,
guidò l’angelo in un vicolo –
provò quasi nostalgia, e immediatamente si sentì ridicolo.
«Allora ti rivedrò?» chiese con la voce ridotta ad un bisbiglio
e il viso accartocciato in un amaro cipiglio.
L’altro l’osservò, prima di rispondere: «Tornerò.
Sempre, quando potrò».
Dietro quell’affermazione
c’era l’enorme, rischiosa decisione
di continuare a defilarsi dal Paradiso,
e certo l’uomo non immaginava quanto serio ciò fosse di preciso.
Castiel preferì non metterlo al corrente
poiché non desiderava che s’affannasse vanamente;
piuttosto disse: «Continua a pregare»
e l’altro, impacciato, non esitò ad assentire
e, con un «Ciao, Cas», s’assicurò di ricambiare
il saluto che, lo sapeva, stava per venire –
«Ciao, Dean» fece per l’appunto l’angelo; poi spiccò il volo
lasciandolo a guardar il vuoto, solo.
 
 
 
Da quella volta,
passarono le ore e passarono i giorni
mentre della mancanza i due riesploravano i contorni,
uniti solo da qualche preghiera prontamente accolta.
Uno ogni tanto alzava gli occhi al cielo
pensando con ansiosa meraviglia a quell’amico
che stava magari eseguendo chissà quale ordine antico
combattendo nel fuoco e nel gelo;
l’altro , fronteggiava mostri e faceva da guardia
per mantenere della Terra la salvaguardia,
ma soprattutto ascoltava,
poiché una certa instancabile voce ancora lo chiamava.
 
 
 
Poi finalmente successe:
a Castiel capitò l’occasione d’assentarsi
e non dovette nemmeno più di tanto pensarci:
di scender sul pianeta si concesse –
trovò Dean a casa, visto che era sera inoltrata
e comparve proprio tra lui e il televisore,
che trasmetteva d’una qualche serie una vecchia puntata;
inutile dire che l’uomo imprecò per via dello stupore,
sobbalzando vistosamente sul divano,
e ciò che sbottò fu abbastanza profano
da spingere l’angelo a dire: «Non nominare mio Padre invano».
Se Dean non fosse stato tanto contento di vederlo,
dall’abbaiare insulti nulla avrebbe potuto trattenerlo;
ma poiché era felice, bofonchiò soltanto:
«Prima o poi mi farai veramente venire un infarto».
«Se anche succedesse, ti guarirei».
«Possiamo optare per la prevenzione? La preferirei».
Detto ciò, mentre Cas lo scrutava con gli occhi assottigliati,
l’uomo soffiando quasi sogghignò, piacevolmente stranito,
perché era come se non si fossero mai separati,
come se l’altro non fosse mai sparito.
Si fece più in là sul sofà, senza spiegare a parole il perché;
abbozzò solo un gesto, che significava: “Siediti con me”.
Castiel, tenendo la schiena ritta com’un fuso,
eseguì, fiero d’aver capito subito a cosa Dean avesse alluso;
e mentre lui s’accomodava
e la tivù in sottofondo ancora borbottava
mantennero ininterrottamente il contatto visivo
dacché quello da solo,
come sempre per loro,
d’ogni discussione era più esaustivo.
Di programmi, insieme ne guardarono più d’uno
raccontando intanto una chiacchiera ciascuno;
e finirono col fare tardi,
poiché entrambi erano testardi:
laddove uno fu disposto a sacrificare il riposo,
l’altro pareggiò contando i secondi, minuzioso,
così da poter fino all’ultimo posticipare
il momento in cui se ne sarebbe dovuto andare.
Quello alla fine giunse, tuttavia,
e dovettero rinunciare alla reciproca compagnia –
si salutarono a bassa voce
poi l’angelo sparì, veloce,
promettendo però:
«Ritornerò presto, se riuscirò».
 
 
 
E ci riuscì.
Difatti, un paio di giorni dopo era già di nuovo lì,
con Dean, di sera, di fronte al televisore,
a proclamare tutto compiaciuto
che stava diventando più bravo, e più avveduto
nell’uscir dal Paradiso senza scatenare alcun clamore;
disse anche che allora si sarebbero potuti incontrare più spesso
rispondendo al quesito che l’uomo aveva lasciato inespresso –
inespresso a parole, certo, ma l’aveva pensato:
per questo ad ascoltar la replica che l’altro gli aveva dato
mise su quasi di nascosto un sorriso appagato.
Poiché poi Castiel restava fedele alle proprie affermazioni,
cominciarono ad esser costanti le sue apparizioni:
con quelle, s’instaurò per i due una nuova abitudine,
fatta d’incontri sparsi ed improvvisi
e di bei momenti condivisi
che in entrambi acquietarono l’acuto senso di solitudine.
Un senso, quello in questione, che l’angelo non sapeva analizzare
e che dunque non poteva che tacitamente contemplare.
Per Dean, invece, era differente:
ben sapeva cosa significava quella costante presenza nella mente,
ma la lasciava in un angolo, in sospeso,
cocciuto nella sua intenzione di non darle peso
e forte d’una lunga lista di motivazioni
che vedeva stesa di fronte a sé in più e più occasioni –
nel proprio riflesso nello specchio di mattina,
pensando a ciò che insegnavano a dottrina,
e soprattutto guardando Cas negli occhi:
in tutti quegli istanti,
accompagnati come dal rumore dei vetri infranti,
realizzava che, la speranza, l’avrebbero nutrita solo gli sciocchi.
E lui sciocco non era:
si sarebbe quindi tenuto stretto ciò che aveva,
anche se la separazione bruciava di più ogni sera
e a volte, l’emozione, il petto a stento la conteneva.
Tra l’altro, non osava immaginare
che tutto quel suo testardo ignorare
l’angelo lo rispecchiasse con un perpetuo rimuginare;
in effetti, era talmente accecato
dal suo stesso ripetersi: “Non potresti mai esser ricambiato”
che non prese nemmeno in considerazione
un’idea con basi a suo parere inesistenti
come quella che anche Castiel provasse, uh, sentimenti
(detestava usare quel nome
 poiché assomigliava già troppo ad un’ammissione;
quella d’esser il primo a provar una simile affezione).
Comunque, come ogni verità,
il pensiero combattuto dell’angelo e la sua perplessità
finirono col venire galla:
accadde mentre sopra le loro teste brillava ogni stella.
 
 
 
Quell’episodio, a monte, cominciò così –
con Dean che diceva: «Per un po’ non sarò qui»
mentre con Cas al suo fianco
s’accingeva a passar una notte praticamente in bianco,
perché quello era potuto scendere solo tardi dal Paradiso
e lui nemmeno per un secondo era stato indeciso:
poco importava se l’indomani non avrebbe avuto alcuna lena,
ne sarebbe comunque valsa la pena.
«Vado a trovare Sam. Te l’avevo detto, ricordi?»
«Ricordo ogni cosa che mi è successa sin dai primordi»
ribatté Castiel privo d’inclinazione,
e l’altro rise, bofonchiando: «Che pavone».
«Perciò, sì» proseguì l’angelo, ignorando quel commento
«ricordo che mi hai parlato del tuo allontanamento
e che durerà diversi giorni».
Aggrottò la fronte, e la sua espressione si fece appena dolente;
«Me lo stai facendo di nuovo presente
perché non vuoi che ti faccia visita finché non torni?»
Dean d’istinto rizzò la schiena e soffiò,
sbrigandosi a dir col capo di no.
«Era solo per avvisarti. Perché, sai,
qui non mi troverai».
«Dean, sai che posso volare.
Come riesco a trovarti da queste parti
posso trovarti ovunque tu voglia andare».
«Già, hm. Sam— Sam sarebbe contento di rincontrarti»
borbottò l’uomo, incapace di rendere il proprio invito più palese;
fortunatamente, Castiel comunque lo comprese,
e nel suo piccolo sorrise, con le iridi accese.
«Anche a me farà piacere rivederlo» mormorò,
e l’altro praticamente sfavillò
con rinnovato e nascosto calore
dacché, d’improvviso, era di gran buon umore.
 
 
 
Presto dunque ebbe inizio quel viaggio:
poiché Dean non era fatto per affrontare decollo e atterraggio,
percorse la strada in auto, canticchiando la musica in sottofondo
e a tratti insieme a Cas, quando lui tornava giù nel mondo.
 Alla fine, a destinazione
fu accolto da Sam, tutto felice di rivedere il proprio fratellone
e felice di rivedere anche l’angelo, s’intende –
angelo che in più occasioni, poi, s’unì alle loro vicende
(e che, la prima volta, comparendo all’improvviso,
lo fece saltare dallo spavento, per inciso).
È in tal contesto
che ebbe luogo un particolare innesto –
accadde un pomeriggio,
mentre Sam era fuori con l’adorato cane a passeggio.
Castiel e il maggiore dei fratelli rimasero indietro insieme,
l’uno pentendosi delle follie fin troppo estreme
compiute la sera precedente
e che ora gli martellavano la mente,
l’altro a fargli diligentemente compagnia
e ad alleviare con un pizzico di Grazia la sua agonia –
Grazia che spedì Dean dritto nel mondo dei sogni,
poiché riposare era in quel frangente il principale dei suoi bisogni.
Insomma, s’accasciò sul sofà
 e allora Castiel a sua volta si sedette là,
con cautela, perché sarebbe stato un peccato
disturbar quel sonno tanto profondo e pacato.
E poiché non aveva molto con cui distrarsi,
l’angelo poté concentrarsi:
pensò al fatto che dopo aver messo Dean a dormire
aveva scelto di rimanere lì, in casa, a poltrire
piuttosto che uscire e cercare qualcosa di nuovo da scoprire.
D’istinto, cioè, aveva preferito restar al fianco dell’uomo,
sebbene razionalmente non fosse il miglior modo
per metter a frutto il suo tempo in quel luogo.
Allora, con atteggiamento quasi scientifico
prese ad osservare l’addormentato nel suo giacere pacifico;
e resti inteso: non voleva risultare inquietante,
come Dean aveva definito il suo far da vigilante
ormai tanto tempo addietro, in quella lontana mattina
dopo la loro prima notte sotto lo stesso tetto, in cucina.
Voleva solo capire
come mai pensar a lui lo portasse a languire,
perché non era lo stesso
se non poteva stargli appresso
e quale senso avesse il fatto
che alla sua persona era così fortemente assuefatto;
voleva decodificare lui, che l’aveva accolto, istruito,
che lo chiamava sempre dopo che era salito;
lui, che gli faceva provar tutte quelle cose
in teoria per un angelo forse addirittura impossibili
e così incomprensibili,
eppur così meravigliose.
Fu senza nemmeno rendersene conto
che tendendo il collo l’avvicinò quanto poté,
come per affilar la vista in cerca d’indizi, o d’un resoconto;
ma comunque non concluse granché:
si perse a guardarlo –
a guardar lui, la sua anima che brillava
e quel suo aspetto, che gli occhi gli lusingava –
e fu solo capace di costatare che desiderava sfiorarlo.
Però non ebbe tempo per farlo:
la porta d’ingresso che s’apriva e si chiudeva
lo distrasse suonando com’una sirena,
annunciando il ritorno di Sam e del suo cucciolo al guinzaglio;
vedendoli avanzare, Castiel smise di passar al vaglio
la propria incomprensione e i propri pensieri,
ma con sgomento li percepì più forti che mai
e capì che rischiavano davvero, ormai,
di alterare il suo attendere ai celestiali doveri.
 
 
 
Giunse quindi la sera in cui brillava ogni stella;
la sera in cui l’argomento venne a galla.
Dean aveva salutato suo fratello ed era ripartito
e lungo la via era comparso nell’Impala il suo angelo preferito
(ormai alle apparizioni lui era talmente abituato
che, pur sussultando, con l’auto non aveva nemmeno sbandato).
Fu mentre l’oscurità calava veloce all’orizzonte
che l’uomo accostò per prendersi una pausa dal volante;
così scesero, e alla macchina si piazzarono di fronte,
osservando nella periferia la notte farsi avanti galante:
era vestita di luci e di colori sfumati
e s’intravedeva la Luna avvolta da riflessi argentati.
Castiel guardava verso l’alto, con umore pesante,
ed il suo denso riflettere era evidente,
tanto che l’altro lo trovava quasi snervante;
«Cas» chiamò difatti con tono fervente
come a voler chiedere spiegazioni,
ma poi s’incepparono le successive fonazioni.
S’espresse solo ad incerti gesti, allora,
sperando che emergessero chissà come i significati;
intanto gli occhi dell’angelo, che su di lui s’erano spostati,
gli fecero annodare le interiora:
prontamente detestò sé stesso e le proprie emozioni,
colpevoli di tante tremende ed incontrollate reazioni.
«Dean?» l’interrogò Castiel perplesso
senza perdere il proprio cipiglio depresso,
ma comunque illuminandosi, interessato.
Al che l’uomo si sforzò di dire: «Mi sembri— stressato».
Sapeva che probabilmente avrebbe potuto far ben poco per lui,
ma voleva rendersi utile, se stava attraversando momenti bui.
«Parlami» aggiunse quindi, accorato
e come se fosse a corto di fiato.
L’altro strinse le labbra in una linea sottile
e tentennò per un istante prolungato,
poi ammise, pur aggravato,
mantenendo il tono gentile:
«Ho dei dubbi, Dean. Non ne avevo così tanti da eoni;
io provo— sensazioni».
Un’ombra gli attraversò il viso; lo fece apparire fuori di sé.
«Le provo quando sono con te. Le provo per te»
precisò a malapena sibilando,
mentre il suo sguardo vagava, vibrando;
e subito si pentì della confessione:
l’avvolse l’apprensione
e lo percorse un osceno presagio.
Sottolineò quindi: «Non ho mai desiderato metterti a disagio».
Intanto l’uomo, paralizzato, lo fissava
 e lo sconcerto sul volto gli dilagava,
impedendogli di pronunciar anche una sola parola –
Castiel si sentì automaticamente in errore, e ringhiò nella gola.
«Io non capisco,
non ci riesco»
tentò di mettere in chiaro,
preda d’un accanimento amaro;
«non sono certo di sapere cos’è,
ma non dovrebbe essere possibile per quelli come me:
io non dovrei sentirmi così.
Eppure, più tempo passo qui…»
Pensava: era un angelo, in generale non era fatto per sentire;
insieme col resto della casta celestiale, doveva solo servire
e come poteva farlo, se costantemente tutto ciò che voleva
era essere tra gli umani, e con uno in particolare: uno speciale,
che in ogni suo pensiero era centrale,
e la cui canzone ovunque nei cieli con lui procedeva?
«Se i miei fratelli lo sapessero—» si lasciò sfuggire,
trattenendosi però dal proseguire.
Il turbamento e l’afflizione l’assalirono,
ed i suoi occhi verso Dean fuggirono:
lo trovarono con l’espressione oscurata
e come pervasa da una rete intricata.
Quello non sapeva cosa dire, come reagire –
nello sforzo di calmarsi, fece fatica persino a deglutire.
Mormorò: «Cosa— cosa» approssimativo
e senza nemmeno un vero tono interrogativo,
con lo sguardo perso,
e mentre il respiro gli era avverso,
poi: «Cosa significa?» riuscì a soffiare,
incontrando un’occhiata dell’angelo che lo fece come bruciare.
Castiel, quella domanda, l’udì come un’accusa –
non era lucido, falliva nel ragionare,
le sue motivazioni si volevano l’una con l’altra contrastare –
così a mezza voce asserì: «Ti chiedo scusa».
Poté notare in Dean la muta sofferenza
e di riflesso nei propri confronti perse la pazienza;
l’ultima cosa che desiderava
era causar problemi a colui che tanto apprezzava.
Perciò, ferreo, disse: «È meglio che vada».
L’uomo si sentì mordere sin nel profondo
e, poiché aveva nascosto gli occhi puntandoli sull’asfalto della strada,
quello strazio, bloccandolo, gli fece perdere lo sfuggente secondo
in cui, se solo si fosse voltato,
lì, ad aspettare un qualche segno, Cas avrebbe trovato.
Poté girarsi solo troppo tardi; quindi, invece,
non trovò che il vuoto e la promessa d’una notte nero pece.
 
 
 
Quando si rimise in auto, lo fece con i denti stretti,
un sapore penoso in bocca,
le emozioni sigillate dietro mille lucchetti,
la presa delle mani forte tanto da far sbiancare ogni nocca
e senza un autocontrollo che si rispetti.
Certo non si fidava di sé stesso alla guida,
non con tutti quei pensieri che stridevano come grida;
per non parlar della stanchezza.
Sulla strada avanzò allora con lentezza,
per raggiungere e rifugiarsi in uno sperduto motel
dove occupò una stanza con ben poca classe
fingendo malamente che di nulla gl’importasse
e sebbene il suo animo lo bramasse,
non compose alcuna preghiera per Castiel.
Nel silenzio si distese semplicemente sul letto,
condannato ad ascoltare quesiti che rimbombavano con dispetto;
come avrebbe dovuto interpretare
il fatto che Cas aveva detto di provar sensazioni?
Per lui, poi, bisognava precisare.
Non poteva credere fossero reciprocate le proprie affezioni;
tuttavia, non poté impedirsi d’immaginare,
solo un po’ – poi riprese a ignorare e negare,
perché l’angelo non aveva in alcun modo specificato
e soprattutto se n’era andato
sostenendo di non dover sentire certe cose,
con la sua natura ovviamente incompatibili
e chissà, forse persino punibili,
persino dannose.
Dunque qualsiasi cosa Castiel provasse,
non c’era dubbio che non l’apprezzasse;
e Dean più per lui che per sé si dispiaceva.
Difatti: “La colpa è mia”, si diceva:
da qualche parte doveva aver sbagliato;
magari con un che di mondano l’aveva avvelenato.
In quanto a far danni, insomma, s’era proprio superato:
aveva spinto verso la corruzione un essere divino –
lui: un piccolo, patetico, insignificante omino.
Questo si ripeté più volte di quanto non fosse sano,
fino a scivolare in un sonno agitato e grossolano.
 
 
 
Il tragitto che ancora lo separava da casa, lo percorse da solo
e anche una volta arrivato, per fargli visita nessuno scese sul suolo;
non per diversi giorni, durante i quali attese invano
macerando spesso con un bicchiere in mano
e ostinandosi intanto a non pregare:
“È meglio così” tra sé e sé continuava a recitare,
soffocando l’orgoglio e la frustrazione
in favore d’una matta preoccupazione.
Castiel non gli aveva mai spiegato per filo e per segno
ciò che accadeva in Paradiso ad un angelo visto con sdegno –
cosa che magari ormai lui era,
se davvero era stato contaminato dall’esperienza terrena.
Possibile che stesse rimanendo lontano
per un ordine, una punizione impartita da un suo capitano?
Alla sola idea, in Dean il senso di colpa cresceva,
e a insistere nel mantenersi alla larga lo spingeva –
se non cercava contatti,
se non peggiorava quelli che già erano i fatti,
magari a Cas avrebbero perdonato qualche minore difetto
(le sensazioni la cui insorgenza
tanto gli pesava sulla coscienza)
e non avrebbero smesso di portargli rispetto.
Era ben ragionata, insomma, la sua penitenza,
ma comunque questo non attutì il percepire
dell’altro la lacerante assenza:
fu immane, il suo tacito soffrire.
 
 
 
Quasi iniziò a credere, catastrofico e tristo,
che lui, l’angelo, non l’avrebbe mai più rivisto;
un timore, quello, spazzato via senza titubanza
dall’ovattata, inaspettata risonanza
del frusciare d’ali battute con quieta baldanza
che lo colse una sera, mentre con molta poca eleganza
arrangiava il cibo che aveva in casa in un’improvvisata pietanza.
Il suono familiare l’immobilizzò
e per un attimo credette d’averlo solo sognato,
ma poi un a lui ben noto «Dean» echeggiò:
s’irrigidì e al contempo si sciolse, perché Cas era davvero tornato.
Se lo ritrovò alle spalle, coi tratti del viso spenti:
subito gli fece correre addosso gli occhi astinenti,
sentendo il battito affrettarsi e crescere prepotente;
l’angelo era schiacciato e privo d’ogni qual traccia di vigore,
e in particolare nel suo sguardo, basso e fuggente,
l’uomo rivide il proprio stesso dolore.
«Perdona l’intrusione»
sussurrò Castiel con gran contrizione
e l’altro sbuffò, per poi dire, con voce sommessa
e una tremante emozione a stento repressa:
«Da quando ti scusi per esser passato a far un saluto?»
«Da quando non so se sono il benvenuto».
Dean s’inumidì le labbra e scosse appena la testa,
poi: «Scherzi?» farfugliò, con incredulità manifesta.
Desiderava avanzare per catturar Cas in una stretta,
ma lo stupore ancora lo bloccava
e tutto nella sua mente esplodeva e urlava;
si sentì come senza equilibrio, e alla fine scandì, di fretta:
«Dove diavolo eri finito? Sei sparito
dicendo che qualcosa non andava;
non ti sei più fatto vivo e io— credevo fossi stato punito.
Per colpa mia» appuntò, col tono che vibrava.
«No» negò Castiel senza esitazione
investito da rimorso e perplessa afflizione,
«nessuno mi ha punito. Ma ti avevo causato fastidio
e non chiamavi, non come prima –
ho pensato d’aver perso la tua stima
e che non vedermi ti fosse di sussidio».
L’uomo serrò la mascella, sollevato,
vagamente arrabbiato, e soprattutto scioccato
perché erano rimasti separati
per motivi tutti sbagliati.
«In che modo il tuo abbandonare la nave
mi avrebbe dovuto aiutare?»
Si morse la lingua per non aggiunger nulla di più disdicevole,
volendosi trattenere dall’esser troppo cattivo;
in fondo, esattamente come lui, l’altro era colpevole
solo d’esser stato eccessivamente apprensivo.
Per calmarsi si passò una mano sul viso
e: «Almeno adesso sei tornato» mormorò, deciso,
sperando di potersi finalmente concedere almeno un mezzo sorriso.
Non sorrise, però. Non poté; non dopo che l’angelo gli ebbe scagliato
uno sguardo intenso, mosso, affannato
che rifletteva l’angoscia dipinta sul suo volto
e che certo non alludeva a un problema risolto.
«Cas» bisbigliò allora Dean, praticamente supplicando
e col cuore del tutto allo sbando,
«c’è qualcosa che mi devi dire?»
Quello ammorbidì l’espressione, costringendosi a proferire:
«Sono sceso sulla Terra
perché senza salutarti non sarei riuscito a partire».
S’incupì. «Dean, ci sarà un’altra guerra».
 
 
 
 






 
Angolo di Tormenta
Comunicazione Disfunzionale™: un nome, una garanzia.
...Comunque! Siamo giunti ormai alla fine, e finalmente emergono esplicitamente i sentimenti. Posso solo sperare d'averli resi in maniera quantomeno decente. A voi il giudizio! Poi, tra le altre cose – capitolo lungo. Troppo lungo? Hm; sintetica: una delle tante parole che non mi descrivono. ^_^"

A meno di incidenti di percorso, vi do appuntamento a lunedì prossimo con l'ultimo capitolo. Baci,
T. ♪

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Tormenta