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Autore: KamiKumi    13/03/2017    5 recensioni
Emily Mayton è una giovane ragazza in carriera:
Eccelle nel suo lavoro dei sogni.
La sua migliore amica è una pazza scatenata su cui si può sempre fare affidamento.
Il suo fidanzato da cinque anni è perfetto in tutto.. fuorchè tra le lenzuola.
Tuttavia la sua vita cambia radicalmente all'incontro col focoso Duke Worten. Un'attrazione magnetica che si trascinerà fin nel suo ufficio.
Un triangolo d'amore e negazione.
Ogni certezza svanisce quando inizia la passione.
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Finalmente è domenica. È stata una settimana dura, ma finalmente è conclusa. Lo percepite il mio sollievo? Già, non vedevo l’ora di stare un po’ con la mia ragazza; è stato un periodo duro al lavoro per lei e diciamo che non sono stato proprio un fidanzato modello, visti il litigi in cui siamo esplosi ultimamente, specialmente quella volta a pranzo in piadineria. 
Come se non bastasse pare abbia discusso animatamente con Brenda. Probabilmente è per questo motivo che è così giù, così fredda; quindi voglio starle vicino, comportarmi come un buon ragazzo e farle sentire che le sono vicino e la sostengo.
Si, insomma non è la prima volta che litigano quelle due, ma solitamente sono cosette di una giornata, nulla che una seduta di shopping intenso tra donne non possa risolvere.

Il programma di oggi prevede di passare l’intera giornata a letto, nudi possibilmente. Se Emily lo consente; non ha mai detto di no al sesso in cinque anni di rapporti e poi, d’un tratto, è diventata la sillaba più gettonata degli ultimi cinque giorni. Non la esprimeva a chiare lettere, ma con quelle tipiche frasette che lasciano intendere proprio quel significato, come: sono stanca, ho il mal di testa, non sono d’umore… Sapete a cosa mi riferisco, no? Almeno una di voi ne avrà fatto uso. Non mentite, so che è così. È scienza.

Mi volto sul letto per guardarla dormire: i capelli castani le avvolgono il capo in una folta criniera disordinata; allungo una mano per scostarle una ciocca dal viso. Le accarezzo la guancia con le dita, osservando le sue labbra piene e carnose schiudersi, quelle stesse labbra che ho baciato milioni di volte, e di cui non sarei mai capace di stancarmi.
Mi avvicino alla sua bocca per baciarla piano, dolcemente. Voglio svegliarla così, con lentezza e tenerezza e poi fare l’amore con lei. Tutto il giorno.
La bacio di nuovo: sulle labbra, sul naso, sulle guance, sul mento finché non geme nel sonno, infastidita, iniziando a svegliarsi. L’abbraccio ridacchiando sul suo collo quando arriccia la punta del naso prima di aprire finalmente gli occhi.
Stende le braccia allungandole sopra le nostre teste per stirarsi i muscoli come una gatta. Inspira forte ed io la osservo durante tutto il suo ciclo del risveglio.
«Buongiorno.» Rido mordicchiandole il collo.
«’Giorno.» Risponde lei in uno sbadiglio. Le sorrido, guardandola con adorazione: è davvero stupenda. Sono un uomo maledettamente fortunato.
Mi sporgo verso di lei, per appagare l’improvviso bisogno di baciarla e farmi baciare, ma si allontana prima che possa solo avvicinarmi. L’afferro per i fianchi per trattenerla “Non mi scappi. Non oggi.”
Inchiodo il mio sguardo supplicante e bisognoso nel suo, ma protesta «Devo fare la pipì.» e sono costretto a lasciarla andare. Mi rassegno e la libero dalla mia presa sbuffando contrariato; sguscia velocemente fuori dalle lenzuola e poi via dal letto. 
Mi riappoggio con la schiena sul materasso, posando le braccia incrociate dietro la nuca fisso il soffitto bianco. Sbuffo di nuovo aspettandola pazientemente e, se non fosse che questa è casa nostra, penserei che sia scappata dalla finestra, perché dopo una buona manciata di minuti di lei ancora non c’è traccia. 
Quando sento il familiare suono delle stoviglie che tintinnano l’una contro l’altra capisco che è in cucina, quindi decido di seguirla. Mi alzo con fatica dal letto, non avendone alcuna reale voglia e vado da lei. 
È li, è in piedi con addosso la maglietta dell’università di New York e quei pantaloncini rossi, larghi e orrendi, ma che adoro per la facilità con cui li si riesce a sfilare. 
Mi avvicino in punta di piedi ad Emily, che è davanti alla macchinetta del caffè, in attesa che la sua tazza si riempia.
La colgo di sorpresa avvolgendole le braccia intorno ai fianchi e posando le labbra sul suo orecchio; sobbalza per lo spavento.
«Ti aspettavo di la.» Sussurro mordicchiandole il lobo. Si scosta da me, cercando di dissimulare l’azione prendendo lo zucchero dallo scaffale poco distante da noi per posarlo sul bancone, impedendomi così di continuare il mio lento assalto.
«Avevo bisogno di un caffè. Ne vuoi una tazza anche tu?» Sguscia via dalle mie mani, afferra una tazza e me la porge. Inspiro forte: mi arrendo. 
A questo punto è chiaro che qualcosa non va e che la causa di quel qualcosa sono io, altrimenti non mi spiego tutte queste evasioni di cui crede non mi accorga.
«No, non voglio il caffè, Emily.» Rispondo con voce pacata, piena di disappunto e incrocio le braccia al petto osservandola versare una quantità di caffeina improponibile senza aggiungere zucchero. «Si può sapere cosa ti prende?» sbotto alla fine, incapace di sopportare questo silenzio e di trattenere la fatidica domanda che mi frulla nella mente da giorni.
Si volta verso di me, guardandomi da dietro il suo tazzone azzurro di espresso, con quei suoi occhi verdi sgranati e le sopracciglia sollevate. Ha sistemato i capelli in una coda disordinata, ma non li ha spazzolati. Non che importi, comunque: starebbe benissimo con qualsiasi capigliatura.
«Non ho niente.» Il suo sguardo fugge dal mio. Risponde in maniera evasiva, ed ecco che ci risiamo con i “Non ho niente”.
Cinque anni di fidanzamento, quattro di convivenza e, nonostante sia palese che qualcosa non stia andando come dovrebbe, ecco che spara quella tipica frase da donna ostinata a voler fare finta di nulla. Quindi inizio ad innervosirmi; sa che non sopporto questa cosa. Stiamo insieme, cazzo e non c’è niente che non si possa risolvere parlando.
«Oh, davvero Emy?» Sbotto ironico, incredulo per il suo atteggiamento. «Perché a me sembra che ci sia qualcosa invece!» Incrocio le braccia al petto prima di riprendere a parlare. «In questi ultimi giorni mi hai evitato in ogni modo ed ora ti chiudi a riccio in te stessa! Si può sapere cosa ti prende?» Domando con un tono di voce che, probabilmente, è più alto di come avrei voluto che fosse.
«Non è così, ti sbagli.» 
Cazzo, mi fa imbestialire: la sua voce stessa non è convinta quando mi risponde. Mi passo una mano sul viso, cercando di darmi una calmata. 
«Siamo tornati agli inizi, a quando dovevo torcerti le parole di bocca?» Poso lo guardo su di lei, che continua ad evitarmi. «Emy, ma che cazzo, dovresti riuscire a parlare con me.» Addolcisco il tono delle mie parole, accompagnandole ad una carezza sulla sua guancia. La sua pelle liscia scorre sotto le mie dita «Sono io Emy, parlami.» La scongiuro con gli occhi, sperando che si apra con me. Le faccio un sorriso di incoraggiamento, sperando che lo colga. Non ne conosco il motivo, ma non riesco a lasciar cadere il discordo, ho bisogno che parli, voglio che lo faccia e, quando avremo risolto, voglio baciarla, stenderla sul letto sotto di me, senza necessariamente andare oltre. Voglio solo questo: che mi stia vicina, che non mi respinga, che mi lasci passare oltre questa barriera innalzatasi tra di noi. La sento così lontana…
Poi d’un tratto incrocia i suoi grandi occhioni verdi, ora ricolmi di lacrime, nei miei. E mi ritrovo ad essere confuso: mi aspettavo rabbia ed urla per qualche cosa che non sapevo di aver fatto, oppure che inveisse sfogandosi per qualcosa successa al lavoro. Ma non mi aspettavo le lacrime. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che l’ho vista piangere, ma non volevo che lo facesse. 
Sono così tante lacrime. È come se, dopo giorni, avesse finalmente aperto il rubinetto che si ostinava a voler tenere chiuso, che finalmente abbia deciso di lasciarsi andare. Piange a dirotto, portandosi la mano destra alla bocca per trattenere i singhiozzi. 
Mi avvicino a lei afferrando la sua tazza per posarla sul bancone, poi la prendo tra le braccia in tutta la sua piccola figura. Trema, scossa dal pianto, mentre le accarezzo i capelli e la schiena; le sussurro di calmarsi, che ci sono io con lei e andrà tutto bene.
Lascia che le cedano le gambe inginocchiandosi a terra ed io la seguo, non la lascio mai.
Siamo accovacciati l’uno sull’altra sul pavimento della nostra cucina quando le sussurro dolcemente «Cosa succede, Emy?»
La sua risposta giunge strozzata alle mie orecchie «Non posso…» indugia tra un singhiozzo e l’altro «Mi dispiace. Mi dispiace, Nate.» Inizia a scusarsi ripetutamente, confondendomi ancora di più. 
Aggrotto le sopracciglia, mentre le domando il motivo per cui si stia dispiacendo «Potremmo risolvere il problema, se mi parlassi.» La incoraggio allontanandola appena dal mio petto in modo da poterla guardare in viso: i suoi occhi verdi sono ancora più chiari, ma anche arrossati e gonfi, accerchiati dalle lunghe ciglia bagnate sotto una cascata di lacrime. Leggo la disperazione nelle sue iridi, riesco a vedere la battaglia che avviene dentro di lei.
«Io…» Tira su col naso ricominciando il ciclo “lacrime – singhiozzi – naso”, ma aspetto paziente  «Scusa, scusa, scusami.» Lo ripete senza fermarsi, come fosse un mantra, e sembra disperata mentre scuote la testa portandosi le mani sul viso, come a volersi nascondersi da me.
È quello il momento in cui qualcosa in me si risveglia, scatta un allarme «Cosa devi dirmi, Emily?» Mi allontano da lei quel che basta per poterle posare le mani sulle spalle. L’ansia ora mi pervade mentre la scuoto piano per attirare la sua attenzione e farla continuare.
«Non- non posso più stare con te.»
Parla a voce così bassa che per un momento credo di essermela immaginata, ma l’appartamento silenzioso è la sede dello spettacolo che è la distruzione del mio cuore e le parole di Emily echeggiano intorno a noi, agghiacciandomi. Tutto in quell’istante diventa silenzioso, si immobilizza come se il tempo e lo spazio non esistessero. D’un tratto è come se mi ritrovassi in una bolla d’acqua: mi sento intontito e mi manca il fiato. Sento il sangue pulsare nelle orecchie, le emozioni sembrano ovattarsi, mentre quella frase mi rimbomba nel petto trafiggendomi il cuore, spezzandone una parte ad ogni battito.
«Cosa vuoi dire?» Non riconosco quella voce come mia quando le rispondo. Mi sembra di non appartenere al mio corpo: sono qui, ma è come se non ci fossi, come se fossi altrove.
«Non volevo, Nate. Scusami.» Singhiozza rumorosamente, le sue labbra tremano mentre mi guarda «Non volevo ferirti.»
Sbarro gli occhi e, colto da un’improvvisa scarica di adrenalina, mi rimetto in piedi. Lei mi segue a ruota e mi allontano bruscamente quando tende le sue mani verso il mio braccio.
«Non volevi ferirmi!?» Sbraito. Mi manca il fiato nonostante stia respirando profondamente da naso, mi sento oppresso. Mi passo le mani tra i capelli tirandoli «Mi vuoi lasciare, Emily! Come puoi non ferirmi!?» Non mi risponde, troppo occupata a piangere su se stessa. «Smettila di piangere come una bambina! Perché lo stai facendo, Emily!?» di tutta risposta le sue lacrime aumentano, il suo viso è chiazzato mentre si stropiccia gli occhi con le mani, irritandomi.
«Io…»
«Tu cosa?! Mi devi delle rispose! Voglio sapere perché!» 
E dopo quelli che a me paiono infiniti minuti di silenzio, si decide a rivelare ciò che io non avevo il coraggio di pensare, o ammettere: «Mi sono innamorata di qualcun altro.» 
Mi pietrifico all’istante dopo esser stato trafitto di nuovo dalle sue parole; mi pietrifico e vado in mille pezzi. Sono così ferito da non sapere come reagire. La testa mi scoppia, il cuore fa male, il fiato mi manca mentre incasso il colpo.
“Qualcun altro” 
La mia mente autolesionista ripete questa frase e, prima ancora che il mio cervello comprenda il collegamento, pronuncio il suo nome: «Duke.» 
Sgrana gli occhi e sussulta, come se l’avessi colta in fallo. Probabilmente l’ho fatto. Non ci vuole molto a fare due più due, capisco immediatamente che si tratta di lui. «Lui!? Mi stai lasciando per uno stronzo che conosci da quanto, un mese!?» Sbraito. La rabbia mi acceca mascherando il dolore lacerante che provo. Non riesco a sentire altro.
I suoi singhiozzi mi irritano. Come siamo arrivati a questo? Sono sveglio da poco più di un’ora, poco fa andava tutto bene, volevo solo passare una giornata a letto con la mia ragazza. 
Ma andava veramente tutto bene? Avrei dovuto dare più peso all’aria tesa di questi ultimi giorni: è così dalla festa per la conclusione del suo ultimo lavoro… Inspiro forte. Se prima è stato un campanello a farmi aprire gli occhi, ora mi risuonano nella mente delle campane che rimbombano forte facendo si che la realtà mi possa prendere a schiaffi in pieno viso: il lavoro l’ha svolto collaborando con lui, deve aver festeggiato con lui e dev’essere tornata tardi il mattino seguente, senza avvertirmi del fatto che avrebbe passato fuori la notte perché era con lui.
Ancora una volta il collegamento è spontaneo, la consapevolezza mi assale ancora prima di pensare alle parole che pronuncio: «Ci sei andata a letto?» Mentre glielo domando mi sento assalire dalla nausea, eppure ho bisogno di sapere, perché nutro la speranza, una piccola speranza, che mi risponda di no.
Eppure quando non dice nulla, limitandosi ancora una volta a piangere, il mio mondo crolla sbriciolandosi intorno a me. Il silenzio vale più di mille parole? O si diceva così di uno sguardo? Ma chi se ne fotte. Quel silenzio mi da la certezza che non volevo avere. Mi sgretolo davanti ai suoi occhi, impallidisco mentre le pareti della stanza sembrano stringersi ed opprimermi.
«Non volevo ferirti, Nate.» La voce le trema mentre tira su col naso «Mi dispiace tanto.»
Mi riscuoto all’istante dal mio stato di trance; mi viene quasi da ridere. Quasi.
«Ti dispiace tanto!?» Ripeto incredulo «Non volevi ferirmi!?» Urlo indignato «Sei andata a letto con lui, cazzo! Mi hai tradito, Emily!» Sbraito sbattendo una mano sul bancone facendo sobbalzare la ragazza che credevo di conoscere meglio di chiunque altro e che ora riesco a stento a guardare in faccia senza provare disgusto. Il palmo mi brucia e formicola per via dell’impatto. Il dolore fisico è ben accetto, distoglie l’attenzione dalla morsa che ho nel petto almeno per qualche istante. Sbatto di nuovo la mano sul ripiano, questa volta chiudendola in un pugno: mi inebrio di quella sensazione.
«Mi dispiace.» Ripete di nuovo piangendo, con voce lamentosa. 
Chiudo gli occhi portandomi una mano sul petto.
Chiudo gli occhi elaborando i fatti appena avvenuti.
Quando li riapro trafiggo la mia ex ragazza con lo sguardo.
«Ti sbagli, Emily: non sei tu a non poter più stare con me, ma io con te.» sibilo impassibile, totalmente svuotato «Sono io che ti lascio. Tra noi è finita.» 
Pronuncio queste parole con una sicurezza che non mi appartiene. Sono ferito e forse è per questo che decido di infierire maggiormente, perché merita di sentirsi da schifo: «Mi chiedo come tu abbia fatto a guardarti allo specchio dormendo nel mio stesso letto giorno dopo giorno, dopo avermi tradito.» Sputo sprezzante cercando di trattenere le lacrime. 
Fingo una calma che non provo. Tutto è rotto dentro di me e temo che se aprisse di nuovo la bocca andrei irrimediabilmente in mille pezzi. 
Serro la mascella voltandomi, allontanandomi e andando via. Andando via da lei, senza mai voltarmi indietro.




 

ECCOMI, SONO TORNATA!
Cosa ne pensate di questo capitolo? Ovviamente voglio conoscere la vostra opinione!
Ogni aggiornamento mi avvicina sempre di più alla fine e questo mi rattrista molto, eppure sono troppo elettrizzata all'idea di portare avanti questa storia e concluderla.
Ci rivediamo il prima possibile col 36esimo capitolo.
See you soon,
KamiKumi

   
 
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