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Autore: LilituDemoneAssiro    15/03/2017    3 recensioni
La scelta di Will è stata fatta: cadere e il suo bisogno di rinascere, portano lo spirito del cambiamento. La caduta, la perdita della grazia, e i nuovi occhi di Will si aprono al mondo. Le cose iniziano a prendere una piega inaspettata nel momento in cui il signor Graham comprende che la propria natura vive della sincerità delle proprie esternazioni, e il mondo ne avrebbe saggiato a breve uno spunto di tanto rinato gusto.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedelia Du Maurier, Hannibal Lecter, Jack Crawford, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Dopo tanto tempo, giunse un sonno senza sogni. Niente orrori notturni, stati allucinatori, niente urla dello spettro della mia ormai defunta sanità mentale turbarono quel riposo, tanto che il risveglio fu accompagnato da un sano appetito.

Accanto ad Hannibal.

Mi ero risvegliato, …affamato.

Non ricordavo di esser mai stato tanto politicamente corretto, in vita mia.

Con un sorriso sornione, placido dischiusi gli occhi mentre lui, con la testa inclinata da un lato ancora sospirava, ed io sentivo il peso del suo odore salirmi dentro l’Anima.

…Dolce Orfeo nel mondo dei sogni…, pensai, mentre con cura, facevo salire la coperta dove il suo fianco sinistro era rimasto denudato, muovendosi in un probabile sonno agitato.

Questo gesto di spontanea e inconsueta cura, in qualche modo mi predispose ancor più in uno stato ai limiti dell’estatico –posso dire ora, col senno di poi-.
Quindi, attento ai punti che tenaci sentivo tener stretta la carne, mi alzai dal letto e iniziai l’esplorazione del cottage, dato che necessario a quel punto si rivelò trovare la cucina e vedere cosa avessi potuto mettere sotto i denti. Le tenebre oramai abbracciavano anche il paesaggio circostante, come notai dalla finestra della camera, e non appena mi riuscì di buttare un occhio all’orologio nel corridoio appeso, l’ora davvero tarda mi portò a chiedermi che fine avesse fatto la nostra Chyioh, mentre pesavo ogni passo per definire all’incirca la grandezza del nostro rifugio, gettando un occhio a destra e sinistra sulla predisposizione delle stanze, tutte plausibili vie di fuga in caso fossimo stati individuati prima del tempo.

La vita avrebbe preso tutt’altra piega da quel momento in poi, e se non volevo porre fine a tutto ancor prima di averne saggiato l’inizio, l’andamento trasognante con cui ero solito affrontare le mie giornate tra un’emicrania e la successiva, costretto a fingere compassione per le vittime degli omicidi anziché cullarmi nell’empatia per gli esecutori materiali degli stessi, andava messo nel dimenticatoio: tra l’ottimismo ipocrita che ero solito usare per deflettere le attenzioni altrui dalle mie nevrosi e la voglia di vivere alla luce.

Sin dalla nascita, l’essere umano viene lambito dalla marea oscura che sgorga dal pozzo nero che dentro lo protegge e lo spirito di negazione che lo tenta, al di fuori: perennemente in conflitto con sé stesso, non attende mai, non riposa mai, non si sofferma mai per alzare lo sguardo e rimirare le stelle, solinga creatura persa nell’oceano delle possibilità. Ed imperituro nella sua cecità, capita così di rado che la bellezza della notte lo raggiunga, da trascorrere intere ere nascosto tra la cera delle sue prigioni: tenue ombra tra le ombre, perennemente in attesa, vigila sognando la venuta del ragno partorito dalla propria inedia; in grado finalmente di consumarne le carni, il dì della agognata dipartita.

Piccoli sciocchi esseri umani… Sacrificati alla fame di Hannibal, alla fine, uno scopo lo acquistate…

Non mi lasciava più, oramai, e i pensieri fugaci a lui rivolti ne divennero riprova.

Io non sentivo quella fame, o perlomeno ancora non sentivo né gusto né curiosità, all’idea; ma qualcosa, qualcosa sulla punta delle mie dita aveva iniziato a fremere, inquieta. Una sensazione pressante, a tratti tagliente, un’adorabile insetto entrato sotto la pelle che con le sue tenaglie si era attaccato dove la carne viva pulsava più forte, iniziando a succhiare voluttuoso il sangue che nelle vene sottostanti scorre; magnete piccolo ma denso come una stella di neutrini, trascinava i miei pensieri sempre verso l’addome squarciato del Grande Drago Rosso e su quanto avessi trovato delirante la bellezza del fiume di sangue che avevo visto sgorgare dalla sua carne martoriata, nemmeno fossi stato un dio alla tavola degli dei dinanzi la sua coppa di ambrosia.

Con quei nuovi occhi, divenni più acuto osservatore del micro universo che custodivo, anziché iniquo testimone delle esplosioni stellari che ciclicamente lo sconvolgevano, madri sfuggenti degli incubi nascosti sotto le pelle che ogni mattina vedevo fuggire dalla mia verità, in preda al panico.
E Bene e Male divenivano, sotto i riflettori della mia attenzione null’altro che prospettive impiegabili secondo gusto, completi alla moda da indossare nelle varie cangianti tonalità, a seconda dell’occasione.
Come i completi di Hannibal, mai troppo a lungo nel suo armadio.

La propensione dell’Io non era altro che una scelta di stile, e mentre i miei passi grevi risuonavano in quel corridoio e lanciavano un eco infinito nella mia mente, ne divenni consapevole. L’estetica, la bellezza, la poesia e l’armonia di ciò che addiviene materia in questa terra avrebbe reso la bontà del mio agire, non il comune senso della morale, davvero inflazionato e a dir poco abusato, tra i più.

A svegliarmi dall’incanto delle mie introspezioni ad occhi aperti, giunse un odore a dir poco accattivante, e tornando nella realtà, mi accorsi di esser finalmente giunto a destinazione. Accogliente e molto, risultò di primo acchito anche la cucina: gli infissi delle finestre sopra il lavabo erano candidi, una cerata a fiori copriva il tavolo, e io mi ritrovavo come se nulla fosse accaduto, ad avvicinarmi al frigo in canotta e boxer, per cercare un disimpegno al mio povero stomaco contratto dai crampi per l’appetito.
Non avevo mai lasciato la mia dimora nonostante tutto, e quel che respiravo era profumo di casa.

O forse Casa sta sospirando nel riposo, dillà… Sospirai, compiaciuto.

Accennai un sorriso abbassando lo sguardo a terra per un momento, mentre quieto mi avvicinavo al piatto coperto, poggiato sul tavolo. Uova strapazzate, pancetta, e dei bocconcini di carne che non riconobbi immediatamente mi salutavano succosi, mentre la mente volava alle prelibatezze che Hannibal aveva cucinato per me, fin dal primo invito a cena nella sua residenza. Ora divenivo consapevole di come ogni portata distintamente recasse il tono delle ultime emozioni di chi aveva salutato questa terra per farmi godere di tanto gusto e, onorato, salutavo la loro memoria sacrificata alla maestria del Cannibale: note acidule che affrontavano il mio palato colorivano la tristezza, sfumature piccanti risaltavano su coloro che avevano affrontato gli ultimi momenti come strenui combattenti, e il velo sui miei sensi si sollevava, lasciandomi osservare il mondo spinto da quel rinnovato verbo.

E anche fosse, dio quanto sono gustosi questi bocconcini. Caro maialino, sei stato allevato proprio bene….

La guancia mi doleva e non poco, ma il bisogno di recuperare le forze impellente iniziava a farsi sentire, e con tutta la pazienza possibile, compresi il bisogno di tornare in forze e a lui mi dedicai senza riserve.

Probabilmente, essendo ogni mio sforzo concentrato a soddisfare l’appetito, quello che ne venne fu un peccato di disattenzione: un cigolio, uno spostamento d’aria, un odore, nulla mi aveva avvisato del suo arrivo alle mie spalle, e proprio mentre stavo alzandomi per riporre il piatto nel lavabo il peso della testa di Hannibal irruppe accanto la mia guancia destra, mentre le sue braccia si poggiavano lievi, sul mio petto.

“Non lasciarmi solo, Will, inizio a trovare piacevole, il tuo calore accanto a me, la notte…”, disse, mentre sentivo l’angolo esterno delle sue labbra vicino alla mia pelle come delicato petalo di rosa che su un letto d’amore si posa, prima di inclinare leggermente la fronte verso la mia tempia, quasi in cerca di attenzioni.

Hannibal… Non farmi questo…

Sospirai. Mentre un singulto mi scosse e divenni rosso in viso.
Non riuscii neppure a voltarmi per rispondere: preferii limitarmi a raccogliere le sue mani tra le mie, prima di riprender fiato e trovare la forza per proferire parola.
“A te Chyioh serve le portate direttamente a letto, io purtroppo devo venirmele a cercare.” Ammiccai.

“Perdonami davvero, ma non volevo svegliarti, è notte fonda, e sei così debole, ancora… Così maledettamente debole. Non ricordo di averti mai visto in queste condizioni.”, ripresi fiato prima di proseguire.

“Sai? Ricordo perfettamente di non ricordare nulla dal momento dell’impatto dell’acqua, l’altra notte... Il che a rigor di logica mi porta ad una riflessione: la ferita d’arma da fuoco all’addome è stato solo l’inizio. Tutto il sangue versato è stato sempre e solo per salvare me; prima, dal proiettile di Francis –credevi davvero che non avessi notato il passo verso destra che hai fatto poco prima dello sparo? – e poi, quando io… quando… “, ma non mi riuscì di dire null’altro.

La gola d’improvviso era asciutta come un deserto rovente e le parole si ritrovavano perse tra le dune, mentre il mio sguardo vacuo tra le nebbie del ricordo di quelle immagini, fissava qualcosa tra le assi del pavimento che non c’era. Solo il suo odore mi teneva ancorato alla nuda terra.
Inghiottii ogni lacrima che sentivo voler esplodere dietro i miei occhi come un’amara medicina.

…Stringimi, ti prego, stringimi, non lasciare più che gli incubi mi portino via….

Le sue dita delicate avevano spostato il mio viso dal suo lato, e aveva iniziato a baciarmi con tanta delicata cura da non lasciar adito ad altro che non fosse una più completa, solerte e devota attenzione, nei suoi confronti. Il suo naso accanto al mio, le labbra che danzavano in una festa di primavera, aprivano l’epifania dei miei desideri ed io ero perso sempre più, pellegrino alla fonte della sua giovinezza.

Si scostò un attimo dalle mie cure solo per guardarmi un momento in viso e sussurrarmi “Ora, seguimi…”.

Ero sempre stato morbida creta tra le sue mani: tutta d’un pezzo un istante prima e di nuovo materia malleabile un istante poi, pronto a innalzarmi ove il suo genio intendeva condurmi. Dritto sulla porta mi tendeva la mano, e io lo seguii, senza accennare una parola, ipnotizzato dal calore che la sua mano emanava, stringendo la mia.

…Sei tu la Morte e porti Corona, sempre tu sei, mia Signora e Padrona…

Il Wendigo apriva così le porte di un Inferno che più accattivante non poteva apparire, ai miei occhi quando le fiamme vermiglie mi carezzavano le carni soavi, prima di ustionarle. Ma lui non chiese altro da me che la mia testa poggiata sul suo petto, mentre con le dita che giocavano tra i miei capelli, tornava nel sonno ristoratore di cui tanto sentiva bisogno.

E in fondo anch’io.

Pensieri inconfessabili tatuavano sulla mia pelle il nome di un dio profano, quando eco della mia mente perduta, la Luna alta nel cielo intonava un requiem soave alla presenza della nostra corte.
Lo tenni accanto quanto più possibile: l’intenzione di continuare a combatterlo era sfumata col consumarsi del lumino della mia coscienza, e quel calore che mi cullava lontano, suonava tra le pareti dei miei ricordi come una ninna nanna tanto spaventosa quanto familiare. Non l’avrei mai più dimenticata.

Mi svegliai solo in tarda mattinata, colpa di un martellante rumore di sottofondo.
“Ma cosa diavolo…”, bofonchiai, con la testa ancora immersa nelle mie fantasie.

Hannibal già svegliò, con la schiena poggiata dritta sui cuscini sollevati e tra le mani quella che sembrava una cartina nautica, si voltò.

“Tranquillo, è solo la piccola Chyioh che sta lavorando la cacciagione per il pranzo. Piuttosto, come ti senti oggi, Will.”, disse, prima di scostare la maglia e guardare i punti sotto la clavicola.

“La zona oltretutto è isolata all’estremità di una riserva marina che viene pattugliata solo dalla guardia costiera ad orari regolari ed i proprietari del cottage non verranno a controllare la manutenzione necessaria per la permanenza estiva prima di Maggio, quindi siamo al sicuro. Non lasciarti turbare da nulla, piccolo passero, non ancora almeno.”, disse, prima di proseguire in una trascesa spensieratezza.
“Sai, stavo pensando piuttosto che in questa stagione Cuba è davvero meravigliosa; un’esplosione di colori e sapori il cui clima ancora mite consente di godere delle sue meraviglie. Lo dico soprattutto per te, che sei abituato alle inquiete gelate della nostra cara, vecchia Virginia, ed è ora che godi il merito di quanto realizzato, concedendoti una vacanza. A te poi decidere se a tempo indeterminato, o meno…”, disse, sorridendo con la testa inclinata da un lato, in un tentativo di rincuorarmi da quel risveglio sufficientemente brusco.

“Mmmm …”, mi stirai nei limiti del possibile, visto che pian piano i punti iniziavano oltre che a tirare, a prudere come forsennati, alle estremità; la via della guarigione sembrava imboccata, ma quella sensazione mi rendeva a dir poco irrequieto.

 Proseguì qualche istante dopo, voltandosi nuovamente verso la cartina:

“Però, prima di salutare questi luoghi oramai poco amichevoli e dalla memoria decisamente lunga, dovrei salutare una comune amica. Un’amica a cui ho fatto una promessa non molto tempo fa. E io mantengo sempre, le mie promesse Will. Quindi, prima di salutare questi luoghi divenuti infausti, avresti piacere ad accompagnarmi in quest’ultimo atto dovuto? “

Lo fissai prima di sparare a bruciapelo la mia cartuccia.

“Dipende. Avrò possibilità di trovare diletto anche io?”, chiesi, dando temporanea soddisfazione al piccolo mostro nascosto sotto la pelle, che iniziava a mordere più tenace.

Hannibal mi rivolse uno sguardo che sembrava colmo d’orgoglio, e appoggiandomi una mano sulla guancia integra, riprese:

“Will, te l’ho già detto, più di un piacere voglio condividere, con te, da lungo tempo…. Trovarti ora così ben disposto all’idea di toccare con mano quanto il mondo ha da offrirti, mi rende a dir poco entusiasta. Ho tanto da mostrarti, quasi da rimpiangere di avere solo una vita da spendere, per realizzarlo.”
Chinai leggermente il capo in avanti per poterlo guardare di sottecchi, e dopo aver lasciato trapelare un languido beneplacito, preferii salutare l’imbarazzo alle porte del discorso che sembrava stare trovando strada da sé proseguendo altrove: “In ogni caso, dato che le mie ferite non sono gravi come avrebbero potuto sembrare, alla prossima uscita notturna di Chyioh, preferirei accompagnarla. Vorrei avere almeno una mappa mentale della zona, così da poter dormire sonni più tranquilli. Non sei più solo in questo viaggio… Io ora vedo. E non ho intenzione di restare con le mani in mano. Ma sarò di ritorno più in fretta che posso, è una promessa.”

Dopo qualche secondo di silenzio colmo dei frutti di quel che stava crescendo, Hannibal rispose al mio accorato appello:

“Se Chyioh non ha obiezioni, fai pure. Promettimi solo che porterai un’arma con te, sarà sufficiente il coltello a scatto che Francis stava usando l’altra notte. Qualcosa mi dice che hai trovato il modo di conservarlo…, vero?”.

Mi conosci fin troppo.

“Mi ero affezionato, che vuoi farci.”
Dopo aver diligentemente piegato la mappa, mi invitò nuovamente tra le sue braccia, e io mi piegai alla devastazione, chiedendo solo la pace di quel dolce annichilimento. Appoggiando il braccio nel cingergli il fianco, mi accorsi della sporgenza delle ossa iliache sotto il pantalone del pigiama, e un vento caldo mi infiammò la fronte. Sentii tanta armonia in quel particolare da venirne quasi sopraffatto, mentre il sangue nelle vene pompava più in fretta, e la voglia di lui diventava un bisogno ossessivo.

“… Abbiamo così tanto di cui parlare, spero di poter smettere di preoccuparmi presto del tuo recupero, così da poter affrontare argomenti più leggeri senza rimorsi…”, sussurrai tentando di rifuggire la vergogna di quel che la mia mente vedeva.

Nel mentre, il Wendigo lento si muoveva nella stanza, e mi fissava. Vedevo risplendere sulla sua pelle di ebano il riflesso di un’antica battaglia mai interrotta, e mentre i corpi dilaniati dei soldati caduti tornavano ancora e ancora, i generali di quella guerra prendevano le fattezze mie e di Hannibal. I nostri occhi erano un fiume di sangue in piena.

 So cosa voglio, sto solo aspettando il momento giusto. Puoi guardare altrove, mio vecchio amico.

E proprio quando sembrava divenisse facile l’accomiatarmi dai miei stessi deliri, giunse l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. Parzialmente stizzito dall’arrivo di Chyioh in camera ad interrompere quel momento, la consapevolezza che la sera sarebbe giunta presto e il mio desiderio di uscire a caccia che saliva impellente, rese quel pasto più digeribile.

Caccia.

Ad Hannibal avevo appena detto altro, non che la mia fosse intenzione di andare a caccia…

Sentii il mostro sotto la pelle, sorridermi.
 
 
   
 
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