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Autore: Dea Agnesa    16/03/2017    8 recensioni
MALEC.
Alec è un giovane ragazzo di 18 anni, non potrebbe chiedere di meglio perchè si è appena diplomato e non vede l'ora di trascorrere una serena estate con i suoi amici prima di iniziare il college.
Purtroppo non sempre le cose vanno come ci aspettiamo.
A volte un semplice giorno come tanti altri può trasformarsi in un incubo.
Quando tutto cambia, come si comporterà Alec per superare il dolore? chi potrà aiutarlo?
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sebastian si allontanò da Alec, il quale senza la presa ferrea dell’altro, che lo inchiodava al muro, cadde a terra senza forza. Quando la testa colpì il pavimento strinse gli occhi per il dolore. Tutto era molto confuso. Gli sembrava di essere chiuso dentro una bolla che attutiva i suoni e lo estraniava dal resto del mondo. Avvertiva delle voci, ma le sentiva lontane e irreali.
-Polizia! Getti l’arma a terra e alzi le mani!-
- Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà o farà potrà essere usata contro di lei in tribunale. –
Alec provò ad aprire gli occhi, cosa che gli costò una notevole autodeterminazione. C’erano uomini nella stanza. Chiuse di nuovo gli occhi. Sentì qualcuno che lo prendeva da terra e lo abbracciava. Il suo corpo era freddo e il tocco dell’altro era come avere il calore del sole su di sé, erano così piacevoli quelle carezze sul viso che non avrebbe più riaperto gli occhi. Voleva lasciarsi andare.
- Alexander! Mio Dio ti prego, apri gli occhi! Non mi lasciare…CHIAMATE UN’AMBULANZA!-
Alexander. Qualcuno lo stava chiamando. Avrebbe voluto dire che andava tutto bene ma le labbra non rispondevano al comando e le palpebre erano davvero troppo pesanti per essere aperte.
- Ti prego, ti prego…non ti arrendere…svegliati…-
Non si stava arrendendo, voleva solo dormire, riposarsi un po'. Chiunque fosse che non voleva lasciarlo riposare lo abbracciò forte e iniziò a piangere. La fronte di Alec era appoggiata sul suo collo e prima che potesse lasciarsi andare completamente fu invaso da un profumo familiare. Era speziato e confortante. Voleva assolutamente sapere di chi fosse, anche se dentro, nel profondo, conosceva già la risposta. Aprì lentamente gli occhi.
    - M..Magn..us..-
    - Alexander! Si sono qui…Hai aperto gli occhi, grazie al cielo! Andrà tutto bene, vedrai, tuo padre sta arrivando…e anche l’ambulanza sarà qui a momenti –
    - Sei…davvero…tu?- Alec alzò la mano per poter sfiorare il volto di Magnus e asciugargli le lacrime ma quando vide di averla sporca di sangue la fermò a mezz’aria. L’uomo accorgendosi del gesto gliela presa e se la portò al viso, chiudendo gli occhi.
    - Sono io…scusa per tutto questo, non ti lascerò mai più –
    - Fa male…-
Magnus gettò un’occhiata all’addome del ragazzo. Il sangue gli aveva inzuppato la maglietta ed era finito a terra, creando una piccola pozza. Si sfilò il foulard che aveva al collo e lo appoggiò premendo forte sulla ferita per impedire che perdesse ancora sangue.
    - Lo so tesoro, ma starai bene…non è così grave.-  Era una bugia e la voce di Magnus, nonostante ostentasse sicurezza, tremava -  Adesso andiamo in ospedale e quando starai meglio faremo un bel viaggio insieme, che ne dici? Ti porterò in Italia…visiteremo Parigi e…andremo…-
Alec sorrise e chiuse gli occhi.
    - Ehi, Alexander – Magnus gli prese il volto tra le mani – Apri gli occhi, guardami … devi stare sveglio…-
    - Sono…così…stanco – rispose Alec guardando Magnus.
    - Lo so, lo so – Magnus gli baciò la fronte – Ma ascolta la mia voce…-
L’uomo si voltò verso il balcone sentendo le sirene dell’autoambulanza che si avvicinavano. Quando riabbassò lo sguardo Alec aveva nuovamente gli occhi chiusi.
    - Dannazione, Alec…non ti lascerò andare via  - Magnus se lo strinse a sé, cullandolo tra le braccia – Non puoi lasciarmi…non lo sopporterei –
Voleva davvero poter ascoltare quella voce per sempre, restare tra le sue braccia ma ogni fibra del corpo di Alec gli supplicava di lasciarsi andare al torpore del sonno.
- Non mi lasciare…-
“Non ti lascio...”
- Alexander, ti prego…sei troppo importante per me –
“ Sono così felice che finisca così…tra le tue braccia…”
- Torna da me…torna da me…Alexander io …-
“Ti amo”
- …ti amo!-
 
Ma che cosa mi sta succedendo? Non sento più niente e l’oscurità intorno a me si fa sempre più fitta e impenetrabile. Non riesco a ricordare neppure dove mi trovo.
 
- È UN CASO URGENTE!-
- Maschio, 19 anni. Ferite multiple da arma da taglio sull’addome. Sta perdendo molto sangue! Preparate la sala operatoria!-
 
- Prepariamo il paziente per l’intubazione.-
- Tubo inserito. Lo collego al respiratore –
 
- Procedo con la saturazione dell’aorta addominale. Preparate il collegamento al supporto vitale.-
- Signore, la pressione sanguigna si è abbassata!-
- Preparate la trasfusione!-
- Lo stiamo perdendo!-
 
 
Alec aprì gli occhi. Si accorse subito di essere a terra e si sollevò mettendo a fuoco il posto in cui si trovava. Sbattè le palpebre un paio di volte, si strofinò anche gli occhi con una mano. Gli sembrava di aver dormito tantissimo. Non aveva idea di dove si trovasse nè di come fosse arrivato lì. Era steso su un corridoio, ai suoi lati vi erano porte chiuse. Non vedeva dove iniziasse il corridoio e neppure dove finisse. Gli sembravano dei semplici uffici. Era allarmato di non ricordare perché si trovasse in quel posto e per prima cosa si guardò e si tastò il corpo. Non aveva nessuna ferita. Almeno non era stato aggredito. Cercò di sforzarsi di recuperare il suo ultimo ricordo. Ma per quanto ci provava non aveva idea di quale fosse. Sapeva di chiamarsi Alexander Lightwood, di avere una sorella e due fratelli. I suoi erano divorziati e suo padre era il commissario di Scotland Yard. Era anche sicuro di essersi diplomato. La cerimonia del diploma era stato uno dei momenti più felici della sua vita, non avrebbe potuto dimenticarselo. Gli tornavano in mente anche alcuni episodi della sua vita. Lui Jace e Isabelle che tornano a casa tardi entrando dalla porta del retro per non far rumore. Lui e Clary che battono le mani a Simon che canta su un palco. Lui e Jonathan che studiano storia insieme. Eppure aveva una spiacevole sensazione, come se non riuscisse a ricordare qualcosa di estremamente fondamentale. Si alzò sospirando. Perlomeno stava bene e ricordava la sua famiglia.
Si avventurò lungo il corridoio. Dopo qualche passo notò una porta aperta, sulla targhetta affissa sul lato destro del muro vi era riportata la scritta “Ufficio Informazioni”.
Alec bussò piano ed entrò. La stanza non era molto grande e al centro della stessa vide, dietro una scrivania e molto indaffarato...
 - Jace!? Ma… che ci fai qui?- chiese Alec ancora più confuso di prima.
- Scusi?- fece questo rivolgendogli solo un breve sguardo.
- Jace…sono io, Alec! Smettila di prendermi in giro! È forse uno scherzo?-
- Senta, ho un sacco di lavoro da fare…non so chi sia questo Jace, quindi mi dica cosa vuole e vada via –
- Ma…tu sei…- Alec guardò meglio il ragazzo. Forse si era sbagliato, quello non era suo fratello…Jace aveva sempre avuto i capelli così dorati? Non lo ricordava. Non era sicuro di ricordare esattamente come fosse fatto il fratello. – Mi scusi…devo essermi sbagliato…-
- Ha bisogno di qualcosa? – chiese il Non-Jace.
- Si…io vorrei sapere dove mi trovo-
- Ah, per quello deve andare nell’altro ufficio.- il Non-Jace si alzò e diede un foglietto di carta ad Alec .- Ecco, dia questo all’impiegata. È l’ufficio n. 283…in fondo sulla destra –
- Ehm…ok- Alec prese il foglietto e fece per uscire, quando però lo guardò rimase basito, il foglio era bianco. – Mi scusi, ma questo foglio è completamente bianco!-
- Non dica sciocchezze e adesso vada- gli rispose il Non-Jace con un gesto impaziente della mano .
Alec uscì dalla stanza e si incamminò di nuovo lungo il corridoio. Ogni porta era numerata e non gli fu difficile trovare la 283. Bussò.
- Avanti –
Alec entrò. L’ufficio era esattamente come quello in cui c’era l’impiegato Non-Jace però seduta alla scrivania vide una ragazza. Aveva dei bei capelli neri mossi e un corpo formoso. Ad Alec ricordò sua sorella ma questa volta non avrebbe fatto lo stesso sbaglio come con il Non-Jace, quella non poteva essere Izzy.
- Salve, mi hanno detto di venire qui…- disse Alec passando il foglio alla Non-Izzy. Questa lo prese, con le sue mani affusolate, e lo guardò.
- Mi dispiace ma l’hanno mandata nell’ufficio sbagliato. Qui ci viene chi SA già dove si trova –
- Si…ok …- Alec si passò una mano tra i capelli, era frustrato da quella situazione – Senta io mi sono risvegliato nel corridoio – indicò il corridoio dietro di sé – ma non so come ci sono arrivato…perciò…- ci pensò un attimo prima di continuare a parlare – Non importa. Chiamo un taxi e torno a casa…-
- Ha già visto l’uscita?-
- No…sarà alla fine del corridoio, vero?- 
La Non-Izzy fece spallucce – Non lo so –
- Cioè mi sta dicendo che non sa dov’è l’uscita?!- chiese Alec più nervoso che mai.
- Sto dicendo che LEI non sa dov’è l’uscita!-
- Questo è ridicolo…io me ne vado.- rispose Alec uscendo sbattendo la porta.
Voleva andarsene da quella gabbia di matti. La cosa più semplice da fare era ritornare a casa, una volta lì tutto si sarebbe sistemato. Forse soffriva di sonnambulismo e non se n’era mai accorto. Affrettò il passo per arrivare alla fine del corridoio. Cominciava a sentirsi come un topo nella gabbia. Svoltava degli angoli sperando di trovare l’uscita ma ciò che vedeva erano solo altri corridoi, tutti uguali. Si prese la testa tra le mani e si inginocchiò a terra tremando. Avrebbe voluto piangere per il nervosismo. Tutto quello non poteva essere reale.
- Ehi, ragazzino!-
Alec si voltò verso quella voce. Un uomo, bello e muscoloso, si avvicinò a lui.
- Non sono un ragazzino!- gli rispose Alec. Quella conversazione gli dava l’impressione di averla già vissuta. Anche l’uomo di fronte a lui gli sembrava familiare.
- Come ti pare. Alzati dai – l’uomo gli diede una mano e Alec si alzò. – Cosa ti succede?-
- Io…è questo posto. Questo maledetto posto! Non riesco a trovare l’uscita –
- Mmm – l’uomo lo guardò – Credo tu debba andare su –
- Su? –
- Si, nell’ultimo ufficio…sull’attico. È lì che vanno quelli che non trovano l’uscita. –
- Non voglio andare in un altro stupido ufficio, voglio andarmene!- rispose Alec
- Senti ragazzino, smettila di frignare! Se vuoi andartene devi fare come ti dico!- gli rispose brusco l’uomo.
- Bene! – rispose Alec allargando le braccia – e come ci arrivo sull’attico? Non ci sono scale! Solo infiniti corridoi. –
- Ma che stai farneticando? C’è un ascensore proprio dietro di te!-
Alec si voltò e in effetti, proprio dove l’uomo stava indicando, c’era un ascensore.
- Ah…io…non l’avevo proprio visto…- gli rispose Alec arrossendo.
- Andiamo dai – gli disse l’uomo precedendolo.
Alec gli andò dietro affrettando il passo. Quell’uomo gli dava su i nervi ma almeno non sembrava pazzo come gli altri. Entrarono sull’ascensore e l’uomo premette il pulsante per andare all’ultimo piano.
Dopo un paio di secondi in silenzio Alec cominciò a parlare.
- Mi sono risvegliato qui…ma non so come ci sono arrivato…è come se… mi fossi perso – appena pronunciò quelle parole abbassò lo sguardo. Non sapeva perché le stava dicendo ad un uomo che aveva appena incontrato ma parlare con lui gli sembrava…giusto.
- Troverai l’uscita – gli rispose quello sollevandogli il volto con un dito – Devi solo ricordare…-
- Ricordare cosa?-
- Il motivo per cui vuoi andartene – gli spiegò l’uomo.
Le porte dell’ascensore si aprirono. Erano arrivati a destinazione. Alec uscì e si voltò per guardare l’uomo che non accennava a muoversi.
- Non vieni?- chiese Alec.
- Io …non sono ancora arrivato al mio piano- gli sorrise l’altro.
- Ma… che dici? Non ci sono altri piani, questo è l’attico!-
- Alec?-
- Si…- quel si gli uscì sussurrato. Non capiva perché ma aveva un nodo alla gola.
- Digli che non è stata colpa sua e che…l’ho sempre amato. Prenditi cura di lui- gli disse mentre le porte dell’ascensore si chiudevano.
- A..aspetta!! Di chi stai parlando?! E come sai il mio nome? –
Alec rimase pietrificato nel guardare quelle porte chiuse. Stava tremando e non sapeva il perché. Si voltò ancora scosso e andò verso la porta dell’ultimo ufficio. La sua mano era pronta a bussare ma la porta si aprì da sola. Entrò desideroso di avere risposte alle sue domande. L’ufficio era parecchio grande, con una scrivania al centro e dietro di essa una vetrata che dava su una veranda piena di piante. Una porta alla sua sinistra si aprì, l’uomo che ne uscì fece bloccare il cuore di Alec. Era bellissimo e sensuale. Quando i loro occhi si incontrarono Alec potè giurare che quella non era la prima volta che accadeva.
- Non trova l’uscita, vero?- gli chiese cordiale l’uomo avvicinandosi.
- Io…noi…ci conosciamo?-
- Pensa di conoscermi?-
- Non lo so…forse…è tutto così confuso –
- Si sieda, vuole una tazza di tè?-  disse l’uomo indicandogli una poltrona.
- No…no, grazie –
- Allora – iniziò l’uomo sedendosi di fronte a lui e accavallando le gambe – mi dica cosa le serve –
- C’era un uomo con me sull’ascensore – iniziò Alec muovendosi a disagio sulla poltrona – Ha detto…che doveva salire agli altri piani…ma cosa voleva dire?-
- Immagino volesse dire esattamente quello che ha detto –
- Perciò se tornassi sull’ascensore potrei salire pure io?-
- Se è quello che vuole –
- E …cosa troverei più su di questo piano?- chiese Alec
- Non lo so, dovrà scoprirlo da solo temo. Cosa vuole fare?-
- Voglio…tornare a casa…sono sicuro che qualcuno mi sta aspettando  - rispose Alec, anche se un po' tentennante.
- La sua famiglia?-
- Si, ma anche qualcun altro…- spiegò Alec che tentava in tutti i modi di ricordare. – Deve esserci un motivo se sono qui, se non ricordo come ci sono arrivato…forse ho preso una botta in testa…
- Certo, potrebbe essere… –
Alec sospirò impotente. Abbassò lo sguardo sembrandogli di vedere un’ombra. Si era sbagliato, non c’era nulla nella stanza. Si guardò le mani e rimase sorpreso quando notò fossero sporche di glitter. Non c’erano prima…o forse non ci aveva fatto caso.
Quando alzò lo sguardo l’uomo si era piegato in avanti passandogli un fazzoletto.
- Grazie…non capisco da dove arrivino –
Mentre Alec si ripuliva le mani pensava che in fondo non erano così male. Sicuramente lui non li avrebbe mai usati ma magari sui capelli di un bel ragazzo sarebbero stati affascinanti. Rise mentalmente a quel pensiero bizzarro. Adesso nessuno dei due parlava e Alec si mise a guardare l’ufficio in cui si trovava. Non aveva nulla di particolare, tutto era perfettamente pulito e ordinato. Dietro la scrivania vi erano degli archivi e vicino alla poltrona in cui era seduto una libreria con alcuni sopramobili e libri di diverso genere. La sua attenzione fu catturata da un oggetto in particolare.
- Le piace? – chiese l’uomo indicando l’oggetto – è una …-
- Campana tibetana – lo interruppe Alec continuando a osservare l’oggetto.
“è uno strumento musicale…l’ho acquistata qualche anno fa in Tibet”
Alec si voltò verso l’uomo che stava seduto placidamente di fronte a lui.
- Cosa…cosa hai detto?- chiese il ragazzo
- Non ho detto nulla –
- Qualcuno ha parlato, l’ho sentito!! –
“Andiamo Alexander, al mio tre beviamo insieme tutto!”
Alec si alzò di scatto e si guardò attorno.
- Adesso hai sentito?! Di nuovo quella voce!-
“Sei stato perfetto. Sei bellissimo Alexander”
- Non puoi non aver sentito!- disse Alec rivolgendosi spaventato all’altro.
“Io vorrei farti molte cose ma non questa notte. Perché mi piaci troppo.”
- ADESSO BASTA!- gridò Alec tenendosi la testa fra le mani – TU mi stai facendo qualcosa –
- Hai detto che vuoi trovare l’uscita. Per trovarla devi ricordare – gli spiegò paziente l’uomo.
- Devo ricordare cosa?? –
- Il motivo per cui vuoi tornare!- disse l’uomo alzandosi e avvicinandosi ad Alec. Era esattamente la stessa cosa che gli aveva detto l’uomo nell’ascensore.
“Non mi succederà niente, te l’ho detto tornerò da te…tornerò sempre da te”
- Sento la voce dentro la mia testa, sto impazzendo?- chiese Alec allarmato.
L’uomo prima di rispondergli gli tenne il viso fermo con le mani e i loro occhi si incontrarono, il respiro di Alec era accellerato e anche il suo cuore batteva all’impazzata.
- Calmati…non devi aver paura dei ricordi –
- Non ho paura…- Alec si perse nel verde e oro degli occhi che lo osservavano. – Questi occhi…-
- Questi occhi cosa?- chiese l’uomo mantenendo la presa sul ragazzo.
“Non mi lasciare”
- Non ti lascio – disse Alec spostando le mani che gli tenevano il volto fermo.
“Alexander io…ti amo”
- Ti amo anche io – disse Alec con le lacrime agli occhi. La consapevolezza di ciò che aveva dimenticato gli cadde addosso con la forza di una valanga. Si sentì sommergere dai ricordi e dalle emozioni. Ricordava ogni cosa…Jonathan a terra sul pavimento…Sebastian che lo accoltellava…il suo Magnus che lo stringeva al petto…
- Tu non sei lui …- gli disse Alec allontanandosi dall’uomo – Gli somigli ma…non sei lui…-
- Non sono lui – chiarì l’uomo che ora sembrava soddisfatto.
- Puoi indicarmi l’uscita?- chiese Alec.
- Penso che ora tu sia in grado di trovarla da solo- gli rispose l’uomo tornando dietro la scrivania.
Alec non voleva perdere tempo, a passo svelto andò verso la porta e l’aprì, prima di uscire chiese:- Questo è …un sogno vero?-
Non ci fu nessuna risposta così Alec si voltò ma nella stanza non c’era più nessuno.
Poco gli importava se fosse un sogno o altro, voleva solo tornare da lui. Corse verso l’ascensore e quasi non si stupì di quando al posto di questo si trovò davanti una grande porta con scritto “USCITA”. Sorrise e senza perdere tempo aprì la porta. Fu invaso da una luce forte e calda continuò ad avanzare con un solo pensiero nella testa: Magnus.
 
 
 
 
 
Salve a tutti, ammetto che questo capitolo sia un po' particolare. Alec tra la vita e la morte…mi è piaciuto molto scriverlo. Nel prossimo ci saranno un bel po' di spiegazioni soprattutto su come Magnus è riuscito a scappato e nonostante questo rimarranno alcuni interrogativi, giusto per lasciarvi sulle spine. Cosa ne pensate di questo capitolo? Pensate anche voi che Alec stesse sognando? 
  
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