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Autore: sissir7    20/03/2017    1 recensioni
Fondamentalmente, John e Sherlock rappresentano tutto quello che un amore non dovrebbe essere, tutto quello che un amore non dovrebbe pretendere. Ma come si sa, alla fine è l'amore a decidere tutto: vita, morte, gioia, dolore. Sherlock non è mai stato così sensibile e John non è mai stato così se stesso.
Questa è la mia visione di due persone fittizie che non sono mai state così reali.
Questa è la visione di un amore che dopo 130 anni non è stato dimenticato.
E mai lo sarà.
P.S. Vorrei tanto che venissero ascoltate le canzoni citate perchè sono quello che le mie parole non riusciranno mai a descrivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Mi raccomando John, tienilo d’occhio.”
La Signora Holmes aveva entrambe le mani sulle sue spalle e con queste parole lo congedò con un sorriso mentre lui si limitò ad annuire.
Strinse la mano al Signor Holmes che ricambiò la stretta con forza. La donna poi si rivolse al figlio e le bastò un’occhiata per dire quello che era necessario. Anche il padre fece lo stesso e Sherlock, dopo un cenno ai genitori per segnalare di aver capito, prese la sua valigia e si avviò con John.
“I tuoi genitori pensano che io possa correre qualche pericolo vero? I loro sguardi erano…convincenti direi.”
Sherlock scosse la testa.
“Mi ami. Dovrebbero saperlo che solo questo è già un pericolo per te.”
John rise, non dandogli tutti i torti. Ma ovviamente era il pericolo migliore che potesse mai sperare di vivere.

Misero le valigie nel bagagliaio e Sherlock salì al posto di guida; John al suo fianco.
Era un Audi un po' datata ma comunque molto bella.
“Sono sorpreso ci abbiano lasciato l’auto.” Disse Sherlock mentre metteva in moto e lasciava il viale di casa.
John abbassò il finestrino e fece ondeggiare la mano nell’aria fresca di campagna. Si voltò per vedere i ricci morbidi di Sherlock che si sarebbero mossi per la brezza e vide esattamente quello che sperava di vedere; un volto rilassato, quel collo libero dai bottoni della camicia che aveva sbottonato fino al petto…
“Fermo, fermo!”
Sherlock frenò bruscamente.
“Ma che ti prende!”
“Ho dimenticato il tuo regalo.” 
Così dicendo John scese dalla macchina e Sherlock fece lo stesso.
“Me lo puoi dare quando torniamo. Perché tutta questa urgenza, è un oggetto.”
Sherlock se ne stava in piedi con la mano appoggiata allo sportello aperto con fare annoiato e di chi sa che quella era una cosa inutile che avrebbe solo ritardato i loro piani. John si limitò a fargli un cenno con la mano come per dire di aspettarlo lì ma Sherlock lo seguì sbuffando.

Entrarono di nuovo in casa e dopo aver spiegato ai Signori Holmes “L’impellente voglia di John di darmi un regalo che benissimo poteva risparmiarsi”, salirono in camera di John che frugò per un po' nel suo armadio. Sherlock aveva le mani ai fianchi e anche se appariva disinteressato dentro sorrideva ed era molto curioso di cosa aveva scelto di donargli, a lui che era una persona la cui attenzione era impossibile da attirare.
“Tieni.” Disse John.
Sherlock prese quella confezione che non era altro che un cofanetto quadrato, abbastanza grande, di velluto blu scuro.
Lo fissava.
Gli sembrava esattamente quello che molto probabilmente era: un gioiello.
Stava per aprire bocca che John lo fermò subito.
“Non mi importa. Puoi non metterlo perché so che lo troverai inutile e non adeguato a te ma sai cosa? Non mi importava e non mi importa. Volevo farlo, volevo dartelo.” 
Sherlock deglutì un po' in imbarazzo, zittito, e aprì la scatola.
Il suo sguardo seguiva la catenina brillante e leggera che terminava con un ciondolo circolare e sopra era inciso qualcosa che lui non aveva mai dimenticato.
“No. John.”
John abbassò la testa e si sedette sul suo letto, poggiando le mani sulle gambe che nervosamente si muovevano.
“Giuro che d’ora in poi i regali ai tuoi compleanni o a Natele non te li faccio. Seriamente, ci risparmio anche.”
Rise piano, ma Sherlock era ancora lì a fissare quel ciondolo e chissà cosa stava pensando.
A John sembrò una di quelle volte quando al liceo si fissava su un esercizio di chimica il che non gli faceva sperare molto bene.
“Senti, lo sapevo okay? Posalo e andiamo o si farà tardi.”
Si alzò per prendere il regalo dalle mani ferme che glielo impedirono.
Sherlock lo guardò e scoppiò a ridere.
“John Watson, tu non puoi capire quanto in questo momento io metta in dubbio tutto quello che ho sempre pensato sulle probabilità e le coincidenze.” Lo abbracciò e poi prese la collana e la indossò.
Il piccolo disco si poggiava al centro del suo petto. Sopra vi erano incisi tre numeri e una lettera: 221A. John lo guardava e avevano già capito tutto. “Non ci posso credere che te lo ricordi, Sherlock. Sul serio?”
“Non esserne così sorpreso. Io noto tutto. Se è importante, non lo rimuovo. A maggior ragione se per me è una cosa necessaria perché legata a un ricordo troppo bello.”
John sospirò e corrugò la fronte.
“Oh andiamo John! Me lo vuoi sentir dire?! Pensi che ti stia solo assecondando?”
“Beh, diciamo che per esperienza voglio assicurarmi della cosa.”
Sherlock alzò gli occhi al cielo e poi disse:

“221A è il numero del posto dove ero seduto in biblioteca la prima volta che ci siamo incontrati, al liceo. Era inciso sull’etichetta metallica al centro del tavolo, in alto. Tu stavi leggendo un libro, Hemingway, e indossavi un maglione di lanetta color crema e sotto avevi una camicia panna. Avevi i capelli corti come adesso (anche allora li odiavo, devi farteli crescere) e le gambe incrociate sotto la sedia perché quella è la tua posizione più comoda. Non ti stava piacendo il libro e allora giocavi con la pagina con il pollice, nervosamente. Ma dovevi finirlo per un esame e allora te ne sei andato in biblioteca perché se fossi stato a casa o al parco o da qualche altra parte ti saresti distratto. Lì invece, in un luogo e te così sacro, dovevi leggerlo. Continuo?” John aveva i brividi e le labbra non sapevano più parlare.
“Ti dovrei fare un applauso”
“No, dovresti darmi un bacio.” E lo fece.
Prese quel viso e baciò quelle labbra pronte a ricambiare.
“Ma vuoi sapere una cosa ancora più assurda? Sul serio John, è…”
John annuì.
“Cosa?”
Sherlock chiuse gli occhi per qualche secondo.
Iniziò a sbottonarsi la camicia.
“S-Sherlock, ci sono i tuoi genitori giù ed io…io…”
Guardava il petto di Sherlock nudo e parlare a cosa serviva?
Sherlock si fermò per un attimo dopo aver finito di spogliarsi.
Teneva la camicia ancora in mano.
Ed era lì, davanti a John, che aspettava una risposta.
“Cazzo, Sherlock.”
Le sue dita si poggiarono su quell’inchiostro, all’altezza del cuore.
“Mh. Non proprio le parole che mi aspettavo ma…”
Il tatuaggio erano tre numeri e una lettera: 221B.
Su quella pelle, era come la cosa più inadeguata di sempre, un nero che  pareva sollevarsi su quella pelle diafana.
John lo accarezzava ancora.
“Come diavolo ti è venuto in mente? La tua pelle… Sei un ballerino, non puoi avere queste cose. Poi fa male, qui.”
Sherlock tralasciò lo stupido stereotipo sui ballerini che John aveva appena detto e disse:
“E a te come è venuto in mente di spendere 350 euro per una collana in oro bianco comprata dal migliore orefice in circolazione a Venezia?”
John fece spallucce e poi sorrise.
“Okay, facciamo che siamo pari.”
Disse, incrociando per qualche secondo lo sguardo di Sherlock, per poi tornare a guardare l’inchiostro.
“221B. Non ci avevo neanche fatto caso che era il mio posto quello. Ma se ci pensi è scontato.”
“Già.”
Silenzio.
Cercavano ancora di realizzare.
Quella, se mai qualcuno la credesse una coincidenza, era la coincidenza più strana e inquietante della storia.  
“Lo hai fatto tatuare sul cuore. Ti rendi conto di quanto è scontatamente sdolcinata questa cosa? E tu non sei mai scontato.”
“Non mi importa.”
“Non ti importa?”
“E’ sempre stato il tuo posto. Non c’era altra soluzione.”
Lo disse con fare freddo.
“Non sarebbe stato giusto se lo avessi fatto da qualche altra parte. Non avrebbe avuto senso. Il tuo posto e qui e basta.”
Sherlock prese la mano di John e la baciò, tenendola stretta.
“Ti amo così tanto, John.” Gli accarezzò il viso.
“E lo sento proprio qui.” Poggiò la mano di John sul 221B.
“Ti sento qui.” Disse ancora.
A John corsero dei brividi lungo la schiena.
“Sto cercando qualcosa di tremendamente irritante da dirti ma…”
John non voleva commuoversi. Fallì. Poi scosse la testa.
Guardava Sherlock lì, in quella stanza che aveva appena preso il suo odore e scoppiò a ridere.
Calmandosi, iniziò a dire cose senza senso. Pensieri che gli passavano come fulmini nella mente.
“Perché? Perché siamo io e te Sherlock? Ci hai mai pensato? Insomma, ci sono miliardi di persone al mondo, seriamente, tu potresti uscire di qui ed incontrare chi vuoi. Un ragazzo che ha cosa che ameresti e più simile a te. È lì, da qualche parte e ti stai negando la possibilità di incontrarlo spendendo il tuo tempo con John Watson, assolutamente il ragazzo più normale che esiste. Te ne rendi conto? È assurdo. Io potrei anche incontrare qualcun altro e innamorarmi per davvero se non ci fossi tu. Trovare qualcuno più semplice da sopportare e meno assurdo e complicato. E mi sto negando questa opportunità perché ti ho scelto. E gli occhi si rifiutano categoricamente di cercare altro, di volere altro. È…è…”
Sherlock aveva gli occhi spalancati e si avvicinò piano a John che sembrava  fare fatica a respirare.
“Stai…stai avendo un crollo nervoso per caso?”
“Sto…”
John poggiò le mani sulle spalle del suo ragazzo, il suo amore, il suo chissà cos’altro gli veniva in mente in quel momento.
“Sì, penso di sì. Ma ora sto bene. Benissimo. Stavo solo cercando di capire questa cosa. 221 A, 221B. Insomma. Devi ammettere che è”
“Lo so ma è fondamentalmente normale perché sono dei particolari importanti e… è stato l’inizio di tutto. L’inizio di noi.”
John scosse la testa.
“Non puoi farmi questo ogni volta che mi parli. Non posso guardarti e pensare che stai con me. E non è normale, Sherlock okay? Non lo è.”
Sherlock intuì quasi rabbia ma non ci fece caso più di tanto perché quella era la reazione di John all’ ottanta per cento delle cose che lo sconvolgeva o che non capiva.

“Non ti rendi conto di quanto fai bene alla mia anima. Non lo potrai mai sapere, mai.”
Sbuffò piano, con un sorriso che non controllava, un sorriso nervoso.
Sherlock cercò di farlo rilassare massaggiandogli le spalle.
“No, non posso John. E voglio solo dirti che in qualsiasi momento tu puoi lasciarmi. Non ti incolperei, non mi arrabbierei. Io non sono una persona con cui vivere una vita serena. Io do fastidio, sono arrogante, straparlo e mi isolo. E tu sei libero di andartene quando lo desideri. Non abbiamo neanche iniziato questa vacanza che dovrebbe farmi capire che a vent’anni ci si deve godere la vita e le piccole sciocchezze, che io già so che non ne ho bisogno, John. Noi, non ne abbiamo bisogno. Hai detto che sei un ragazzo normale ma non ti sei mai sbagliato di più in vita tua. Sei un ventenne che ha una saggezza che neanch un cinquantenne ben istruito e vissuto ha mai avuto. Capisci ogni piccola emozione e la fai grande.”
Non vedeva il volto di John in quanto stava ancora massaggiandogli le spalle, con calma, spalle che si rilassarono.
 “Ogni cosa ti tocca e sei così pronto ad ammirare il mondo che te ne riempi e ne scrivi a riguardo, lo disegni con la tua arte che è spettacolare. Sei sempre imbronciato e divori libri come fossero caramelle. Hai metà del corpo tatuata delle cose più assurde e profonde che io abbia mai visto. Tu e normale nella stessa frase non ci stanno proprio. E questa voglia di salvarmi che hai… io la apprezzo. Ed è uno dei motivi più importanti per cui ti amo perché nessuno ci ha mai provato in un modo così bello.”
Nessuna riposta.
Eppure si era fermato per cercare di estorcergli qualcosa. Le sue mani si fermarono e fu di nuovo di fronte a lui. John, semplicemente, ascoltava.
Con quella sua tipica espressione un po' imbronciata.
“Ma fatti dire quest’altra cosa scontatamente sdolcinata” continuò Sherlock.
“Anche solo il tuo amore mi fa venir voglia di vivere quando ci avevo rinunciato.” Sorrise.
John impassibile.  
“Quindi, ora andremo a Londra e ci divertiremo ma non perché io ne ho bisogno e neanche perché tu ne hai bisogno, ma perché noi vogliamo farlo per dimostrarci che insieme possiamo andare ovunque, vedere chiunque e qualsiasi cosa ma alla fine, saremo sempre noi. Insieme. Perché è la sola cosa che ci fa stare bene, non trovi?”
John fu colpito da quelle parole; erano una verità che Sherlock aveva capito mentre lui, no.
Lui aveva la mente di un ragazzo di venti anni. Sherlock del doppio, minimo. Forse neanche si poteva porre un limite di età ai suoi pensieri, ragionamenti, riflessioni. John gli era di fronte e annuiva, annuiva.
Cercò qualche parola a cui dare senso.
“Sai a cosa sto pensando, ora?” Teneva gli occhi fissi sul pavimento, le mani cercavano quelle di Sherlock che si lasciarono prendere.
John ci giocava.
Tentava di disperdere le emozioni, un po' tra le dita di Sherlock da stringere, un pò sulle labbra nervose che stavano per parlare.
Sherlock per un attimo fu colto dal dubbio che aveva parlato troppo, come sempre, sempre lo stesso errore; aveva detto qualcosa fuori luogo e se ne pentiva.

Ecco cosa deve affrontare chi soffre di ansia: non sentirsi mai giusti e sempre alla deriva. E quella scomoda sensazione di colpa faceva capolinea sulle sue mascelle serrate. Quella folata di emozioni per lui era come un puzzle che doveva comporre nel modo esatto altrimenti poteva avere un attacco d’ansia in quel preciso istante.
Ma era con John.
Era John.
E provava, tra tutto quel miscuglio di cose, anche tranquillità. Ed era un paradosso ma era reale. John era reale e lui non poteva sentire nulla se non pace. E pensando questo, anche solo pensando al nome di John, sapeva salvarsi.
“Sherlock, io penso…”
Alzò gli occhi su di lui. Lui che lo guardava intensamente come se stesse aspettando una sentenza.
“…che ti amo, ti stimo e ti devo molto. Io non, non so come andrà a finire.”
“Tra di noi?” La sua voce era instabile.
“Sì. Tra di noi. Il troppo storpia. Troppo poco anche. Tutto quello che spero è che troveremo un equilbrio.”
Le labbra di Sherlock si curvarono in un piccolo sorriso. Lui era il troppo. John era il poco. O almeno questo è quello che pensava John, quindi. Ma erano un troppo che non era sbagliato e neanche il poco lo era. Erano, entrambi, solamente distanti. Due mondi. Ma come due mondi, letteralmente si condizionavano. Come la storia dei campi magnetici, avete presente? Si sta in piedi solo se anche l’altro c’è, altrimenti vagherai nello spazio.
Perso.
Per sempre.
Senza nulla che ti possa riprendere e portare di nuovo a casa. Mai più quella sensazione di casa.
Distanti.
Due mondi.
E come unico svantaggio avevano l’amore che quella distanza se la divorava. Quindi ora si ritrovavano troppo vicini, forse. Era questo il problema, sentivano. Una  vicinanza che ti cura ma ti fa male. Uno sciroppo troppo amaro che ingoi sapendo il bene che ti farà. Volta dopo volta. Tutto quello che dovevano fare ora  “ Resistere, John. Dobbiamo resistere.”
Fu tutto quello che Sherlock disse e John fece un’espressione tra il consenso e un punto di domanda. Sherlock lo baciò, piano.
“Lo so che hai detto che un bacio non aggiusterà le cose con te ma non volevo aggiustare proprio nulla. Mi stai bene così. Con i tuoi dubbi e le facce strane quando tutto quello che vorresti fare è cacciare un urlo e tirare un pugno al muro.”
Sorrise.
John scosse la testa tirando come un sospiro di sollievo.
“Facciamo che mi baci ogni volta che voglio farlo? Ogni volta che vorrei perdere la tesa?”
“Sì.”
“Bene.”
“Ora…scendiamo, saliamo in macchina e partiamo, tu ed io. Io che cercherò di mettere al posto giusto le  emozioni e tu che cercherai di capirle.”
“E se l’amore è davvero qualcosa che non si capisce come tutti dicono?”
Sherlock rimase in silenzio per un po' ma poi sicuro disse: 
“Ma noi non siamo ‘tutti’. Io sono un asociale, scienziato ballerino e tu sei un artista, filosofo, scrittore.”
Alzò gli occhi al cielo. “Dio solo sa come riusciamo ad andare avanti e tu vorresti dirmi che ti importa di quello che tutti dicono sull’amore? No, John.” “Hai centrato il punto, direi.”
“Mh.”
John si passò la mano tra I capelli.
“Siamo un bel casino eh.”
Sherlock dondolò la testa a destra e a sinistra.
“A me piace il caos. Senza, mi annoierei troppo.”
Risero e dopo una sguardo che solo Dio sa quanto era bello, scesero ritrovandosi di nuovo in cucina.

La Signora Holmes vide la collana luccicante e la prese sul palmo della mano.
“E’ bellissima, John.” Sorrise.
“221A?”
“E’ una lunga storia, mamma.”
“Un giorno me la racconterai. Ma ora avviati in auto. Io e tuo padre abbiamo bisogno di parlare con John.”
Sherlock e John si guardarono.
“Se vuole dirmi qualcosa che riguarda la mia relazione con suo figlio, Sherlock rimane. Non ho problemi, né imbarazzo.”
“No ragazzo.”
Intervenne il padre di Sherlock, che se ne stava di spalle di fronte al camino spento, con le mani in tasca e una voce meno gioiosa del solito.
“E’ una questione personale. Che riguarda te e noi, in un certo senso.”
Sherlock era confuso.
“Papà, mamma, so che io non sono la persona migliore nella relazione, e forse mai lo sarò ma non per questo dovete tentare di”
“Stai solo sprecando tempo prezioso, figlio mio. Ascoltaci.”
“Sherlock, va bene.”Disse John, che ancora cercava di realizzare le parole di Sherlock ma, sembrava una cosa seria e non era il momento di prendere posizione.
“Aspettami in macchina.”John fu piuttosto serio e calmo. Anche se non poco preoccupato, si fidava degli Holmes e sapeva che era necessario ascoltarli.
“Ma John io”
“Sai che te lo direi comunque ciò di cui abbiamo parlato. Lo sai.”
Le spalle di Sherlock si rilassarono e a quella rassicurazione e al sorriso altrettanto rassicurante di John non poteva che fare come gli era stato detto. Si schiarì la voce e prendendo le chiavi che aveva lasciato sull’isola della cucina, piano si avviò alla porta. Di spalle disse ai genitori:
“Ci vediamo venerdì.”  La porta si chiuse. Sherlock salì in macchina fissandola dallo specchietto laterale, aspettando John.
Mise un cd, quello di cui aveva sempre una copia in auto, quello che lo tranquillizzava di più al mondo: quello di John.


I Signori Holmes, uno accanto all’altro, guardavano John con apprensione e John era stranamente tranquillo ai loro occhi.
“Voi siete i genitori migliori che una persona possa avere e niente mi farà cambiare idea al riguardo, neanche se pensate che vostro figlio non è capace di amare o prendersi cura di un’altra persona perché lui, credetemi, pone attenzione e gentilezza e amore in ogni cosa che fa. Soprattutto con me. Ed io, fin quando non saremo pronti, non lo lascerò e non lo costringerò a fare cose che”
“Abbiamo già detto che non riguarda voi. E’ qualcosa di più delicato.”
Il Signor Holmes prese una busta bianca dalla sua giacca e la porse a John. Sul retro, al centro, il suo nome.
“Ce l’ha lasciata Mycroft e ci ha detto di dirti delle cose, cose che neanche noi capiamo.” Disse piano la madre di Sherlock.
“Sappiamo solo che sono importanti. Nostro figlio fa parte di un mondo complicato e tutto quello che possiamo e dobbiamo fare, mio caro John, è fidarci.”
A quella frase John rise come ad una barzelletta.
Sapeva, ovviamente, cose che quelle due persone non potevano neanche immaginare e sentire proprio quelle parole da loro, era troppo.
“F-fidarsi? Di Mycroft?” disse retoricamente John, come se fosse la cosa peggiore da fare e la decisione più pericolosa da prendere.
La donna continuò, stringendosi al braccio del marito.
“Sappiamo com’è con gli altri: un egoista, un altezzoso e molto prepotente. Lo sarà stato con te, di sicuro. Ma è nostro figlio ed è l’unica cosa che possiamo fare. Ed è il fratello di Sherock. Non lo metterebbe mai in pericolo ma ora, sembra che qualcosa accadrà e tu, purtroppo, sei qualcuno che è entrato nelle nostre vite ormai. Nella vita di Sherlock, soprattutto. E Mycroft ritiene che tu debba sapere certe cose e ci ha detto di darti quella lettera da parte sua dicendoci che non dovrai rivelare il contenuto a Sherlock. Almeno non subito ma quando sentirai che ne sarà il momento. Non ci ha detto altro se non che dovrai leggere quella lettera e farne venire a conoscenza Sherlock almeno entro venerdì. Perché…”
Un cenno di quello che sembrava terrore apparse nell’azzurro degli occhi della Signora Holmes che abbassò quello sguardo perso.
“Perché quando tornerete, accadrà.”

John sentiva il sangue scorrergli nelle vene, una sensazione di gelo sulla schiena e una preoccupazione mai provata.
La lettera nella sua mano si piegò per la sua stretta.
Il padre di Sherlock sembrava di pietra.
Solo la sua dolce mano accarezzava quella della moglie appoggiata al suo braccio.
“Inutile chiedere cosa accadrà.” Disse.
“Non lo sappiamo ovviamente. Ma Mycroft si fida di te, capisci? Deve essere sincero. E noi…ti chiediamo di fidarti di lui. Perchè noi ci fidiamo di te. Ma qualsiasi cosa accadrà, qualsiasi cosa ci sia scritta lì, ti prego di prendere sempre la decisione che ti dirà il cuore.”
Il Signor Holmes aveva uno sguardo profondo, che trafiggeva quello di John che lo ascoltava.
“Il tuo cuore è sempre un passo avanti rispetto alla tua mente, ricordalo. Le decisioni fatte col cuore non si rinnegano mai.”
John annuì e fece tesoro di quelle parole. Le rinchiuse per bene nella sua memoria e se le ripeteva come un mantra.
“Lo farò. Vi prometto che sarò prudente e che niente, mai nulla succederà a Sherlock. Lo giuro.”
Il volto pesante e forte del padre di Sherlock si sciolse un po' per lasciare spazio ad un sorriso.
John disse quelle parole deciso e sincero.
“Anche se so che fra Sherlock e Mycroft non corre sempre buon sangue, anche io penso che non lo metterebbe mai in un serio pericolo quindi mi fiderò di Mycroft e delle sue parole.”
 La donna lo abbracciò e il profumo dolce dei suoi capelli fecero sentire John al sicuro. Si disse che nei momenti in cui si sentirà perso o indeciso, ricorderà quel bel profumo per ricordarsi di fare la cosa giusta.
“Sii ancora più forte di quanto non sei, John. Fai tutto quello che ritieni necessario e giusto. Non te lo chiederemo mai se non fosse importante.”
“Ed io non lo farei mai se non per l’uomo che amo e per la sua famiglia.”
Gli occhi lucidi della donna non si trattennero nel piangere poche, lacrime che si asciugò subito.
Al padre di Sherlock venne in mente il discorso che fece al figlio solo il giorno prima. Gli venne in mente il modo in cui suo figlio guardava quel coraggioso ragazzo che con una naturalezza immane aveva appena detto che amava Sherlock. A quei pensieri, non ebbe più paura.  
“Ora va. Fate in modo che questi quattro giorni siano memorabili.”
Questo fu l’ultima frase che il Signor Holmes disse. Una frase che John prese come una promessa da mantenere.
Annuì, e infilandosi la lettera dietro, nei pantaloni, aprì la porta e dopo un ultimo sguardo che aveva troppo il sapore di un addio, sparì, lasciando i genitori di Sherlock sperare nel meglio.


John salì in auto.
La canzone che andava avanti ad alto volume lo fece sorridere, nonostante tutto.
 Era Shine on di James Blunt.
Si mise comodo e si allacciò la cintura, deciso a fare come promesso.
Non avrebbe detto nulla e appena avrebbe avuto almeno cinque minuto di tempo da solo avrebbe letto la lettera che gli pesava come un macigno appoggiato alla sua schiena.
Sherlock abbassò il volume lo guardò, incociando le braccia.
“Allora?” lo disse con calma, stranamente.
Ma quella farsa del tranquillo e stoico non avrebbe funzionato con John, che si voltò sorridendo.
“Allora, io posso solo dirti che quando verrà il momento giusto ti dirò di cosa abbiamo parlato io ed i tuoi genitori ma fino ad allora, Sherlock…” pronunciando il suo nome gli cadde la facciata forte che aveva mantenuto fin ora.
Deglutì con fatica.
“Fino ad allora fidati di me.”
Sherlock era come esausto, come se il mondo gli si stava poggiando addosso e chilo dopo chilo lo soffocava.
Gli occhi lo tradirono diventando umidi, ma per poco. Fece un respiro profondo, lungo e poggiò la mano sulla gamba di John.
Annuì soltanto.
Gli bastava.
Fidarsi di John gli bastava e sentiva che era l’unica cosa da fare.
John gli prese la mano e la baciò piano. Sherlock mise in moto.
“Sherlock.”
“Che c’è?”
John sentiva cose che mai avrebbe potuto o saputo raccontare.
“Se tu potessi sentire quello che sto sentendo io ora, probabilmente ne moriresti.”
A malapena Sherlock reggeva l’affetto per John perciò sì, sarebbe morto se avesse potuto avere dentro di se ciò che John in quel momento stava subendo, tutto l’amore che aveva promesso e che sentiva. Tutta la necessita di salvarlo, proteggerlo.
Proteggere il suo Sherlock.
E sentiva anche ansia, paura, un’anticipazione di dolore.
Sherlock si limitò a sorridere nel modo più dolce che poteva in quel momento e guardandolo, disse poche parole che sperò John capisse in fondo.
“Mi andrebbe bene.”
John capì.
Poteva finire tutto in quell’istante, pieno di dubbi e domande e incertezze, Sherlock avrebbe sempre e costantemente detto che gli andava bene, John era lì.
Probabilmente quello che li aspettava era la fine.
La fine.
Sherlock non si sforzò neanche di dedurre qualcosa o di fare ipotesi perché aveva un solo motivo per non farlo: quei quattro giorni.
Quattro giorni che non saranno turbati dalle mie fissazioni, si disse.
In quei quattro giorni non sarebbe esistito più niente se non loro.
“Vivremo questi quattro giorni splendidamente, John.”
Dentro John qualcosa nacque dopo aver visto gli occhi di Sherlock più vivi che mai.
“Come se fossero gli ultimi?” Chiese, sperando di non turbare quella vita che scorse in Sherlock.
“No. Come se fossero i nostri primi.”
La macchina partì veloce, in quella mattinata splendida e Sherlock e John erano pronti.
Pronti a fare il possibile per non arrendersi a ciò che la vita gli avrebbe imposto.
A ciò che l’amore aveva in serbo per loro.
 
   
 
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