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Autore: sissir7    23/03/2017    1 recensioni
Fondamentalmente, John e Sherlock rappresentano tutto quello che un amore non dovrebbe essere, tutto quello che un amore non dovrebbe pretendere. Ma come si sa, alla fine è l'amore a decidere tutto: vita, morte, gioia, dolore. Sherlock non è mai stato così sensibile e John non è mai stato così se stesso.
Questa è la mia visione di due persone fittizie che non sono mai state così reali.
Questa è la visione di un amore che dopo 130 anni non è stato dimenticato.
E mai lo sarà.
P.S. Vorrei tanto che venissero ascoltate le canzoni citate perchè sono quello che le mie parole non riusciranno mai a descrivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La musica li accompagnò per tutto il viaggio.
Passavano dalle romatic ballads, che gli facevano istintivamente stringere le mani l’una nell’altra in una stretta sicura ma gentile, al rock dei Queen o al grunge dei Nirvana fino a passare per Bach di tanto in tanto quando John lo permetteva.
Tra di loro solo musica ed era una sensazione bellissima riuscire a stare in silenzio con qualcuno.

Dicono che è qualcosa che se riesci a fare devi sentirti fortunato.
Raggiungere una certa sintonia non è scontato.

Arrivarono per l’ora di pranzo al centro di Londra. Sherlock imboccò una strada laterale al Big Ben. Lì in città era più nuvoloso e sembrava che le nuvole corressero velocissime per il vento che c’era. Dopo pochi minuti Sherlock rallentò e si fermò, parcheggiando davanti all’entrata di un antico palazzo. Pochi gradini fronteggiavano la grande porta di legno scuro e alzando gli occhi John vide i balconi in ferro battuto, molto eleganti, pieni di fiori bellissimi. Era una zona in cui c’erano molti negozi, alcuni di firme famose, e costosi ristoranti.
“Pensavo stessimo andando all’hotel vicino a Golders Hill Park. O almeno così avevamo deciso ieri.”
Il motore era spento e Sherlock sorrideva con lo sguardo basso.
Quell’hotel era lontano del centro di Londra mentre da dov’erano ora, se si voltavano, vedevano l’imponente Big Ben in una meravigliosa luce bianca e una strada gremita di persone e vita.
“Al quarto piano, l’ultimo, c’è un appartamento che un amico di mio padre ci ha messo a disposizione.”
Sherlock guardò John corrugare la fronte e sorridere come se fosse la notizia più bella del mondo dicendo: “Capisco.” “Risparmiamo anche soldi in questo modo. Era una proposta a cui non potevo rinunciare, ovviamente. Non ti piace l’idea?”
Lo domandò conoscendo la già la risposta perché conosceva John.
“Scherzi? Siamo a cinque minuti di cammino  da Westminster Bridge, riusciremo a vedere il Big Ben dal balcone praticamente e mi chiedi se l’idea mi piace? E guardati intorno. E’ esattamente quello che volevo.”
Gli diede uno sguardo di gioia pazzesca e Sherlock disse solo:
“Bene.” con un filo di voce.
Scesero dalla macchina e presero le due valigie.

Salirono i gradini e Sherlock aprì la porta un po' pesante ed entrarono in un atrio molto spazioso con un tappeto lungo e lampadari molto eleganti che creavano una luce accogliente. Alla sinistra c’era una piccola cabina e dal vetro il giovane ragazzo fece un cenno col capo per poi uscire. Aveva un uniforme nera, lavorava lì come portinaio. Aveva lunghi capelli biondi che gli scendevano sulle spalle e due occhi verdi brillanti e un sorriso per il quale sicuramente sarà stato scelto per quel lavoro.
“Salve. Posso aiutarvi con le valigie?” disse gentile e Sherlock e John annuirono.
“Il Signor Holmes mi aveva avvisato del vostro arrivo. L’appartamento del Signor Hill è al quarto piano, la porta a sinistra. Immagino avete le chiavi e se potete farmi la cortesia di avviarvi intanto avviso il Signor Holmes del vostro arrivo.” Prese le due valigie e poi disse:
“E comunque l’ascensore è purtroppo piccola per tutti quindi…vi raggiungo in due minuti” disse dandosi un tono.
“Bene. Andiamo John.” 
Entrarono nell’ascensore alquanto piccolo e raggiunsero il piccolo pianerottolo occupato da soli due appartamenti, uno di fronte all’altro. Sherlock aprì la porta a sinistra che cigolò un po'.
“Il proprietario, il Signor Hill, lavora a Dublino e viene qui solo quando ha qualche affare a Londra. Questa casa è vuota per l’80% del tempo in un anno. Guarda i bordi in basso delle tende.” Disse Sherlock entrando ed indicando le lunghe tende di una stoffa pesante tipo lino, chiare che coprivano un enorme balcone che illuminava tutto l’open space.
“L’orlo è nero nonostante la domestica faccia le pulizie due volte al mese in quanto sposta molta polvere e rimane lì, in basso. Non le lava. Ha paura di rovinare il tessuto alquanto costoso effettivamente.”
John mise le mani ai fianchi.
“Non per darti corda Sherlock, ma non posso mandarle in lavanderia?”
Sherlock lo guardò come fosse un’ idiota.
“Uomo, anzi, uomo d’affari per precisare, che viaggia di continuo e ha rapporti internazionali con mezza Europa...e pensi si preoccupi se la domestica è una scansafatiche che si annoia di portare le sue care tende a lavare?” John fissò un punto nel vuoto per qualche secondo.
“Beh, ci terremo le tende impolverate allora.”
Si incamminò guardando i suoi passi sul marmo bianco e grigio. Lo spazio era luminoso. Al centro della stanza, davanti all’alto balcone, c’era un bel tavolo rotondo di vetro su cui spiccavano delle fresche rose rosse. A destra c’era una cucina moderna, con tutti gli elettrodomestici, un grande forno e una penisola in marmo nero e lucidissimo.
John si avviò verso il divano mentre Sherlock ancora studiava matematicamente tutto l’ambiente.
Accarezzò la pelle della poltrona su cui si sedette. Di fianco un grande divano, un bel tavolo in legno e al muro un televisore di minimo 72 pollici. C’era anche una piccola libreria, diverse mensole con sopra quadri della famiglia del proprietario. John curiosò tra i libri ma non trovò nulla di interessante, soliti classici della letteratura inglese ed italiana che aveva già letto. La casa era un po' spoglia, c’era solo l’essenziale, ma era bella e spaziosa. “Eccomi.”
Il bel ragazzo che aveva le loro valigie entrò e le poggiò vicino Sherlock che gli rivolse un piccolo sorriso.
“Grazie Liam.” Per un attimo Liam si chiese come conosceva il suo nome ma realizzò che lo aveva cucito sulla divisa all’altezza del petto.
“Di nulla…” attendeva che Sherlock gli dicesse il suo nome, guardandolo curioso.
“Sherlock. Sherlock Holmes. Lui è il mio…”
Aveva indicato John per un secondo con la mano.
Doveva dirlo?
In queste circostanze le convenzioni portano ad etichettare le persone se si hanno rapporti intimi e diversi rispetto ad una semplice amicizia?
Non lo sapeva. E un po' nel panico, lo disse.
“…fidanzato.”
Deglutì a quella parola.
Gli sudarono le mani.
John stava ancora sfogliando un libro e lì, all’angolo dell’appartamento, non sentì. Sherlock non avrebbe mai superato questa cosa.
“John Watson.” Aggiunse, evitando di guardare il biondo tranquillo che gentilmente disse:
“E’ un piacere conoscervi. Per qualsiasi problema potete rivolgervi a me. È una casa tenuta bene ma se un rubinetto non funziona o quant’altro non esitate a dirmelo.”
“Okay, grazie.”
Rispose Sherlock tranquillizzato dall’atteggiamento di Liam.
Aveva le mani strette dietro la schiena, in quella posa professionale e con un cenno del capo uscì dall’appartamento. Sherlock si avvicinò a John. Poggiò il petto alla sua schiena e lo avvolse con le sue braccia piegandosi un po' per raggiungere con il mento la spalla di John che lo accolse strofinando un pò la testa contro la sua.
“Ti ho appena presentato al portiere come il mio fidanzato.”
John sorrise.
Si disse: allora è questo quello che si prova.
“Va bene. È la verità, Sherlock.” Sherlock lasciò un bacio sul collo di John, sfiorando il bordo della t-shirt.
“Sì, ma ridurti a quella parola è inconveniente e lontano dalla mia di verità.”
John chiuse il libro e lo rimise al suo posto. Sherlock lo stringeva all’altezza dello stomaco con le sue lunghe braccia.
“Ma non potevo certo dire ‘il mio tutto, la mia vita, la mia unica luce e bla bla’. Mi avrebbe riso in faccia.”  
“Ci dobbiamo accontentare della banale umana parola fidanzato.” Risero.
John si voltò liberandosi dall’abbraccio, ma non lasciandolo.
“Vediamo il resto della casa, sono curioso.”
“Posso dirti qualsiasi cosa tu voglia su tutto. Ci sono indizi spiattellati ovunque. Se solo la gente fosse più attenta a lasciare parti di sé in giro, magari io troverei un pretesto per parlare loro.”Disse sbuffando piano.
John gli prese la mano e si incamminarono per il corridoio.
“Il pretesto si chiama ‘fare amicizia’ ma so che è un concetto che devi ancora metabolizzare.”
“Abbastanza.” Ripose Sherlock che aprì una delle quattro porte che occupavano lo spazioso e lungo corridoio.

“Oh, un bagno più grande della cucina. Interessante.”
Aprirono un’altra porta e c’era un altro bagno più piccolo, con la lavanderia. Poi la camera per gli ospiti che poteva  benissimo passare per quella padronale. Alla fine del corridoio, l’ultima porta.
La camera profumava di bucato appena fatto.
Il grande letto matrimoniale al centro occupava sì e no un terzo della camera.
C’erano due grandi armadi, la tv al muro, una cabina armadio piccola ma funzionale.
“Niente male.”
Diverse candele era sparse per la camera e rendevano l’ambiente più caldo e vissuto. Un quadro di un mare in tempesta la faceva da padrone sul letto. John lo guardò stranito.
“Non proprio un quadro rilassante che metterei in una camera in cui devo dormire ma…de gustibus.”
Si sedette sul letto, accarezzando la soffice trapunta a stampo floreale.
“Il letto è comodo.”
Prese i cuscini e li adorava, era sofficissimi.
“La sua amante gli ha regalato queste candele.”
Sherlock ne prese una che se ne stava per metà consumata sulla cassettiera sotto uno specchio elegante.
“Oh.” Commentò John, quasi dispiaciuto. Anche Sherlock aveva un’espressione delusa sul volto.
“Ha una bella famiglia, sai John. Loro figlio è un genio del tennis e la moglie è un avvocato in carriera ma trova il tempo per andare in vacanza in montagna con il marito anche durante l’anno. Ci tiene.”
La tristezza mista a rabbia che ne uscì da quelle parole era enorme.
“E lui la tradisce.” Poggiò la candela con forza di fianco alla foto della famiglia cheaveva appena descritto.
“Non lo capirò mai.” Sherlock si voltò e vide John guardarlo.
“Hai un cuore troppo buono per capire queste cose. Ma non so ancora se sia una cosa positiva o negativa. Ti fa solo crogiolare ancora di più sulla natura umana, vero?”
Sherlock annuì.
“Beh. Mettila così: è il Signor Hill che ci perde. È l’unica cosa da capire.”
Andò verso quel ragazzo che gli sembrava l’essere più bello che il mondo avrebbe mai conosciuto. Non sapeva come fosse possibile che cose come quella per Sherlock non sarebbe mai potute esistere perché non le concepiva, aveva un animo così sincero un’integrità morale che non lo portava a credere nel tradimento.
“Ti va di mangiare indiano oggi? Ne ho una strana voglia.”
Poggiò le braccia sulle spalle alte di Sherlock che lo prese alla vita.
“Certo.” Rispose.
Tutto quello a cui pensava era che non avrebbe rimpiazzato John con nessuno, neanche per un giorno. Neanche per curiosità. Neanche per sogno.

Andarono in un bel ristorante nel quartiere, fecero una lunga passeggiata, andarono a fare la spesa che più che altro comprendeva qualche birra, biscotti, tè, marshmallow e nulla che si poteva ritenere salutare.
“Non so perché lo stiamo facendo, a vent’anni dici che si fanno queste cose in vacanza, ma mi piace.” Azzardò Sherlock, riempiendo il carrello con delle confezioni di biscotti allo zenzero che adorava.
John gli sorrise.
“Ti devo fare la pasta una di queste sere. Quando sono stato a Venezia mia zia Elisa mi ha cucinato un ragù pazzesco, ti giuro. E dubito che avrà lo stesso sapore ma voglio provare.”
Sherlock lo guardava scegliere il tipo di vino rosso da abbinare.
E, come se una musica lo avvolgesse, si sentì importante.
“La cucineresti per me, John?” John si voltò con due bottiglie ancora tra le mani.
“Certo. Certo che lo farei per te.”
Gli sorrise e posò le due bottiglie nel carrello quasi pieno.

Cos’era quella cosa? Era la normalità di una coppia che si amava. Era sicuramente qualcosa di lontano da ciò che realmente erano ma, pensò Sherlock, non è per niente male.

Tornarono a casa e misero a posto quello che avevano comprato. Dopo disfecero le valigie e Sherlock buttava di tanto in tanto occhiate curiose tra la roba di John  che, disordinatissimo, buttava semplicemente le magliette e la biancheria a caso nei cassetti mentre Sherlock riempiva l’armadio con tutte le sue camice e solo qualche t-shirt per quando voleva stare più comodo.
Appese anche i pantaloni e occupò tutto l’armadio di fianco al bagno. John alzò gli occhi al cielo.
“Lo sai che venerdì ripartiamo giusto?” Sherlock fece spallucce.
“Mi piace avere una vasta scelta.”
John spalancò la bocca e tenne un paio di  boxer a mezz’aria per un bel po' a causa di quella affermazione.
“Posh boy” disse fissando uno Sherlock intento a  richiudere la valigia vuota.
“Dimmi che non mi hai chiamato come mi hai appena chiamato.” Poggiò le mani ai fianchi, scioccato.
“Perché non sono un…posh boy.” Sventolò le mani in aria.
“Qualsiasi cosa tu voglia intendere.”
“Quello che intendo” sentenziò John “è che a volte, e ripeto a volte, ti piace atteggiarti. Tutto qui. Non  è mica un’offesa. Poi tutte quelle camicie fatte su misura, eleganti, il modo in cui le porti…” Disse disinvolto.
“Allora come ti dovrei chiamare io?” incrociò le braccia aspettando una riposta da John che si limitò a chiudere i cassetti.
Si poggiò sulla cassettiera e fece spallucce. “Tu come vorresti chiamarmi?” lo disse in modo molto ammiccante. Le guance di Sherlock divennero di un rosa che non avevano mai conosciuto. Era un territorio sconosciuto per lui, soprattutto i una camera da letto. Abbassò lo sguardo.
“John. Semplicemente John.”
John annuì, un pò dispiaciuto dalla mancanza di fantasia del suo ragazzo. Prese il suo accappatoio e la biancheria pulita.
“Io vado a fare una doccia. Tu?”
Non voleva azzardare nulla né implicare nulla. Lasciava la scelta a Sherlock che cadde sul letto come un peso morto, aprendo le braccia.
“La farò dopo, tranquillo. Mettici tutto il tempo che vuoi.” disse velocemente e prese ad armeggiare con il suo cellulare.
“Come vuoi.” si limitò John, che sparì nel bagno.
Poggiò l’accappatoio e i boxer su un piccolo mobile e si poggiò al lavandino, facendo un lungo respiro prendendo la lettera che aveva nei pantaloni. La fissò per un tempo indefinito che in quel silenzio parve non avere senso.
“Dannazione” sussurrò più piano possibile.
Aprì la busta e spiegò il foglio di carta piegato con cura.
La calligrafia di Mycroft era molto chiara e la lesse facilmente.
Scorreva gli occhi su quelle parole e la fronte si imperlò di sudore.
La lettera diceva esattamente questo:

“Spero che tu almeno abbia capito che la scrivo a mano in quanto qualsiasi altro tecnologico modo in cui potevo contattarti sarebbe stato intercettato. Chiarito questo, sai che questo lunedì mattina sono partito per l’Oriente, cosa che ti accennai quando facemmo la nostra bella e calma chiacchierata ma ora sarò coinciso: Sherlock non è solo in pericolo di morte ma dovrà (e vorrà) anche evitare che tu rimanga ferito o ucciso quindi so benissimo quanto sarà stressante per lui quando ritornerete, ma mi dovrà aiutare  a convincere un uomo molto cattivo a lasciar perdere un affare. Non so come dirtelo in modo meno infantile. Allo stesso tempo, non posso darti troppe informazioni perché mio fratello lavora meglio sul campo, a diretto contatto con il fatto. Mi fido di lui, cecamente. Di te meno perché comprometterai questa operazione a causa del coinvolgimento di mio fratello nei tuoi confronti. È un dato di fatto. Ma dovevi sapere. Infine, ti chiedo solo una cosa: se sarà necessario, salvalo. Io non potrò. Fallo per te stesso, fallo per i miei genitori, non mi importa. Sherlock non deve in alcun modo morire.”

Cos’era quello?
Un ordine?
Così sembrava ma in realtà era affetto per il fratello che probabilmente sarebbe morto.
Morire.
Morte.
Sul serio era reale tutto quello? John aveva il fiato corto.
Con freddezza però si ricompose e decise di dover distruggere in qualche modo quel foglio.
Aprì il rubinetto lasciando scorrere l’acqua e l’inchiostro poco alla volta si dileguò lasciando macchie indecifrabili.  Prese quel miscuglio molle e lo avvolse con della carta, buttandolo nel cestino di fianco al water.
Chiuse gli occhi.
Li aprì violentemente e non sapeva cosa stava pensando. Sapeva solo che doveva parlare con Sherlock e risolvere quella questione. Presto. “John?” Sherlock accompagnò il suo nome con due colpi alla porta.
“Tutto bene, Sherlock.”
Non aggiunse altro iniziandosi a spogliare e infilandosi nella doccia.
Appena Sherlock sentì l’acqua scorrere si distese di nuovo sul letto, a pancia in giù, leggendo un libro che John aveva portato con se.
Intanto John cercò di rilassarsi, l’acqua gli scorreva fresca sulle spalle poggiate alle mattonelle di un rosa pallido marmorate. Restò così per un bel po'. Più di quanto non avesse  voluto ma doveva far passare del tempo prima di poter rivedere Sherlock in faccia dopo quello che sapeva.
Si avvolse nell’accappatoio e si asciugò distratto i corti capelli chiari. Quando uscì, vide Sherlock in pedi appoggiato di fianco al balcone.

Mani in quei bei pantaloni che aderivano al suo sedere in modo celestiale e la camicia era appena fuori di essi, un po' stropicciata. Il tramonto fuori ricordava l’ora e Sherlock lo guardava sereno. Il cielo era rosa e piano piano, come se qualcuno lo spolverasse, diventava arancione acceso. Quell’atmosfera inondava la camera da letto.
“Vuoi andare a cena fuori stasera amore?” chiese John, mentre si stringeva nelle spalle per asciugarsi.
Sherlock però rimase in silenzio.
Se John avesse potuto vedere il suo volto avrebbe visto il volto di un uomo consapevole.
“Siamo in pericolo John, vero?”
John rabbrividì.
“Non so come, ma penso sia questo che i miei genitori ti abbiano detto. La tua esitazione di prima, in bagno,  mi ha detto molte cose.”
Si voltò.
Il volto era pesante e di chi non ce la fa più, di tutto.
“Va bene, John. Sul serio, è tutto okay.”
Si avvicinò a John.
Appoggiò la fronte contro la sua. John non sapeva se dire qualcosa.
Sherlock iniziò a baciarlo, disperatamente.
Come se quella fosse l’unica corda a cui aggrapparsi mentre si sta cadendo in un precipizio.
Respiravano con affanno.
John doveva parlare? Voleva? Dov’era? Sentiva solo le labbra di Sherlock stringere le sue.
Poi Sherlock lo afferrò per la vita e lo prese, facendogli incrociare la gambe intorno alla sua di vita.
Letteralmente e metaforicamente.
Gli stringeva le cosce per tenerlo su e John gli avvolse il collo con le mani, facendo presa forte e intensificando il bacio.
Fu un riflesso, un istinto.
Neanche pensava  che se non si fosse tenuto sarebbe caduto all’indietro probabilmente.
Ma sopra, sotto, dietro erano concetti che in quel momento non erano importanti. Sherlock lo sbattette al muro e John fece un verso di piacere che mai aveva fatto.
Era incredibilmente bello.
Sherlock rallentò.
E piangeva.
Occhi chiusi, e piangeva.
John mosse i pollici su quelle lacrime, sussurrandogli all’orecchio un “Ehi” dolcissimo che però servì a poco.
Sherlock riprese a baciarlo e stringerlo come se l’unica intenzione che aveva era di non lasciarlo, mai.
Piangeva, dio se piangeva, ma trattenne i singhiozzi pensando solo al corpo forte del suo amore.
Una lacrima scese anche sul volto di John

. Consapevolezza: questa cosa ti uccide, dentro. La consapevolezza della morte ancora di più. Fa ancora più male della morte stessa.
Allora fai quello vorresti fare negli ultimi istanti della tua vita e loro lo fecero.
Non erano mai arrivati a fare tanto, con così tanto trasporto e desiderio e niente, niente mai era stato così fisico tra di loro.
Sherlock scese con la bocca fino al collo di John, prese un respiro per frenare le lacrime.
La testa di John premeva contro muro, le sue mani tra i capelli di Sherlock che se le divoravano esattamente come i suo denti stavano divorando il collo di John e la spalla che scoprì con un gesto repentino.
“Cristo, Sherlock.”
Riuscì a biascicare con un filo di voce.
Occhi chiusi che parevano sentire, come la pelle stessa, quello che la lingua di Sherlock gli stava facendo, quello che non sapeva neanche di desiderare.
Piano, le gambe di John scivolarono e  i suoi piedi toccarono terra mentre le sue mani tenevano il volto di Sherlock che ancora lo baciava e che ansimando disse: “Wow”. John sorrise.
Qualche giorno dopo poteva essere morto o peggio, l’amore della sua vita poteva essere morto e lui sorrideva.
Gli occhi di Sherlock non piangevano più e lo guardavano con quel colore lontano, di un mare lontano, perso, un mare che incontra un cielo azzurro e le aurore boreali nordiche.
Un colore magnetico e John si ritrovò a pensare un’assurdità: se mai avessimo un figlio vorrei tanto avesse i suoi occhi. Se lo disse con la tanta nostalgia di una cosa che mai sarà.
“Tutto bene John?” Sherlock glielo chiese asciugandogli il volto da quella lacrima e intendendo che la mente di John era da qualche altra parte, all’improvviso.
John vedeva quel volto bagnato di fronte a lui, a pochi sospiri dal suo e dannazione se aveva paura di quello che stava vedendo, delle ragioni che c’erano dietro ma era giusto.
Sentiva da qualche parte che come aveva detto il suo ragazzo poco prima, andava tutto bene.
“Se mai avessimo un figlio vorrei avesse i tuoi occhi e il mio volto ma, come saprai, è…impossibile.”
John fece spallucce e un mezzo sorriso gli incorniciava le labbra.
Sherlock rise quasi divertito.
“Se lo vorremo lo avremo un figlio, John. Sarà comunque nostro figlio. Lo ameremo comunque.”
John chiuse gli occhi e abbracciò Sherlock che lo strinse come prima.
Sospirò.
Ad un tratto Sherlock lo alzò di poco da terra per poi trascinarlo nel letto.
Era su di lui, come la mattina precedente, gli stringeva le gambe introno alla vita e slacciando la corda del soffice accappatoio bianco disse:
“So a cosa stai pensando.”
John scosse la testa, cercando di far sparire quel pensiero come se facendolo potesse cancellarlo così che quegli occhi che lo scrutavano non potevano leggerlo.
“Mi è venuto naturale. Fare quello che ho appena fatto, anche se sono vergine e non ho neanche un’esperienza alle spalle.”
“Non devi giustificarti. Puoi fare qualunque cosa vuoi, quando vuoi.”
Sherlock prese i bordi dell’accappatoio appena aperto sul petto di John e lo aprì ancora di più, stringendo quei muscoli nelle sue mani che iniziarono a muoversi piano.
“Non sai quanto vorrei continuare a piangere, buttare tutto fuori.”
John gli prese i polsi, fermandolo.
“Fallo.”
Sherlock però continuò a toccare la sua pelle.
“Questo? Questo posso farlo?”
Massaggiava piano e piano i suoi fianchi seguirono.
Il pantalone gli tirava sulle cosce, all’inguine proprio al punto giusto.
“Sì” si limitò a dire John, che respirava forte sotto le grandi mani bianche e un po' impacciate di quell’angelo.
“Fai pure tutto quello che necessita essere fatto.” Continuò guardando Sherlock che aveva lo sguardo fisso sui suoi pettorali.
“Vedi John, è questo il punto.” Si abbassò e baciò la sua fronte calda.
“Non è una necessità, non devo soddisfarla per forza. È peggio.”
La lingua di Sherlock si insinuò nella sua bocca e John la prese piano, tra le labbra.
“Mh.” Sfuggì a Sherlock che avrebbe voluto tenere lui il controllo in quel momento.
“E’…è…un desiderio.” Riuscì a dire ingoiando a fatica.
“Qualcosa che si alimenta, un vento che non si ferma. Non lo controlli perché non puoi assecondarlo e soddisfarlo.”
John ascoltava, eccitato ma non solo.
Sentiva che sarebbe rimasto anche così, con quelle mani a toccargli piano il collo e quelle labbra perfette a sua disposizione, senza pretendere altro. “Un desiderio lo prendi e basta. Lo fai e basta.” Finì Sherlock che si tolse la camicia.
Fece per sbottonarsi la cintura di pelle nera ma John poggiò le mani sulle sue e le scostò, sbottonandola lui, sfilandola e facendola cadere a terra. Sbottonò anche il pantalone e tirò giù la zip, pianissimo.
“Oh, John.”

A Sherlock scappò una piccola risata per quel tentennamento fatto di proposito.
 “Non sono così disperato, John.”
“Io sì.”
Rispose di botto John che infilò le mani nel pantalone di Sherlock, stringendo le sue morbide forme.
“Hai un culo pazzesco.”
Non si baciavano. Si guardavano e basta.
Fissi.
Sherlock pensò alla poca delicatezza di John e roteò gli occhi.
“Posh boy” commentò John, le cui dita lo toccarono in un modo nuovo, in un modo vero che più vero non c’era e con quell’affermazione a ronzargli nelle orecchie Sherlock aprì la bocca per prendere più ossigeno.
John iniziò a baciargli il petto, verticalmente.
Labbra sottili e calde toccavano ciò che non era ma stato toccato e la pelle di Sherlock lo sapeva perché a quella nuova esperienza rabbrividiva per la prima volta.
“Togliamoli, dai.”
Gli disse John che lasciò la presa e fece alzare Sherlock che si sfilò i pantaloni.
John si sedette al bordo del letto, di fronte a Sherlock che lo guardava togliersi l’accappatoio, finalmente, mostrando il corpo profumato e morbido. Nudo. Vero.
Era lì, ed era per lui. Sherlock fece un passo avanti, fermandosi tra le gambe di John che si aprirono per accoglierlo.
John gli sorrideva e spostava lo sguardo dalle forme di Sherlock alle sue labbra e ai suoi ricci che alla luce del tramonto riflettevano dei riflessi dorati che non aveva mai visto prima.
Poi Sherlock fece un cenno con la testa e John capì.
Stranamente, capì.
Si conoscevano troppo per non capire anche quel tipo di cose, così intime. Inevitabilmente, lo capisci. 
Le dita di John si poggiarono sul bordo dei boxer di Sherlock.
Si mossero e lo fecero scendere fino alle caviglie. Sherlock se ne liberò e piombò su John che un po' sorpreso disse:
“Oh, wow, okay.”
I loro corpi aderivano.
Petto su petto.
Le gambe intrecciate.
“Toccami, John. Come in cucina al cottage.”
I gomiti di Sherlock erano poggiati al di sopra delle spalle di John che aveva libero accesso al collo di Sherlock che si sporse per avere dei baci.
Fu accontentato.
La mano di John scese su quel fianco e si insinuò tra i loro corpi.
“Aspetta. Stenditi sulla schiena, andrà meglio.”
Sherlock fece come gli aveva detto e si mise comodo.

John andò tra le sue gambe e vederlo sotto di lui gli fece una strana sensazione. Ora capiva quanto veramente aveva potere su Sherlock, come gli aveva detto Mycroft. In quella circostanza, qualsiasi cosa gli avrebbe detto di fare, Sherlock l’avrebbe fatta ma non era un pensiero gradevole.
“Dai, John.”  Sherlock gli poggiò le mani sulle spalle.
“Se faccio qualcosa che ti mette a disagio e non vuoi, fermami. Non costringerti andare oltre, come il tuo solito. Questa cosa è”
“Lo so. Ma te l’ho chiesto esplicitamente e se non fai qualcosa subito potrei sentirmi male perché…fa male e devi fare qualcosa. E sì, ti fermerò se non mi andrà bene.”
Il cuore di Sherlock si dimenava nel petto.
“Okay.” Disse John come quasi stordito. “Okay” ripetette e piano, disegnò altri baci sul petto sotto le sue labbra.
Poi sulla pancia e sul ventre caldo.
Sherlock istintivamente piegò le gambe e le mani di John le presero sotto le cosce.
Lo baciava e baciava fin quando non fece godere Sherlock nel modo in cui lui stesso non aveva mai goduto.
Quel calore nella sua bocca era qualcosa di sacro per lui, qualcosa che mai prima aveva sentito altre labbra.
“John. Dio, John.”
Sherlock ripeteva, e afferrò con la mano destra un cuscino sopra la sua testa mentre l’altra mano se la portò alla bocca per fermare la sua voce profonda che non riusciva a trattenere.
Alzò il bacino prepotentemente e John cercava di seguire quei movimenti leggeri.
“John…”
John afferrò la vita di Sherlock e la tenne ferma in quell’incredibile istante quando senti che tutto ciò che vedrai è il bianco più assoluto.
Sherlock stringeva gli occhi e tutto era una luce forte e sicura mentre John lo guardava ed era la persona più felice del mondo.
Gli si avvicinò, sfiorandogli la punta del naso con la sua.
Il respiro caldo di Sherlock lo accolse.
Sei incredibile.”
Sherlock sorrise e gli occhi si rifiutavano di aprirsi.
“Io, John? Io sarei incredibile?”
“Esattamente.”
Posò le labbra sulle sue che accolsero quel sorriso.
“Sai di buono.”
Gli disse John e Sherlock voleva vedere quel volto mentre lo diceva e aprì gli occhi chiedendogli se poteva ridirlo.
“Sai di buono”
Sherlock lo baciò profondamente e disse:
“Sì, è vero.” Risero piano.
“John, stiamo per fare l’amore vero?”
“Stiamo per fare tutto quello che desideri.”
Gli disse accarezzandogli le gambe che afferrarono la sua schiena.
“Desidero fare l’amore con te.”
Sherlock non era mai stato così sicuro. 
“Senti John, non fa nulla se moriremo.”
John sentiva il cuore fermarsi a quelle parole.
“Ora siamo vivi e tu sei la mia vita, ora, su di me, con il tuo corpo che mi vuole tanto quanto io voglio il tuo e voglio che mi fai capre che questa è la vita. È il modo in cui si crea una vita. E anche se non siamo fatti per crearla, abbiamo la nostra. E io la mia voglio che me la fai sentire. Ora. Voglio te. Voglio il mio John.”
Trattenne le lacrime perché non voleva assolutamente piangere.
Se John avesse potuto descrivere quello che sentiva avrebbe fallito e mai era stato così senza parole. Lui che le trovava sempre stavolta avrebbe fallito miseramente.
John chiuse per un attimo gli occhi.
Era tutto vero.
Erano vivi.
Lui era vivo.
Vivere.
Vita.
Quello importava, lì, su quel letto con i brividi che non si fermavano. Baciarsi non era mai stato così magnifico.

E forse è questo il punto: quando ti accade qualcosa di così profondo ‘magnifico’ sembra l’unica parola utile.
Sherlock si lasciò guidare da John nella maniera più totale in cui era capace.
Voleva solo darsi e ricevere e nel preciso istante in cui accadde, capì che in quel punto preciso della sua esistenza che gli sarebbe potuto accadere di tutto, ma mai sarebbe stato all’altezza di John.
John che gli promise che gli avrebbe fatto sentire cosa si prova ad avere una persona in te, qualcosa di così assurdo da pensare se ci si sofferma sulla cosa, ma ora Sherlock sapeva esattamente cosa si provava e mai avrebbe pensato ad altro se non il fatto che non si prova proprio nulla.
Si è.
Ci si accorge che si esiste con ogni fibra del corpo. Ci si accorge che l’amore non è come tutti lo descrivono perché per lui l’amore è John e in quei momenti, in cui ci si muove e si respira l’uno nell’altro, l’amore è John e nessun altro lo sta vivendo se non lui.

Si fermarono. Ma non era un fermarsi quello, era più come quando la musica si affievolisce e tutto sembra andare lontano. John era ancora su di lui. Le gambe di Sherlock lasciarono la presa e si distesero mentre le mani seguivano gli ultimi movimenti del bacino che sopra di lui si rilassò.
Le braccia tese di John si piegarono e senza staccarsi da quel bel corpo, si distese al suo fianco.
Nessuno parlò per un bel po' fin quando sapevano che non dovevano dire nulla.
Sherlock si voltò piano e andò sul lato per guardare quegli occhi blu profondo al suo fianco. Poi, con non poca sorpresa di John, Sherlock si mise sopra di lui, gli accarezzò il ventre e quel corpo tra le sue gambe rigide.
Con un sorriso e la sua voce scura e rassicurante gli disse:
“Vediamo cosa riesco a fare io.”  
"Dio, sì.” gli rispose John, che avrebbe rivissuto quella notte tutte le notti della sua vita.  
   
 
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