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Autore: GIXAFS    22/03/2017    2 recensioni
Dieci anni dopo la fine della guerra contro Ade, le vite dei nostri dodici Cavalieri d'Oro hanno preso direzioni completamente diverse. Finché una notizia inaspettata non li riunirà per un'ultima volta, mettendoli di nuovo faccia a faccia col oro passato e conti in sospeso...
Un blues sul perdersi e il ritrovarsi, sulla maturità e la difficoltà di trovarsi un posto nel mondo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Gold Saints
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo
 
Atene, Santuario, anno 2000


Ormai non faceva più caso al silenzio innaturale presente in sala. Il Grande Sacerdote trascorreva gran parte del suo tempo a camminare su e giù per il tappeto rosso del salone, talvolta spezzava la routine andando a fare un giro in veranda o zigzagando tra le colonne in marmo del Tempio in cerca di sbreccature che non aveva ancora notato. Nei momenti di maggior noia, addirittura, cercava di farsi un preventivo mentale di quanto avrebbe dovuto spendere per le opere di restauro: erano passati più di dieci anni dall’ultima guerra sacra, il Grande Tempio e le Dodici Case dello zodiaco erano state ricostruite quasi completamente ex novo. Ma, nonostante i lavori avessero proceduto con una celerità piuttosto rara in terra ellenica, rimanevano comunque alcuni cantieri aperti qua e là, soprattutto per quanto riguardava le case del Cancro e della Vergine, ovvero quelle che avevano riportato più danni durante lo scontro con l’esercito di Ade. Per non parlare poi delle opere di rifinitura, che avrebbero richiesto più denaro e tempo del dovuto, dato non era poi tanto facile trovare dei materiali integrativi che non fossero troppo distanti dalle pietre originali di qualche migliaio di anni prima, e molte cave ovviamente nel frattempo erano state chiuse. A rallentare ulteriormente le tempistiche era il fatto che la presenza dei direttori del cantiere negli ultimi tempi si era fatta via via sempre più scarsa: erano proprio stati loro, inizialmente, a prendere in mano la situazione e ad avviare la ricostruzione del Santuario appena terminata la guerra. Ma da quando il governo greco, qualche anno prima, ebbe stanziato dei cospicui finanziamenti per favorire l’afflusso di turismo, questi colsero la palla al balzo e nel giro di pochi mesi riuscirono ad inserirsi astutamente nel mercato fino ad accaparrarsi la maggior parte degli appalti per la costruzione di case vacanza nel Dodecaneso. Si trattava di un’attività sicuramente più redditizia del recupero a gratis del Santuario, che in aggiunta non godeva nemmeno dei benefici della soprintendenza dei beni culturali come le rovine dell’Acropoli ateniese.
I due direttori erano dunque riusciti in un’escalation a dir poco miracolosa, considerando poi che si trattava di persone inizialmente prive di esperienza e nuove del settore. Ma ciò non sorprendeva affatto il Grande Sacerdote, che sapeva con chi aveva a che fare. E non si sarebbe neanche troppo sorpreso se non si fossero più fatti vivi, ora che fatturavano miliardi.
In tutti quegli anni Atena (o meglio: la giovane reincarnazione della dea, Saori Kido), era sempre rimasta a suo fianco. L’unica. Ogni tanto veniva a trovarlo il fratello insieme alla moglie, ma di tutti gli altri non aveva più avuto notizie da quel fatidico giorno in cui la grazia della dea vittoriosa su Ade e il Regno degli Inferi li aveva riportati in vita e avevano detto definitivamente addio al loro rango e alle armature. E in certi casi pure dei poteri. Lui, almeno, era stato scelto per poter vegliare sulla terra di Grecia e l’umanità insieme a quella bambina, quella donna, quella divinità per cui aveva sacrificato la vita vent’anni prima. E lei, adesso, rappresentava la colonna portante della sua nuova esistenza mentre gli altri, invece, avevano dovuto crearsi una vita nuova dal nulla. Per loro non c’era più niente per cui combattere, solo un’esistenza da riempire in qualche modo o qualche attività per tirare a campare. Li aveva visti, uno ad uno, abbandonare la propria casa per costruirsi qualcosa altrove, ad uno a uno stretto la mano in segno di saluto, con un sorriso più o meno di circostanza a seconda di quanto disagio leggesse sul volto di chi aveva davanti.
Certamente per lui era tutto molto bello: viveva a fianco della sua dea e l’amava più della sua vita. Ma in tempo di pace la noia fa presto a divenire un ospite fisso ed in un angolo non molto remoto del suo cuore avrebbe voluto scatenare una guerra con una divinità a caso dell’Olimpo solo per rivedere i compagni ancora una volta. E anche in tal caso non avrebbe potuto contare su di loro, ma su degli ipotetici successori.
Si tolse la maschera e si strappò di dosso la veste di gran sacerdote e le lanciò da una parte. Si sedette nudo sui gradini de tempio: a volte gli prendeva così quando si sentiva fortemente a disagio e non c’era Saori nei paraggi. L’abito talare era soffocante tanto quanto la maschera e non erano molte le occasioni in cui poteva concedersi il lusso di poterlo fare, tranne prima di coricarsi.  In quei momenti c’era solo la statua di Atena ad osservarlo e la pietra non ha la facoltà di commentare o scandalizzarsi, per fortuna.
Una nuvola densa di poggia e melancolia era ormai scivolata su tutta l’Acropoli. Contemplando assorto le luci della città che iniziavano ad accendersi sullo sfondo di un qualsiasi tramonto di ottobre, un quasi quarantenne Aiolos del Sagittario, l’attuale grande Sacerdote, ripercorreva con la mente la strada che per anni aveva percorso con fatica su e giù innumerevoli volte, quella che si introduceva attraverso le Dodici Case, da lungo tempo ormai vuote e illuminate solo dal bagliore di qualche fiaccola che si rifletteva su delle silenziose armature dorate senza padroni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1- Accolli
 
Atene città
 
- Apri l’antologia a pagina 394, per favore. Leggi e traduci, vediamo…dal verso 54 al 78 del proemio della Medea di Euripide. Prendi questo per coprire le note, altrimenti siamo tutti bravi.
Il professore porse un foglietto allo studente interrogato, che lo pose con cura nella parte bassa della pagina. Lo spostò, lo raddrizzò per bene più e più volte per assicurarsi di aver coperto le note come si deve, con una ripetitività di movimenti che tradivano un certo nervosismo e l’amara consapevolezza di essere totalmente impreparati.
Con voce tremante per l’ansia da prestazione, il malcapitato studente cominciò la lettura del passaggio da tradurre. Il docente si passò la mano sinistra nella folta capigliatura, selvaggia e fluente come quella di una volta, come gesto di disperazione. La pronuncia del ragazzo era disastrosa, ma non poteva fargliene una colpa se per quasi tutto il mondo il greco antico era considerata una lingua morta: solo pochi individui come lui, o magari qualche fanatico, sapevano parlarlo correntemente, dato che era la lingua utilizzata al Grande Tempio. Durante gli anni dell’università si era dovuto misurare con la realtà accademica: nessuno studio e nessun libro riportava l’esatta pronuncia che gli avevano insegnato al Santuario sin dalla tenera età, in particolare quella dell’antica Attica, la regione in cui si trova Atene. Sui testi era scritto che, per tradizione, la lingua adottata nell’insegnamento era quella di epoca alessandrina, la koinè dialektos, ma nutriva molti dubbi anche sulla veridicità della cosa. Trascorse dunque i primi periodi universitari a litigare furiosamente con i professori per questo fatto, e gli ribolliva furiosamente il sangue nel vedere quei tronfi presuntuosi convinti di essere i portatori della sacra verità, soltanto perché avevano passato gli ultimi vent’ anni della loro vita col naso incollato alle pagine ingiallite di qualche testo di linguistica. Ma lui, lui aveva vissuto un’esperienza diretta, in un certo senso. Ma un imberbe studentello, come avrebbe potuto dimostrare i fatti? Andando a dire in giro che aveva combattuto come guerriero protettore della dea Atena vestendo una pesantissima armatura dorata? Che aveva perso la vita negli Inferi per poter abbattere il muro che sbarrava l’accesso ai Campi Elisi e che era stato resuscitato in seguito dalla stessa dea?
Dopo un anno di batoste e bocciature in sequenza dovute ad un rifiuto ideologico allo studio, aveva realizzato che tutto quello che era accaduto in passato ormai faceva parte di un’altra vita, di un’altra dimensione e di un altro sé stesso. Un giorno, allora, decise di mettere da parte l’orgoglio e finalmente (ma a fatica) riuscì a focalizzarsi sul punto fondamentale: l’amore per la letteratura antica che l’aveva spinto ad intraprendere quegli studi era, tutto sommato, un buon compromesso con tutti i rospi che avrebbe dovuto mandar giù per sopravvivere in quell’ambiente.
A determinare il cambio di rotta, fu inoltre complice una dura lezione: combattere divinità indubbiamente malvagie è di gran lunga meno impegnativo della vita reale, nel suo districarsi in continue situazioni ambigue e spinose in cui si è costretti a scegliere il male minore, che ovviamente non è quasi mai così scontato. Maturata questa consapevolezza, riuscì a dare tutti gli esami in tempo e si laureò con ottimi voti con una tesi sulla poesia giambica, che gli fece guadagnare una menzione speciale come miglior lavoro di tesi di laurea dell’anno dell’Università di Atene. Cosa che risultò piuttosto inutile, visto invece della brillante carriera che si era ingenuamente aspettato di intraprendere, si era infine ritrovato ad insegnare nell’aula polverosa di un liceo, occupata da giovani pigri e annoiati e scarsamente interessati alla sua materia. Dura lex, sed lex. Ma almeno, con lo stipendio riusciva a tirare avanti.
Il ragazzino aveva smesso di leggere e si era cimentato in un pietoso tentativo di traduzione, palesemente improvvisata. Fingendo di prestare ascolto, l’insegnante unì le punte delle dita in un gesto di meditazione. Si fissò l’alone giallo da fumatore di tabacco sul dito medio della mano destra e gli venne una gran voglia di girarsi una sigaretta e fumarla alla finestra. Sfortunatamente, non gli era consentito.
Un trio di ragazzine alla sua destra chiacchieravano e ridevano dall’inizio dell’interrogazione, creando un rumore di fondo che ormai lo accompagnava da almeno mezz’ora. Dall’altra parte dell’aula, il compagno di banco dell’interrogato tentava con poca discrezione di suggerire da lontano all’amico. Se n’era accorto da un pezzo, ma il ragazzo sembrava continuare imperterrito la sua coreografia. L’istinto vagamente sadico che un tempo caratterizzava il suo stile di combattimento gli fece balenare l’idea che, una volta rimandato a posto l’interrogato con un pessimo voto, avrebbe potuto chiamare alla cattedra proprio l’amico suggeritore. Una delle poche gioie che gli aveva dato l’insegnamento era che aveva in mano un potente strumento di tortura.
Nel frattempo l’alunno si era del tutto ammutolito. Aveva delle enormi chiazze di sudore sotto le ascelle che spiccavano in maniera vistosa sulla polo grigia.
- Embè? –  domandò seccato l’insegnante, risvegliandosi di colpo dai pensieri – non vai avanti?
L’alunno lo fissò in cerca di clemenza.
- Non mi ricordo molto bene la traduzione…- mormorò ad occhi bassi.
Attese un paio di secondi prima di replicare.
- Non è che non ti ricordi, Dimitri. Non hai studiato, poche storie, quindi non mi raccontare balle, per favore. E poi, - Continuò, sventolandogli un foglio sotto il naso – Hai fatto schifo anche nell’ultima verifica. La scuola è iniziata da due settimane e già hai accumulato due insufficienze. Si parte male, molto male.-
Non gli piaceva troppo cazziare gli studenti già mortificati, né distruggerli nell’orgoglio, che tutto sommato non erano molto più giovani di lui. Nonostante tutto, la pazienza a volte si esauriva e fare la voce grossa gli dava soddisfazione.
 Dimitri aveva ascoltato la predica in un costernato silenzio, si alzò dalla cattedra per tornare al suo posto, senza dargli il tempo di finire il discorso. Quest’ultimo, tuttavia, notò che il ragazzino si sforzava a stento a contenere le lacrime, dunque preferì non aggiungere altro.
Sospirò, e nel momento in cui stava maturando l’idea di cercare tra le persone interrogate qualcuno di più preparato che potesse dargli un minimo di soddisfazione, qualcuno provvidenzialmente bussò alla porta.
- Avanti.
Una delle custodi sporse la faccia occhialuta e butterata
- Mi scusi Professor Scorpio, ma c’è una telefonata per lei- chiese timidamente
Milo Scorpio (al secolo: Milo della costellazione dello scorpione) la guardò seccato: era stato interrotto proprio sul momento di chiamare la prossima vittima.
- Sto facendo lezione, Helena. Chiunque sia, chiedi di farti lasciare il numero che poi richiamerò io appena ho finito.
- Veramente - insistette la bidella – la signora al telefono ha detto che si tratta di una cosa molto urgente e che è molto importante che lei risponda subito.
La parola “signora” lo fece sobbalzare. Il pensiero andò subito alla padrona di casa.
“Porca puttana, mi è venuta a cercare pure a lavoro per gli arretrati dell’affitto…”
- Arrivo, allora.
 Si alzò sistemandosi la giacca di velluto a coste e lanciò un’occhiata di fuoco alla classe.
- Sappiate che oggi saltiamo la spiegazione. Ho tutto il tempo di interrogare un altro paio di voi…- aggiunse con un ghigno luciferino.
Si chiuse la porta alle spalle, lasciandosi dietro un silenzio tombale. Ma tanto sapeva, dal profondo della sua esperienza, che nel breve tempo in cui avrebbe imboccato il corridoio si sarebbe scatenato un inferno di ripassi disperati all’ultimo minuto, sorteggi per scegliere chi sarebbe andato volontario e false giustificazioni con firme altrettanto false da giocare come jolly, nel caso le prime due opzioni non avessero funzionato. Si avviò al telefono gongolando per lo scompiglio creato sapendo che, indipendentemente dalla durata della telefonata, avrebbe approfittato della momentanea assenza per andare in cortile a fumare, lasciandoli bollire nell’angoscia fino al suono della campanella.
- Pronto, con chi parlo? – Chiese poggiando la cornetta all’orecchio.
- Ciao Milo, ti ricordi di me?
Con un certo sollievo capì che, per fortuna, non si trattava della padrona di casa, ma gli ci volle un po’ per capire chi ci fosse dall’altra parte del filo. Per la precisione: circa dieci secondi per riconoscerla ed altri dieci per riprendersi dallo stupore che gli fece cadere la sigaretta spenta dalle labbra.
A malapena ricordava di averci parlato qualche volta in passato, dopo dieci anni addirittura si era quasi scordato della sua esistenza. E non riusciva a capacitarsi come avesse fatto a rintracciarlo e soprattutto cosa l’aveva spinta a farlo.
- Shaina, sei tu?
 
 
 
 
Il nono senso di un cavaliere (ovvero il buonsenso), quella mattina gli aveva suggerito che sarebbe stata buona cosa portarsi dietro un ombrello. In effetti, appena uscito dal portone della scuola, fu colto da una di quelle piogge pesanti di fine estate. In realtà era già metà ottobre, l’estate era finita da un pezzo ma faceva ancora terribilmente caldo. Nel giro di un mese avrebbe compiuto trent’anni: una cifra scomoda, una maturità che non si sentiva di accettare e che tentava di aggirare frequentando ancora feste universitarie, dalle quali usciva il più delle volte sbronzo e talvolta così sbronzo da risvegliarsi il mattino seguente tra le lenzuola muffite di qualche studentello di lettere sedotto la notte prima. Trovava agghiacciante il pensiero che questi fanciulli potevano essere al massimo un paio di anni più grandi dei suoi studenti, il che lo riempiva di vergogna tutte le volte che se ne rendeva conto in quei mesti risvegli. La testa già appesantita per l’alcol si caricava anche del senso di colpa per aver essersi portato a letto ragazzini dalla sessualità ancora vacillante.
 Per porre fine a questo disagio, per un periodo aveva deciso di dare una svolta e cercare ambienti che poteva ritenere più consoni ad un uomo maturo ed acculturato come lui, o comunque dove l’età media fosse superiore a vent’anni: iniziò a frequentare caffè letterari e salotti, sperando che un ambiente del genere lo stimolasse più in positivo. Non gli ci volle molto per rendersi conto che la situazione era più malsana di quanto si aspettasse: quei signori (perlopiù finocchi come lui), che millantavano importanti pubblicazioni su Schiller e la poesia romantica tedesca e bevevano il tè col mignolo alzato, in realtà si trascinavano avanti in una squallida esistenza di estati di movida sfrenata ad Ibiza e Mykonos e viaggi in Brasile per assistere i bambini delle favelas, così dicevano, ma era piuttosto evidente che lo scopo ultimo era tutt’altro. Questo lo fece tornare sui propri passi e gli fece capire che, tutto sommato, svenire di tanto in tanto sul proprio vomito davanti ad un pub in realtà non era poi così degradante, e che aveva la coscienza in pace perché ogni volta si assicurava di avere a che fare con persone che avevano almeno conseguito la maggiore età. Mica come quei viscidoni vestiti in tweed.
 Questa vita gli stava bene, perché in fondo non gli permetteva di pensare a cosa si era veramente lasciato al Grande Tempio. E non intendeva la sua armatura.
Durante la telefonata, Shaina aveva insistito per vederlo di persona. Si erano dati appuntamento alle cinque di quel pomeriggio ad un bar vicino alla fermata della metro sotto il Partenone. La scuola in cui insegnava non era poi così distante e fece il tragitto a piedi sotto l’ombrello comprato a poche dracme, facendo attenzione a non bagnare eccessivamente le polacchine scamosciate nuove di pacca. La conversazione che ebbe con lei quella mattina era stata piuttosto sbrigativa e non era riuscito a cavarle fuori alcun indizio riguardo l’urgenza di quell’incontro e men che meno riusciva a spiegarsi come mai avesse accettato di vedere una persona che gli avrebbe inevitabilmente fatto riaffiorare un passato che tentava forzatamente di escludere dalla propria vita.
 
 
Dieci minuti dopo il suo arrivo, mentre stava aspettando sotto a veranda del bar, sentì una mano poggiarsi sulla spalla. Si girò e si ritrovò faccia a faccia con una donna che non aveva mai visto. Lei rispose alla sua espressione perplessa con un sorriso aperto e cordiale. Milo ci mise un po’ a connettere che quella davanti a lui era, per l’appunto, Shaina. Solo che, ora che ci pensava, quando lei era Cavaliere d’Argento era solita portare una maschera che le copriva totalmente il volto, una consuetudine per le donne guerriere. E sì, quella era la prima volta che la vedeva in viso.
La trovava sicuramente una donna molto attraente, dall’aspetto più maturo dei suoi venticinque-ventisei anni che doveva avere, forse per il taglio corto dei capelli, forse per le leggere rughe intorno agli occhi.
- Mi fa strano vederti in giacca e cravatta- esordì lei - Ma comunque non stai male.
Milo si mise a giocherellare con le basette ingrigite pensando a qualcosa di carino che avrebbe potuto dire. Di quel poco che poteva conoscere Shaina, aveva sempre apprezzato il modo di fare spesso quasi maschile e diretto, senza perdersi in inutili convenevoli. Decise di mantenere un approccio analogo e non aggiungere niente di superfluo alla conversazione.
- Beh, anche tu mi sembra te la passi bene.- rispose lui altrettanto conciso -che dici se intanto non entriamo dentro e ordiniamo qualcosa?
Tanto avevano davanti tutto il pomeriggio per raccontarsi le cose
- Volentieri!
I due si infilarono nel bar e presero posto in un tavolino vicino alla finestra, dove rimasero per un po’ a contemplare i goccioloni si stampavano ritmicamente sul vetro, senza scambiarsi una parola. Ordinarono da bere: Shaina prese un caffè, Milo un Gin Tonic.
- Non è un po’ presto per bere superalcolici? - Osservò la ragazza inclinando la testa da una parte.
- Dopo aver passato tutto il pomeriggio a correggere i compiti di una classe del secondo anno, direi che per oggi il mio l’ho fatto, e me lo merito.
La ragazza rise e ne approfittò per avviare la conversazione.
- Bella la scelta di adottare la tua costellazione come cognome.
- Sai bene che siamo tutti orfani e quindi non abbiamo mai saputo il nostro nome di famiglia. - Rispose lui - Prima che le nostre strade si dividessero, ci eravamo ripromessi che avremmo usato le nostre costellazioni guida come cognome, forse per poterci ritrovare in un futuro. Almeno, io l’ho fatto, non so poi gli altri…
- Non saprei - rifletté Shaina. - Non è stato facile trovarti, comunque. Ho dovuto chiedere informazioni all’Università. E’ stata una scelta coraggiosa quella di riprendere gli studi, lo ammetto.
Lo scorpione si sentì lusingato dell’osservazione.
- Qualcosa dovevo pur fare nella vita - gli rispose Milo alzando le spalle. - Come ben sai, dopo la guerra con Ade, tutti e dodici - anzi, tredici, se contiamo anche Kanon, il fratello di Saga- siamo stati riportati in vita da Atena e il motivo ancora mi sfugge…Forse per la distruzione dell’Inferno, chissà…Fatto sta che ci siamo risvegliati qui sulla terra vivi e vegeti e disoccupati: il prezzo della rinascita è stato rinunciare al nostro ruolo. I tempi erano cambiati e non potendo più lottare per una causa ci siamo trovati ad un bivio, ovvero rifarci una vita o trastullarci al Tempio senza uno scopo preciso. Così decisi, come alcuni di noi, di sfruttare questa seconda occasione per fare qualcosa di diverso.
- Fui più o meno uno dei primi ad andarmene: avevo sempre amato la cultura e la letteratura greca, quindi decisi di iscrivermi all’Università di Atene. Avrei voluto continuare la carriera accademica, ma le opportunità erano scarse a quei tempi avevo bisogno di soldi, quindi voilà, ho cominciato ad insegnare al liceo e ci sono rimasto.
Fece una pausa. Diede un sorso al suo cocktail e la guardò negli occhi. - Forse sono stato un po’ stronzo, ma al tempio non ci ho più rimesso piede.
- Inizialmente pensavo che tu fossi andato a studiare in Francia insieme a Camus dell’Acquario, eravate molto legati, no? - Chiese curiosa la ragazza mentre vuotava la bustina di zucchero nel caffè. - Mi avevano detto che era partito con qualcuno di voi, eravamo sicuri fossi tu.
Sentendo nominare Camus, Milo si irrigidì per un istante. Era la prima volta dopo anni che qualcuno gli chiedeva di lui e la cosa gli provocò una sensazione di stretta allo stomaco. Non era ancora riuscito capire, dopo tutto quel tempo, se il bastardo era stato il suo vecchio amico che se n’era andato per sempre, o lui che per orgoglio e gelosia che non l’aveva seguito.
- Camus sicuramente tra tutti noi era quello che aveva più chances per una carriera al di fuori del nostro paese - Le rispose Milo nel tono più neutrale possibile. - Si trasferì a Parigi per studiare fisica. Era certamente la mente più brillante di tutto il gruppo, dedicava parecchio tempo libero allo studio sin da quando era piccolo. Io invece preferivo la lettura. Ora è probabile che sia ricercatore da qualche parte, forse sempre a Parigi. - Fece un sospiro e aggiunse, digrignando i denti:- Fu Shura del Capricorno a partire con lui. Sai com’è, erano vicini di casa, poi fattacci vari che sono successi li hanno legati molto.
- Capisco. - Shaina avvertiva un certo disagio da parte dell’interlocutore.
Si scosse dai suoi turbamenti e si rivolse nuovamente alla ragazza.
- Tu invece che hai combinato in tutto questo tempo?
- Nulla di particolare rispetto a voialtri. Subito dopo la guerra decisi di prendermi una pausa e di fare una vacanza in Italia, dove sono nata.
- Ah! Non sapevo tu fossi italiana…come Deathmask del Cancro.
La ragazza arrossì e continuò, abbassando lo sguardo:- A proposito di lui, per l’appunto lo incontrai per caso durante un giro in Sicilia, ad Agrigento. Era partito per andare alla ricerca di qualche cugino che ricordava che vivesse nei paraggi. Un po’ stanca di mesi passati in solitudine, mi unii a lui nel viaggio e, da cosa nasce cosa, sai com’ è…..
Non finì la frase. Si morse il labbro e alzò di nuovo lo sguardo: - E insomma, alla fine ci stabilimmo definitivamente ad Agrigento, dove trovammo l’appoggio di qualche cugino di secondo grado di Deathmask. Siamo stati molto fortunati, sono delle persone molto gentili e disponibili, si presero la briga di prenderci a lavorare con loro per un po’.
Durante il racconto dell’ex Cavaliere d’Argento, Milo stava girando una sigaretta. Ma quando lei fece implicitamente capire di essere in rapporti intimi col suo ex compagno d’ arme, dovette momentaneamente interrompere la sua operazione
- Forse non ho capito bene, mi stai dicendo che stai insieme a quel tipo? - Chiese totalmente incredulo.
Deathmask era sempre stato - senza mezzi termini - un gran pezzo di merda. Aveva macabre attitudini, oltre che una personale idea di giustizia che divergeva non poco dal credo dei Cavalieri. Non gli era mai piaciuto e quando era piccolo si divertiva a fare il bullo con lui, Camus e gli altri più giovani. Una volta lo aveva messo nel secchio del pozzo dicendogli che voleva fargli provare un gioco divertente. Lo calò giù e lo lasciò lì al buio e immerso nell’acqua stagnante per tutto il giorno, quando fu recuperato dal Grande Sacerdote di allora era ancora terribilmente impaurito e se la fece sotto davanti a tutti. Un’ umiliazione che si è portato dietro per tutta la vita, seguita dal rimpianto di non essersi mai vendicato. L’unico dei piccoli con cui non si era mai accanito era Shaka di Virgo, quello lì a sei anni aveva già dei poteri spaventosi. Solo una volta il bastardo del Cancro gli rubò la merenda e scomparve misteriosamente per una settimana. Riapparve dal nulla nella Terza Casa nella vasca da bagno di Saga, mentre quello si stava lavando, visibilmente traumatizzato. Nessuno ha mai saputo dove Shaka l’avesse spedito e Deathmask non volle mai affrontare l’argomento. Fatto sta che non si azzardò più a fargli dispetti.
La prima volta che morì, per mano di Shiryu il Dragone (e piuttosto ingloriosamente), Milo reagì alla notizia con totale indifferenza. In quel momento non riusciva proprio a capacitarsi come una donna intelligente, forte e determinata come Shaina fosse finita con un soggetto del genere.
 - Sì, lo so cosa stai pensando - mise le mani avanti la ragazza – In passato ha certamente fatto cose orribili ed è quello che è, ma io ho avuto modo di conoscere una persona migliore di quello che mi aspettassi. La guerra l’ha cambiato molto, più di quanto pensi. In ogni caso, ci siamo lasciati da ormai un paio di anni.
- Ah, mi spiace…
Dato che Shaina non si accingeva a proseguire il racconto, Milo dedusse che sarebbe stato meglio cambiare argomento: - Ora sei qui in vacanza o ti sei ristabilita da poco?
- Beh, dopo la fine della nostra relazione, feci lo zaino e ripartii. Avevo finalmente la scusa per lasciarmi alle spalle un posto che non sentivo come mio. Ho girato per tutta l’Italia per qualche mese, cercando un luogo dove stabilirmi. In realtà, mi resi conto che Atene mi mancava, e parecchio: era la casa, i ricordi, le battaglie, la vita e gli amici…sono tornata qua per ritrovare quello che veramente mi stava a cuore e mi dava un motivo per vivere. Aiolos e Atena mi hanno accolto a braccia aperte e dato l’opportunità di allenare le giovani leve. Qualcuno dovrà pure addestrare i nuovi Cavalieri, no?
- Capisco. Fumi?-  Le chiese lui indicando la busta di tabacco.
- No, mi dispiace. Ma se vuoi uscire a fumare non farti problemi, nel frattempo ne approfitto per andare in bagno.
Milo prese congedo dalla compagna e uscì dal bar. Accendendo la sigaretta osservò dalla vetrata Shaina che si dirigeva verso la porta del bagno. Quella ragazza gli aveva suscitato delle strane sensazioni: nostalgia forse, o curiosità. Stranamente non aveva finto interesse mentre gli raccontava della sua vita, cosa che gli accadeva spesso durante le conversazioni. La vita era già abbastanza noiosa di suo e le vite degli altri per lui lo erano ancora di più. Ma c’era qualcosa che andava oltre il semplice interesse umano che lui aveva trovato in quei penetranti occhi color verde bosco: dopo anni avvertiva per la prima volta un legame nascosto, un eco nostalgico che li accomunava, una complicità che raramente riusciva ad avere con qualcuno. Era forse il brivido e i ricordi dei tempi che furono che stavano tornando a galla? Aveva il timore che tutto questo prendesse il sopravvento e si sentì tentato di piantarla lì e andarsene via, senza nemmeno pagare, anzi, avrebbe dovuto pagare lei, lui avrebbe fatto la figura dello stronzo maleducato e lei non l’avrebbe più cercato. Sì, poteva essere un buon piano per risparmiarsi delle seccature. Ma ancora non aveva la minima idea del perché di quell’incontro e moriva dalla curiosità, sicuramente non per fare una passeggiata nel viale dei ricordi.
 
Spense il mozzicone su uno stipite della porta del bar e lo gettò a terra, spesso e volentieri i posaceneri sono considerati oggetti indispensabili. Shaina se ne stava immobile a osservare fuori dalla finestra, il gomito appoggiato sul tavolo e la mano che sorreggeva la tazzina vuota.
- Ascoltami - Lo precedette lei poggiando la tazzina sul piattino. -Sarà meglio che mi sbrighi a dirti tutto, non voglio portarti via troppo tempo.
Milo drizzò la schiena: era tutto orecchie.
-Sarò breve: in realtà, sono qui per conto di Marin. Te la ricordi?
Annuì
-Ecco, lei e Aiolia del Leone si sono sposati qualche anno fa e adesso vivono qualche chilometro fuori da Atene. Vengono spesso a trovare Aiolos e mi hanno ospitato per i primi tempi in cui ero tornata qui.
-Negli ultimi mesi, però, notai che Aiolia si faceva vivo sempre più di rado finché un giorno, Marin non è venuta a trovarmi e mi ha detto che…che - Si interruppe, il tempo di prendere un respiro molto profondo: - Insomma, gli è stato diagnosticato un cancro allo stomaco. Una forma fulminante già in metastasi, i medici dicono che nella migliore delle ipotesi gli rimane un anno di vita.
Milo rimase a fissare stordito il centrotavola, cercando di rielaborare quello che gli era appena stato detto.
- Cazzo. – Fu tutto quello che riuscì a dire. - Dove posso andare a trovarlo? – Aggiunse dopo qualche attimo di silenzio.
-Dopo una prima degenza all’ospedale, e poi un periodo a casa, ha deciso di trasferirsi da suo fratello Aiolos al Santuario. Non lo vedo nemmeno io da mesi, riesco a malapena ad incrociare Marin ogni tanto, e nemmeno lei se la passa bene.
La giovane si asciugò una lacrima. Era sollevata di avergliene finalmente parlato, ma non bastava ad alleviare l’oppressione che si sentiva nel petto. Allungò una mano e prese quella di Milo. Lo guardò dritto negli occhi:
- Il motivo per cui ti ho chiamato è che in realtà Aiolia vorrebbe vedervi per l’ultima volta.
- Certo, certo - la tranquillizzò a sua volta stringendole la mano che aveva posato sulla sua - Uno di questi giorni, durante le ore di buco a scuola posso fare un salto là-
- Non sarà così semplice. Vi vuole vedere tutti insieme. O niente.
 
 
Durante tutto il tragitto di ritorno a casa, saltando di pozzanghera in pozzanghera, lo scorpione ebbe modo di meditare su quello che si erano detti.
Lei gli aveva chiesto disperatamente di contattare in qualche modo Camus e all’occorrenza anche Shura per riferire la notizia, ma lui non aveva la più pallida idea di come fare. E soprattutto, non voleva farlo. Fino a qual momento sapeva solo che il vecchio amico se n’era andato a Parigi a studiare dieci anni prima e a parte un e frettoloso saluto alla sua partenza dalla Grecia, reso laconico e triste dal fatto che le loro strade si sarebbero definitivamente divise, avevano totalmente perso i contatti. Ma ad innervosirlo era anche tutto quel mistero che circondava la condizione di Aiolia e gli sfuggiva il motivo per cui si era tanto impuntato a voler vedere i suoi compagni per forza tutti insieme, sapendo anche lui che sarebbe stato quasi impossibile: Tutti, più o meno, era spariti dalla circolazione. Ma la sensazione della morte imminente, che normalmente accompagna un malato terminale, porta spesso a elaborare pensieri e desideri incomprensibili per quelli che non si trovano nella sua condizione, specie per un individuo egocentrico e scarsamente empatico come Milo. Borbottando come una teiera, infilò le chiavi nella toppa ed entrò in casa, chiudendosi dietro alle spalle il carico di preoccupazioni che gli si era piantato davanti in blocco.
L’indomani avrebbe fugato ogni dubbio e suo malgrado decise di affidarsi alla tecnologia. Durante una pausa tra una spiegazione su Senofonte e un compito a sorpresa su Demostene (ebbene sì: decise di esorcizzare la frustrazione scaricandola sgli alunni), scese in aula professori dove erano presenti un paio di computer collegati ad una rete ethernet. Shaina gli aveva suggerito di tentare una ricerca su internet, almeno poteva essere un inizio.
Aprì Internet Explorer e digitò “Camus Aquarius” ed attese senza troppe speranze. Ed invece fu fortunato: lo trovò subito. Scorrendo i primi risultati ritrovò sulla pagina di un noto centro di ricerca della Francia del sud. Non viveva più a Parigi, a quanto pareva. Sul sito era presente la sua schedae una foto: i capelli che aveva tagliato corti incorniciavano ancora un viso fresco e pulito, non aveva un capello bianco né una ruga. “Che stronzo, si è mantenuto meglio di me. Sempre che la foto sia recente. Magari si tinge i capelli…”. Accanto c’era scritto Director Scientist e una serie di sigle e parole a lui incomprensibili; l’inglese di Milo era molto basic, il linguaggio scientifico, invece, andava del tutto al di là della sua comprensione. Da quel Director Scientist e un Low Temperature infilato nella descrizione del laboratorio in cui lavorava dedusse che, a quanto pare, aveva fatto carriera e che per ironia della sorte le energie fredde erano rimaste una costante nella sua vita. C’era anche un numero di telefono, che si appuntò su un post-it. I recenti avvenimenti e la facilità con ci aveva reperito quelle informazioni gli fecero pensare che l’Universo intero si era messo in moto per convincerlo a regolare dei conti che aveva tenuto in sospeso per troppo tempo. Maledisse quel giorno, maledisse Shaina e la malattia Aiolia, gli toccava fare quella telefonata. Ma di certo non si sarebbe mai sognato di contattare Shura, quell’ingrato compito non voleva accollarselo.
 
   
 
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