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Autore: EveLWilliams    22/03/2017    0 recensioni
Dopo la firma della Grande Pace, Chicago è suddivisa in cinque fazioni consacrate ognuna a un valore: la sapienza per gli Eruditi, il coraggio per gli Intrepidi, l'amicizia per i Pacifici, l'altruismo per gli Abneganti e l'onestà per i Candidi.
Theia, una giovane Pacifica, deve scegliere a quale unirsi, con il rischio di rinunciare alla propria famiglia.
Prendere una decisione non è facile e il test che dovrebbe indirizzarla verso l'unica strada a lei adatta, si rivela inconcludente: Theia ha attitudini per tutte le fazioni.
Theia è una Divergente e la scelta di unirsi agli Intrepidi potrebbe costarle la vita, ma non quanto abbandonarsi ai sentimenti che prova per il più pericoloso dei capifazione degli Intrepidi: Eric.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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I miei occhi finalmente si abituano al buio e riesco a vedere dove mi trovo.
Sono all’interno di un’ampia grotta che si apre verso l’alto, davanti a me c’è uno stretto passaggio e il gruppo degli iniziati si sta incamminando verso quel tunnel. Mi affretto a seguirli. L’unica fonte di luce arriva da lampade molto distanti tra loro e, nelle zone d’ombra, sono costretta a far scivolare le dita sulle pareti di roccia per evitare di inciampare.
«Qui ci dividiamo» dice Lauren, una delle nostre tre guide. «Gli iniziati interni vengono con me. A voi il giro turistico non serve.»
I figli degli Intrepidi si staccano dal gruppo e spariscono nell’oscurità insieme a Lauren.
Guardo i miei compagni. Siamo in dieci e la maggior parte vengono dagli Eruditi e dai Candidi. Io sono l’unica della mia fazione e Beatrice, la sorella di Caleb, che ora ha scelto di cambiare il suo nome in Tris, è l’unica trasfazione degli Abneganti. Non mi stupisco, le nostre due fazioni sono le più pacifiche del sistema e credo sia molto raro che uno dei nostri membri decida di trasferirsi negli Intrepidi.
Io e Tris siamo due mosche bianche, questo mi fa sentire meno sola.
«Di solito lavoro al centro di controllo, ma nelle prossime settimane sarò il vostro istruttore. Mi chiamo Quattro.»
«Quattro? Come il numero?» chiede Christina, la Candida che sedeva accanto a Tris sul treno.
«Sì» risponde lui. «C’è qualche problema?»
«No.»
«Bene. Stiamo per andare al Pozzo, a cui vi affezionerete con il tempo. È…»
Christina lo interrompe nuovamente ed io mi domando se i Candidi siano in grado di stare in silenzio per più di dieci secondi. Quattro sembra severo ma non minaccioso, interromperlo mentre sta parlando non è comunque una buona idea.
Quattro si china su di lei, stringe gli occhi e la fissa per qualche secondo e poi le chiede: «Come ti chiami?»
«Christina» risponde con voce stridula.
«Bene Christina, se fossi stato disposto a sopportare l’impertinenza dei Candidi, avrei scelto la loro fazione» sibila. «Lezione numero uno: impara a tenere la bocca chiusa. Chiaro?»
Christina annuisce.
Quattro riprende a camminare e noi tutti lo seguiamo in silenzio verso il buio in fondo al tunnel. Apre una doppia porta a spinta ed entriamo in quello che lui ha chiamato “il Pozzo”.
Davanti ai miei occhi c’è un’immensa caverna sotterranea con una base così larga che da dove mi trovo non riesco a vederne la fine.
Nella mia fazione ci sono molti pozzi e sono profondi e molto stretti, questo posto è enorme, mi viene difficile associarlo a quei cunicoli verticali stretti e bui che ci hanno insegnato a temere.
Sopra la mia testa si innalzano per decine di metri pareti irregolari di roccia, nelle quali sono stati ricavati degli antri adibiti alla distribuzione di scorte alimentari, abiti, attrezzature e anche spazi per attività ricreative. Sono tutti collegati tra loro tramite stretti canali e gradini scavati nella pietra e non ci sono protezioni per impedire alla gente di cadere giù.
Forse devo ricredermi, questo è un pozzo, un gigantesco ma sempre pericoloso pozzo.
Il soffitto del Pozzo è formato da pannelli di vetro, sopra i quali c’è un palazzo attraverso cui i raggi del sole penetrano fino a qui illuminando le pareti di roccia della debole luce arancione del tramonto. Per un attimo mi domando se saranno così tutti i tramonti della mia vita, deboli fasci di luce proiettati su pareti di roccia; addio sole che sparisce dietro l’orizzonte e benvenute fredde lampade azzurre.
«Se mi seguite» dice Quattro «vi mostro lo strapiombo.»
Lo seguiamo tra la folla. Ci sono persone ovunque, tutte vestite di nero, che gridano, parlano e gesticolano. Mi guardo bene intorno e non vedo nessun adulto nella folla. Non esistono Intrepidi vecchi? Forse non si vive abbastanza a lungo, oppure si viene semplicemente mandati via quando non si è più in grado di salire e scendere da treni in corsa.
Ci fermiamo su un lato del Pozzo particolarmente buio ma, a differenza di canali e rampe di scale, qui c’è una robusta barriera di protezione in ferro. Appoggio le mani sulla ringhiera e mi sporgo per vedere cosa c’è oltre ad essa. Il terreno precipita bruscamente e molti metri sotto di noi c’è un fiume impetuoso.
Questa volta trovo che il nome, Strapiombo, sia azzeccato.
«Lo Strapiombo ci ricorda che c’è una sottile distinzione tra coraggio e idiozia!» grida senza un apparente motivo.
«Saltare da qui per gioco è un modo sconsiderato di porre fine alla vostra vita. È già successo e succederà ancora. Siete avvertiti.»
Davvero molto teatrale, ma ce n’era bisogno? Pensa che siamo così stupidi da scavalcare la ringhiera e saltare?
Porre fine alla vostra vita. Se non fosse un’ammonizione ma un suggerimento? La risposta perfetta alla domanda che mi sono fatta poco fa: che fine fanno gli Intrepidi anziani?
Hanno due scelte, gli Esclusi o la morte.
Cerco di non pensare a quante persone hanno scavalcato questa ringhiera perché so quale sarebbe il pensiero successivo: quale sarebbe la mia scelta?
Quattro riprende a camminare. Ci sta portando dall’altra parte del Pozzo, verso un varco aperto nel muro. C’è abbastanza luce da poter capire dove stiamo andando: la sala mensa.
Al nostro ingresso, gli Intrepidi presenti si alzano e applaudono, battono i piedi, gridano. Il frastuono quasi mi stordisce.
Cerco un posto libero accanto ai miei compagni di iniziazione, ma il tavolo è completo, così sono costretta a spostarmi al tavolo a fianco al loro.
Mi siedo accanto a un iniziato interno con la pelle scura, grandi occhi castani e un sorriso che subito mi conquista per la spontaneità che trasmette. Dice di chiamarsi a Uriah e mi presenta suo fratello maggiore Zeke e altri iniziati dei quali fatico a capire i nomi nel baccano della sala.
È gentile, mi mette nel piatto un hamburger e inizia a fare battute sui Pacifici, non quelle classiche che girano tra fazioni e che mi farebbero infuriare, ma battute assurde e senza senso che mi fanno morire dal ridere.
Le porte della mensa si aprono e sulla sala piomba il silenzio. Mi volto. Sta entrando un ragazzo, e il silenzio è tale che si sentono i suoi passi sul pavimento. È molto alto e muscoloso, fin troppo per i miei gusti, sfiora il ridicolo.
Ha i capelli rasati sui lati e dietro la testa ma sopra ad essa ha un ammasso di capelli che sembra una cresta schiacciata. Cerco di studiare i suoi lineamenti ma è troppo lontano da me, l’unica cosa che riesco a notare sono i due piercing sopra il sopracciglio destro che brillano alla luce delle lampade e il tatuaggio che ha sul collo: due strisce nere, interrotte in più punti in modo armonico, che partono dalla base del collo e arrivano fin sotto la mandibola. Mi chiedo se gli servono per trovarsi la testa, o magari, per ricordarsi che ne ha una. Gli Intrepidi non sono conosciuti per la loro intelligenza.
Lo osservo mentre passa in rassegna tutti i tavoli e la freddezza del suo sguardo mi fa sentire un brivido gelido scendere lungo la schiena.
Si siede accanto a Quattro ma non riesco a sentire quello che si dicono.
Mi concentro sul linguaggio del corpo. Prima che il ragazzo entrasse, Quattro aveva i gomiti appoggiati al tavolo, spalle morbide e il corpo sbilanciato verso il tavolo, una postura rilassata e forse un po’ annoiata.
Quando il ragazzo si è seduto accanto a lui e ha iniziato a parlare, la sua postura è cambiata, il suo peso si è spostato all’indietro, come se volesse allontanarsi dal suo interlocutore. I suoi muscoli non sono più rilassati ma tesi, non è un atteggiamento che si ha con un amico.
Anche il ragazzo non sembra percepirlo come un amico, sebbene sia bravo a mantenere il controllo non riuscirà mai a fregare una Pacifica, è teso quanto Quattro ed è infastidito, qualcosa lo innervosisce. Tamburella con le dita sul tavolo, è nervoso ma non abbastanza da essere agitato.
Lo vedo dare una manata sulla spalla del nostro istruttore, con un po’ troppa forza e alzarsi. Sulle sue labbra appare un sorriso compiaciuto e la sua andatura non è più rigida come al suo ingresso, è sollevato, come se si fosse tolto un peso che lo opprimeva.
C’è qualcosa nel suo modo di sorridere che mi inquieta, ma forse è solo suggestione. L’ingresso ad effetto, i cambiamenti di atteggiamento mentre parlava con Quattro, ma soprattutto il suo sorriso baldanzoso unito alla freddezza del suo sguardo è come se mi avessero paralizzato il cervello.
Ho avuto una giornata pesante, sono solo stanca, è normale che la mia capacità di sondare le persone sia un po’ appannata. Probabilmente è il classico bulletto, tronfio e sbruffone. Tutte le fazioni ne hanno qualche esemplare, lui è uno di quelli degli Intrepidi.
A occhio e croce potrebbe avere solo qualche anno più di me, non è più pericoloso di quei ragazzini che da bambina mi tiravano le trecce.
«Abbiamo anche una Pacifica» sento mormorare da una voce dietro di me. «Ti sei trasferita per insegnare agli Intrepidi a suonare il banjo prima di finire tra gli Esclusi?»
Mi volto e la prima cosa che vedo sono due grandi occhi azzurri come un cielo terso e freddi come il ghiaccio. Il ragazzo che stava parlando con Quattro è chinato su di me, il suo viso è a pochi centimetri dal mio e mi sta fissando con un sorriso beffardo.
Lo stomaco mi si contorce come se qualcuno lo stesse stuzzicando con una forchetta.
Piega leggermente la testa di lato e comincia a ridacchiare.
Il suo modo di fare mi manda in bestia. Se fossi ancora nei Pacifici so come finirebbe: lui  con un occhio nero e io chiusa in camera mia a ridere come una scema a causa del siero della pace.
Ora sono negli Intrepidi e lui, oltre ad essere addestrato a combattere, è due volte me.
«No. Pare ci sia in libertà un pazzo furioso e io devo trovarlo. È sul metro e ottantacinque, robusto, capelli castano chiaro e occhi chiari. Fammi un fischio se lo vedi» gli dico, fissandolo dritto negli occhi, ma appena finita la frase mi volto verso il tavolo e fingo di riprendere a mangiare.
Ho lo stomaco chiuso, non per la paura ma perché c’è qualcosa in quel ragazzo che sconvolge il mio mondo in un modo che non riesco a capire.
Mi hanno insegnato come riconoscere, interpretare e calmare ogni tipo di sentimento o stato d’animo, ma quello che sto provando in questo momento non riesco ad associarlo a niente di studiato e a niente di provato, è una cosa del tutto nuova per me.
«Quest’anno ci sarà da divertirsi» mormora così vicino al mio orecchio che sento i cortissimi peli della sua barba solleticarmi il collo.
Non appena si allontana sento i miei muscoli rilassarsi, non mi ero accorta di essere così in tensione.
Osservo gli Intrepidi al mio tavolo, mi guardano sbigottiti, qualcuno ridacchia ma la maggior parte resta in silenzio.
Credo di aver appena combinato un casino.

   
 
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