Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: allonsy_sk    22/03/2017    2 recensioni
post-s4
---
La cucina ha l'aria di un posto che viene usato di rado, dal monolite bianco del frigorifero vuoto istoriato di magneti noiosi e volantini di diversi take away, alle mattonelle shabby-chic macchiate d'oro.
C'è un segno sulla parete, a circa un piede dal battiscopa che corre al lato del frigorifero, dove Sherlock è sicuro che Mycroft lasci cadere la valigetta ogni sera, fermandosi poi ad aprire il frigorifero prima di cedere alla stanchezza, alla pigrizia o alla gola.
Lo fa al buio, a giudicare dal modo in cui le sue impronte digitali sono distorte, piccole chiazze leggermente oleose sulla superficie liscia e altrimenti lucida dell'elettrodomestico.
È tanto più strano, quindi, che la cucina profumi di cioccolato e burro e che il pavimento immacolato sia sporco di farina.
La vista più strana, comunque, è Mycroft in jeans e maglioncino, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e un grembiule bianco.
Se non fosse completamente pulito da ben due mesi tre settimane e due giorni, Sherlock penserebbe di avere di fronte una delle sue più assurde allucinazioni.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Eurus Holmes, John Watson, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Brother Mine

9 - Venerdì 19 Febbraio 2016

 

John si è addormentato con la testa contro il finestrino, le gambe allungate e incrociate all'altezza delle caviglie. Se non avesse le gambe così corte Sherlock potrebbe prendersele in grembo e farlo stare più comodo. D'altra parte non è sicuro di come John potrebbe prendere una tale manifestazione pubblica di affetto.

Da un lato forse preferirebbe essere seduto accanto a lui, e potrebbe anche farlo dato che lo scompartimento è vuoto se non per loro due e per i loro modesti bagagli. Potrebbe sedersi accanto e godersi il suo calore pesante di sonno e tenergli la mano di nascosto. Nel privato della propria mente non deve neanche fingere disgusto di fronte a tanto sentimentalismo - non è sicuro di essere ancora capace di fingere pubblicamente quel disgusto, a essere del tutto onesto.

Dall'altro lato, è contento di essere seduto di fronte in modo da poter osservare John mentre dorme, abbandonato e rilassato e con la bocca leggermente aperta. Non ha abbastanza parole per esprimere correttamente cosa prova anche soltanto a guardarlo dormire, nell'intima consapevolezza che John lo ha accettato, che John lo ama . Ooh, è un concetto nuovo, scintillante come una moneta fresca di conio e sorprendente dopo tutto quello che è successo di recente.

Ci aveva sperato, eccome, così come ci aveva sperato ininterrottamente per gli ultimi sette anni, fin dal loro primo incontro, ma non può dire di averci sempre creduto . Sicuramente non dopo l'episodio increscioso nell'obitorio dell'ospedale, sicuramente non dopo Mary . Cristo, fa ancora fatica a non sentirsi in colpa per quanto è accaduto.

C'è ancora molto da risolvere, ma una luce leggera brilla adesso sulle rovine, un po' come la luce polverosa a Baker Street subito dopo l'installazione delle nuove finestre. Così come l'appartamento è stato ricostruito così forse sarà possibile ricostruire quella stanza nei loro cuori.

Sherlock scuote leggermente la testa e sposta lo sguardo sul panorama fuori dal finestrino. Le ultime propaggini di Londra sono scomparse da un pezzo, lasciando il posto a paesi e villaggi sempre più rurali. Man mano che lo scenario diventa familiare il senso di nausea sul fondo del suo stomaco diventa più forte, e le sue spalle si raddrizzano inconsciamente.

Non vuole farlo, ma va fatto. Ah, non è questa la somma ironia dell'età adulta?

Sospira. Si sente già sufficientemente in colpa per non essere andato al funerale di Victor, subito dopo il ritrovamento e il riconoscimento delle ossa. D'altra parte non è soltanto per egoismo che si è esonerato dal presenziare.

Non era un buon momento in più modi di quanti possa enumerare. Si stava ancora disintossicando, si stava ancora riprendendo dai giochini perversi di Eurus e stava ancora venendo a patti con l'enormità di quanto è accaduto a Sherrinford.

Anche se non ha mai riposto particolare fiducia nella branca della psicologia, ha accolto con piacere il fatto che Ella fosse d'accordo con lui, quando l'ha consultata al termine di tutto il trambusto.

Ella gli ha detto che è inevitabile che gli eventi trascorsi abbiano delle ripercussioni anche profonde, e che ci vorrà tempo perché possa processarli tutti e razionalizzare l'accaduto.

C'è anche un misterioso senso di pudore e vergogna all'idea di incontrare i genitori ormai invecchiati del suo migliore amico d'infanzia. Un po' si rende conto di essersi sempre sentito in colpa per quanto è successo al bambino, un po' sa di non avere le risorse emotive per essere di qualsivoglia consolazione.

Tuttavia, non è così privo di accortezza morale da pensare di poter rimandare ancora questa visita. Il cerchio va chiuso.

Un movimento nel suo campo visivo lo distoglie dai pensieri e dalle preoccupazioni: John si sta svegliando e si stiracchia, tutto stropicciato e caldo di sonno, complice un raggio di sole che dal finestrino gli accarezza il viso da una buona mezz'ora.

John sbadiglia e apre gli occhi, abbozzando un sorriso contento quando mette a fuoco Sherlock. "Ehi," mormora un po' rauco e batte piano la mano sul sedile vuoto accanto al suo, invitando Sherlock a sedersi al suo fianco.

Sherlock non se lo fa dire due volte. Si alza e cambia posto in mezzo secondo e se per un attimo pensa di mantenere una distanza appropriata al luogo pubblico, John rimedia subito, agganciandolo per la vita e tirandoselo abbastanza vicino da poter appoggiare la testa alla sua spalla.

"I tuoi pensieri fanno rumore," mormora John, strofinando la punta del naso contro la sua spalla.

Sherlock vorrebbe prenderlo per mano, ma apprezza anche il modo possessivo in cui il suo braccio gli stringe la vita. Si accontenta di appoggiare una mano sul suo ginocchio. Questa storia delle effusioni lo confonde.

"Tu russi," ribatte Sherlock, prima di potersi mordere la lingua. John ride, comunque, quindi Sherlock si permette di sorridere a sua volta.

"E tu parli nel sonno, tesoro mio," sussurra John, sollevandosi un po' per baciargli la guancia, "e scalci appena smetto di abbracciarti." Un altro bacio, all'angolo della bocca. "Sembra di dormire con un calamaro gigante in vena di coccole."

Sherlock arriccia il naso e sbuffa, disgustato al paragone poco elegante. Si volta comunque per ricevere uno dei soffici baci di John sulla bocca.

"... questa cosa che posso baciarti mi uccide," aggiunge John dopo qualche delizioso attimo, "i pensieri che ho fatto sulla tua bocca non si possono ripetere in pubblico."

È il turno di Sherlock di ridacchiare appena, voltandosi per restituire a John un bacio più completo ma non meno lento e languido.

"Mi fa piacere che tu mi abbia accompagnato," continua Sherlock quando il bacio termina. Parla piano e guarda fuori dal fi9nestrino. Tra poco il treno entrerà nella minuscola stazione di Hurlstone Hill, il villaggio dove dopo tanti anni ancora risiedono i Trevor e la sola idea gli chiude lo stomaco e gli fa salire un nodo in gola.

A queste parole John lo prende finalmente per mano, intrecciando le dita alle sue. "Io e te contro il resto del mondo, no? Te l'ho promesso, Sherlock. E stavolta terrò fede ai miei voti, cascasse il mondo."

Sherlock annuisce piano. Le parole di John sono come un balsamo, ma non possono cancellare del tutto la cicatrice ancora pulsante di un dolore di vecchissima data. Come la ferita di guerra sulla spalla di John o il segno del proiettile sul petto di Sherlock, certe ferite continueranno sempre a dolere a ogni cambio di stagione o dopo un grosso sforzo.

"Cosa gli dico, John? Entro a casa loro dopo trent'anni e gli dico 'beh salve sono Sherlock Holmes, vi ricordate di me? Scusatemi tanto se la mia sorellina psicopatica ha ucciso il vostro bimbo?' Non è proprio il massimo."

"Intanto non credo che sappiano che c'entra qualcosa Eurus. Mycroft avrà fatto in modo di insabbiare la cosa già all'epoca, non fosse altro per il buon nome della famiglia. Tua sorella ha già dei problemi gravi, non credo volesse aggiungere danno alla beffa."

Sherlock annuisce, un po' riluttante. "È una cosa molto da  Mycroft, in effetti. E se non ci ha pensato lui, ci ha pensato zio Rudy."

"Vai da loro," prosegue John, accarezzandogli le nocche, "li saluti, gli fai le tue condoglianze e poi stai un po' lì. Probabilmente vorranno parlare dei vecchi tempi, sapere come te la cavi. Per cortesia ometti le parti più sanguinose."

Sherlock sbuffa. "Non mi perdonerai mai la faccenda di Jennifer Wilson?"

John sorride proprio mentre il treno entra in stazione e lui si sporge a baciare Sherlock un'ultima volta. "Oh, ti ho perdonato eccome. Solo… poco sangue, molta compassione, d'accordo?"

Sherlock si lascia baciare. "Andiamo in battaglia, John."

---

La casa dei Trevor, in fondo a Hurlstone Orchard e al confine tra il villaggio e l'aperta campagna, è cambiata del tutto e non è cambiata affatto.

È sempre un grazioso cottage circondato da un piccolo giardino curatissimo. Nel vialetto ci sono due automobili e ad un certo punto degli ultimi dieci anni la casa è stata ridipinta in un tenue color carta da zucchero. Ci sono tendine bianche alle finestre e vasi di lavanda, e un rampicante al momento sfiorito che sembrerebbe essere glicine.

Sembra così piccola , pensa Sherlock, avvicinandosi alla porta. L'ultima volta che ha suonato quel campanello era così piccolo d'altezza da doversi sollevare sulle punte per raggiungerlo e adesso gli sembra persino troppo basso.

Le due automobili sono relativamente recenti e tutto sommato ben tenute. Una ha l'aria di una vettura che trascorre molto tempo parcheggiata e non utilizzata - qualcuno che vive all'interno dell'area metropolitana di Londra, dunque, e che utilizza il trasporto pubblico. L'altra è stata recentemente lavata, ma ha dei depositi di polvere nelle fessure degli pneumatici e due grossi secchi di plastica sui sedili posteriori, uno pieno di arbusti, l'altro occupato da stivali di gomma sporchi di fango.

Sherlock supera le automobili ignorando il flusso di deduzioni sui due proprietari. È cosciente della presenza di John accanto a sé ma non può dargli l'attenzione che merita. Deve restare concentrato.

È destino che non ci riesca, comunque, e che i suoi sentimenti vengano messi alla prova prima ancora di incontrare i signori Trevor.

Da dietro la casa giunge di corsa un bellissimo setter irlandese, dal pelo lucidissimo e gli occhi scuri e buoni. Il cane abbaia una volta o due, poi si avvicina scodinzolando dopo aver decretato l'inesistenza di qualsiasi pericolo.

Sherlock si accoscia d'istinto, accogliendo le moine felici del cane e ricambiandole con abbandono infantile.

"Ehi, bellezza, non dovresti proteggere il maniero, eh? Che ne sai che non siamo intrusi pericolosi?"

Il cane abbaia piano, come a voler offrire un diniego, e si sporge a leccargli le mani e il viso. Gli gira intorno scodinzolando e saltellando.

John sorride. "Non so se essere commosso, geloso o farti un video da inviare a Greg più tardi."

Sherlock non lo degna neanche di una risposta.

"Mi accompagni a casa tua, bello? Mh? Vengo a salutare i tuoi padroni, sai? Li conoscevo bene una volta."

Il cane continua a fargli le feste, spronato dall'atteggiamento affettuoso di Sherlock, finché non viene distratto da un richiamo proveniente dalla casa.

"Blackbeard! Che c'è Blackbeard? Ehi, Blackie? Dove sei?"

Sherlock trattiene il fiato mentre la porta si apre, ancora accovacciato sul vialetto col cappotto aperto intorno a sé come un fiore e le dita infilate tra le ciocche lucenti del cane.

"Blackie? Oh, chi siete? Cosa posso fare voi?"

Il nuovo arrivato è un uomo sui trent'anni, di altezza media e corporatura robusta. È più rosso che biondo e ha gli occhi chiari. Non ha nemmeno bisogno di aumentare la somiglianza con Victor grazie ai jeans consumati e alla camicia a quadri, ma è vestito proprio nello stesso modo confortevole e pratico. Va da sé che sia il fratello 'di campagna'.

Sherlock è momentaneamente senza parole, ancorato alla realtà soltanto dalla presenza viva e tangibile del cane, quindi è John che si presenta.

"Buongiorno, siamo John Watson e Sherlock Holmes. Siamo venuti a trovare i Signori Trevor, li troviamo in casa…?"

"Ah, sì, mamma mi aveva detto che sareste passati. Prego, accomodatevi."

Sherlock segue entrambi gli uomini dentro casa, accompagnato dal cane che non sembra volersi staccare dal suo fianco.

Un altro Trevor è seduto a bere una tazza di tè con i genitori. È un po' più giovane del fratello, con barba e capelli da hipster e i risvoltini in fondo agli immacolati jeans neri sdruciti ad arte. Sherlock riesce a trovare dello sdegno dentro di sé, quanto basta per fare una smorfia nei confronti dei gusti in fatto di abbigliamento del fratello di città.

Sherlock ha pochi istanti per incamerare più dettagli possibile, prima che Mrs. Trevor - Rita, giusto? - si alzi e venga ad abbracciarlo forte, neanche avesse ancora sei anni.

L'arredamento è lo stesso, salvo pochissime modifiche e le ingiurie del tempo. La poltrona immensa di Anthony Trevor che lui e Victor più di una volta hanno usato come fortino, come nave pirata e come accampamento per avventure interminabili adesso lo conterrebbe a stento.

Le sedie della cucina hanno cuscini diversi e adesso non dovrebbe arrampicarsi per sedersi, anzi faticherebbe a trovare il posto per stendere le gambe.

La stessa Rita, che era una vera e propria english rose   dalle forme delicate e dai capelli e occhi chiari e lucenti sembra quasi una bambina.

I Trevor sono entrambi di qualche anno più giovani dei suoi genitori, ricorda Sherlock. Rita è invecchiata bene, e il suo sorriso ha mantenuto la luce nonostante siano passati trent'anni.

"Oh, Sherlock. Santo cielo, sei un gigante. Chi l'avrebbe mai detto? Eri così piccolo."

Sherlock ridacchia, ancora avvolto nell'abbraccio profumato della donna. Sa di pulito e di lavanda. "Sono cresciuto," risponde, senza un'ombra di sarcasmo. E mi è anche andata bene tutto sommato. Victor non ha avuto questa possibilità.

Non lo dice, ma lo pensa. Ed è evidente che anche Rita lo pensi, anche se il suo sorriso non trema e i suoi occhi restano dolci e luminosi. Sherlock non è emotivamente attrezzato per capire veramente cosa possa comportare la perdita di un figlio. Forse non lo sarà mai. Ma adesso che Rosie Watson è entrata nella sua vita e gli ha suo malgrado rubato un cuore che non pensava di avere, deve ammettere di amarla con una ferocia viscerale. Farebbe qualsiasi cosa per proteggerla. E perderla… no. Non vuole neanche pensarci.

"Venite, sedetevi," dice Rita, sciogliendo Sherlock dall'abbraccio un po' a malincuore. "Adrian, tesoro, prepareresti una tazza di tè per gli ospiti? E prendi i biscotti dal forno, dovrebbero essere abbastanza freddi. Jules, ho lasciato gli occhiali di sopra, ti dispiace portarmeli?"

Sherlock si siede sul vecchio ma dignitosissimo divano a fiori. Ha qualche cuscino nuovo, i braccioli sono stati rifoderati, ma è sempre lo stesso. John si siede accanto a lui, si guarda intorno curioso.

I ragazzi Trevor sono già spariti, uno in cucina, uno al piano di sopra e Sherlock si prepara alla parte più difficile.

"Siamo molto contenti che tu sia venuto a trovarci, Sherlock," dice Anthony, silenzioso fino a questo punto. Si è alzato a stringere la mano a entrambi prima che tutti si sedessero di nuovo. "E John, siamo contenti di conoscerti, ovviamente."

Sherlock annuisce, chiaramente a disagio. Non ha tempo da dedicare a qualsiasi idea o pregiudizio i Trevor possano avere nei confronti di John, e non gli interessa molto di cosa possano pensare. Ovviamente è una questione importante, ma non è l'argomento principale di questa visita. Gli basta uno sguardo per confermare che John la pensa allo stesso modo.

"Rita, Anthony, mi dispiace non essere venuto prima a trovarvi. Mi dispiace non essere venuto al… alla cerimonia per Victor. Non ero… non ero in buona salute."

Rita annuisce, preoccupata. Alla menzione di Victor il suo sguardo si sposta sulla collezione di fotografie di famiglia che affolla un grazioso tavolino. Sono tutte foto della famiglia Trevor, dai primi giorni dei due fratelli fino a momenti più recenti quali una laurea o un viaggio all'estero. C'è una sola foto di Victor, al posto d'onore in una bella cornice d'argento, ed è stata scattata in un imprecisato giorno d'estate dell'84 o dell'85.

Sherlock lo sa di preciso perché c'è anche lui, in quella foto, un bimbo riccioluto col nasino bruciato dal sole. C'era un gran vento quel giorno, gli sembra di ricordare. A giudicare dalla sua minuscola mano premuta sul tricorno, il suo ricordo è veritiero. Entrambi i bimbi nella foto sorridono felici, un istante rubato ai loro giochi avventurosi.

Rita nota il suo sguardo e sorride. "Eravate sempre insieme, era come avere due bambini. Victor era sempre così felice con te. Mi ha sempre fatto piacere ricordarlo insieme a te, vero Anthony?"

Mr. Trevor annuisce e sorride piano. "Certo, tesoro. Sherlock, non abbiamo nessun diritto di chiedertelo ma saremmo contenti se potessi darci tue notizie ogni tanto. O magari venire a trovarci, se sei in zona. Non siamo parenti ma... beh, ti vogliamo bene."

Come dovrebbe rispondere a questo?

Cristo, si era aspettato ogni genere di recriminazione e di atmosfera pesante e triste, e si era preparato ad una battaglia. Non si aspettava di essere accolto come un figliol prodigo, con una gentilezza e un affetto che ultimamente neanche la sua legittima madre riesce a dimostrargli. È davvero possibile avere dei rapporti familiari così rilassati e privi di dramma? Anche di fronte ad un evento traumatico?

Si sforza di sorridere, il suo sorriso un po' storto e sincero che riserva a pochi eletti. "Suppongo di poterlo fare."

John gli dà una piccola pacca sul ginocchio. "Ci penso io a ricordarglielo."

Sherlock e John si fermano in totale un paio d'ore, durante le quali il tè viene fatto due volte e un vassoio di eccellenti biscotti di Mrs. Trevor viene demolito. I due ragazzi Trevor tornano in soggiorno quando sono certi che le discussioni più problematiche siano terminate, e alla fine della visita il maggiore, Adrian, si offre di accompagnarli in auto fino alla stazione di Hurlstone Hill.

Sherlock sta per declinare l'offerta, ma John lo interrompe, accettando piuttosto di essere accompagnati durante il tragitto a piedi attraverso il paese.

Adrian è silenzioso per qualche minuto, mentre Sherlock è chiuso nei propri pensieri e John osserva i cottage e i giardini ai due lati della strada. È un bel posto nel quale trascorrere i propri anni della pensione, senza dubbio.

Sono quasi arrivati alla piazza principale del paesino quando Adrian si schiarisce la gola e sputa fuori la domanda che gli bolle dentro fin dall'inizio della loro visita, probabilmente anche da prima.

"Sherlock, potresti parlarmi un po' di Victor?"

Sherlock si irrigidisce d'istinto. Non si aspettava la domanda, ma adesso che gli è stata rivolta immagina che sia legittima. Dopotutto, non ha tartassato Mycroft finché questi non ha ammesso di avergli addirittura nascosto l'esistenza di una sorella?

"Per quel che ricordo, volentieri," risponde. Adrian Trevor gli sorride, grato e un po' nervoso.

"Non voglio metterti in imbarazzo, ma… non è un argomento di cui si parli volentieri in famiglia. Io e Jules siamo nati dopo di lui. Non l'abbiamo mai conosciuto. Da bambini inventavamo delle storie, eravamo molto curiosi. Facevamo un sacco di domande, ma non abbiamo mai avuto delle vere risposte. Erano tutte mezze parole e sguardi allarmati tra mamma e papà. Ad un certo punto abbiamo smesso di chiedere. Ed è…  è assurdo, voglio dire, se fosse vivo avrebbe più o meno la tua età. Sai quante volte ci siamo chiesti come sarebbe la nostra vita se fosse vivo?"

Sherlock scrolla appena le spalle, come un gatto infastidito da una carezza contropelo. Si sente più a disagio che nell'abbraccio di Rita Trevor, ma non può evitare di rispondere.

"Mi dispiace, non è molto. Eravamo due bambini. Ci siamo incontrati durante una passeggiata sulla costa. Il suo cane mi è venuto incontro e mi ha buttato per terra. Era un bellissimo red setter più grande di me, uguale a quello che avete adesso. Si chiamava Redbeard. Avevamo cinque anni, credo. Gli piacevano i pirati, ero molto felice perché io li adoravo ma mio fratello li trovava noiosi." Sherlock sorride inconsciamente, John si volta dall'altra parte per non farsi vedere mentre sorride a sua volta, intenerito.

"Abbiamo scoperto subito che voi abitavate al villaggio. Era un po' troppo lontano per lasciarci fare la strada da soli quindi Mycroft era costretto ad accompagnarmi ogni volta. Alla fine brontolava ma era abbastanza contento perché riusciva ad andare in libreria al villaggio. Se doveva venire Victor a Musgrave di solito venivano anche i tuoi genitori a cena da noi. A casa nostra io e Victor potevamo nasconderci in soffitta e fare disastri senza essere disturbati."

Tranne che da Eurus, ovviamente, ma Sherlock non intende parlarne a Adrian Trevor. Riprende fiato, poi ricomincia a raccontare.

--

Sul treno del ritorno, Sherlock si sente esausto quasi al punto di prendere sonno a sua volta. Si è seduto accanto a John direttamente, senza fingere qualsivoglia interesse nei confronti delle opinioni altrui e si è appoggiato tutto pensiero alla sua spalla.

John è al telefono con Mrs. Hudson, che gli ha fatto il piacere di tenere la bambina per la giornata. Sherlock sente gli schiamazzi contenti della piccola dall'altro capo della comunicazione e sorride tra sé e sé, tornando poi ai propri pensieri sempre più pigri.

Ha già gli occhi chiusi e un principio di meraviglioso abbandono che gli ottunde i sensi e lo riempie di calore e oblio, quando il suo telefono inizia a vibrare e non smette. Una chiamata. Un veloce sguardo al display conferma il suo peggiore incubo: Mycroft.

"Fratello caro, qual buon vento?" risponde borbottando sarcastico. John ridacchia e Sherlock avverte l'alzata di occhi al cielo di suo fratello.

"Volevo soltanto aggiornarti, Sherlock. Mi hanno chiamato da Sherrinford. Al momento Eurus sembra piuttosto quieta. Catatonica, persino. Si lascia visitare, si lascia medicare, non fa nulla di strano."

"Ma…?"

Mycroft sospira appena.

"Nulla. Ma non mi sembra saggio abbassare la guardia. È tutto fuorché stupida."

Sherlock sospira, strofinando appena il viso contro la spalla di John come un gatto in cerca di grattini.

"Mm. Possiamo tenerla d'occhio. Sei riuscito a lavorarti qualcuno nella nuova amministrazione di Sherrinford?"

"Ho qualcosa per le mani," ammette Mycroft, un po' evasivo.

"Bene, allora ci aggiorniamo," mormora Sherlock, sbadigliando. John gli sottrae il telefono, sfilandoglielo dalle dita e consegnandogli in cambio un bacio leggero su una tempia.

Sherlock sente John salutare Mycroft e chiudere la chiamata, riponendo poi il telefono e appoggiando la testa contro la sua.

Quando il treno entra a Londra, dormono entrambi della grossa.

--

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: allonsy_sk