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Autore: Stella Dark Star    23/03/2017    0 recensioni
Per Andrea Pazzi e Lucrezia Tornabuoni è amore a prima vista quando s’incontrano nella basilica di San Lorenzo durante il funerale di Giovanni de’ Medici. Il problema è che entrambi sono sposati e per di più le loro famiglie sono nemiche naturali. Ma questo non basterà a fermarli. Tra menzogne e segreti, l’esilio a Venezia cui lei prenderà parte e il ritorno in città della moglie e i figli di lui, sia Andrea che Lucrezia lotteranno con tutte le loro forze per cercare di tenere vivo il sentimento che li lega. Una lotta che riguarderà anche gli Albizzi, in particolar modo Ormanno il quale farà di tutto per dividerli a causa di una profonda gelosia, fino a quando un certo apprendista non entrerà nella sua vita e gli farà capire cos’è il vero amore.
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Delfina de' Pazzi - La neve nel cuore", un'intensa e tormentata storia d'amore tra la mia Delfina e Rinaldo degli Albizzi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo due
Il dovere di dimenticare
 
Capelli corti di colore castano, sguardo penetrante dal quale era impossibile difendersi, labbra sottili e ben disegnate che non avevano timore di parlare, mani calde e curate di cui aveva percepito il calore perfino attraverso la stoffa. Tutti dettagli che lei non riusciva a togliersi dalla testa e che avrebbe dato qualunque cosa per poterli associare ad un nome. Ma per ora, avrebbe dovuto accontentarsi del proprio nome pronunciato dalle sue labbra con voce calda e passionale.
“Lucrezia… Lucrezia… Lucrezia…”
“Lucrezia?”
Tornò improvvisamente al presente, ma dovette sbattere gli occhi per riuscire a mettere a fuoco la figura che aveva di fronte. Contessina, in piedi al lato opposto del tavolo, la stava osservando con occhi spalancati in un modo che lei, a volte, trovava inquietante.
“Ci siamo tutti alzati da tavola e tu non te ne sei nemmeno accorta.” La rimproverò.
Lucrezia si guardò attorno, in effetti a tavola non c’era più nessuno: “Dove sono gli altri?”
Contessina era sbalordita dalla domanda, si portò le mani ai fianchi e riprese la predica: “Piccarda si è ritirata per dormire, invece Piero è andato nel salone con Lorenzo.” Rendendosi conto che Lucrezia si era nuovamente persa in pensieri, alzò il tono di voce: “Ma che cosa ti prende oggi?”
Lucrezia ebbe un fremito, ma si affrettò a ricomporsi e ad alzarsi dalla sedia: “Nulla. E’ stata una giornata lunga, forse dovrei andare a dormire anch’io.”
Contessina sospirò e decise di essere più indulgente con la giovane nuora. Camminò attorno al tavolo per arrivare a lei e, gentilmente, le prese le mani: “Sei preoccupata per Piero, vero? Lo so, mio figlio è un ragazzo molto sensibile. E poi voleva molto bene a suo nonno.”
Il perché c’era davvero da chiederselo, però Lucrezia si guardò bene dall’esprimere quell’opinione ad alta voce. Si schiarì la gola e buttò fuori un: “Sì. Cercherò di stargli vicino.”
“Sei una brava moglie, Lucrezia.” Contessina sollevò una delle mani e le sfiorò il viso: “Piero ha bisogno di te.” Le stampò un bacio sulla fronte e accennò un sorriso, quindi si ritirò.
Rimasta finalmente sola, Lucrezia inspirò profondamente. Come se la situazione non fosse già pesante, ora doveva anche mentire per celare i propri pensieri. E la colpa era solo di quell’uomo incontrato nella Basilica. Irritata, diede un pugno allo schienale della sedia, per poi avvicinarsi ad una delle vetrate e incrociare le braccia al petto come in segno di difesa. La notte era buia, la pioggia scendeva incessante, come se sopra le nuvole ci fosse qualcuno a buttarla giù a secchiate. Si intravedeva a malapena qualche fuoco all’ingresso delle abitazioni e qualche lume dalle finestre, ma il resto era tutto avvolto nell’oscurità.
“Chissà dove si trova in questo momento.” Bisbigliò così piano che lei stessa si udì appena.
Un rumore alle spalle la fece voltare di scatto. Era Lorenzo.
“Perdonami, non volevo spaventarti.” I suoi occhi blu e buoni, in realtà, era ciò di cui aveva bisogno per ritrovare la serenità.
“Non è niente, zio.”
Lui fece alcuni passi per raggiungerla e si fermò al suo fianco per dare un’occhiata fuori.
Lucrezia chiese: “Cosimo è rientrato?”
“No. Marco Bello è ancora fuori a cercarlo. Siamo tutti preoccupati. Ma, se conosco mio fratello, si starà nascondendo per stare solo col proprio dolore e tornerà a casa quando sarà pronto.” Distolse lo sguardo dall’oscurità e lo posò su di lei: “Piero è andato a dormire.”
Lucrezia rispose un po’ brusca: “Va bene, tra poco lo raggiungo. So che è mio dovere di moglie confortarlo. Vorrei solo che mi venisse concesso qualche minuto per me stessa.”
“E’ per questo che sono qui. Non voglio parlare di Piero, voglio sapere che cos’hai tu.” Era tipico di Lorenzo arrivare subito al punto, ma almeno con lei usava un tono gentile che non la faceva sentire sotto processo. Ad ogni modo, dovette rispondergli in modo vago: “Niente. Sono solo pensierosa.”
“Ha forse a che fare con Pazzi?”
“Chi?”
“Andrea Pazzi, l’uomo con cui ti ho vista parlare oggi dopo la cerimonia funebre.”
Lucrezia accese lo sguardo su quello dello zio e, senza accorgersene, rimase a bocca aperta.
“Allora è così. Cosa ti ha detto quel furfante?” Incalzò lui, ora con tono più duro.
“Mi ha... Mi ha solo porto le sue condoglianze.” Non era del tutto vero, ma poteva andare bene. Aveva fretta di passare ad una domanda che le premeva: “Hai detto Andrea Pazzi? Il Banchiere?”
“Sì.” Rispose lui, intrecciandosi le mani dietro la schiena: “Uno dei nostri nemici. E’ un alleato di Albizzi. Non mi sorprenderei se fosse felice dell’improvvisa morte di mio padre.”
Lucrezia abbassò lo sguardo, mentre nella mente soppesava quelle frasi. Prima voleva solo sapere il suo nome, ora sapeva anche troppo. Le braccia ancora incrociate rigidamente al petto allentarono la presa, la stretta divenne quasi un abbraccio di conforto. Qualunque cosa avesse provato o avesse creduto di provare, doveva dimenticarla immediatamente. Era una donna sposata, voleva bene a suo marito e non voleva cadere nel peccato a causa di un uomo che era nemico della sua famiglia.
*
“Una truffa che andrebbe punita severamente.” Disse Ormanno degli Albizzi, gesticolando animatamente e camminando avanti e indietro per la sala, incapace di stare fermo. Il fuoco scoppiettante, nel caminetto alle sue spalle, sembrava accentuare le sue parole.
“Cosimo ha barato, in qualche modo. Forse ha addirittura corrotto Guadagni affinché estraesse il suo nome dall’urna. Qualunque stratagemma abbia usato, ha tolto la possibilità alla nostra famiglia di avere un posto nella cerchia ristretta della Signoria e di questo dobbiamo tenerne conto.” Lanciò un’occhiata significativa alle due persone che lo stavano ascoltando, quindi riprese: “Ma ora, una forza maggiore ci costringe a mettere da parte questo fatto. La difesa della città di Lucca.”
Suo padre Rinaldo, comodamente seduto su una poltrona e con un calice tra le dita, guardava ammirato suo figlio per l’eccellente esposizione. Un giorno sarebbe stato Ormanno a prendere il suo posto, a rappresentare la famiglia Albizzi e a darle prestigio. Gli fece un cenno col capo, senza nascondere quanto fosse fiero di lui.
“Ottimo discorso, Ormanno. Se avessi parlato di fronte alla Signoria avresti avuto la piena attenzione di tutti.”
Ormanno fece un inchino, sorridendo: “Ti ringrazio, padre.” Poi si rivolse all’altra persona presente: “E voi, Pazzi? Cosa ne pensate?”
Il nominato, però, non aveva udito nemmeno una parola. Teneva in mano il calice ancora pieno e aveva lo sguardo assente.
“Il nostro Pazzi si trova altrove, temo.” Disse Rinaldo, alzando il tono di voce appositamente per farsi sentire.
Andrea infatti abbandonò all’istante i propri pensieri: “Come avete detto?”
Rinaldo rise, cercando di coinvolgere anche il figlio per timore che si offendesse di quell’evidente disinteresse: “Mio caro Pazzi, riuscite sempre a sorprendermi!”
“Perché mai?” Chiese lui, lanciandogli uno sguardo interrogativo.
“Non fingete. Vi ho visto quel giorno alla Basilica.”
Andrea posò il calice sul tavolino lì accanto, fingendo tranquillità: “Ci siamo visti e abbiamo anche parlato, Rinaldo. Lo ricordo bene.”
“Sapete di cosa sto parlando.” Sottolineò con tono provocante. Quindi riprese: “Voi e la giovane Lucrezia.”
Se Andrea non riuscì a mascherare la sorpresa di quell’affermazione, Ormanno non fu da meno, infatti prese parola: “Lucrezia Tornabuoni?”
Senza muovere lo sguardo dall’amico, Rinaldo rispose al figlio: “Ormanno, sei pregato di chiamare le cose col loro nome. Lei ormai è una Medici.”
Ormanno chiese ancora: “Non avrete interesse per lei, vero? E’ una ragazza invadente e troppo sicura di sé. E ama sovrastare suo marito. Mi sorprende che non se lo sia già mangiato vivo.” Terminò sarcastico, sfoggiando un’espressione di disprezzo.
“Io trovo che la sua forza sia una qualità da lodare, invece.” Precisò Pazzi, con la massima serietà. Ormanno lo guardò torvo ma, prima che potesse controbattere, suo padre s’intromise: “E’ la prima volta che vi vedo così interessato a qualcosa che non sia politica o denaro. Vi siete fatto ammagliare da quella strega impertinente?”
“Io non ho… Non… Io… Ahh.” Concluse Andrea, scacciando il discorso con un gesto della mano, senza però riuscire a nascondere il suo vero stato d’animo.
Ormanno continuava a fissarlo, negli occhi una profonda delusione: “Non direte sul serio…” Bisbigliò. Strinse il pugno con forza, fino a sentirsi tremare tutto il braccio. Per fortuna nessuno dei due uomini se ne accorse o di certo gli avrebbero fatto qualche domanda al riguardo e lui non voleva sentirle. Per salvarsi da un sicuro momento imbarazzante, andò a mettersi di fronte al camino, così da potersi stringere le mani con la scusa di volerle scaldare.  
Dopo alcuni minuti che parvero durare un’eternità, Rinaldo ruppe il silenzio: “Non perdetevi, Andrea. Non vi facevo un uomo passionale, lo confesso, ma almeno abbiate la decenza di non perdere la testa per una Medici.”
Più che un consiglio era una minaccia e Andrea lo avevo capito. Per temporeggiare riprese il calice e bevve un lungo sorso di vino senza averne voglia. Tenne la bevanda in bocca per un po’ e poi deglutì rumorosamente, neanche avesse ingoiato un sasso. Tenendo lo sguardo puntato verso il basso, parlò: “Credo che la mia vita privata non vi riguardi, Rinaldo. E trovo molto scorretto che facciate di ogni erba un fascio. Anche se ha sposato un Medici, non significa che lei sia un’anima corrotta.” E solo allora sollevò lo sguardo su quello di lui, con fermezza.
Rinaldo lo sostenne abilmente, sulle labbra l’accenno di un sorriso e nella voce un pizzico di divertimento: “Mio Dio. Allora è una cosa seria!”
Tra i due uomini avrebbe potuto scoppiare un incendio se fosse dipeso dai loro sguardi. A rompere il contatto visivo ci pensò Ormanno: “E’ solo un mucchio di sciocchezze.” Disse tra i denti, per poi andarsene a passo spedito.
Entrambi lo seguirono con lo sguardo, poi Rinaldo si voltò di nuovo a guardare Pazzi.
“Mio figlio ha ragione. Invece di perdere tempo inseguendo sudice sottane, pensate a sostenere la nostra causa. C’è una guerra in corso.”
Andrea sentì un fuoco invaderlo dall’interno. Sapeva che Rinaldo aveva ragione, sapeva che non era il momento di distrarsi. Medici o no, doveva dimenticare quella ragazza il più in fretta possibile.
  
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