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Autore: Amatus    24/03/2017    1 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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XLIII

Quella notte Lena era caduta in un sonno profondissimo, senza sogni e senza sollievo. Al risveglio ebbe la sensazione che il cuore le si fosse trasformato in una pietra, aveva in petto un peso opprimente che rendeva difficile anche solo respirare. Cercò comunque di allontanare le domande e la pietà offrendo ai compagni il meglio di sé. Solas che aveva assistito al suo scatto di orgoglio, alle sue minacce e che aveva accolto le sue lacrime, rispose alla dimostrazione con un certo scetticismo ma Lena non concesse niente di più, neanche a lui. Era ferma nella convinzione che non avrebbe mai condiviso con nessuno le parole che aveva scambiato la notte precedente con Menia. Quell'addio, per quanto terribile, sarebbe stato l'ultimo ricordo capace di legarla a lei e lo avrebbe custodito in segreto, assieme allo spaventoso dubbio di essere lei la colpevole per tutto, di essere lei ad aver tradito e dimenticato. Ma anche fosse stata un'amica e un'amante terribile, ora era altro e non poteva lasciare che autocommiserazione e senso di colpa fossero causa di altri crimini. L'Inquisizione non era un mezzo di espiazione ma un bene da proteggere e Lena lo avrebbe fatto a discapito di tutto.
Il viaggio di ritorno, seppure più breve, fu ancor più serrato per volontà stessa dell'Inquisitore. Aveva l'impressione che la terra bruciasse sotto i suoi piedi e sperava che, quanta più distanza fosse riuscita a mettere tra sé e il suo clan, tanto più la costante sensazione di insofferenza e inadeguatezza avrebbe lasciato il posto ad un poco di serenità. Sperava inoltre che, una volta raggiunte le Selve Arboree e guadagnato il centro della battaglia, la lotta e la presenza del nemico avrebbero aiutato a ridimensionare il resto.
Ne ebbe conferma quando lungo la strada s'imbatterono in uno squarcio rigurgitante demoni e sentì il cuore battere di nuovo, vivo, non più una pietra fredda e inerte. Il sangue aveva ricominciato a pulsarle nelle vene e si era gettata contro i demoni con una furia disperata che le valse il rimprovero dei compagni a battaglia finita. L'avevano accusata di incoscienza, di aver rischiato più del necessario per uno scontro che invece sarebbe ormai dovuto essere semplice routine. Quello scontro era però stato per Lena l'occasione per rientrare in contatto con se stessa.
Aveva vestito molti nomi nella sua vita, era stata Lena per pochissimo tempo e per ancor meno persone, era divenuta l'Araldo e l'Inquisitore per una moltitudine indefinita, così numerosa da non riuscire a tenerne il conto, aveva indossato felice nomignoli che sapevano di vicinanza e calore ed infine aveva preso su di sé l'unico nome da cui per tutta la vita aveva cercato di fuggire.
Si era arresa proclamandosi da sola Figlia del Lupo. Le avevano dato quel nome come un insulto, come uno maledizione e lei lo aveva usato come un vessillo dietro cui nascondere la crudeltà delle proprie azioni. Avrebbe potuto usarlo ancora in futuro per mantenere invece linda l'immagine dell'Inquisitore. L'Inquisitore era un simbolo di speranza, da difendere e da far brillare. E perché no, era un abito confortevole da vestire. Lei era la Figlia del Lupo, ma vestire i panni dell'Inquisitore la faceva sentire meno disgustata di sé, avrebbe quindi lottato per difendere l'Inquisizione e tutto ciò che rappresentava.
Durante il viaggio il sonno le sfuggì di nuovo e all'alba di quello che speravano sarebbe stato l'ultimo giorno di cammino, Varric la sorprese sveglia a fissare il fuoco. Il nano iniziò in silenzio a preparare una scarna colazione, le razioni di carne secca e gallette erano ormai quasi del tutto esaurite, quindi scaldò sul fuoco un'orribile brodaglia di radici e coniglio avanzata dalla sera precedente, quando fu calda ne offrì una tazza a Lena che rifiutò storcendo il naso.
“Ragazzina il tuo sguardo è spaventoso. E' più feroce di quello che ti ho visto la prima volta che ci siamo incontrati e considera che allora credevo che tu fossi una specie di spirito-bestia pronta a sbranarci. Che succede?” La voce di Varric sembrava provenire da distanze infinite e Lena non riusciva ad immaginare una risposta. Varric la guardò assottigliando lo sguardo, cosa vedeva? Chi vedeva? Lena si accorse di non temere niente quando erano quegli occhi a studiarla, non avrebbe trovato nessun tipo di giudizio in quello sguardo, e questo le dette un poco di respiro.
“Varric, perché non mi chiami mai per nome? Non lo hai mai fatto.”
Il nano sorrise. “Voi eroi avete sempre richieste assurde. Se ti avessi sempre chiamato per nome, stai sicura che mi avresti chiesto un soprannome. Hawke lo ha fatto.”
L'espressione di Lena doveva aver raccontato qualcosa all'amico che riprese a parlare come giustificandosi: “I nomi portano con loro delle storie nascoste, storie potenti senza dubbio, ma troppo spesso immutabili. Molti hanno bisogno di nomi nuovi per immaginare di poter vivere storie diverse, quando ti ho conosciuto ho avuto l'impressione che tu avessi questo bisogno, ma se vuoi inizierò a chiamarti con il tuo nome.”
“No, non importa, era solo una curiosità. Ho pensato molto al mio nome, nessuno lo userà più probabilmente.”
“Non mi è sembrato che la tua gente lo usasse più di quanto lo usiamo noi. Su cosa ti stai arrovellando, ragazzina?” Lena sorrise senza rispondere.
Dettero la sveglia ai compagni e si gettarono al galoppo. Speravano di riuscire a raggiungere il grosso delle forze dell'Inquisizione entro sera. I cavalli furono spronati più del solito, e le forze di tutti furono messe a dura prova ma poco dopo il tramonto la meta era finalmente raggiunta.
Il loro arrivo fu accolto festosamente, vi era un sapore familiare nel benvenuto che fu loro riservato, le Furie erano allegre e pronte alla baldoria appoggiate come sempre da Sera, Cassandra ringraziò il creatore abbracciando Lena con un calore che non si sarebbe aspettata. Persino Cole fu contento di trascorrere del tempo in compagnia sebbene fosse Il Toro a sembrare il più felice tra tutti. Lena si accorse di aver sentito la mancanza di ciascuno di loro.
Vi era insieme la gioia di essersi ritrovati e l'allegria disperata che sempre precede le battaglie decisive ma i festeggiamenti non durarono a lungo, Dorian e Il Toro furono i primi a lasciare la compagnia e ben presto molti altri si ritirarono per prepararsi al meglio per la battaglia, chi confidando nel sonno o nella preghiera, chi celebrando la vita tra le braccia di un amante.
Lena si trattenne accanto al grande falò molto a lungo, certa di non trovare conforto nel sonno ed essendo altrettanto consapevole della solitudine della sua tenda. Quando la confusione fu scemata del tutto, fu raggiunta dalla strega umana. Morrigan la informò che sarebbe andata con loro l'indomani. Gli esploratori avevano riportato notizie riguardo le rovine sostenendo che fosse il tempio di Mythal quello in cui stavano per introdursi e lei sarebbe stata felice di scoprirne i segreti oltre che di rendersi utile. Avere accanto quella donna era particolarmente piacevole ma quella notte Lena avrebbe probabilmente apprezzato la compagnia di chiunque altro con la stessa gratitudine.
“Solo alla vigilia di grandi battaglie ho visto un cielo tanto bello.” La strega fissava effettivamente il cielo ammaliata.
“Una leggenda del mio popolo dice che Falon'Din fa splendere le stelle più belle su coloro che sono in bilico tra la vita e la morte cosicché la bellezza e la luce guidino i loro spiriti a scegliere la via giusta, quale che sia.”
Un sorriso ironico rischiarò il volto della donna. “Posso credere più facilmente che il mondo si prenda gioco di chi va a morire in battaglia mostrando il lato migliore di sé e rendendo chiaro a cosa si rischia di dover rinunciare. Ma i soldati raramente guardano il cielo e continuano a lottare a testa bassa per qualcuno o qualcosa che spesso non merita il loro sacrificio.” Abbassò lo sguardo penetrante sull'Inquisitore e poi riprese a parlare: “Questi uomini sono qui già da qualche giorno. In quanti credi siano già morti? In quanti credi moriranno? E chi invocheranno secondo te nei loro ultimi istanti? Andraste? Il Creatore? O colei che hanno seguito con identica fede nella loro ultima battaglia?”
Lena conosceva la triste risposta, sapeva che il sangue che imbrattava le sue mani era sempre più copioso, ma non aveva via di scampo ormai. Davanti al suo silenzio la strega sembrò intenerita per un attimo: “Perché sei tornata? Eri tra la tua gente, lontana dalla battaglia, finalmente lontana da tutto questo. Perché sei qui? Per cosa combatti?”
“Non ero tra la mia gente, sono solo andata a pronunciare un'ennesima sentenza di morte, ora sono tornata.” Ma Lena si pentì di aver detto così tanto, di aver mostrato troppo di sé alla donna ed aggiunse con un tono più leggero: “Se devo fallire voglio farlo in grande stile, quando hai la possibilità di deludere migliaia di persone perché accontentarsi di deluderne solo una decina? Inoltre sono curiosa di vedere come andrà a finire, se il mondo sta per essere distrutto voglio avere un posto in prima fila.”
La donna sorrise e si congedò da lei augurando la buona notte. Anche Lena si convinse infine a raggiungere la tenda, sdraiandosi avrebbe quanto meno rilassato i muscoli della schiena distrutti dai lunghi giorni trascorsi a cavallo. Trovò però un'ombra in attesa accanto alla sua tenda. Solas le si fece incontro non appena la vide.
“Da'len, mi concederesti un momento?” Lena desiderò improvvisamente di rimanere sola. Avrebbe voluto essere sola tanto a lungo da poter dimenticare ogni cosa, responsabilità, tradimenti, delusione, paura. Solas prese invece il suo silenzio per un invito a proseguire. “E' una notte importante questa e il giorno di domani lo sarà altrettanto. Non posso pensare di affrontare una battaglia che potrebbe essere la nostra ultima, senza averti parlato. Ci sono cose che dovresti sapere.”
“Temo di sapere di cosa si tratta e vorrei poter aspettare la fine della battaglia per discuterne.”
L'elfo vacillò per un momento, ma poi riprese confidente “Permettimi di dissentire, vhenan.”
Lena non voleva davvero dover fare i conti con emozioni e sentimenti, doveva e voleva essere nient'altro che l'Inquisitore, una battaglia l'attendeva e non desiderava altro che sentire la foga del combattimento incendiarle le vene. Cercò quindi di usare il tono più distaccato possibile dicendo: “Sei deluso, spaventato e impietosito da ciò che hai visto durante il viaggio. Sei pentito per l'intimità che si è creata tra noi. Non ti chiedo di dimenticare ma preferirei ascoltare queste cose dalla tua voce dopo la battaglia, e se non dovessi vivere abbastanza potrei dire che non tutto il male viene per nuocere.”
Solas scoppiò in una risata che sorprese la ragazza. Le si avvicinò, le mani, per una volta non trattenute dietro la schiena, le cinsero la vita.
“Avevo ragione di dissentire. Ciò che volevo dirti è molto lontano da tutto questo, ma evidente questa sera richiede altre spiegazioni. Cosa ti fa credere che io possa pensare di te cose tanto orribili?”
Le mani dell'elfo la trascinarono verso di lui, lei cedette senza un accenno di ribellione. La battaglia purtroppo non era la sola cosa capace di infiammarla e nonostante le buone intenzioni, sentì il peso nel petto sciogliersi nell'abbraccio caldo del mago. Gli occhi dell'elfo erano tranquilli e limpidi, si sentì fiduciosa ancora una volta. Aveva letto da qualche parte che la follia si manifesta nel perseverare nella stessa azione aspettandosi ogni volta risultati differenti, in quel momento Lena si sentì sulla soglia della follia. Ogni volta che si era fidata di qualcuno, era stata tradita, in un modo o nell'altro. Dopo aver affrontato il tradimento più doloroso di tutti, quello della ragazza che era stata parte di lei così profondamente da riuscire a volte a distinguere a malapena i limiti tra sé e lei, ora il suo cuore batteva fiducioso tra le braccia di uno sconosciuto. Era decisamente folle. 
“Vhenan, ti sei comportata con coraggio e nobiltà d'animo. Hai saputo tenere fede a te stessa e questo è il risultato più difficile da ottenere. Essere fedeli a se stessi spesso richiede grandi sacrifici. Non tutti possono comprendere il significato di azioni che potrebbero sembrare orribili ma che sono in realtà semplicemente necessarie. Io sono orgoglioso di te ora più che mai, e ti sono grato per avermi portato con te davanti al tuo clan. Ti ho vista splendere in tutta la tua forza ed è stato magnifico.”
Lena s'irrigidì tra le sue braccia, il calore che aveva pian piano iniziato a sciogliere i suoi muscoli l'abbandonò di colpo tramutandola in una statua. “Hai ascoltato le mie parole crudeli, sei stato testimone della mia terribile promessa, mi hai sentito giurare davanti ad un dio in cui non credo che avrei distrutto il mio clan, la mia famiglia. Credi forse che questo sia qualcosa di cui essere orgogliosi?”
Solas non sembrava intenzionato a lasciarla andare, lo sguardo gli si fece più intenso e quegli occhi solitamente così chiari acquisirono i riflessi profondi della notte.
“Da'len, nonostante quelle parole ti abbiano dipinto come un mostro, nonostante abbiano ferito te più profondamente di chiunque altro, nonostante il fatto che mettere in atto una promessa così crudele potrebbe ucciderti, tu hai comunque compiuto il tuo dovere. Hai fatto la cosa giusta, non per te, ma per il mondo intero. Hai messo il bene comune davanti al tuo, rinunciando a tutto qualora fosse necessario. E' un gesto nobile.”
“E' un gesto presuntuoso. Non sta a me decidere quali vite contano di più. E' stato un gesto egoista, perché ho preferito le vite di persone che mi amano e mi sono fedeli, alle vite di coloro che invece non mi hanno mai apprezzato. Direi che è facile nascondersi dietro un bene più grande, in questo caso.”
Solas si scurì in volto e solo allora si allontanò da lei di un passo, allentando la presa attorno alla sua vita. Un vuoto improvviso la fece vacillare, Menia aveva ragione era sua la responsabilità, continuava ad allontanare da sé le persone che amava.
“Un vecchio detto dice che le mani più sporche di sangue sono quelle del guaritore. Il guaritore non può salvare tutti, non è una scelta arrogante la sua, ma necessaria. E anche scegliesse di salvare chi gli sta vicino, compirebbe forse un terribile peccato? Non ha diritto di amare anche il guaritore, nonostante le sue mani siano lorde di sangue? Non merita una carezza gentile e uno sguardo tenero?”
La solita espressione triste si era stampata sul volto del mago che sembrava ora parlare tra sé anziché con lei. Gli afferrò il viso con entrambi le mani e lo costrinse a guardarla di nuovo.
“Lasciami alleviare il tuo dolore”, disse Lena semplicemente. Se doveva essere una guaritrice avrebbe davvero voluto iniziare alleviando il male di quel mago così stranamente prezioso. L'elfo appoggiò la fronte contro la sua, le parole che seguirono bruciarono contro la pelle della ragazza come un alito di fuoco.
“Non questa notte, vhenan. Abbiamo bisogno di riposare ed è già tardi. Le tue parole sono già un balsamo per le mie ferite. Ma serannas.” Tacque per un momento. Lena allontanò la testa e lo guardò negli occhi, vi lesse un dolore tutto nuovo quando lo udì aggiungere in un sussurro: “Ma'arlath”.
Le posò un leggero bacio su una guancia e si allontanò. Lena rimase immobile per un lungo momento spiazzata dall'intera conversazione e da quelle ultime parole in particolare.
Entrò in tenda prima di dover cedere ad un istinto irrazionale, sapeva che se avesse seguito Solas nella sua tenda, lui non l'avrebbe allontanata quella volta. Forse anche il mago sperava infondo che il suo essere tanto sconsiderata avrebbe infine avuto la meglio. Le notti che precedono le grandi battaglie hanno visto spesso unioni improbabili, volubili e senza significato ma tra loro sarebbe stato tutto troppo complesso. Meglio rimanere in tenda, cercare di riposare e aspettare la battaglia con cuore traboccante di ansia e aspettative.

 

 

XLIV
Abelas, dolore, sofferenza, strazio. Quanti nomi conosceva per quel sentimento che accompagnava i suoi passi da troppo tempo?
Per un poco, un battito di ciglia nella sua sconfinata esistenza, si era illuso di poter essere felice. Era stato uno sciocco, un uomo che per un instante crede di poter fermare il tempo e vivere della gioia data dalla vista di un bel fiore, dimenticando la guerra che ruggisce attorno a lui. Ora davanti ad un viso davvero troppo simile al suo, il tempo ricominciava a scorrere portando via l'illusione di un attimo. Quell'elfo vestiva il proprio nome in modo impeccabile, era uno spirito fiero e antico, gli occhi lasciavano trapelare la sofferenza accumulata in lunghi secoli di disillusione. Ad ogni risveglio quegli occhi contemplavano l'avanzare della corruzione nel mondo, la sua memoria doveva essere come una galleria di quadri raffiguranti solo perdita, distruzione e rovina.
Abelas. Solas credeva di conoscere ogni terribile sfaccettatura del dolore, credeva di averne studiato nei secoli ogni ansito, ogni sfumatura, eppure davanti a quell'elfo si sentiva alla stregua di un bambino capriccioso. Abelas e i suoi elfi erano costretti da secoli in quel tempio obbligati a difendere strenuamente un sapere prezioso, relitto dimenticato di una grandezza perduta. Solas ne riconobbe la maestà, la lealtà ad un dovere più grandi di loro, riconobbe in lui ciò che in questo nuovo mondo non era riuscito a trovare, ma ne riconobbe anche l'impotenza. Le pietre fredde del tempio di Mythal avevano protetto quel sapere antico pur non essendo in grado di donargli una nuova vita, nel frattempo il mondo attorno era tanto cambiato da non rappresentare altro che minaccia.
Anche la bella dalish che aveva saputo conquistare il cuore di Solas, era davanti a quegli elfi niente più che una un pericolo a causa della propria ignoranza. Vedere Abelas fronteggiare con supponenza l'Inquisitore riempì il cuore di Solas di un dolore nuovo. Lei si era dimostrata degna, aveva seguito senza esitazioni il vir abelasan, si era dimostrata rispettosa e intelligente, come sempre.
La sola esistenza di quegli elfi doveva significare per lei vedere andare in fumo tutte le certezze date dalla sua educazione dalla sua conoscenza ma aveva fatto fronte a tutto quello con coraggio e naturalezza. Aveva rivolto ad Abelas tante domande e le uniche risposte ottenute erano state arroganti e sprezzanti. L'elfo aveva, come Solas una volta, rifiutato di essere accomunato a lei e ai suoi simili, le orecchie a punta non erano un tratto sufficiente per potersi dire fratelli, lei come gli altri non era che una shem'len. Abelas non vedeva nella bella inquisitrice ciò che Solas vedeva, chi dei due poteva dirsi in errore?
Solas ricordava di aver pensato le stesse cose riguardo quella dalish un tempo lontano, ma poi tutto era cambiato. Il mondo intero.
Ora ogni mossa che Solas riusciva ad immaginare per un prossimo futuro aveva il sapore del tradimento. Avrebbe tradito quei fratelli cercando di proteggere una shem'len e avrebbe tradito quello spirito raro e meraviglioso, cercando di restituire la dignità dovuta a quei soldati ormai stanchi e disperati. In ogni caso avrebbe tradito una parte di sé.
Vedere la ragazza meravigliarsi davanti allo splendore del tempio, era una tortura. Era in grado di cogliere la grandezza al di là della superficie dorata, come al solito il suo spirito acuto era sorprendente, poteva un essere ridotto alla calma vedere così in profondità, comprendere, sentire con tanta intensità?
Solas si sentì spezzato nell'ascoltare, ripetute dalla chiara voce di lei, le parole di una storia che lui aveva raccontato una notte. Si sentì trascinato indietro in un campo dalish, sentì sulle braccia l'umidità di una notte gelida e nel cuore il calore dei suoi baci.
Si erano infatti imbattuti in una statua raffigurante un lupo e Dorian aveva iniziato a chiedersi come mai la statua del dio degli inganni si trovasse nel tempio della dea della giustizia.
"Forse Fen'harel, non è quello di cui la mia gente parla. Forse come su molte altre cose i dalish sono in errore. Secondo alcune storie Fen'harel potrebbe essere il dio del popolo ed essendo Mythal protettrice della giustizia e della nostra gente, l'accostamento delle due statue sarebbe tutt'altro che paradossale.” A quelle parole la ragazza lanciò uno sguardo in direzione di Solas che ancora una volta dovette riconoscere la sconfitta.
Attraversarono il tempio protetti e guidati dai guardiani, penetrarono profondità inesplorate da secoli e giunsero nel cuore del tempio. Lo splendore che si spalancò davanti ai loro occhi lasciò tutti senza fiato. Solas sentì il cuore incrinarsi al cospetto di tanta bellezza, quel posto sapeva di casa, ogni odore, ogni sfumatura anche la luce era giusta. Era inequivocabilmente casa. Una malinconia sterminata lo fece lottare contro lacrime difficili da controllare. Sentiva la mancanza del suo mondo, del suo tempo, di una lotta giusta e semplice. Sentiva la mancanza di amici e fratelli che fossero davvero uguali a lui, che non fossero minacciati dalla sua presenza. Avrebbe voluto riavvolgere il tempo e tornare ai giorni precedenti alla guerra, quando il mondo era davvero degno di essere vissuto. La consapevolezza di essere studiato da due bellissimi occhi verdi lo aiutò a ricacciare indietro le lacrime e a schermire i pensieri. La lotta che li attendeva fece il resto. I templari rossi erano riusciti a penetrare nel tempio con la forza ed ora erano pronti a profanare quel posto tanto bello da essere sacro.
Solas si gettò nella battaglia con foga, sentì con un brivido il risvegliarsi degli antichi poteri. Non avrebbe permesso a quegli essere indegni di distruggere ciò che rimaneva tanto fedele al mondo antico. A costo di pagarne in seguito le conseguenze, non si trattenne, sentì il mana scorrere nelle vene e bruciare la pelle, respirò la potenza del dio che per tanto tempo era rimasta sopita.
Quel Samson di cui tanto aveva sentito parlare dal comandante Cullen, aveva acquisito poteri corrotti che lo rendevano quasi invincibile, ma non avrebbe comunque dovuto sfidare la furia di un dio. Solas iniziò a prosciugare la fonte che dava potenza all'inutile soldato. Assorbendo l'energia dei cristalli poteva sentire accrescere il proprio potere. Si fermò appena in tempo, prima di ucciderlo, prima di prosciugare completamente l'energia vitale dell'uomo tramutandolo in una statua. Prima che i suoi compagni potessero iniziare a farsi domande. Non poté assaporare il piacere del potere ritrovato. Una lotta diversa prese il posto di quella combattuta con spade e bastoni. Abelas era pronto a rimanere fedele al proprio dovere fino alla fine. Avrebbe distrutto il pozzo e con questo qualunque speranza per l'Inquisizione di riuscire ad uccidere Coripheus. Tornato stabile il potere, avrebbe potuto occuparsi del Ladro senza difficoltà, ma come dirlo all'Inquisitore? Come rivelarsi in quel momento? Decise quindi di tacere, come troppo spesso aveva fatto in passato.
Vedere Abelas costretto a piegare la testa davanti all'Inquisitore trafisse Solas con un misto di orgoglio e sgomento. Il mondo era così corrotto da costringere un vero elfo a sottomettersi al volere di un'ignorante dalish? Eppure quella non era la prova che quella particolare dalish non fosse poi così insignificante?
Il suo silenzio non poteva rimanere privo di conseguenze per sempre e Solas iniziò a dover fare i conti con le sue scelte. La sua bella amica, nonostante le proteste di tutti, aveva attinto al Pozzo del Dolore, contro ogni previsione aveva reagito prontamente e aveva guidato tutti ancora una volta lontano dalla minaccia. Giunti a Skyhold con un passo, sentirono l'eluvian infrangersi alle loro spalle e il grido frustrato del Ladro risuonare tra le sale di pietra, poi l'Inquisitore era caduta a terra priva di sensi.
Ora Solas si sentiva l'animo diviso tra la paura di vedere la bella dalish perdere il senno a causa del sapere acquisito, senza dubbio non adatto alla mente di un mortale, e il terrore di cosa lo spirito sorprendente della ragazza avesse potuto apprendere e comprendere. Solo il senso di colpa era capace di tenere insieme il suo animo impedendogli di strapparsi dilaniato da pulsioni che spingevano in direzioni opposte.

Da quando un paio di giorni prima avevano fatto ritorno Solas era rimasto confinato nella sua stanza. Era buia e piccola, non aveva mai trascorso troppo tempo lì dentro ma in quel momento sembrava il solo posto sicuro. Ora che la fortezza era quasi deserta, non avendo le truppe ancora fatto ritorno, le voci antiche erano più forti che mai e gli impedivano di riflettere con chiarezza e tranquillità sui passi futuri. Aveva riconquistato i poteri, aveva scoperto nuovi fratelli sperduti come lui in quel mondo. Avrebbe potuto affrontare il ladro con le sue sole forze, avrebbe potuto abbandonare l'Inquisizione in quel momento ma non riusciva a convincersi ad andarsene. Aveva promesso di rimanere accanto all'Inquisitore fino alla fine della lotta e la lotta poteva dirsi ormai conclusa, eppure indugiava ancora e pensava.
Nel fioco chiarore della sua stanzetta aveva l'impressione di poter tenere a bada le voci concedendosi ancora qualche ora di riflessione. Come avrebbe desiderato il consiglio di Saggezza in quel momento. Ma la sua amica non esisteva più, era solo come era sempre stato, come sarebbe stato per sempre.
Un colpo leggero alla porta lo strappò da quei pensieri cupi. Poche persone erano rimaste nella fortezza e solo una avrebbe avuto il coraggio di bussare alla sua porta. Non si alzò. Rimase immobile ad ascoltare per molto tempo. Non seguì alcun rumore, meglio così.
Solo a tarda notte Solas decise di uscire dalla stanza per cercare qualcosa da mangiare nelle cucine ormai deserte, ma aperta la porta della stanza trovò un fagotto abbandonato accanto allo stipite. Abituando gli occhi all'oscurità riconobbe in quell'ombra scura la massa indistinta dei capelli dell'Inquisitore. Era rimasta lì fuori per tutto quel tempo. Tenerezza e colpa si rincorsero di nuovo nella testa di Solas. Si inginocchiò accanto alla ragazza e le sussurrò di svegliarsi, mentre ne accarezza la testa con mano leggera.
“Sei tornato.” Il sorriso intorpidito dal sonno spuntò sul viso della ragazza e Solas ancora una volta seppe di essere perduto. Non disse niente l'aiutò ad alzarsi e la fece entrare nella stanza. Questa volta la ragazza sembrava a suo agio lì dentro, si sedette sul letto e lo guardò studiandolo. Cosa si aspettava? Il confuso insieme di paura e dolore esplose incontrollato in una forma che lo sorprese.
“Perché non mi hai dato ascolto? Perché fai sempre di testa tua? Irresponsabile e irrazionale!” La ragazza lo guardava senza mutare espressione. Possibile che lei si aspettasse esattamente questa reazione da lui? Possibile che lo conoscesse così bene?
“Non sai cosa possa voler dire essere vincolati da tanto potere! Non hai visto quale terribile destino hanno dovuto affrontare Abelas e i suoi? Sai cosa vuol dire rinunciare alla propria libertà?” La ragazza lo guardò ancora per un poco in silenzio prima di dire calma: “Tu non credi negli dei, cosa temi?”
Sicuramente la follia non aveva afferrato la sua mente, era in grado come sempre di metterlo alle strette.
“Non credo che siano dei, certo, ma credo nella loro esistenza. Potrebbero essere spiriti, maghi o esseri di qualche natura, le leggende affondano sempre radici nella verità.” Lo sguardo sorpreso di lei rivelò tutto ciò che Solas sperava di sapere. Non aveva visto niente che avrebbe potuto ritenere pericoloso. La paura lo abbandonò per un attimo e lo spinse a riversare su di lei i dubbi sul futuro che lo affliggevano. Non era Saggezza, ma aveva dimostrato di guardare la realtà da una prospettiva unica e Solas sentiva di avere bisogno di tutto l'aiuto possibile.
“Quando Corypheus sarà sconfitto, cosa farai con il potere che ti è stato concesso?”
“Vorrei solo che le cose cambiassero per il meglio, vorrei poter vedere un mondo nuovo. Con o senza Corypheus, questo mondo ha tante storture, se potessi con il mio agire risanare qualche ingiustizia, per quanto piccola possa essere, avrei reso giustizia a questo potere che mi è capitato tra le mani.”
“E se ti svegliassi un giorno scoprendo che il mondo che speri di costruire è peggiore di quello che ti sei lasciata alle spalle?” Quelle parole erano tanto vicine ad una confessione da lasciare tremanti la bocca del mago.
Di contro la voce della dalish era serena e cristallina, quasi divertita: “Cosa dovrei fare? Tirerei un gran sospiro, mi rimboccherei le maniche e ricomincerei.”
I dubbi di Solas si infransero contro il sorriso ottimista della ragazza. L'errore per lei non era una condizione definitiva, era naturale, una semplice fase di un percorso. Era così piacevole poter vedere ancora una volta le cose attraverso i suoi giovani occhi. Poteva anche il suo errore essere espiato grazie a quell'energia fresca e indomabile?
Nel frattempo la ragazza si era alzata, era ora molto vicina e lo guardava preoccupata. “La battaglia è passata, le truppe non faranno ritorno per qualche tempo, anche Cullen, Leliana e gli altri non saranno di ritorno prima di qualche giorno. Non abbiamo mai avuto tanto tempo. Vuoi lasciarti curare?”
Sì. Solas, voleva farlo, non c'era niente che avrebbe voluto di più. Ma le voci di Skyhold erano assordanti. Tutto si confondeva nella sua testa. Prima della battaglia era stato pronto a raccontare ogni cosa ma dopo aver visto Abelas, tutto era cambiato. Ad ogni passo le idee di Solas sembravano sovvertirsi, doveva prendere tempo ed allontanarsi dal vorticare delle voci.
“Vuoi venire con me? C'è un posto che vorrei mostrarti.” Davanti allo sguardo interdetto della ragazza aggiunse: “Un posto fisico, ci arriveremo con una giornata di cammino.” Vide il volto della ragazza illuminarsi. Era felice? Era forse quello l'ennesimo errore di valutazione?
Mangiarono qualcosa e lasciarono la fortezza alle prime luci dell'alba. L'intenzione di Solas era quello di guadagnare tempo e riflettere con calma lontano da Skyhold, ma si scoprì felice e questo sommerse tutto il resto come una marea inaspettata. Parlarono poco durante la strada, godendo dei rumori del sentiero e della reciproca compagnia. Solas rifletteva sul significato di quella breve escursione. Avrebbe davvero raccontato la verità? Se lo avesse fatto sarebbe stato per potersi allontanare da lei o per poterle rimanere accanto? La ragazza avrebbe accettato la sua natura? E poi? Cosa sperava di ottenere? Lo avrebbe lasciato andare senza recriminazioni? O si sarebbe offerta di combattere al suo fianco? E lui avrebbe permesso che peccati tanto orribili ricadessero su di lei?
Quando il sole scese li sorprese ancora per strada. I loro passi erano stati forse volutamente lenti e avevano approfittato di quella breve escursione per recuperare erbe e minerali sempre preziosi per l'Inquisizione, cercando forse un modo per giustificare la libertà che si erano presi, per giustificare tanta imprevista felicità. Si fermarono incerti, non erano mai stati soli così a lungo, non avevano mai dovuto affrontare una notte di quel tipo. L'imbarazzo dette voce a chiacchiere leggere, il silenzio li spaventava.
Trovarono una piccola caverna in cui avrebbero potuto passare la notte. Non avevano portato una tenda, non pensando di dover trascorrere la notte all'aperto e in ogni caso una tenda avrebbe fornito un'intimità insopportabile. Solas lasciò che la ragazza accendesse il fuoco e prese raccontare di antiche battaglie guardando il cielo scurirsi fuori dalla caverna. Era pronto per trascorrere un'altra notte sotto le stelle, un'altra notte che gli avrebbe fatto rimpiangere un giorno questo mondo, che rimanendo accanto a lei sembrava sempre meno sbagliato.
D'un tratto vide la bella amica arrivare con passo leggero verso di lui. Era raggiante, volò tra le sue braccia come se quello fosse il suo posto, l'unico nell'intero mondo, e Solas non poté che accoglierla. Era bella la spontaneità di quei gesti, la loro familiarità. Solas si trovò a desiderare che quella potesse essere la normalità. Per un attimo il desiderio di dire la verità sovrastò ogni altra cosa e il pensiero si sentì abbastanza spavaldo da guardare al futuro.
Avrebbero raggiunto le cascate tanto care per lui in un'altra vita. In riva al piccolo lago era solito accogliere coloro che, fuggiti dai padroni, cercavano rifugio tra le sue schiere. In quel luogo molti elfi avevano conosciuto per la prima volta la libertà. Doveva ammettere che era stata una scelta indulgente. In quel posto il Temibile Lupo aveva vissuto solo i momenti migliori, era stato il liberatore, il dio degli ultimi, quel luogo non aveva mai conosciuto il dio vendicativo e spietato che era diventato in seguito. Quello sarebbe stato il posto migliore per dire la verità. Sarebbe stato accolto come lui aveva in passato accolto molti e come ora aveva accolto lei tra le sue braccia. La strinse un poco e lei alzò gli occhi luminosi su di lui posandogli un bacio improvviso sulle labbra. Un bacio leggero che sapeva di promesse dolcissime, senza urgenza. I loro baci erano stati fino a quel momento uno stormire di emozioni impossibili da frenare, ora invece non c'era pressione, non c'era traccia di timore. Era un bacio paziente e fiducioso un bacio pieno d'amore. Quella constatazione lo fece sentire euforico e rise piano contro le labbra della sua bella amica. “Cosa ti fa sorridere?”
“Niente”, rispose semplicemente ed appoggiò di nuovo le labbra contro quelle della ragazza. Poi aggiunse: “Dovremmo mangiare”, ma non accennò a muoversi più di quanto fece lei. 
“Non ho fame, non ho voglia di mangiare.”
“E di cosa avresti voglia?”
“Di correre, di combattere, di nuotare in un torrente gelido.”
Solas rise ancora. “Abbiamo costeggiato un torrente non dovrebbe essere troppo lontano. Puoi andare a nuotare se vuoi.”
“Tu verresti con me?” La voce di lei si era fatta improvvisamente più bassa e i suoi modi seppure mantenendosi allegri, diventarono incredibilmente suadenti. Solas la trovava irresistibile.
La risata scrosciante di lei accompagnò quei pensieri. “Sei diventato tutto rosso fino alla punta delle orecchie!”
Solas avrebbe voluto raccogliere la provocazione e dimostrarle che crederlo tanto inibito poteva dimostrarsi pericoloso, ma si impose si essere paziente rispondendo con un sorriso alla risata di lei. Si sedettero vicino al fuoco, chiacchierarono a lungo di giorni passati e dei compagni, Solas accennò anche a qualche vago ricordo della sua giovinezza. Era così piacevole condividere con lei il suo passato!
Quando fu ora di andare a dormire Solas lanciò alcune barriere all'ingresso della caverna, sistemò legna in abbondanza sul fuoco e si fece strada verso l'interno. La bella amica stava togliendo l'armatura di cuoio, sapeva che quell'accorgimento non poteva che essere in suo onore, non l'aveva mai vista toglierla lontana da Skyhold. Il respiro gli restò in gola.
Si avvicinò alla ragazza che gli dava le spalle intenta a slacciare uno schiniere. Nella manovra la tunica dal largo scollo era calata indietro sulla schiena, lasciando scoperta la base del collo solitamente ben coperta. Solas fu sorpreso nel vedere dei vallaslin anche in quella parte del corpo. Si avvicinò per esaminare il disegno e lo vide scendere tra le scapole scomparendo sotto le fasce che stringevano il seno. Sentì un brivido percorrere la pelle della ragazza sotto il tocco di dita leggere.
“Credevo che i tuoi Vallaslin si fermassero al viso.” Posò un bacio sulla pelle segnata seguendo le linee del disegno e sentendo altri brividi rincorrere il primo.
La ragazza chiuse gli occhi e disse: “Quelle sul mio volto sono le orecchie del lupo, sulla schiena c'è la sua coda. Ti piace?” Solas evitò di rispondere alla domanda. Amava quei segni sul corpo, tanto quanto amava i segni sul viso, ma rimanevano un insulto.
“Mi chiedo se anche questi si illuminano come quelli sul viso.”
“Non dovrebbe essere troppo difficile scoprirlo.” La voce era tornata bassa, la ragazza si era voltata per fronteggiarlo e lo baciò partendo dal collo fin su a raggiungere le labbra con trasporto crescente. La stoffa leggera della sua tunica, lasciava scoprire alle mani curiose di Solas morbidezze e calore fino ad allora solo immaginate.
Approfittò con uno sforzo notevole di un istante di lucidità, fermò le mani sui fianchi di lei e allontanò le labbra, tornando a respirare per un istante aria che non avesse il suo calore e il suo profumo. Quell'aria fresca era veleno in confronto alla dolcezza del respiro di lei. “Venhan, so di non averne il diritto, ma devo chiederti ancora un poco di pazienza.” Il sorriso di lei era rassegnato più che allegro. Solas sentì di aver riportato a galla ferite passate e se ne rattristò. “Mi dispiace, puoi fidarti di me una volta ancora?”
Lei non rispose assentì con un cenno del capo e appoggiò la fronte contro la sua spalla, per rifiatare probabilmente e riprendere il controllo. I tatuaggi brillavano con forza, anche quello sulla schiena era illuminato. Quando il bagliore si fu attenuato la ragazza si allontanò da lui di un passo. Strinse i lacci della tunica attorno al collo tornando così a nascondere la coda del lupo, poi si sedette accanto al fuoco preparandosi per la notte. Lo guardò con i suoi begli occhi grandi e profondi facendo segno di sdraiarsi accanto a lei. Solas esitò per un istante. “Non sono così pericolosa. Abbiamo già dormito vicini in passato, non ricordi?”
“Piuttosto bene.” Ricordava i dettagli più dolorosi di quella notte e la frustrazione della mattina seguente, ricordava il timore la voglia di allontanarsi, e ricordava come quella notte li avesse condotti infine ad Haven. Nel sedersi vide i tatuaggi di lei illuminarsi di nuovo, come se avesse potuto seguire il filo dei suoi pensieri. Baciò il suo viso laddove quei segni offensivi facevano ora bella mostra di loro, lei chiuse gli occhi e i tatuaggi divennero ancor più brillanti. Se era vero ciò che lei aveva detto riguardo alla strana reazione dei vallaslin quello era di certo un invito difficile da ignorare. Si sdraiò su una vecchia coperta e trascinò giù con lui la bella amica. “Buona notte Solas.” Disse appoggiando la testa sulla sua spalla. “Buona notte venhan.” Sapeva che non avrebbe dormito quella notte, ma questa volta il tormento era dolce.
Le sue mani accarezzavano la pelle morbida della ragazza sotto la tunica ruvida e i capelli di lei solleticavano il viso. Ad un tratto la voce di lei, poco più di un sussurro, lo fece trasalire: “Ar'lath, vhenan'ara.”
Quelle parole colavano come acido nel suo cuore, aggiungendo una pietra inamovibile nel groviglio delle sue riflessioni, senso di colpa su senso di colpa. Lei lo amava. Si era potuto illudere fino a quel momento sperando che quel sentimento potesse essere passeggero, ma in quelle parole riconosceva la verità. Poteva essere possibile?
Aprì gli occhi e vide il tenue bagliore dei vallaslin illuminare il viso della dolce amica. D'improvviso una consapevolezza ancor più terribile lo investì come un torrente in piena. La chiave di tutto potevano essere quei segni sul suo viso. I vallaslin erano incantamenti potenti in passato ma Solas non aveva mai pensato che potessero rappresentare ancora un vincolo reale. Sapeva bene che i suoi simili avevano in un tempo lontano usato quei simboli per distinguere gli schiavi, come in giorni recenti fanno invece gli allevatori di druffali o di montoni, per evitare che altri si approprino di capi di bestiame che non gli appartengono.
Un marchio di proprietà, quello dei vallaslin, in grado di vincolare attraverso la magia un essere vivente alla volontà del proprio padrone. Uno schiavo marchiato non aveva la fortuna del druffalo intraprendete. Quest'ultimo può infatti, una volta sfuggito alle recinzioni, sperare in una vita di prati sconfinati e priva di giogo, lo schiavo a cui venivano imposti i vallaslin, invece, non aveva possibilità di sottrarsi al volere del padrone, per questo quello di rimuovere quel marchio e il vincolo che portava con sé era invariabilmente il primo atto di liberazione di cui Fen'Harel faceva dono ai suoi protetti, per questo era divenuto un simbolo del Temibile Lupo.
Ora, l'aberrazione che il clan della sua dolce amica era riuscito a perpetrare, aveva incontrato l'ironia del fato. In altre circostanze avrebbe riso di quell'iniziativa irrispettosa, ma davanti ai suoi occhi poteva vedere un'elfa marchiata in nome di Fen'Harel stringere tra le mani la magia del Lupo stesso e questa non poteva essere una coincidenza da ignorare. Poteva la sua magia aver risvegliato quei segni altrimenti inerti? Poteva la sua preziosa amica essere vittima di un incantamento che la vincolava alla sua volontà? Potevano i sentimenti e la passione che lei aveva dimostrato di provare non essere altro che la risposta involontaria al desiderio che lui aveva sentito crescere dentro di sé?
Certo, i sentimenti che lei aveva sentito nascere all'improvviso, non potevano essere altro che uno specchio dei suoi. La ragazza gli si era fatta vicina ed era rimasta vittima dei desideri del Temibile Lupo. Per questo i vallaslin reagivano alla sua vicinanza, per questo un desiderio improvviso e improbabile si era impossessato della ragazza. Per questo dichiarava il suo amore, dopo che lui era stato tanto avventato da fare lo stesso. Questa spiegazione tanto razionale e posata aderiva perfettamente agli eventi ed era calata sul cuore di Solas, come la cenere che all'alba ricopre un falò rimasto incustodito.
Non avrebbero dormito comunque e rimandare la decisione era inutile.
“Vieni Venhan, meriti la verità.” Lei si alzò sorpresa, ma comunque serena, non l'avrebbe più vista tanto felice comunque fossero andate le cose.
S'incamminarono, Solas non le concesse neanche il tempo di rimettere l'armatura. I suoi poteri erano tornati, non avrebbe comunque avuto niente da temere rimanendo con lui. Raggiunsero la radura in breve tempo, ma più si facevano vicini, più Solas rallentava il proprio passo. Cosa sarebbe accaduto, una volta rimossi quei marchi dal suo viso? Guardandosi indietro avrebbe rimpianto di essersi lasciata avvicinare dal temibile Lupo? A quel punto non avrebbe potuto evitare di dare spiegazioni. Avrebbe dovuto spiegare il perché di quel cambiamento repentino nel cuore di lei. E allora lei forse non sarebbe stata più così ben disposta ad accettarlo. Ma andava fatto.
Strinse ancora una volta la mano di lei tra le sue, assaporando per un'ultima volta la sua vicinanza, poi si contrinse a parlare: “Continuo a pensare ad un modo che sappia dimostrarti quanto tu sia preziosa per me.”
“Io lo so Solas, non ho bisogno di parole o definizioni. Tu sei prezioso per me allo stesso modo.”
Quelle parole erano fiele, niente di tutto quello poteva essere vero, non era che l'ombra di una felicità troppo grande, un fantasma. Aveva creduto di poter meritare un tale destino ed ovviamente si era ingannato. Parlò di getto: “L'unico dono che posso farti è quello della libertà e questa non può che passare per la verità.”
Le parlò dei vallaslin, dei padroni e degli schiavi dei tempi antichi, lei ascoltava imperturbabile. Evitò di accennare alla propria natura, lo avrebbe fatto dopo, una volta che l'incantamento fosse stato spezzato.
“Non mi stupisce che il mio popolo abbia frainteso anche questo.”
“Conosco un incantesimo in grado di rimuovere i marchi.”
La dalish accolse la notizia con gravità. “Se me lo avessi detto quando ci siamo conosciuti avrei accettato ad occhi chiusi e te ne sarei stata grata per sempre, ora non so cosa rispondere.”
Solas fu spiazzato dalla reazione della ragazza, come sempre. Pensava non avrebbe trovato resistenze davanti ad una proposta del genere, l'idea che potesse invece scegliere di continuare a vestire quei segni così odiati lo disorientò. “Ma sono un insulto a te e allo stesso Fen'Harel”, si lasciò sfuggire alla fine.
“E' vero, lo era, ma ho trasformato l'insulto in un simbolo di orgoglio. L'ho fatto anche grazie a te. Per il resto, non importa, non mi sono mai preoccupata del volere degli antichi dei.”
“Ma potresti essere vincolata al Temibile Lupo.”
“Sono molti gli dei che sperano di soggiogarmi, a quanto pare. Se ciò che hai raccontato di Fen'harel è vero, potrei preferirlo a molti altri. Se Fen'harel mi ha reso ciò che sono, gli sono grata. Non m'importa essere vista come strumento del male se gli effetti delle mie azioni sono buoni, non mi importa di essere additata come crudele se ciò che faccio è per il meglio. Persino tu hai detto di essere orgoglioso di me e so che ricevere la tua ammirazione è molto difficile. Se ciò che sono è anche frutto di questi marchi allora mi sono ancor più preziosi. Ci ho messo una vita ad accettare ciò che sono, ora mi vado finalmente bene così.”
Le prese il volto tra le mani la guardò negli occhi. Non si sarebbe aspettato di riconoscere ancora una volta tanta saggezza in lei. Lui non era tanto saggio, non potevano essere frutto della sua influenza quei pensieri.
“Sei perfetta così come sei. Non credevo davvero di poter trovare tanta bellezza in questo mondo, il tuo spirito è unico e meraviglioso. Ar lath, ma Venhan.”
Quelle parole trascinarono con loro tutta la tristezza accumulata dentro per secoli. Non poteva rimanerle accanto rischiando di vincolarla al suo volere ma allo stesso tempo non aveva il diritto di distruggere un animo tanto valoroso insidiando il dubbio che ciò che aveva raggiunto non fosse interamente meritato.
Era innegabile, il suo era uno spirito raro era quindi dovere degno di un dio difenderlo da tutto. Da lui, prima di tutto. Non aveva alcun diritto di distruggere le sue difese, si era illuso di poter condividere il percorso con qualcuno, ma si era ingannato, il destino del Lupo è quello di lottare da solo. Era grato di aver potuto condividere una parte della strada con lei, ma ora era diventata più importante di ogni cosa, così importante che l'unico modo per rispettare il suo spirito sarebbe stato quello di renderla davvero libera.
I loro sentieri si dividevano ineluttabilmente in quel momento, in quel luogo che aveva visto il Temibile Lupo rifulgere in tutta la sua potenza e che vedeva ora Solas spezzato e sconfitto.
Non poteva convincersi però lasciarla andare, la baciò con un ultimo assalto disperato come se con un bacio fosse in grado di cancellare il resto del mondo, ma quando senza fiato aveva dovuto lasciare le labbra della donna amata, il mondo era ancora lì. Non aveva avuto bisogno dei sussurri di Skyhold o del senso di colpa per fare la cosa giusta. Aveva alla fine semplicemente dovuto dare ascolto a quel sentimento che aveva combattuto tanto a lungo. L'amore che provava per lei lo stava riportando sulla giusta strada. Poteva quindi essere tanto sbagliato?
Scacciò i pensieri stringendo gli occhi e liberando dall'abbraccio la bella elfa che lo guardava ammaliata.
“Venhan, dobbiamo tornare. Mi dispiace, la lotta sta arrivando alla fine ed io non ti distrarrò più dai tuoi doveri, l'ho già fatto fin troppo.” Non bastò l'aver ritrovato poteri per pronunciare quelle parole con fermezza, senza tremiti, non sarebbe bastata tutta la forza racchiusa nel mondo.
“Solas cosa vuoi dire?” Solo il silenzio rispose a quella domanda. Non aveva parole per esprimere una sentenza tanto terribile per lei e per se stesso. Cercò semplicemente di allontanarsi ma lei lo afferrò per le spalle.
“Non siamo in un sogno qui, non è il tuo regno, devi darmi delle risposte.” Lo sguardo di lei sembrava terrorizzato.
“Non sarei mai dovuto giungere così lontano. Mi dispiace, non era mia intenzione ferirti, non lo è mai stata.”
“Solas qualunque sia il problema, ti assicuro, possiamo affrontarlo insieme.” La supplica nei suoi occhi gli spezzò il cuore. “Venhan. Mi spiace, semplicemente non posso, in un altro mondo...”
Si allontanò da quel luogo troppo in fretta, senza pensare a nulla. Non poteva voltarsi indietro, ciò che rimaneva del Temibile Lupo stava ora sgorgando dagli occhi di Solas, lasciando sul suo viso lunghi solchi che avrebbero lasciato il segno molto a lungo. Per sempre forse.


 

Vir'Abelasan: nel gioco traduce letteralmente Well of Sorrow, cioè il pozzo del dolore. Ma alcuni siti inglesi che si occupano del linguaggio elfico di DA, riportano di alcuni altri Vir, tradotti in quel caso come sentiero, come filosofia volendo. In questo caso è quest'ultima accezione che do al titolo, cioè Via del Dolore.
Ma serannas: Grazie
Ma'Arlath: Amore mio
Ar lath: Ti amo
Vhenan'ara: Letteralmente desiderio del cuore. A me suona una cosa come “tesoro” ma meno smielato. In italiano non si usa “desiderio” come nomignolo, ma sarebbe perfetto nella sfumatura che vorrei dare.

 



Mi scuso per questo lunghissimo capitolo, ma ormai siamo davvero alla fine e non mi andava di spezzare la storia come ho fatto altre volte in passato.  Rimettere insieme gli ultimi capitoli (ne restano due, più forse un bonus, ma non so ancora se inserirlo qui o pubblicarlo come one shot) è una gran fatica è molto triste, ovviamente ma non sono certa di trovare il giusto equilibrio senza scadere nel melenso. Intanto però pubblico, altrimenti potrei non uscirne più e una volta conclusa la rivedrò magari anche grazie a qualche consiglio, riuscirò a risistemare alcune cose che non mi convincono.
Intanto grazie come sempre a chi legge. Grazie. Non mi odiate troppo, lo so è uno strazio, ma la mia Lavellan soffre tanto, è giusto che soffriamo un po' anche noi.

   
 
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