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Autore: Tsukuyomi    06/06/2009    4 recensioni
Salve a tutti! Finalmente prendo coraggio e pubblico.
Questa fanfic mi ronza in testa da tanto di quel tempo che ormai si scrive da sola.
Per il momento avrete sotto agli occhi dei futuri Gold Saint, ancora bambini e innocenti (più o meno), alcuni ancora non si conoscono e altri sì, alcuni sono nati nel Santuario e altri no, alcuni dovranno imparare il greco e, di qualcuno, non si sa per quale recondito motivo, non si conosce il nome. Spero che apprezziate. La storia è ambientata ai nostri giorni, per cui, le vicende conosciute avranno luogo nel futuro.
Genere: Comico, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 06 - João, seguito da Shura, entrò per primo nella piazza degli ulivi. Respirò a pieni polmoni l'aria profumata di macchia mediterranea e mare e si guardò intorno alla ricerca del piccolo svedese. Lo vide appoggiato ad un muretto, all'ombra e al fresco, mentre riposava.
«¿Shura, porque no lo despertas tu?»
«Vale»
Shura si avvicinò trotterellando al bambino che ronfava beato seduto sotto l’albero. Appena gli arrivò davanti si voltò a cercare João, che era rimasto all’ingresso della piazza e osservava la scena da lontano.
Come svegliare un bambino che non ti conosce? Lo guardò dormire per qualche minuto. Il volto di quel bambino sconosciuto era sereno, rilassato. Si sentiva in colpa a dover interrompere i suoi sogni, sembrava un angelo, o almeno lui, gli angeli, li immaginava così: con i lineamenti delicati, la pelle chiara, i capelli biondi e lunghi e gli occhi azzurri. Certo, lui ancora non sapeva di che colore avesse gli occhi il dormiglione, ma li immaginava azzurri.

Lo fissò a lungo e infine si decise. Allungò una mano e la poggiò sulla spalla dell’altro. Lo scosse leggermente mentre gli sussurrava «Amigo, tienes que despertarte».

Il biondo svedese socchiuse piano gli occhi e mugugnò di  frustrazione nell'abbandonare i sogni. Si scostò dall’albero e si stropicciò gli occhi con forza. La macchinina che stringeva in mano scivolò via. Nell'urto con il marmo che pavimentava la piazza una delle ruote schizzò via.
Il biondo pargolo aprì gli occhi di colpo e raccolse la macchinina, era deluso e arrabbiato per il giocattolo rotto. Alzò lo sguardo per vedere chi lo aveva svegliato e vide un bambino con i capelli neri come la pece che scattò a rincorrere qualcosa. Arrivò fino al centro della piazza, raccolse qualcosa e tornò dall’altro bambino che si guardava intorno per trovare la ruota.
In quel frangente non era interessato all’altro bambino. Voleva solo aggiustare la macchinina regalatagli dal gigante.
Lo spagnolo si sedette incrociando le gambe accanto al futuro amico. Lo guardò a lungo, perdendosi in quello sguardo così bello e puro e immergendosi nell’azzurro di quei grandi occhi. C’aveva visto giusto, erano azzurri.
Improvvisamente gli porse il pugno e spostò le dita.
«La rueda »
«Tack» sussurrò lo svedese e prese la ruota dalla mano di Shura.
Provò a rimontarla, ma le sue piccole mani erano ancora troppo inesperte e poco precise. Possedeva ancora tutta la goffaggine, tipica dei bambini, che imparavano ad usare il proprio corpo.
Shura aveva poggiato le mani sulle gambe e guardava l’altro al lavoro. Gli porse la mano facendo intendere di lasciar provare lui solo quando il piccolo svedese sbuffò, non riuscendo a fare quello che voleva e abbassò le braccia caricando quel gesto di tutta la sua frustrazione.
Accolse volentieri l’offerta d’aiuto e porse la macchinina e la ruota all’altro.
Shura si alzò, si mise esattamente davanti a lui e iniziò ad armeggiare col giocattolo rotto. Quando ebbe finito poggiò la macchinina a terra e la spinse verso il proprietario, che esplose in una risata fragorosa e contagiò anche l’improvvisato meccanico.

João nel frattempo li guardava e sorrideva. Forse sarebbe nata una bella amicizia. Era contento nel vedere quei due bambini che parlavano una lingua diversa cercare di interagire. Fisicamente erano l’uno l’opposto dell’altro. Uno coi capelli color del sole, l’altro coi capelli come la notte più scura e cupa. Uno con gli occhi del colore del cielo diurno, l’altro del colore del cielo di notte. Uno con la pelle candida dovuta alla mancanza di sole e l’altro con la pelle scura dovuta alla costante presenza del  sole. Yin e yang. Era ovvia la totale innocenza dell’uno e la malizia tipica di chi ne ha combinate di tutti i colori dell’altro.

«Vem är du? »
«No entiendo lo que dices»
Silenzio. Si guardavano e non parlavano più, d’altronde non si capivano.
João decise che era il momento di avvicinarsi ai due, si sedette su un muretto poco lontano.
«Shura, intenta a descubrir còmo se llama. Nadie sabe su nombre»
«¿Còmo?»
«No se»
«Vale, intentamos»

Shura guardò il bambino svedese negli occhi.
-Come faccio a scoprire il tuo nome? Non ci capiamo e non posso chiedertelo. Accidenti. Non è una cosa che posso fare. Certo che è una situazione strana. Come faccio a farmi capire da te? Come faccio a farti capire che voglio sapere il suo nome?  -
La mente di Shura era in fermento, doveva riuscire a strappargli il suo nome. Cercò di ricordare se in vita sua si fosse mai trovato in una situazione simile e si ricordò di un mendicante che andò ad elemosinare del cibo a casa sua tempo prima. Era sordomuto e comunicava per iscritto. Si era fatto insegnare qualche gesto del linguaggio dei segni e in particolare il gesto che indicava la spada. Per farlo capire all’uomo aveva indicato una spada. Avrebbe potuto funzionare. Shura sperò che il biondo capisse il gioco.
Prese la macchinina la indicò e disse “Coche”, si alzò e andò a toccare l’albero che si stagliava accanto al muretto sul quale era poggiato lo svedese e disse “Àrbol”. L’altro bambino lo seguiva incuriosito con lo sguardo e si rese conto che l'altro gli diceva i nomi delle cose nella sua lingua e lo imitò.
Prese la macchinina dalle mani dell’altro e disse “Bil”, toccò l’albero e disse “Träd”.
João nel frattempo fissava la scena, curioso di sapere dove volesse andare a parare lo spagnolo.
Shura provò a ripetere le parole dell’altro, alla fine si indicò e disse «Shura».
L’altro bambino gli toccò il petto e ripetè il nome, s’indicò a sua volta e disse «Tyko».
Ce l’aveva fatta. Un bambino di sei anni, in dieci minuti, con un gioco, aveva scoperto il nome del bambino senza nome. João era sconcertato.
Si avvicinò ai due per presentarsi come si doveva allo svedese, ma venne preceduto dallo spagnolo che gli toccò una gamba, lo indicò e disse «João».

Tyko si avvicinò al gigantesco portoghese, lo guardò e imitando i gesti di Shura disse «João». Ritoccò lo spagnolo mentre ne pronunciava il nome e rifece lo stesso col gigante, come a voler imprimere al meglio i loro nomi nella sua mente.

«Piacere Tyko! Dobbiamo andare ad informare il Gran Sacerdote! Finalmente sappiamo il tuo nome! Seguitemi. Shura sígueme con Tyko.»
Shura prese la mano di Tyko e lo tirò a se, facendogli intendere di seguirlo.
Tyko strinse la mano dello spagnolo e si fece trascinare. In quel momento lo avrebbe seguito fino alla fine del mondo. Gli piaceva. Gli piacevano quei capelli neri completamente spettinati, e gli piacevano i suoi occhi, neri come l’abisso ma luminosi e ruggenti. Lo vedeva come una sorta di selvaggio. Non sapeva neanche lui perché, ma lo immaginò a correre in un bosco, salire sugli alberi e saltare da roccia a roccia. Percepiva l’immensa energia che emanava. Non avrebbe saputo spiegare a nessuno perché quel bambino gli piacesse. Shura, dal canto suo, era estasiato e rapito dall’alone di estrema purezza che emanava lo svedese. Era così candido che si ritrovò a pensare di poterlo sporcare prendendolo per mano... e non voleva. Tra i due fu una sorta di colpo di fulmine. Si erano scelti con uno sguardo.
João si voltò a guardare che facevano i bambini. Sorrise di cuore quando li vide mano nella mano che si scrutavano con la coda dell’occhio.Yin e Yang.
Si fermò e aspettò che i due bambini compissero quei pochi passi che li separavano. Avrebbe dovuto occuparsi lui di loro e anche di un  terzo bambino proveniente dall'Italia. Forse sarebbe arrivato in nottata.
Meditò di domandare al Gran Sacerdote il permesso di far dormire i tre nella casa che occupava. Aveva una piccola casetta ai margini del Santuario, una di quelle casette riservate ai cavalieri che ne facevano richiesta. Lui divideva quella casa con un altro cavaliere: un ragazzo irlandese di qualche anno più giovane di lui, con una cascata di riccioli rossi e gli occhi di un verde tanto intenso che ricordavano delle pietre preziose.
Nel mentre che pensava alla richiesta che avrebbe fatto al Gran Sacerdote i suoi pensieri tornarono al giorno in cui conobbe Miach. Uno studente di archeologia che si era da poco trasferito in Grecia.

Miach entrò dentro il Santuario senza rendersene conto e si aggirava meravigliato tra i templi. Era totalmente perso nella contemplazione di quelle antiche vestigia da non accorgersi della presenza di un’altra persona. Sentì una voce profonda rimbombare:
«Chi sei? Come sei entrato?»
All’improvviso la figura di un gigante si stagliò dinnanzi a lui.
«Da lì. – ingenuamente indicò l’ingresso, non pensava di aver fatto qualcosa di male, dopotutto aveva tutto il diritto di stare lì in quanto studente di archeologia - E comunque sono uno studente di archeologia. Tu sei uno di quegli attori che fanno le rievocazioni storiche vero?»
«Rievocazioni storiche?»
«Beh, sei vestito come un soldato greco di 2500 anni fa. Non dirmi che ti vesti sempre così, o penserò che tu sia un po’ – con l’indice descrisse dei cerchi veloci all’altezza della tempia – toccato»
«Ma come ti permetti? Non hai risposto alla mia domanda. Chi sei?»
«Oh perdonami, a volte dimentico le buone maniere, ma qui è tutto così…così…magnifico… - sospirò e tese la mano al ragazzo che lo fronteggiava – mi chiamo Miach.»
Il gigante afferrò la mano che gli veniva porta, la strinse e si presentò a sua volta.
«João»
«João? Non sei greco vero?»
«No, sono portoghese, ma ormai vivo qui da diversi anni.»
«Ehh… ti capisco… Atene è una città così bella. Antica e moderna allo stesso tempo, in pochi passi riesci a tornare indietro di migliaia di anni. Vorrei restare anche io, ma purtroppo il mio permesso di studio dura solo sei mesi e non so se riuscirò a rinnovarlo.»
«Ehm, si. Come sei entrato?»
«Beh, l’ingresso è uno solo. Secondo te?»
«Lo so che l’ingresso qui è uno solo ma non è visibile per la gente normale»
«Lo vedono solo i matti? Scusascusascusa…battutaccia.»
«Sei buffo, devo ammetterlo. Ti spiacerebbe seguirmi?»
«Ti seguirei volentieri, ma devo tornare con i miei compagni, sai, dopotutto sono nel bel mezzo di una lezione, non posso perdere troppo tempo, magari ci scambiamo i numeri e possiamo sentirci …»
«Se non mi segui con le buone, dovrò usare le cattive. Perdonami, non sembri pericoloso, ma è legge che ogni intruso che riesca a penetrare nel Santuario venga portato al cospetto del Gran Sacerdote. Devo farlo.»
«Santuario? Gran Sacerdote? Mi stai prendendo in giro vero? Si, divertente. Comunque se non vuoi che ci scambiamo i numeri non fa nulla. Speravo di esserti simpatico, sono arrivato qui da poco e non conosco ancora nessuno. Beh, è stato un piacere, ci vediamo eh.»
«Fermo. Non costringermi a colpirti. Davvero, non voglio farti del male. Seguimi, per favore.»
João con un movimento rapidissimo si era portato davanti all’irlandese bloccandogli la via. A quel punto Miach con una serie di finte scartò un incredulo João e riprese la strada verso l’uscita.
«L’hai voluto tu.» tuonò il gigante mentre concentrava il suo cosmo in una serie di fili a forma di serpente che fuori uscivano dalle sue dita. I serpenti si aggrovigliarono attorno alle gambe del ragazzo che ruzzolò per terra, inebetito, sorpreso, basito da quello che accadeva. - Ma che razza di effetti speciali usano qui?- fu il suo unico pensiero.
Il portoghese si avvicinò al corpo dell’altro, che nel frattempo era completamente avvolto da quei fili luminosi che avevano perso le sembianze di rettile e lo caricò su una spalla.
«Mi spiace, ti avevo avvertito. Hai scelto tu le maniere un po’ più brusche.»
«Brusche? Brusche? Brusche è un eufemismo. Mi sono quasi rotto la testa per colpa tua. Ora lasciami andare o ti denuncio per aggressione e sequestro si persona.»
«E a chi mi denunci?»
«Come a chi? Alla polizia, no?»
«Sei davvero buffo Pel di Carota.»
«E tu sei stupido come tutti i giganti. Chi cresce troppo in altezza non sviluppa il cervello lo sai?»
«Sei anche uno spasso»
«E tu un… un…»
«Un?»
«Non lo so, ci sto pensando»

Mentre battibeccavano si ritrovarono al cospetto di Arles. João posò il corpo, legato, del ragazzo con cura, in modo da non fargli più male del dovuto e si inginocchiò rispettoso.
«Cavaliere dell’Altare, questo ragazzo è riuscito a penetrare all’interno del Santuario, non credo sia pericoloso ma mi è sembrato doveroso portarlo qui»
«Ottimo lavoro, cavaliere d’Argento della Freccia. »
«Grazie signore»
«Eh? Fermi fermi fermi. Che accidenti sta succedendo qui? Esigo delle spiegazioni. Cavaliere dell’Altare?Cavaliere dell? Santuario?»
«Sei tu a doverci dare delle spiegazioni – proruppe Arles - sei penetrato in un luogo sacro.»
«Luogo sacro? Le rovine del Partenone? Sentite, c’è qualcosa che non torna in questa rievocazione storica e comunque non posso restare a giocare con voi. Liberatemi.»
«Giocare? Ragazzo, non prendere alla leggera i guai in cui ti sei cacciato»
«Guai? Ma nei guai ci siete voi, vi denuncerò alla polizia, vi farò arrestare e farò buttare via la chiave. Questo si chiama sequestro di persona.»
«Giovanotto, modera il tono. Tra poco arriverà il Gran Sacerdote, sarà lui a decidere come comportarsi nei tuoi confronti.»
«Gran Sacerdote? Oh mamma mia, sono capitato in mezzo ai pazzi. Da quand’è che vi fanno uscire liberamente dai manicomi? E soprattutto chi cazzo è il Gran Sacerdote? E soprattutto slegatemi!!»
«Non verrai slegato finché non ti placherai. Il Gran Sacerdote è il rappresentante in terra della dea Atena. Dea della giustizia.»
«So chi è Atena. Quindi siete l’ennesima setta religiosa?»
«Setta? Il culto di Atena esiste da migliaia di anni. Non permetterti mai più a lasciarti andare a simili blasfemie. – intervenne João – Non ne sei al corrente ma ci devi il culo.»
«Non vi ho mai chiesto si salvarmi il culo, per cui non vi devo proprio un bel niente. Siete voi che dovete darmi delle spiegazioni sul mio rapimento. Volete un riscatto? Cascate male, sono povero in canna.»
«Riscatto? Ma per chi ci hai presi? Per volgari criminali?»
«Sì, mi hai rapito»
«Io ti ho chiesto di seguirmi, e ti ho avvertito che nel caso ti fossi rifiutato sarei passato alla forza.»
«Infatti mi capita tutti i giorni di incontrare degli attori pazzi che emettono fili di luce…dalle…dita…e mi…legano…ho capito, nel cadere ho sbattuto la testa, sono svenuto e mi sono immaginato tutto. Ovvio. Pensare che per un attimo ho creduto veramente di averti visto sbrilluccicare come una lucciola e lanciare fili luminosi dalle mani.»
«Non hai sognato. Quello che credi sogno è realtà»
«Eh? Ah, ho capito. E’ una specie di trucco cinematografico, ovvio che non mi puoi dire come hai fatto, non si svelano mai i propri trucchi.»
Arles ascoltava annoiato il botta e risposta dei due. Attendeva solamente l’arrivo del Sommo Sion.
João, in piedi, fissava a braccia conserte Miach che nel frattempo era riuscito a sedersi.
«Guardati. Con cosa sei legato?»
«Con dei fili di luce»
«Appunto, ti sembra un sogno? Ti sembra un trucco?»
«Sicuramente saranno fibre ottiche o roba del genere. E comunque slegami. – si fece rotolare fino ai piedi del gigante – dai, prometto che rimarrò qui buono buono e ascolterò tutte le fesserie che mi direte, ma non cercate di vendermi qualcosa. Ho pochi soldi e mi servono per tornare a casa mia, abito dall’altra parte della città e inoltre vorrei riuscire anche a mangiare per i prossimi giorni.»
«Mi chiedo come tu abbia fatto ad entrare qui… non trovo spiegazioni. Sei completamente andato.»
«Slegami. Per favore?»
«Sommo Arles, cosa consigliate di fare?»
«Io lo lascerei così fino all’arrivo del Gran Sacerdote, ma ha promesso di non fuggire e non mi sembra pericoloso. Slegalo pure.»
«Graziegraziegrazie! Forza razza di bisonte. Slegami.»
João sbuffò e sciolse i sottili filamenti di cosmo che imbragavano Miach.
«Ma cosa … non ti sei avvicinato per scioglierli e soprattutto che fine gli hai fatto fare? Svelami il trucco, ti prego. Prometto che non lo dirò a nessuno.»
«Le corde  che cingevano il tuo corpo altro non erano che prolungamenti del mio cosmo.»
«Cosmo? Dove si compra? Lo vendono in negozi specializzati? Costa molto? Perché mi stai parlando di effetti scenografici, vero?»
Miach cominciava a credere a quello che gli veniva detto. Cominciava a credere che quell’uomo lo avesse legato col pensiero, cominciava a credere a tutto quello che vedeva. Ma non voleva accettare la realtà. Com’era possibile tutto questo? La sua parte razionale rifiutava quello che gli stava accadendo.
«Il cosmo è energia. Energia concessami dalla costellazione cui appartengo.»
«A quale costellazione apparterresti scusa?»
«E’ una storia lunga da spiegarti.»
«Vai avanti João, - intervenne Arles -  il Gran Sacerdote si è recato all’Altura delle Stelle. Hai ancora del tempo»
«Ecco bravo – Miach si sedette per terra con le gambe incrociate e posò i gomiti sulle ginocchia, unendo le mani in un comodo intreccio che avrebbe ospitato il suo mento – ti ascolto.»
«Conosci il mito di Chirone?»
«Chirone? Il figlio di Crono e di una ninfa marina?»
«Sì, proprio lui.»
«Beh, so che era un centauro particolarmente saggio ed esperto di medicina, oltre che un ottimo guerriero.»
«Esatto. Ti ricordi com’è morto?»
«Mi pare di ricordare che sia stato ucciso da Eracle.»
«Precisamente, Eracle non voleva ucciderlo in quanto il mito vuole che sia stato suo discepolo. Un altro centauro, Folo,  però ideò un piano, secondo lui geniale, per uccidere Eracle. Gli offrì il vino appartenente alla riserva comune di tutti i centauri e quando questi videro l'eroe dissetarsi con ciò che gli apparteneva  I  si infuriarono e attaccarono l'eroe. Vennero respinti con un nugolo di frecce. Purtroppo una di quelle frecce colpì la zampa di Chirone, anche se  non prese parte all’attacco. Eracle estrasse la freccia, ma era avvelenata.»
«Vero, le frecce bagnate nel sangue di Idra. Velenose.»
«Chirone non poteva morire poiché era figlio di Crono e la ferita non si sarebbe mai rimarginata provocandogli sofferenze indicibili ed eterne. Il centauro scambiò la sua immortalità con Prometeo, che aveva perso la sua in seguito ai contrasti che ebbe con Zeus. Alla fine Chirone venne trasformato da Zeus stesso in costellazione perché potesse sempre averlo vicino. Questo è il mito.»
«Si, ma tu che c’entri con Chirone?»
«Io indosso l’armatura del Centauro, e dall’omonima costellazione traggo la mia forza. Quando concentro il mio cosmo sulle dita creo dei serpenti luminosi. Li hai visti no?»
«Sì che li ho visti, ma cosa c’entrano col Centauro?»
«Mi sorprende che uno studente di Archeologia non conosca un mito così importante. Chi fu a insegnare al Dio della medicina, la medicina stessa?»
«O santi numi. Chirone fu il precettore di Asclepio, figlio del Dio Apollo!»
«Esattamente.»
«Wow… potrei scrivere un fantastico romanzo fantasy su queste cose che mi hai raccontato. Diventerei ricco.»
«Ora sai e sei tenuto alla segretezza. Oltre al fatto che non ti crederebbe nessuno se tu andassi in giro a raccontare quello che ti detto, non ne avresti comunque l’occasione. Ti verrebbe cancellata la memoria.»
«Ah, niente best-seller allora. Peccato. Ma tornando a noi, quindi tu sei un medico?»
«Sono un curatore, sono in grado di curare qualunque tipo di ferita, ma ovviamente se abusassi di questa mia capacità finirei col perire. Quindi non pensare di chiamarmi ogni volta che ti sbucci un ginocchio.»
«Ah. Ah. Ah, molto simpatico.»
«Ora basta, il Gran Sacerdote sta arrivando.» Proferì Arles, che rimase per tutto il tempo inchiodato dov’era.
«Ma come fai a sapere che sta arrivando?»
«Percepisco il suo cosmo, come João d’altronde.»
«Ah già, ovvio. Come ho fatto a non pensarci prima. Quindi potete comunicare col pensiero?»
«Sì.» risposero in coro Arles e João.
«Beati voi, risparmierete un sacco sul telefono. »

Tacquero per qualche minuto e il Gran Sacerdote fece il suo ingresso nella sala. Parlò subito.
«Miach, benvenuto tra noi.»
«Come conosci il mio nome?» sbiancò il giovane, intimorito dalla maestosità dell'uomo e dalla voce profonda.
«Me lo hanno detto le stelle. Mi hanno avvertito del tuo arrivo. Benvenuto al Santuario di Atena.»
«Grazie, sono onorato di questo... – guardò storto João – benvenuto meno violento, ma io mi son ritrovato qui senza capire come, mi son state raccontate delle cose incredibili, conosci il mio nome perché te l’hanno detto le stelle e … non è che potreste gentilmente chiamare un’ambulanza? Credo di aver bisogno di un ricovero urgente in psichiatria.»
Sion si mise a ridere e si avvicinò al giovane che era rimasto seduto sul pavimento.
«Mio giovane amico, tu sei un prescelto dalle stelle. Quasi sicuramente verrai investito di un’armatura. Avrai bisogno di addestrarti alle arti del combattimento però, e non solo. Dovrai conoscere la storia del Santuario e, col tempo, prenderai coscienza del tuo compito. Devi solo accettare il tuo destino.»
«Il mio destino?»
«Sì, João arrivò qui diversi anni fa. Lo accolsi io in persona, esattamente nello stesso luogo dove vi siete incontrati. Si fidò di me e mi seguì, senza che parlassimo la stessa lingua. Ora, capirai che sei avvantaggiato in questo rispetto a lui. Conosci già il greco, e conosci la storia. A te la scelta. Ti fermerai qui al Santuario per allenarti e indossare un’armatura?»
«Io … veramente … non credo che … oh, al diavolo. Sì. Voglio restare.»
«Cosa ti spinge ad accettare, ragazzo?»
«Non lo so, ma di certo non la mia parte razionale. E’ come se nel profondo del cuore io sentissi di appartenere a questo luogo.»
«Benvenuto Miach.» Intonarono contemporaneamente Sion e Arles.
«Benvenuto Ruivo!»
«Che?»
«Rosso»
«Devo dirtelo, dal profondo del cuore. Non.Ti.Sopporto.»
«Vieni, vieni. Ti mostrerò il Santuario.»
«Che fai, mi ignori?»
João s’incammino seguito da Miach.
«C’è la mensa, ci son le terme e i dormitori. Inoltre ci sono varie arene per i combattimenti, piano piano imparerai a districarti in questo dedalo di corridoi, tranquillo.»
«Non c’è dubbio, mi ignori volutamente.»
Sion richiamò l'attenzione dei due ragazzi.
«Aspettate. João, vorrei che ti occupassi tu dell’addestramento di Miach. E’ adulto e non mi sembra il caso di farlo allenare con i bambini. Sarai il suo maestro.»
«Sì, signore. Agli ordini. »
I due uscirono fuori dal tempio. E s’incamminarono verso i dormitori.
«Hai sentito? Sarò il tuo maestro. Se seguirai i miei consigli  indosserai sicuramente un’armatura. Magari la vestirai d’argento. Saremo di pari grado.»
«Quanti gradi ci sono?»
Il portoghese spiegò dell’esistenza delle armature di bronzo, d’argento  e delle 12 d’oro. Gli parlò dei cavalieri d’oro, spiegandogli anche che erano detti “Cavalieri dello Zodiaco”, in quanto le dodici armature d’oro rappresentavano i segni zodiacali. Gli disse che solo l’armatura d’oro della Bilancia aveva un cavaliere, pluricentenario, che viveva in Cina. Solo il Gran Sacerdote conosceva quell’uomo, poiché furono compagni d’arme e che, in passato, Sion stesso fu il Cavaliere d’oro dell’Ariete.
«Non mi hai detto che potrei diventare anche un cavaliere d’oro, perché?»
«Vedo che stai attento – lo prese in giro – beh, vedi … non puoi diventare un cavaliere d’oro. Prima di tutto sei troppo vecchio. In secondo luogo i futuri cavalieri d’oro devono essere giovani perché il loro addestramento è molto più lungo e difficile, ed infine bisogna essere prescelti. Molti bambini in tutto il mondo nascono con un cosmo particolarmente forte. Noi facciamo in modo di trovarli e fargli fare un primo addestramento. Inoltre è necessario avere lo stesso segno zodiacale dell’armatura che si indosserà. Magari sei una bilancia e hai perso in partenza, come me. E poi, se fossi nato per diventare un cavaliere d’oro saremo venuti a cercarti molto tempo fa. Tanto per curiosità, che segno sei? »
«Bilancia.»
«Appunto, hai perso in partenza.»
«L’ho capito. Ma spiegami un’altra cosa: se questi bambini predestinati nascono con un cosmo così forte, come mai non andate a prenderli subito?»
«Beh, il cosmo comincia a manifestarsi dai tre ai cinque anni. In rarissimi casi prima e spesso dopo. Inoltre, sembra che questi bambini debbano avere quello che noi comuni mortali chiamiamo “un’infanzia di merda”. Secondo i nostri  storici si tratta soprattutto di orfani che hanno dovuto attraversare situazioni molto pesanti e difficili. Chi non riesce a superarle ovviamente farà una brutta fine durante l'addestramento o ai tornei di assegnazione. Sembra che i cavalieri d’oro, oltre a dover avere uno spirito … diciamo … particolarmente puro, debbano conoscere la sofferenza e l'ingiustizia sulla propria pelle. In questo modo saranno in grado di riconoscere immediatamente le ingiustizie e porvi rimedio. Imparerai tutto tranquillo. »
«E chi si preoccupa! – stette in silenzio qualche minuto – torneo di assegnazione dicevi, ovvero?»
«Chi ambisce ad un’armatura deve combattere contro gli altri pretendenti. Se vince, e l’armatura lo accetta, diventa cavaliere. Questo vale per tutti i gradi. Dovrai combattere anche tu probabilmente.»
«Bene. Questa notizia mi devasta dalla gioia. Ma continua a chiarirmi il concetto: hai detto “se l’armatura accetta il cavaliere”, mi stai dicendo che devo fare a botte e che, oltre a rischiare al minimo la paralisi totale, rischio di essere rifiutato da quello che dovrebbe essere il mio trofeo?»
«Sì.»
«Ma in che bel posto sono finito.»
«Puoi sempre andartene.»
«No, non mi rimangio la parola data. Ma tanto vale che mi prepari psicologicamente ad una lenta e dolorosa morte.»
«Esagerato, se ti comporti bene potrei sempre curarti.»
«No, grazie. Se dovessi morire nel guarirmi, il tuo fantasma mi tormenterebbe e mi rinfaccerebbe in eterno che sei morto per salvarmi. Passo.»
João scoppiò a ridere e diede una pacca sulla spalla di Miach che rischiò di cadere a terra.
«Sei simpatico Ruivo.»
«Grazie. Mi cureresti la spalla che mi hai appena fratturato?»
«Aspetta a domani per iniziare a lamentarti. Scoprirai di avere muscoli che non credevi di avere.»
«Oh, ti ho già detto di quanto sono contento?»

João aveva lo sguardo perso nel vuoto e lui era perso in lontani ricordi. Shura si accorse che la mente del gigante vagava in chissà quali mondi lontani e lo riportò al presente.
«Hombre ¿que pasa? »
«Nada. Vamos. »
Continuò a camminare, lentamente, lanciando una sguardo ai piccoli che lo seguivano come se fossero la sua ombra senza lasciarsi la mano.
Sembrava di stare dentro una favola: il gigante buono che portava con se due bambini, che avrebbe protetto a costo della vita. Un bel quadro.

-

Sion e Arles avevano da poco occupato una grande stanza in uno dei templi vicini all'ingresso del Grande Tempio. Da tempo il Gran Sacerdote non soggiornava nel tempio che avrebbe dovuto presiedere, era impegnato a dirigere la ristrutturazione di alcune zone del Santuario e a stilare piani d’addestramento per i bambini. In quei giorni il Santuario era privo di protezione, ma d'altro canto non vi era pericolo di attacchi a sorpresa da parte di qualche divinità e non vi erano rivolte da sedare in nessuna parte del mondo.
Sion stesso era contento di ciò e sperava di riuscire a godere il più possibile di quella piccola e momentanea pace. I suoi pensieri venivano però costantemente interrotti da Arles, che si era addormentato su una vecchia seduta impolverata e russava beato.
Il Sommo, onde evitare di strozzare l’amico e collega per la salvezza della sua igiene mentale, uscì dalla stanza meditando di fare una capatina al tredicesimo tempio, per lui luogo di pace e silenzio.
Mentre si chiudeva la porta alle spalle avvertì chiaramente il cosmo di João varcare la soglia del tempio. Lo attese.
«Buonasera Sommo Sion»
«Buonasera João, vedo che ti porti dietro i nuovi arrivi. Hai scoperto il nome del bambino?»
«Sì, signore. Il bambino si chiama Tyko»
«Ja?» intervenne il bambino sentendosi chiamato in causa.

I due adulti sorrisero inteneriti.
«Grazie ad Atena – volse gli occhi al cielo Sion – Tyko e Shura. Vedo che hanno già fatto amicizia a giudicare da come si tengono la mano. Ma dimmi, come sei riuscito a estorcergli il nome?»
«Non sono stato io. E’ stato Shura. Gli ho chiesto di provare di scoprirlo e ce l’ha fatta. E’ un bambino molto intelligente.»
«Così sembra, João. Però voglio sapere come ha fatto. Potremmo usare la stessa tecnica se dovesse ricapitare un episodio simile in futuro. Anche se, sinceramente, spero non si ripeta.»
«Non ci crederete. Ha indicato delle cose chiamandole nella sua lingua, poi si è indicato e ha detto il suo nome. Tyko ha capito il gioco e ha fatto lo stesso.» João raccontava divertito la scenetta dei bambini. Sion dal suo canto era incredulo. Era così semplice.
«Non ci credo. Nessuno di noi adulti ha pensato una cosa del genere. Ho paura che impareremo più noi da loro che loro da noi. L’importante è che ora conosciamo il nome del bambino. E’ quasi ora di cena João, portali alla mensa e riempitevi lo stomaco.»
«Sì, signore. Avrei una richiesta.» azzardò il cavaliere del Centauro.
«Ti ascolto.»
«Ci sarebbero problemi se i bambini dormissero da me questa notte? Non capiscono una parola di greco e non vorrei che si sentissero esclusi tra gli altri bambini.»
«Fai pure Cavaliere. Hai carta bianca, come ti ho già detto. Fai quello che ritieni più giusto.»
«Grazie signore. Shura, vamos a cenar.»
«Si»
João si voltò e s’incamminò ripercorrendo i propri passi.
I due bambini restarono fermi a guardare il Gran Sacerdote. Sion ricambiava lo sguardo incuriosito e appena mosse un passo per avvicinarsi a quei bambini, che si stringevano la mano, li vide sorridere e fare un cenno di saluto con le mani libere prima di correre dietro al gigante.

Mentre i tre si dirigevano verso la mensa, Angelo e Galgo arrivarono al Grande Tempio. I turisti camminavano tra i resti di antichi templi e fotografavano ogni particolare. L'italiano sgranò gli occhi nel vedere tante persone e si sentì come un pesce fuor d'acqua. Non ebbe mai l'occasione di abituarsi alla folla e ne era intimorito, anche se abile nel nasconderlo.
«Ma è pieno di gente qui! »
«Tranquillo, dove andiamo noi ci sono meno persone. Per ora.»
«Bene, perché non mi piace la gente»
«Non sarai così asociale al Santuario, anzi, scommetto che ti farai subito degli amici.»
«Non credo. Cosa vuol dire asociale? Perchè sono asociale?»
Galgo ignorò volutamente la richiesta di spiegazioni e incalzò:
«Staremo a vedere. Anzi, facciamo una scommessa. Se ti farai degli amici dovrai abbracciarmi, altrimenti farò il giro del Santuario con te sulle spalle, di corsa. Ci stai?»
«Ci sto. Preparati a correre»
«Preparati ad abbracciarmi»
«Sisì! Tanto vinco io»
Galgo gli fece la linguaccia e scimmiettò «Sisì! Tanto vinco io»
«Non vale! Non puoi farmi il verso»
«E chi me lo impedisce?»
«Io!»
«Eh, ma devi prendermi prima.»
Galgo si lanciò in corsa lenta verso l’entrata del Santuario e il bambino correva dietro di lui lasciandosi trasportare dalle risate.
Entrarono nel Santuario, un posto sotto gli occhi di tutti e che nessuno riusciva a vedere. Solo chi aveva una sorta di invito vedeva l’entrata. Un invito divino. Galgo lo aveva sempre avuto in tasca, ed entrò per caso la prima volta. I soldati semplici venivano scelti dai guerrieri che già vestivano l'armatura o entravano casualmente, seguendo gli abitanti di quello strano posto, ignari di quello che avrebbero trovato, come Leurak e Akylina. Ma chi entrava difficilmente andava via.

«Andiamo dal Gran Sacerdote»
«Ci andiamo di corsa?»
«Vuoi correre?»
«Sì. Mi piace correre.»
«Benissimo mio giovane discepolo ed amico. Al passo! E … di corsa!»
Continuarono la corsa tra le colonne e i templi, schivarono cavalieri, ragazzi e bambini. Angelo non fece troppo caso al paesaggio che gli scorreva attorno, si rese conto che era tutto così vecchio lì, ma aveva una gara a cui pensare. Doveva vincere la corsa.
«Ehi piccolo, lo sai che sei veloce? Magari un giorno potresti addirittura battermi, ma dovrai allenarti come si deve! »
«Mi allenerò tutti i giorni finché non sarò più veloce di te, ci puoi contare!»
«Bravo, così si parla»
Galgo rallentò la corsa fino a fermarsi e indicò un tempio al bambino.
«Dobbiamo entrare lì. Dentro troveremo il Gran Sacerdote che ci aspetta e forse anche Arles, il Cavaliere dell’Altare, è il vice del Gran Sacerdote.»
«Cavaliere?»
«Sì, cavaliere. Siamo paladini della giustizia. E forse lo diventerai anche tu.»
«Paladino? Io?»
«Sì, sarai amato e rispettato da tutti. Le cose cambieranno, non saranno più come le conosci.»
«Qui siete tutti cavalieri?»
«No, alcuni sono semplici soldati.»
«Tu sei un cavaliere?»
«Si. Sono un cavaliere d’argento.»
«Cos'è un cavaliere d’argento?»
«Ti spiegherò più avanti tutta la gerarchia, ma per il momento ti dico che ci sono tre categorie di cavalieri: bronzo, argento e oro. Io sono un cavaliere d’argento, prendo ordini dai cavalieri d’oro e dal Gran Sacerdote e impartisco ordini ai cavalieri di bronzo. Per ora non devi sapere altro, abbiamo tempo, tranquillo. Entriamo.»
Galgo aveva già imparato a proprie spese che quel bambino sarebbe andato avanti a fare domande per ore. L'unico modo per evitarlo era dargli una nuova curiosità su cui "lavorare": come vedere il Gran Sacerdote. Entrarono.

Trovarono Sion nei corridoi. Erano trascorsi pochi minuti dalla visita di João.
«Bentornato Galgo!Vedo che hai trovato Angelo.»
Angelo tremò nell’udire quella voce così marziale e avvolgente. Avrebbe fatto qualunque cosa gli fosse stata detta. Si meravigliò ancor di più nell’udire il proprio nome scandito tra quelle parole sconosciute.
L'irlandese s’inginocchiò e si rialzò velocemente. Si udirono il rumore dei cardini di una porta, un leggero vociare e il rumore dei passi di due uomini. Ora poteva vederli chiaramente. Riconobbe subito il Gran Sacerdote dalla descrizione fattagli da Galgo e dedusse che l’altro uomo fosse Arles. Rimase impietrito davanti a quelle figure così austere, avvolte da tuniche scure.
«Sì, questo è il bambino che mi avete dato in consegna.»
«Com’è andato il viaggio?»
«Bene, signore. Ho stretto amicizia col bambino. »
«Ottimo, Galgo. Abbiamo avuto dei problemi con Dioskoros e il bambino spagnolo, ma fortunatamente l’intervento di João ha fatto si che il danno non fosse irreparabile.»
«Capisco signore. – Tese una mano verso il piccolo e gli fece cenno di accostarsi a lui – Questo è Angelo.»
Il Gran Sacerdote si inginocchiò davanti al bambino, lo guardò negli occhi e sorrise.
«Yàsu Angelo»
«Yàsas». Non aveva dimenticato.
Il Gran Sacerdote fu sorpreso dal saluto in greco, si mise a ridere e si voltò verso il cavaliere d’argento a cercare spiegazione.
«Mi son preso la libertà di insegnargli a salutare in greco. Perdonate il mio zelo.»
«Perdonare? Hai fatto benissimo. Ah, se al Santuario fossero tutti come te e João potrei andare in pensione.»
Risero tutti, tranne Angelo che non aveva capito una parola.
«Galgo, avete cenato?»
«No signore.»
«Recatevi alla mensa. Cenerete allo stesso tavolo di João allora. Ci saranno anche il bambino spagnolo e il bambino svedese. Provate a farli interagire. Almeno ora sappiamo come si chiama.»
«Sì, signore»
Galgo non si chiese cosa significassero le parole "ora sappiamo come si chiama". Aveva fame e, come lui, anche Angelo.

-

Il gigante e i pargoli, una volta arrivati alla mensa, occuparono un tavolo.
João mise seduti i bambini e disse a Shura di restare lì, lui sarebbe andato a parlare con le nutrici per informarle della decisione presa dal Gran Sacerdote riguardo il loro pernottamento e poi a prendere da mangiare. Sarebbe tornato in poco tempo.
Lo spagnolo annuì alla richiesta. Tyko si preoccupò nel vedere andare di nuovo via il gigante e fece per scendere dalla sedia, ma fu prontamente bloccato dal moro, che lo afferrò per un polso e gli fece segno di no con la testa. I due bambini si fissarono a lungo negli occhi, perdendosi l’uno nello sguardo dell’altro. Tyko si rassegnò ad obbedire al bambino che gli aveva tenuto la mano tutto il tempo, infondendogli coraggio. Si sentiva protetto, sembrava così sicuro di sé Shura. Lo invidiava.

Trascorsero un paio di  minuti e cominciavano ad annoiarsi. Non potevano parlare tra loro, non si capivano.
Il piccolo Tyko era un bambino allegro e socievole, logorroico e simpatico. Aveva delle attenzioni particolari per chiunque, spesso si avvicinava ad emeriti sconosciuti se li vedeva tristi e faceva loro una carezza, risvegliando sorrisi stupendi.
Sapeva anche come impiegare il tempo. Vedendo l’amico annoiato  tirò fuori la sua macchinina dalla tasca dei pantaloni, la mise sul tavolo e la spinse contro il braccio che sorreggeva la testa di Shura, svogliatamente sbracato sul tavolo. Sembrava assorto in chissà quali pensieri, ma cercava solamente di resistere al sonno. Scattò nel sentire il metallo freddo del giocattolo contro la pelle. Guardò la macchinina e poi il proprietario che lo invitava a giocare con gli occhi, resi ancor più luminosi da un dolce sorriso.
Shura ricambiò il sorriso cercando di infondergli la stessa dolcezza e spinse la macchinina verso Tyko.
Continuarono lo scambio per un po', alienati dal gioco. Cercavano di cogliersi impreparati, ma entrambi avevano buoni riflessi.
D’improvviso Shura venne sollevato dalla sedia.


*¿Shura, porque no lo despertas tu?= Shura, perché non lo svegli tu?
*Amigo, tienes que despertarte= Amico, devi svegliarti.
*La rueda = La ruota.
*No entiendo lo que dices = Non ti capisco
*Shura, intenta a descubrir còmo se llama. Nadie sabe su nombre = Shura, prova a scoprire come si chiama. Nessuno sa il suo nome.
*Vale, intentamos = Va bene, proviamo.
*Hombre ¿que pasa? = Amico, che succede?

*Vem är du? = Chi sei?
*Tack= Grazie.
*Ja? = Si?

*Miach si pronuncia Meeock

Ecco qui il sesto capitolo e vi lascio con un po' di suspense ^_^
Ho un po' reiventato le capacità inerenti al cavaliere del Centauro, mi dispiace per Babel ma anche le palle di fuoco non è c'azzeccassero troppo con il centauro ^_^

Correggo ora un errore fatto nel precedente capitolo, "vermelho" in portoghese indica solamente il colore rosso che se riferito ad una persona con i capelli rossi diventa "ruivo". Ringrazio per la correzione una lettrice che gentilmente mi ha scritto per mostrarmi l'errore incappando, suo malgrado, in una mia disperata richiesta di aiuto col portoghese. Mille mila grazie ancora!!

I miei ringraziamenti vanno anche a tutti i lettori silenti, a Tikal  e whitesary per aver messo la fic tra le preferite e a chi ha lasciato una recensione:
Saruwatari_Asuka. Ciao! Grazie mille per le gentili parole ^_^ e, visto che ti sei offerta volontaria, appena Shaka metterà piede nel Santuario sarà spedito per direttissima da te ^_^, ma se non vuoi aspettare te lo spedisco prima!
RedStar12. Tesoro sei immancabile! Appena riesco a schiarirmi le idee riguardo le parole che si scambieranno i due ti invio la lista  ^_^ assieme ai baldi pupi che dovrai far parlare :P Certo che due son davvero tanti, ma se riesci a gestirli te li affido entrambi ^_^Un bacione!!
whitesary. Se prometti solennemente di fargli vedere gli amici tutti i giorni non ci sono problemi ^_^  Avrai modo di conoscere ancora meglio Shura nei prossimi capitoli e, oltre al cabrito, anche l'immenso João e non solo! Al prossimo capitolo!
stantuffo. Ma ciao ^_^! Spero di non averti colta nuovamente indaffarata, pensa al lato positivo: più tardi e più capitoli leggi insieme :P L'idea iniziale era quella di raccontare la storia di tutti i gold, spero solo di non perdermi per strada :P Inoltre sono io a doverti ringraziare per aver letto il capitolo e sono davvero felice che la storia ti piaccia. Al prossimo aggiornamento! Un bacio! 
   
 
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