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Autore: Sospiri_amore    25/03/2017    0 recensioni
All'età di sedici anni Elena si trasferisce a New Heaven, USA, con il padre.
Qui vivono gli Husher, una famiglia con la quale sono grandi amici da sempre.
Elena frequenterà il Trinity Institute, una scuola esclusivissima, che la catapulterà in un realtà fatta di bugie, ambizione, menzogne e rivalità che la porterà a scontrarsi con parecchi studenti.
Un amico appena conosciuto le ruberà il cuore o qualcun altro riuscirà a farla innamorare?
Chi ha lasciato quello strano biglietto sul suo armadietto?
Chi ha scattato la foto scandalosa che gira per la scuola?
Elena riuscirà a non rivelare un grande segreto alla persona che ama?
© Tutti i diritti sono riservati
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Tanti auguri a me

 

Happy birthday to you
Happy birthday to you 
Happy birthday dear Elena
Happy birthday to you.

"Soffia!", mio padre urla così forte che mi trapana i timpani.
Con tutto il fiato che mi esce soffio sulle diciassette candeline della torta. A malapena ne spengo tre.
"Dai Elena. Se le spegni tutte puoi esprimere un desiderio", mi incita Roger.

Un desiderio? Vorrei essere lontana da lì, fuggire da New Heaven e starmene da sola.

Per farlo contento soffio un'altra volta, ma l'unica cosa che ottengo è far tremolare le fiammelle. Sono così demotivata che influenzo l'umore dei presenti, tutti se ne stanno con la faccia lunga e lo sguardo vuoto.
Solo Kate mi guarda, sembra preoccupata. Dopo che le ho raccontato della scenata a casa della Signora McArthur, crede che abbia bisogno di allontanarmi da tutto per fare un po' di chiarezza. Come posso darle torto, mi sento un parafulmini attira guai.

L'ultima settimana al Trinity ho cercano di essere invisibile: non ho pranzato in mensa, ho evitato di passare per i corridoi troppo affollati, ho saltato la lezione di Tompson, chimica, pur di non stare in classe con James e Jo nello stesso momento.
Kate dice che allontanarsi non significa fuggire ma affrontare ciò che provo. Il problema è che non so cosa provo. Se ripenso a tutto quello che mi è successo mi sento molto sciocca. Ho sempre detestato i drammi, le sceneggiate, eppure ne sono invischiata fino al collo.

"Elena adesso basta. Stiamo festeggiando il tuo diciassettesimo compleanno. Potresti fingere di essere allegra?", papà mi guarda accigliato. So che è preoccupato, ma non ci posso fare nulla.
"Che c'è?", chiedo senza espressione.
"Tesoro, sei un po' strana è come se pensassi ad altro, come se fossi su un altro pianeta. C'è un ragazzo che occupa il tuo cuore?", mi chiede Hanna senza tanti giri di parole.
"Figurati se Elena pensa ai ragazzi. Lei è ancora una bambina, non può piacerle nessuno. No?!", mio padre ingoia un sorso di vino.

Roger e Hanna si guardano, Kate abbassa la testa ed io divento rossa per l'imbarazzo.

"Elena, cosa significa questo silenzio. Non capisco".
"Papà non sono una bambina, credo sia normale mi possa piacere qualcuno", le mie guance si intensificano di colore. Rosso pomodoro.
"No. No. No e poi no. Tu non uscirai più di casa, non potrai ricevere telefonate e... E...", mio padre sta urlando, non l'avevo mai visto così.
"E poi? Mi incatenerai e mi farai fare la passeggiatina una volta al giorno?", sono furibonda, quando sono così arrabbiata parlo in Italiano. Hanna, Roger e Kate non capiscono una parola, ma ci osservano ammutoliti.
"Non osare trattarmi così. Tutto quello che faccio, lo faccio per te. Venire a New Heaven e il Trinity Institute, sono una grande opportunità. Forse però ho fatto un errore, forse sei troppo piccola per tutto questo".
"Piccola? Io non ti ho mai chiesto nulla. Nulla, capito!? Odio New Heaven, odio il Trinity, odio tutto quello che c'è qui. Credevi che allontanarti da Milano ti avrebbe tolto il ricordo della mamma dal cuore, invece l'hai ancora stampato a lettere cubitali nel cervello. Sei voluto venire qui per dimenticarla, ma non ci sei riuscito. Adesso le cose non vanno come avevi progettato e dai la colpa a me? Beh, sai la novità? Mai nulla va come uno vorrebbe", senza aggiungere altro, giro sui tacchi ed esco da casa di Hanna e Roger. 

Sono così arrabbiata che spaccherei tutto. In questo periodo perdo le staffe per nulla. 
Ho detto delle cose tremende a mio padre. Mi odio. Possibile che non riesca a trattenere le mie emozioni? 
A passo veloce giro dietro la casa di Kate e taglio per il giardino dei vicini, in questo modo evito di stare sul marciapiede e rischiare di farmi intercettare. Non ho voglia ti parlare con nessuno. Voglio restare sola.

Il mio cellulare squilla.
È Kate.

"Pronto", dico senza smettere di camminare.
"Dove diavolo sei? Non riesco a trovarti. Dai, torna a casa, tuo padre è distrutto", Kate è in macchina sento il rombo del motore in sottofondo.
"Voglio starmene per fatti miei. Non ti preoccupare".
"Ma Elena... Non fare così...", prova a controbattere Kate.
"Devi dire a mio padre che mi dispiace. Ora però voglio fare tue passi. Ok?", interrompo la chiamata e con passo veloce taglio per i giardini di tutte le villette del quartiere, evitando così di farmi vedere da Kate.

Sono le tre del pomeriggio del 7 dicembre e non so dove andare.
Una leggera foschia ricopre tutta la città, un freddo vento spira da nord. Se sto troppo in giro rischio di prendere un bel raffreddore, l'unica cosa che posso fare è andare verso il centro e ficcarmi in qualche locale.
Penso subito alla libreria in Olive Street, quella dove ho conosciuto Nik. Lì hanno pure un bar dove posso bermi una tazza di tè caldo. 
Senza perdermi d'animo mi dirigo verso il centro cittadino, evitando di percorrere le vie principali. Allungo di un bel pezzo la strada, ma non mi importa. L'aria fresca mi schiarirà le idee.
Le strade sono piene di persone, molti stanno acquistando i regali di Natale. Le luci e decorazioni dei negozi mi distraggono dai miei pensieri. Mi è sempre piaciuto questo periodo dell'anno, andare a fare compere con i miei genitori era uno spasso, soprattutto perché non erano mai d'accordo su cosa acquistare. Erano capaci di passare mezz'ora per decidere se prendere una cosa piuttosto che un'altra. Mamma e papà discutevano, litigavano, ma alla fine facevano pace. Quei due erano come cane e gatto, ma si amavano così profondamente che non avrebbero mai potuto fare a meno l'una dell'altro. Il passato è passato, è inutile rimuginarci su.

Un gruppetto di bambini corre verso un negozio di giocattoli, decine di studenti universitari passeggiano, diverse famiglie ridono e scherzano, io sono sola. 
Decisa a non farmi venire il magone, mi dirigo verso la libreria. Sto per entrare nel negozio quando noto che sulla porta del negozio è appesa una locandina: PROSSIMAMENTE, al Teatro Comunale di New Heaven, La Bohème.

Le prove! Posso andare a vedere Demetra a teatro.
L'unico problema è che l'ultima volta che l'ho vista stavo urlando in faccia a James.
Forse è una pessima idea... O forse no. Far la pace con lei potrebbe riportarmi il buonumore. Sì, devo chiederle scusa il prima possibile.
Animata di nuovo spirito, mi dirigo verso il Teatro che è poco distante. 
L'edificio è chiuso, questa domenica non ci sono rappresentazioni. Provo a percorrere un vicolo laterale dove trovo un'uscita secondaria del Teatro.

Busso. 
Il portone di ferro rimbomba sotto ai miei colpi, ma non risponde nessuno.
Busso un'altra volta.

Dopo pochi secondi, un uomo con la pelle dipinta di bianco e un vestito sgargiante mi apre: "Che c'è?".
"Sono Elena Voli l'insegnate di Italiano di Mrs Demetra McArthur. Devo assistere alla prova", la mia faccia tosta arriva sempre al momento giusto.
L'uomo mi fissa un attimo, poi mi fa entrare. Il mio accento italiano ha fatto effetto.
"Vai da quella parte, Demetra è nel suo camerino. Non toccare nulla, mi raccomando", il signore corre verso altri attori tutti indaffarati a vestirsi.
Con calma gironzolo dietro alle quinte. C'è un via vai di persone impressionante: tecnici luci, scenografi, costumisti. Una marea di gente indaffarata a creare lo spettacolo.

Per mia fortuna trovo Demetra fuori dal suo camerino.
"Ciao".
"Ciao Elena. Che piacere, non credevo ti avrei vista. Ma la tua festa?", la donna indossa un vestito lungo, d'altri tempi. Una sarta lo sta puntando con degli spilli.
"La festa per il mio compleanno è finita in anticipo... Sono venuta per chiederle scusa, settimana scorsa ho perso le staffe, non dovevo comportarmi in quel modo", sono veramente dispiaciuta.
"Stai tranquilla. Mio figlio a volte fa perdere la pazienza pure a me", Demetra mi accarezza il volto e subito mi sento meglio.
"Lei come sta? Come va la gola?".
"Bene. Stai tranquilla è passato tutto", mi risponde con dolcezza.
"Che ci fai tu qui?", con toni bruschi la Signora McArthur mi saluta. Anche se non vuole dimostrarlo credo sia felice di vedermi.
"Sono venuta per le prove. Le chiedo scusa per...", ma vengo malamente interrotta.
"Niente scuse. Non mi interessano. Adesso sei qui, quindi potrai verificare se mia nuora pronuncia tutto correttamente. L'acustica in teatro è diversa, alcuni difetti potrebbero accentuarsi", la vecchia non mi guarda sta controllando con attenzione il vestito che la sarta sta sistemando a Demetra.
"Vado a sedermi allora", dico già pronta a gustarmi un pomeriggio a teatro.
"Ferma ragazzina. Vedi il palchetto centrale lì in alto? È quello della mia famiglia. Vai pure sopra, io ti raggiungo subito. Così potrò aiutarti a segnare i momenti dello spettacolo da migliorare", mi dice la vecchia.
Senza controbattere prendo un blocco di carta e una penna e mi dirigo al palchetto della Signora McArthur.

Vedere il Teatro senza spettatori fa un certo effetto. Da una parte c'è la frenesia del palco, dove persone corrono da una parte all'altra intente a creare lo spettacolo, dall'altra c'è il silenzio, solo poltroncine vuote. Mi piace poter far parte di tutto questo.

Trovo il palchetto della vecchia dopo qualche minuto. Una targa con inciso McArthur è appeso sulla parete di fianco ad una tenda di velluto bordeaux.
All'interno ci sono quattro sedie dorate, con la seduta in velluto dello stesso colore delle tende e della moquette. Appena mi affaccio mi accorgo che il palchetto è nella posizione centrale, proprio di fronte al palco. Non c'è posto migliore per poter assistere alla rappresentazione.
Come fossi una bimba in un negozio di caramelle inizio a toccare tutto: gli stucchi dorati, le lampade in cristallo, le decorazioni e le passamanerie. Tutto è così bello che non mi sembra vero.

Senza neanche accorgermene l'Opera inizia. Gli attori non indossano i costumi e le scenografie sono provvisorie, la prova di oggi serve proprio a capire come costruire lo spettacolo. A me non importa, avere la possibilità di sbirciare tutto questo, mi basta e avanza.
Il buio della sala, le voci potenti degli attori, le comparse, sono come un grande organismo vivo e pulsante. Sono ipnotizzata, ho la pelle d'oca.

La tenda alle mie spalle si apre.
Mi sposto per far accomodare la Signora McArthur, non vorrei essermi seduta al suo posto. Assistere ad una sua scenata è l'ultima cosa che voglio.

"Ciao".
James si è seduto di fianco a me, lo fisso incredula.
"Che ci fai tu qui?", chiedo.
"Ti ricordo che questo è il palchetto della mia famiglia e inoltre mia madre si sta esibendo", mi dice con ironia.
"Lo so. Intendo dire: Che ci fai qui, visto che ci sono io? Che vuoi?".
James sorride, fissa il palco. Pare ignorami.
"Questa parte è tra le mie preferite. I protagonisti si incontrano per la prima volta. Ascolta", James è assorbito dallo spettacolo, sembra un altro ragazzo. La boria e l'arroganza hanno lasciato spazio ad un James inedito, più calmo.
"Ok", bisbiglio, lasciandomi andare alle melodie e armonie. Le note che raggiungono i cantanti hanno del meraviglioso.

Le ansie provate i giorni scorsi paiono svanire, non ho più voglia di drammi, voglio solo godermi lo spettacolo. Non ho più voglia di litigi, sotterfugi. Voglio semplicità, voglio chiarezza. Ne ho bisogno.

"Come è andata la tua festa?", mi chiede James a bassa voce mente lo spettacolo continua.
"Ho litigato con mio padre proprio mentre stavamo per tagliare la torta", dico con tutta la sincerità che ho in corpo.
"Quindi non hai aperto neanche i regali?".
Faccio cenno di no con la testa: "Non mi importano molto, cioè sono felice di riceverli, ma non sono la cosa fondamentale".
"Aspetta un attimo", James corre fuori dal palchetto come una furia.
Dopo qualche minuto ritorna. Ha il fiatone.
Mi prende per mano e mi fa sedere per terra, sulla moquette dietro alle sedie.
"Che fai?", gli chiedo confusa.
"Meglio non rischiare, non voglio creare problemi", James toglie dalla tasca una merendina confezionata, la scarta. La appoggia su un tovagliolino di carta, poi prende un fiammifero e lo accende. Infilza il fiammifero nella merendina e fissandomi negli occhi mi sussurra: "Soffia. Esprimi un desiderio".

Sono senza parole. Il cuore batte fortissimo, le lacrime mi inumidiscono gli occhi, ma non sono triste. Stare lì al buio, illuminata da quella flebile luce con in sottofondo l'Opera cantata dal vivo è una sensazione indescrivibile.

"Co-cosa?", balbetto.
"Soffia, così i tuoi desideri si realizzeranno", mi ripete dolce James.
Con forza soffio e spengo il fiammifero.

Nello stesso istante, chiudo e gli occhi ed esprimo un desiderio. 
Penso all'unica cosa che voglia in quel momento.

"Non puoi dirmi a cosa hai pensato, altrimenti non si avvererà", mi dice James mentre toglie il fiammifero spento dal dolcetto. Con le mani fruga tra le tasche, toglie un pacchetto di sigarette e una scatola di fiammiferi, "Credo che questi non vadano bene come regalo".
Sorrido divertita: "Con una torta così preziosa non posso aspettarmi che un regalo altrettanto bello".
James mi fissa. Mi guarda come non ha mai fatto. Mi scruta, mi osserva come se cercasse di capirmi, di leggermi il pensiero. Come se volesse capire chi sono.
I suoi occhi verdi si illuminano: "Che ne dici di questo, ti può piacere come regalo?".

James si avvicina al mio volto con delicatezza. Per qualche secondo la sua fronte è appoggiata alla mia, i nostri nasi si sfiorano. Il mio respiro aumenta, il battito del mio cuore raggiunge livelli mai provati prima. 

"Tanti auguri Elena", James non aveva mai pronunciato il mio nome prima di adesso.

Le sue labbra si posano sulle mie. Una. Due. Tre volte.
Come un fiume che travolge gli argini, le nostre bocche si fondono. Le mie mani afferrano la testa di James, le sue circondano la mia vita. Senza smettere di baciarci ci stringiamo una all'altro desiderando solo che quel momento non finisca mai.
È come se una tensione provata per mesi si sciogliesse, come se quello fosse il perfetto antidoto al mio malumore. 
Calore. 
Sospiri.
Pelle.
Desiderio.

"Elena. Elena. Elena", James pronuncia il mio nome con una dolcezza disarmante, con la mano mi accarezza i capelli.
"James. Io... Io... Non credevo", ad un centimetro dal suo volto bisbiglio parole senza senso.
"Come no? Appena ti ho visto sono come impazzito. Sei stata il mio imprevisto... La mia neve", mi dice mentre mi bacia il collo, "La mia neve in un giorno d'estate".

Le sue labbra raggiungono le mie ed è come se perdessi me stessa in un oceano di desiderio, come se il mio corpo vibrasse. Nessun bacio è mai stato così intenso e desiderato. Voglio baciarlo per sempre, provare quella pace nel cuore ogni istante della mia vita. 
Voglio James.
Vorrò James per sempre.
 
   
 
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