Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Christine Enjolras    26/03/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Courfeyrac

Si era fatta l’una e mezza e, finalmente, il pranzo era pronto per essere servito. Quando Courfeyrac si avviò verso il suo posto, all’appello mancavano ancora Grantaire, che stava sistemando le ultime cose in cucina, Marius, Combeferre e Enjolras. Il ragazzo dalle orecchie a sventola si sedette sulla sua solita sedia, vicino alla finestra, accanto a quella destinata ad Enjolras, e iniziò a chiedersi che fine avesse fatto il biondo capo: non si era ancora fatto vivo. Di fronte a lui, Bahorel era già seduto con gli occhi fissi su un quotidiano. Accanto al robusto ragazzone, Jehan si era fatto dare la pagina dei giochi e stava completando un cruciverba. Alla sinistra di Courfeyrac, oltre la sedia che ultimamente occupava Marius, Joly e Bossuet parlavano sottovoce: sembrava stessero quasi discutendo a giudicare dalle loro espressioni. Courfeyrac dovette ammettere di essere incuriosito: non capitava spesso che i due ragazzi litigassero; anche Bahorel, di tanto in tanto, alzava gli occhi dorati dalla pagina sportiva chiedendosi cosa stesse accadendo. Lui e Courfeyrac, qualche volta, si lanciavano occhiate perplesse per poi tornare a fissare la coppia, tentando di capire di cosa stessero parlando. Ad un certo punto, il volume della voce di Joly si alzò leggermente, facendo udire a Courfeyrac le sue parole. “Non cercare di sdrammatizzare la cosa!” disse il ragazzo dai piccoli occhi verdi. “Sai bene che per me è importante: perché devi sempre prendere sotto gamba le cose?!”

“Tesoro, non è la fine del mondo” disse Bossuet, col tono di chi cerca di far ragionare qualcuno. “Puoi aspettare ancora un po’: non stai morendo.”

“Una cosa ti ho chiesto di fare: una soltanto!” disse Joly facendo segno con l’indice. “E tu te ne sei dimenticato perché, come sempre, mi giudichi catastrofista!” Il volume della sua voce si alzava ad ogni parola che pronunciava.

“E questa cosa da dove salta fuori, adesso?” disse Bossuet scioccato. “Non ho mai detto che sei catastrofista!”

“Ah no?!”

“Assolutamente no! Che tendi ad esagerare su certe sciocchezze a volte l’ho detto, ma…”

“Lo vedi?!” lo interruppe Joly ad alta voce. Stavolta persino Jehan alzò lo sguardo, distogliendo l’attenzione dal suo cruciverba.

“La coppietta felice litiga?” disse Grantaire soprpreso, sbucando dalla porta della cucina: indossava un buffo grembiule a fiori e quell’immagine a Courfeyrac fece venir da ridere, ma vista la situazione non gli sembrò il caso di lasciarsi andare. Bahorel, continuando a leggere, gli fece segno di sì alzando il pollice con la mano in alto, senza modificare nemmeno di un soppracciglio l’espressione menefreghista che aveva. Grantaire guardò il muscoloso ragazzo con occhi pieni di stupore e Courfeyrac si trovò d’accordo con la sua meraviglia. Poi, Grantaire si lasciò sfuggire un risolino di incredulità e i suoi occhi si fissarono sulla coppietta; scosse la testa abbassando lo sguardo e, ritornando ai fornelli per ultimare il pranzo, disse sospirando: "Eeeeeeeh! Questa è la settimana degli eventi straordinari, è proprio il caso di ammetterlo!”

“Non dovrei forse pensare che sei esagerato?” disse Bossuet in modo strano: si vedeva che si stava arrabbiando, ma sembrava stesse cercando di mantenere la calma. “Guarda come stai reagendo adesso!”

“Non ti viene mai in mente che, forse, sei anche tu che minimizzi troppo?!” A giudicare dal tono della sua voce, sembrava che Joly stesse per mettersi ad urlare. Non era da loro litigare in pubblico: Courfeyrac iniziò a chiedersi se si fossero accorti della presenza del resto del gruppo.

Courfeyrac vide Jehan chiedere qualcosa a Bahorel preoccupato, mentre quest’ultimo, impassibile, continuava a fissare il giornale: Courfeyrac notò che era da un po’ che il ragazzone non si girava più verso la coppietta. “Nah! Vedrai che non durerà molto!” disse ad alta voce Bahorel, senza spostare gli occhi dall’articolo che stava leggendo.

“Joly, per favore: calmati!” disse Bossuet mettendogli una mano sulla spalla.

“No!” disse Joly, spingendo via violentemente la mano del suo ragazzo. “Sapevi che per me era importante, eppure hai preferito fare di testa tua! Hai pensato bene che fosse una visita inutile e quindi non hai chiamato!”

“Non farne una tragedia: puoi chiamare domani!”

“Sì, così la visita me la metteranno tra mesi!” si infervorò Joly: Courfeyrac non ricordava di averlo mai visto perdere la calma a quel modo. “Ti avevo chiesto di chiamare per confermare al posto mio, visto che ero occupato! Adesso chissà tra quanto mi daranno un appuntamento!” Quando Joly finì di parlare, ci fu una lunga pausa di silenzio, durante la quale, Marius entrò nella stanza.

“Scusate il ritardo!” disse un po’ affannato. “Mi sono dato una lavata e ho…” vedere la coppietta guardarsi con espressioni litigiose doveva averlo fatto rimanere senza parole. Il ragazzo lentigginoso andò a sedersi, guardando i due ragazzi confuso. “Che succede?” sussurrò a Courfeyrac.

“Litigano, ma non ho ben capito per cosa” disse Courfeyrac in un bisbiglio. “Pare che Bossuet si sia scordato di confermare una visita medica per Joly, o così credo.”

“Litigano da molto?”

“Un po’” confessò Courfeyrac. Poi si protese verso Marius e gli disse: “Ma secondo Bahorel non durerà molto, e io penso abbia ragione.”

Bossuet, probabilmente sorpreso e dispiaciuto insieme per essere stato respinto, si voltò verso gli altri ragazzi e li guardò uno ad uno senza parole. Quando incrociò lo sguardo di Courfeyrac, il ricciolino non seppe che dire e si limitò a fare spallucce al suo amico. Bossuet fissò per un attimo il vuoto, quasi stesse pensando al da farsi; poi si sporse verso il suo ragazzo e disse teneramente: “Dai non fare così…”

Joly si spostò verso la sua destra, lontano da lui, senza degnarlo di uno sguardo. “Stammi lontano: nel caso non lo avessi notato sono arrabbiato con te sul serio!”

“No, non è vero.”

Gli occhi di Joly si spalancarono per l’indignazione: il ragazzo si voltò di scatto verso Bossuet e, alzando la voce, disse: “Ah, bene! Adesso mi leggi pure nel pensiero?!”

“No” disse Bossuet scuotendo la testa. Poi lo guardò fisso per qualche secondo, iniziò a sorridere e proseguì: “Ma credo di conoscerti abbastanza bene per mettere fine a questo litigio.”

Joly rimase a fissarlo con occhi pieni di rabbia, ma non durò molto: Bossuet si avvicinò lentamente al suo viso e il ragazzo dai folti capelli castani non si spostò, dando l’impressione di voler vedere cosa avesse in mente il suo ragazzo. Tuttavia, il suo sguardo iniziava ad intenerirsi e, nel vedere Bossuet avvicinarsi, sembrava quasi essere rimasto senza fiato. Alla fine, Bossuet scostò la testa e iniziò a baciarlo sul collo. Joly rimase impassibile qualche secondo, poi disse: “Credi davvero di comprarmi così?” C’era una leggerissima esitazione nella sua voce: Courfeyrac riusciva a vedere che stava già iniziando a cedere. Si voltò verso Marius e lo guardò sorridendo, alzando le soppracciglia per dirgli ‘Ecco: guarda che fanno pace!’

“Ma io non voglio comprarti” disse Bossuet senza smettere di baciarlo e allungando una mano sulla gamba di Joly.

Joly ebbe un leggerissimo sussulto, poi disse: “E… e questo come lo chiami?”

Bossuet alzò lo sguardo dritto nei suoi occhi e lo baciò. “Lo chiamo offerta di pace” disse quando le loro labbra si staccarono. Poi passò la mano che teneva sulla sua gamba dietro la sua testa, la tirò a sé e gli disse: “Prendere o lasciare.” Bossuet lo baciò di nuovo, ma stavolta Joly parve rispondere al bacio, facendo capire a tutti che si era arreso. “Mi spiace di essermi scordato di chiamare” si scusò Bossuet, appoggiando la sua fronte a quella di Joly e accarezzandogli la nuca. “Mi perdoni?”

Joly alzò lo sguardo verso di lui, ma non rispose. Quando Bossuet gli sorrise, tuttavia, non riuscì a non lasciarsi andare e gli saltò al collo. Il ragazzo pelato lo tirò a sé e, nel fare ciò, lo portò a sedere sulle sue ginocchia, mentre avvolgeva le sue braccia robuste attorno all’esile corpo di Joly. Il ragazzo castano allontanò la testa, in modo da poterlo guardare negli occhi, e disse: “Non te la caverai per sempre così, però.”

Bossuet si lasciò scappare una risata e, avvicinando nuovamente il suo viso a quello di Joly, gli disse: “Questo lo dici tu, amore mio!”

“Buongiorno a tutti” disse una voce maschile dal suono gentile proveniente dal corridoio. Enjolras entrò nella sala comune assieme a Combeferre: finalmente si era fatto vivo!

“Ehi, bello addormentato!” disse Bahorel, guardandolo entrare e alzandosi in piedi per salutarlo. Poi tese la mano verso di lui e aggiunse: “Buongiorno!” Enjolras andò verso di lui e gli strinse la mano: Courfeyrac aveva imparato che se quel bestione salutava qualcuno a questo modo era segno che provava per questa persona una certa stima.

“Scusate se mi faccio vivo solo ora” disse il biondo leader, appoggiando l’altra mano sulla spalla di Bahorel. “È stata una notte un po’ inquieta… poi ho ricevuto una chiamata che mi ha trattenuto più del previsto.”

“Nah, vai tranquillo!” disse Courfeyrac, sapendo esattamente con chi aveva parlato al telefono. “L’importante è che sia tutto ok…” Courfeyrac lo sperava sinceramente, ma sapeva che la risposta che Enjolras stava per dargli poteva non essere quella che avrebbe voluto sentire.

“Sì, nessun problema.” Ecco. Come temeva, Enjolras voleva evitare il discorso: il ragazzo dalle orecchie a sventola poteva percepirlo dal tono della sua voce. Mentre il biondino prendeva posto a tavola, Courfeyrac lanciò un’occhiata a Combeferre e dallo sguardo che l’amico gli mandò in risposta capì che aveva ragione a dispiacersi.

“Mi sono perso qualcosa, stamattina?” disse Enjolras alzando lo sguardo verso gli altri.

“Dunque, vediamo…” iniziò a ragionare Courfeyrac, alzando lo sgardo verso il soffitto come se vi ci fosse scritto qualche suggerimento. “Jehan era un po’ inquieto, ma ci ha pensato Combeferre, Marius è andato a messa…” disse guardando storto il ragazzo lentigginoso, “… e Bossuet e Joly hanno appena finito di litigare.”

“Cosa? Perché?” chiese Combeferre voltandosi verso di loro. Si era appena sistemato sulla sedia quando aveva sentito questa notizia. Courfeyrac si girò a guardarlo e notò che anche Enjolras sembrava incuriosito, nonostante fosse più tranquillo del suo compagno di stanza.

“Nulla di grave, tranquillo” disse Bossuet con Joly ancora seduto sulle sue ginocchia. “Adesso è tutto risolto.”

“Ok, gentaglia!” disse ad alta voce Grantaire uscendo dalla cucina con una grossa pentola che teneva per i manici con due strofinacci da cucina. “Il pranzo all’italiana è pron…” si interruppe: la sua attenzione sembrava esser stata attirata da qualcos’altro. Sul suo viso apparvero prima due occhi sorpresi e poi un sorriso un po’ imbarazzato. “Ah… buongiorno, piccolo.”

“Ciao, Grantaire” Enjolras gli sorrise timidamente.

“Jehan ci ha detto che eri da lui stanotte… spero ti sia riposato abbastanza ora…” Il ragazzo dai capelli neri aveva stampata in volto quella sua tipica espressione tra la felicità e la timidezza che Courfeyrac gli aveva visto fare tante volte, ma che non aveva mai compreso.

“Sì, più o meno…” ammise Enjolras. “Ma non preoccuparti per me, davvero.”

Bahorel si girò verso Grantaire, sgranò gli occhi e scoppiò a ridere. “Mi dicono che sei proprio l’emblema della virilità con quello addosso!” disse ironico, quasi senza fiato per il troppo ridere. Grantaire sembrò come destarsi da un sogno e, allontanando il grande tegame da sé, si guardò. Sembrò realizzare solo in quel momento di aver ancora addosso quell’imbarazzante grembiule a fiori e parve anche sentirsi un pochino a disagio sotto gli sguardi del gruppo. Anche agli altri ragazzi scappò da ridere, allora Grantaire alzò i grandi occhi azzurri verso di loro, andò a poggiare la pentola in mezzo all’ampio tavolo rotondo e si mise in posa, quasi stesse sfilando in passerella.

“Non tutti portano bene la fantasia floreale come me!” disse partecipando al gioco mentre cambiava posa.

“Credevo che il floreale fosse una mia prerogativa!” disse Jehan ridendo: sembrava che questa volta avesse capito lo scherzo.

Grantaire lo guardò con uno sguardo un po’ vanitoso: si capiva che stava parodiando le top model. Fece uno strano movimento veloce con la testa, quasi dovesse dare un colpo di frusta coi capelli, e, guardando verso l’alto, disse melodrammaticamente: “Non più!” Poi fece una giravolta degna di una modella professionista, per farsi ammirare a trecentosessanta gradi, portò tutto il peso su un piede, poggiò una mano sull’anca e, portando l’altra dietro la testa, disse: “Il rosa mi dona in modo particolare!”

“Certo!” riprese Bahorel, che nel frattempo si era appoggiato con il braccio allo schienale della sua sedia in modo da tirarsi indietro e vedere meglio l’amico. “Vantati pure di questa cosa!”

“Tu sei solo gelòsso!” disse Grantaire sorridendo e passandogli una mano leggeremente a peso morto sul braccio, mantenendo una posa da donnicciola e lo sguardo effemminato.

“Sì, guarda! Rosico per l’invidia!” gli rispose Bahorel ironico. Courfeyrac notò che tutti stavano ridendo: persino Combeferre non riusciva più a trattenersi. Poi il suo sguardo si posò su Enjolras e lo vide limitarsi a sorridere nel guardare la scena: questo fece dispiacere ancora di più il ricciolino. Lui e Enjolras erano diventati ottimi amici: a loro bastava poco per comprendersi a vicenda, e in quel suo comportamento Courfeyrac riusciva a intravedere che qualcosa lo stava intristendo molto. Fin dal primo giorno aveva capito che qualcosa nella vita privata del biondino non andava, ma ammirava incredibilmente il modo in cui quel ragazzino sembrava tenersi dentro ogni dolore pur di non dare questo peso agli altri ragazzi. Era sempre pronto a prendersi addosso il peso del mondo senza mai volere che gli altri facessero lo stesso con lui, e Courfeyrac lo rispettava molto per questo. In più di un’occasione avrebbe tanto voluto chiedergli cos’era successo, ma sapeva benissimo che non avrebbe risolto nulla. Tuttavia, volle ricordargli che per qualsiasi cosa poteva contare su di lui, come sempre: alzò il braccio e mise la mano su quella del biondino, stringendola. Enjolras guardò verso la sua mano confuso, poi guardò verso il viso di Courfeyrac e, nel vederlo sorridergli, il suo sguardo si addolcì; sorrise in risposta e mise la mano destra su quella del suo amico, carezzandola leggermente. Courfeyrac sapeva che questo gesto era una risposta al suo messaggio: così facendo, Enjolras gli stava dicendo ‘Lo so che per me ci sei: grazie’, Courfeyrac ne era certo. Combeferre sembrò notarli e mise una mano sulla spalla di Enjolras, il quale si girò di scatto verso di lui. Courfeyrac lo intravide sorridere e passare la mano destra su quella di Combeferre.

Ricordava ancora il giorno in cui lui e Combeferre erano riusciti a entrare in confidenza con Enjolras: i due ragazzi, che al tempo avevano iniziato il secondo anno da un paio di mesi, stavano passando nel corridoio, quando avevano sentito il rumore di vetro rotto provenire dalla stanza di Combeferre. Il ragazzo dai capelli biondo rame, spaventato, aveva aperto di scatto la porta e i due avevano visto la finestra scheggiata; poco più sotto, Enjolras era piegato a terra in mezzo ad alcuni pezzi di vetro e si reggeva la mano destra in una stretta tremolante. Entrambi erano corsi da lui preoccupati, chiedendogli cosa fosse accaduto e come stesse, senza però ottenere alcuna risposta da lui. Combeferre aveva preso Enjolras per le spalle per tirarlo verso di sé: a Courfeyrac era sembrato che il tronco del ragazzo cadesse a peso morto sulle sue stesse gambe, quasi non avesse più forza per restare rigido. Nell’allontanare il suo busto dal resto del corpo, Courfeyrac e Combeferre avevano notato che la mano destra di Enjolras, lasciata a peso morto sulle gambe, era grondante di sangue e l’avevano subito fasciata come meglio riuscivano per portarlo in fretta al pronto soccorso. “Non dite niente agli altri, per favore!” era stata l’unica cosa che Enjolras aveva detto: così, i due ragazzi gli avevano fatto da scudo passando per il corridoio, dicendo a tutti ‘Non preoccupatevi, non è niente.’ Una volta arrivati in ospedale, Claude, il fratello maggiore di Combeferre, aveva estratto le schegge e curato i tagli, poi aveva fatto sdraiare Enjolras, visto che il ragazzo aveva avuto dei leggeri mancamenti per la perdita di sangue. Mentre gli stavano facendo compagnia, i due ragazzi si erano fatti spiegare cosa fosse successo, cosa lo avesse spinto a quel gesto: ad un certo punto del racconto, ad Enjolras la voce si era spezzata in gola e delle timide lacrime aveva iniziato a scendergli dai luminosi occhi azzurri lungo le guance, interrompendo lì la sua storia. Courfeyrac ricordava di essere rimasto a guardarlo senza sapere cosa dire, mentre Combeferre, evidentemente dispiaciuto, non era riuscito a trattenersi: si era seduto accanto a lui sul lettino e lo aveva avvolto in un grande abbraccio, portando la testa del biondo ragazzino al suo petto. Enjolras, davanti a quel gesto, era rimasto colpito, forse un po’ imbarazzato. Ma gli abbracci hanno lo strano potere di far uscire tutte le emozioni che una persona prova: così, alla fine, Enjolras aveva portato le sue braccia attorno all’addome di Combeferre ed era scoppiato a piangere, stringendosi a lui. Davanti a quella scena, Courfeyrac si era sentito in dovere di intervenire e, sedutosi dall’altra parte di Enjolras, gli aveva messo una mano sulla spalla e l’altra sul braccio, accarezzandoglielo dolcemente per consolarlo. Quella era stata la prima ed unica volta in cui Courfeyrac aveva visto Enjolras piangere.

“Vado di là per il cambio d’abito e torno!” disse Grantaire con la vocetta da trans che aveva usato anche prima, riportando il trio di amici alla realtà. “E tu non sbirciare, furbacchione!” disse Grantaire a Bahorel fingendo una certa riservatezza.

“Credimi: non ci tengo!” aveva risposto il ragazzone ridendo. Grantaire tornò in cucina sculettando per levarsi il grembiule di dosso. Quando tornò indietro, finalmente poterono pranzare.

 

Finito di lavare i piatti, Courfeyrac tornò nella sala comune e vide che ognuno si stava facendo gli affari propri: Enjolras, seduto sul davanzale della finestra, stava parlando con Feuilly, che, arrivato da pochi minuti, era in piedi davanti a lui; Bossuet e Joly erano usciti nel corridoio e stavano parlando al telefono con una ragazza; Combeferre e Jehan stavano guardando un documentario sul computer del primo; Bahorel, Grantaire e Marius, invece, stavano guardando la televisione e commentavano. Quella scena fece crescere in Courfeyrac un certo senso di noia e di tristezza insieme: avrebbe voluto passare il pomeriggio a fare qualcosa… ma cosa?

Intristito, guardò svogliatamente lo schermo della tv: i tre ragazzi stavano guardando una di quelle partite poco importanti che vengono mandate in onda su quei canali che danno solo sport. Questo gli diede un’idea.

“Andiamo al parco!” gridò al resto del gruppo Courfeyrac.

“Che?” disse Combeferre alzando lo sguardo dal computer.

“Ricordate che dicevo che sarebbe carino passare il pomeriggio tutti insieme?!” disse Courfeyrac correndo verso di lui e ribaltandosi dall’altra parte del divano. “Andiamo a giocare a pallone!”

“Quando hai proposto di fare qualcosa?” chiese Enjolras incuriosito. Sembrava quasi avesse l’impressione di essersi perso qualche passaggio durante il pranzo.

“Stamattina: tu ancora dormivi” gli rispose subito Courfeyrac. “Dai, ci andiamo? Ti prego! È pure spuntato il sole!”

“Non devi chiederlo solo a me. Se vuoi davvero giocare a calcio, devono essere d’accordo anche gli altri.”

“Hai detto calcio?!” disse una vocina acuta proveniente dal corridoio: Gavroche stava sulla porta e guardava Enjolras con occhi spalancati. Dietro di lui, Joly sembrava essersi accorto che nella sala i ragazzi stavano parlando di qualcosa. “Voglio venire anch’io!” urlò Gavroche gettandosi addosso a Courfeyrac.

“Grande, piccolo uomo!” disse contento il ragazzo dai riccioli scuri prendendo in braccio il piccolo Gavroche. Poi si sedette composto sul divano, mise Gavroche sulle sue ginocchia e disse: “Dai, andiamo?”

Combeferre lo guardò un po’ perplesso e disse: “Io non impazzisco per lo sport…”

“È solo una partita tra dilettanti: non puoi esattamente definirla sport. Jehan? Feuilly?”

“A me andrebbe di fare qualcosa tutti assieme…” disse Jehan, voltandosi verso Enjolras, quasi cercasse una conferma.

“Anche a me!” affermò sorridente Feuilly. “Vivendo da Fauchelevent, passo così poco tempo con voi, che l’idea non mi spiace.”

“Joly?”

“Non lo so, Courfeyrac…” disse Joly ancora più perplesso di quanto non lo fosse stato Combeferre. “Ci sarà il fango, l’erba sarà bagnata e l’aria è piuttosto fredda… contando che suderemmo, non sono esattamente delle buone condizioni in cui giocare…”

“Noi ci siamo!” disse Bossuet, avvolgendo le spalle del suo ragazzo con un braccio. “I nostri impegni sono ufficialmente saltati a causa del capo di Musichetta, quindi non vedo impedimenti!”

Joly sembrò scioccato nel sentire che Bossuet aveva deciso anche per lui. Courfeyrac, Bossuet e Gavroche restarono a fissarlo supplichevoli e Joly, sentendosi quegli sguardi pressanti addosso, li guardò uno per uno. Quando incrociò gli occhi di Bossuet rimase a guardarlo e disse, sospirando:    “E va bene, d’accordo!”

“Evvai!” urlò Courfeyrac emozionato. “E voi tre?” Bahorel, Grantaire e Marius erano troppo assorti nella partita per accorgersi che Courfeyrac stesse parlando con loro, quindi il ragazzo mise Gavroche sulle ginocchia di Combeferre, si alzò, e si mise davanti al televisore.

“Levati” si limitò a dirgli Bahorel, steso sul divano.

“No.”

“Scusami?”

I due ragazzi si stavano guardando negli occhi, fissi, senza cambiare espressione. “Ti serve qualcosa, Courfeyrac?” chiese Marius, attirando l’attenzione su di sé. “Scusaci: eravamo distratti.”

“Stavamo pensando di andare a giocare a pallone” gli rispose Courfeyrac sorridendo. “Venite anche voi?”

Grantaire fece spallucce e non si espresse. Marius sembrò per un attimo sovrappensiero, poi sorrise, alzò lo sguardo verso Courfeyrac e disse: “Io ci sto.”

A quel punto, gli sguardi di tutti si fissarono su Bahorel: il ragazzo dagli occhi dorati, sdraiato con le mani dietro la testa, non spostò lo sguardo dal pezzetto di televisore che riusciva a vedere dietro Courfeyrac, ma rispose: “Io la partita sto cercando di guardarla in TV.” Sembrava quasi che sapesse che tutti stavano guardando lui. Courfeyrac, senza lasciarsi minimamente spazientire, prese il telecomando dalle sua mani e spense il televisore. “EHI!” si ribellò Bahorel.

“Ora non più!” disse Courfeyrac nascondendo il telecomando dietro la sua schiena. “Dai, andiamo!”

“Ridammelo subito.” Il tono calmo che usò Bahorel fu terrificante: nemmeno quando si arrabbiava riusciva ad essere più spaventoso rispetto a quel momento.

Tuttavia Courfeyrac, nonostante fosse spaventato, non si permise di cedere. “NO” gli urlò deciso per non lasciar vedere che se la stava facendo sotto. “È una partita poco importante! Non hai bisogno di guardarla!” Bahorel sembrò irarsi: restò a guardare Courfeyrac con occhi indignati, pieni sia di rabbia che di sorpresa. Sembrava stesse per alzarsi per riprendersi il telecomando; invece chiuse gli occhi, si appoggiò al cuscino ridacchiando per il nervoso, quasi si stesse costringendo a restare calmo, e disse: “Come ti pare!”

“Davvero?” chiese Courfeyrac incredulo.

“Sì” ammise Bahorel. “Non mi va di stare a discutere: so che insisteresti anche se ti facessi un occhio nero e il labbro gonfio. Per cui accetto e finiamola subito.”

Courfeyrac non riusciva a crederci. “Evviva!” si lasciò scappare eccitato.

Grantaire si voltò verso Enjolras e gli disse: “La decisione finale spetta a te, biondo leader.”

Enjolras guardò i ragazzi uno a uno: a quanto pare, Courfeyrac era davvero riuscito a convincere tutti tranne Combeferre. Enjolras guardò dritto i suoi occhi verdi e Courfeyrac sapeva che lo stava interrogando, come se gli stesse dicendo ‘se tu non sei d’accordo, non andiamo.’ Combeferre doveva aver capito, perché sospirò, sprofondò nel divano, sorrise ad occhi chiusi e alzo le mani come segno si resa. Solo allora Enjolras si pronunciò: “E va bene: andiamo.”

   
 
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