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Autore: BrownRabbit    28/03/2017    4 recensioni
"Skinny love" viene usato per indicare un tipo di relazione fra due persone innamorate, o che hanno una cotta l'una per l'altra da tanto tempo, ma sono troppo imbarazzate per esprimere i propri sentimenti. La relazione è "skinny" perché devono ancora esternare e spiegare ciò che provano. Non vi è comunicazione, per questo non si può definire davvero come relazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Anthony Edward Stark amava l’alcool. Amava il sapore di ogni bevanda con gradazione presente negli scaffali dell’angolo bar di Villa Stark -di conseguenza ogni bevanda esistente- e come gli alleggeriva la testa. Il suo quinto o sesto bicchiere –non ricordava bene- era stata la parte migliore di tutta la giornata precedente.
Anthony Edward Stark odiava il mal di testa, però, e dimenticare cosa fosse successo la notte prima. La seconda parte non era così terribile quando si svegliava nel suo caldo letto a due piazze, ma quando aveva sentito l’angolo del materasso ed aveva fatto un giro su se stesso per andare al centro - così da dormire ancora un po’ senza rischiare di cadere- ritrovandosi all’altro angolo decise che era una di quelle volte dove tutto il post sbornia era abbastanza orribile da convincerlo a non bere più così tanto.
Doveva riprendersi, capire dove si trovasse e che diavolo di giorno fosse.
Cercò di tirarsi seduto con molta calma. Ogni secondo era riempito da almeno venti colpi di martello pneumatico nella testa, dopo ogni singolo movimento doveva fermarsi per un attimo.  
Fortunatamente dalla tapparella bucherellata entrava un po’ di luce dando la possibilità a Tony di vedere e distinguere oggetti. C’era un orologio sul comodino a destra del letto. Segnava le nove passate di Venerdì.
Venerdì?!
Era fritto.
Il suo sguardo fu successivamente catturato da una foto accanto ritraente una giovane donna con in braccio un bimbo biondo di massimo tre anni. Troppo piccolo per poterlo riconoscere, ma la madre aveva un aspetto familiare e trasalì appena riuscì a collegarla ad un nome. Doveva andare via da lì.
Si alzò di scatto dal letto, pentendosene poco dopo. Ricordava poco i mix fatti la sera prima, ma doveva esserci davvero tanta vodka. Appoggiò una mano al muro per tenersi su mentre l’altra andava a reggere la testa, sembrava pronta ad esplodere da un momento all’altro e gli veniva difficilissimo concentrarsi per mettere a fuoco gli oggetti. Dopo qualche secondo di ripresa riuscì ad individuare jeans e giacca sulla sedia. Poteva farcela, doveva solo fare un passettino alla volta, con molta, molta calma.
 
 
 
Steven Grant Rogers odiava dormire male. Svegliarsi la mattina poco riposato comportava un atteggiamento tra il nervoso e lo stressato. Il top quando si ha uno Stark per casa. Comunque, dopo averlo maledetto una dozzina di volte per il mal di schiena che i cuscini del divano gli avevano causato era riuscito ad uscire dalla camera con in mano colori e tavoletta e sotto il braccio destro una tela.
Steven Grant Rogers amava disegnare, era una delle due cose che lo rilassava maggiormente. L’altra era suonare, ma non era il caso visto l’ospite imprevisto. Amava tracciare linee e colore, vederli fondere tra loro e portare alla luce ciò che aveva in testa. Era un po’ come sistemare tutto quel casino, placarlo per più di qualche attimo. Si fondeva con quella tela, completamente.
Però quella volta qualcosa lo teneva sull’attenti. Sapeva che da un momento all’altro sarebbe spuntato Tony dal corridoio e prendere un colpo con il pennello in mano non era il caso. Rovinare quel dipinto era l’ultima cosa che voleva.
«Non dovresti essere a scuola?» Ringraziò di averlo fatto, altrimenti non avrebbe sentito i passi di Stark ed addio regalo.
«Buongiorno anche a te.» Indicò il caffè pronto. «Lì c’è del caffè e sul tavolo un bicchiere con l’aspirina in parte.»
Tony serrò le labbra rendendole una linea sottile, avrebbe voluto rispondere di non necessitare dell’aspirina, ma in quel momento la bramava più del caffè e fu la prima cosa che prese causando una risatina soffocata a Steve, il quale si beccò un’occhiata fulminante. Non ci fece caso, tanto.
Gli unici suoni che riempirono la stanza per un po’ furono quelli causati da Stark mentre si riempiva la tazzona. Rogers gli aveva fatto una dose per cinque persone, se non fosse stato tanto occupato a ricordarsi di non avere una cotta per lui l’avrebbe baciato.
Al biondo piaceva quel silenzio, riusciva a concentrarsi meglio sul dipinto.
Al moro dava fastidio, voleva collegare un po’ di tasselli e capire com’era arrivato fin lì senza far partire da lui la conversazione. Forse iniziandone una caso sarebbero arrivati a parlare di quello, un po’ come quando parti discutendo su che sugo è meglio per la pasta e finisci su quale Tomb Rider sia migliore.
Si posizionò dietro Steve, appoggiandosi con la schiena al mobile ed osservando il disegno. Era bravo, davvero.
«Mi faresti un ritratto?»
Addio tranquillità; addio concentrazione; addio tutto. Rogers fermò il pennello, chiuse gli occhi e prese un bel respiro prima di rispondere.
Odiava quella domanda dalla prima volta che l’aveva sentita, tipo a dodici/tredici anni. A parte il fatto che la maggior parte considerava il pagamento richiesto da tirchio egoista –anche se era giusto quello che serviva per un panino alla mensa- odiava proprio fare ritratti: riuscivano sempre a trovare un difetto; richiedevano mille cambiamenti; era una perdita di tempo allucinante ed erano incredibilmente anonimi –nessuno amava che venisse aggiunto un particolare a caso.
«Odio i ritratti.»
Tony annuì mentre sentiva già il suo obbiettivo andare in fumo e l’ansia di ricadere in un silenzio assordante prendere possesso del suo stomaco. Stava per succedere come quel giorno in coda per le donuts, non voleva cercare ogni volta un discorso, vederselo tranciare di botta e rimanerci male. Soprattutto non voleva rimanerci male.
«Potrei inserirti in qualche paesaggio, però quando inizierai ad essere più simpatico.»
Stark sorrise giusto il tempo di accorgersene e prendere possesso della sua espressione.
Non hai una cotta per Rogers.
«Sono il Re della comicità, caro Rogers.» Questo scosse la testa con un sorriso divertito in volto.
«Grazie al cielo non mi chiami più Stebe
Boom. Le guance di Tony diventarono due bei pomodori maturi. Iniziava a pensare di aver fatto un disastro, combina sempre disastri quando beve troppo. Di solito qualche banconota sottobanco sistema tutto, ma questa volta era abbastanza sicuro sarebbe servito a poco anche solo tentare. Si trovava in bilico. Se avesse chiesto sarebbe apparso come un povero ragazzo speranzoso di avere ancora un po’ di dignità; se non avesse chiesto i dubbi gli avrebbero tartassato il cervello per giorni e giorni, rischiando anche un lieve livello di paranoia.
Odiava quelle situazioni, un giorno sarebbe riuscito ad affrontarle in modo diverso. Solo che, miseriaccia, non era quello il giorno.
Intanto Steve era tornato a passare il pennello sulla tela totalmente impassibile. Giusto, così l’ansia di Tony non aumentava. Nono.
Doveva trovare qualcosa da dire per tornare sull’argomento, subito.
«Stebe è un bellissimo soprannome.» Che genio. Però aveva fatto ridere un po’ Steve.
«Lascio che poche persone storpino il mio nome, Stark. Indovina chi.»
Rimase in silenzio, arricciando la bocca di lato. Gli piaceva scherzare con lui e l’atmosfera che si stava creando, quindi decise di lasciare da parte il buco nero dei ricordi per concentrarsi su quel momento.
«Allora lascia “Stebe” prenotato per quando entrerò nella tua cerchia.» Uno scuotere di testa bionda ed un’altra risata. Quante erano? Due, tre? Successone.
Tony bevve un sorso di caffè, tornando a concentrarsi sul disegno dell’altro. New York, erano sicuramente i tetti dei palazzi della sua città di notte. Steve stava delineando una figura maschile di schiena, con capelli quasi argentati. «Chi sarebbe?» E non lo chiese perché un leggero nodo si era formato a livello della bocca dello stomaco, ma solo perché era curioso e ficcanaso.
«Non lo conosci.» Questo suonava molto un “fatti i cazzacci tuoi” e non aiutava lo stomaco di Stark, tanto che iniziò a pensare di poggiare il caffè.
Dal canto suo Steve si rese conto del tono di voce usato. Era sempre lo stesso con Tony, ma quella mattina si era ripromesso di provare a dargli qualche chance causa il senso di colpa della sera prima.
«E’ un regalo per la figlia della proprietaria dell’appartamento.» Mentre parlava firmò infondo al dipinto e il moro riuscì a leggerci un “Per Wanda M. da Cap”. «Aveva bisogno di qualcuno che tenesse la figlia due giorni a settimana e mi sono offerto.» Poggiò la tavoletta su un telo sistemato sulla parte del tavolo più vicina a lui ed il pennello in un bicchiere pieno d’acqua lì vicino. «Mi piacciono i bambini, hanno una visione del mondo che a noi sfugge ogni anno di più.» Sì alzò guardandosi i vestiti, sorridendo vittorioso per essersi sporcato relativamente poco –se non si calcola che doveva solo sistemare alcuni punti.
«La bambina si chiama Wanda Maximoff ed è dolcissima. Stanno qui due piani sotto, oggi è il suo compleanno. Una volta l’ho portata su per farle vedere la mia collezione di fumetti…» Vide Tony inarcare un sopracciglio e fare un sorriso beffardo mettendolo un po’ in imbarazzo, ma sembrava talmente attento al suo racconto che decise di continuare.  «...ha visto alcuni dei miei dipinti e me ne ha chiesto uno. Per tutta risposta le ho dato il mio primissimo disegno che mamma teneva attaccato lì.» Indicò il punto del frigo dove c’era una calamita blu lasciata a se stessa. «Le ho detto essere la mia primissima opera d’arte, fatta all’età di due anni. Mia mamma me l’aveva fatta anche firmare sotto la descrizione.» Sì, perché era ovviamente un ammasso di cose messe insieme, ma Peggy l’aveva visto così felice dopo averlo fatto che decise di spingerlo sempre di più a disegnare. Amava suo madre anche per quello.
Stark lo guardava e lo ascoltava. Era interessato dal racconto e dal modo in cui faceva sorridere il ragazzo davanti a lui. Più sorrideva, più Tony sentiva l’impulso di condividerlo. Ogni tanto sentiva i lati delle labbra alzarsi, allora portava la tazza alla bocca anche se era finito il liquido, tanto Steve non lo sapeva.
«Per tutta risposta lei se lo tenne e mi disse “tengo questo per quando sarai famoso ed importante, però voglio un dipinto tutto per me”…» Cercò di imitare il modo spensierato e la tonalità di voce usati dalla bambina, causando una lieve risata a Tony. «Le ho detto di aspettare, prima o poi sarebbe arrivato qualcosa di strabiliante. Ogni volta che vado da lei mi chiede il dipinto. Non puoi immaginare quanti schizzi ho buttato.» Scosse la testa, per poi indicare il risultato finale. «Poi un giorno mi disse che suo fratello era un supereroe. Quando al padre serve che faccia i turni serali al bar di famiglia non dice mai di no, ma lei è convinta che quelle sere Pietro sia fuori a salvare New York dai malviventi. Ha il dono della forza e della velocità, per questo nessuno lo vede. Ho pensato potesse farle piacere. Rimarrà il suo supereroe anche una volta cresciuta e questo quadro può aiutarla a ricordarselo se mai dovessero litigare, magari.» Fece spallucce mentre si asciugava le mani appena lavate.
«E’ un pensiero bellissimo, Steve, davvero.» Il tono era pacato e dolce. Probabilmente nemmeno Tony si era davvero reso conto di come aveva pronunciato quelle parole, ma era troppo occupato a pensare che forse un po’ cotto lo era.
Lievemente però. Leggero leggero, recuperabile.
Se lo ripeté ancora una volta dopo aver incrociato la sguardo del biondo. Lo stava ringraziando con quegli occhi e quel sorriso, anche se per Stark non era chiaro. Lo stava ringraziando per averlo ascoltato davvero, per non averlo preso in giro ogni due per tre e per aver distrutto nel tempo di quella frase l’idea di egocentrico, narcisista e menefreghista che aveva di lui dalla cena.
I due ragazzi si fissarono così per qualche secondo di troppo mettendo in allarme la parte razionale del più basso, il quale era convinto fosse meglio riempire il silenzio diverso da quello colmo di ansia e tensione a cui era abituato in presenza di Rogers. Questo era calmo e rilassante, come se fosse perfettamente nel posto giusto. Non andava bene e comunque aveva un’altra domanda per l’artista.
«Come mai “Cap”?» Per tutta risposta Steve fece una risatina imbarazzata e si portò una mano a grattarsi la testa, causando un’auto-maledizione di Tony per averglielo chiesto. Aveva appena ammesso di avere una leggera cotta, non poteva passare subito alla cottura media.
«Beh, le piace giocare a giochi di ruolo soprattutto ispirati ai fumetti che le ho prestato.» Si chiuse nelle spalle mentre le gote iniziavano a colorarsi leggermente. «A volte siamo spie infiltrate; altre un gruppo di supereroi in battaglia; altre facciamo i cattivi; cose del genere. Comunque vada io sono sempre il Capitano perché dice che conosco meglio le storie, i punti deboli e forti dei personaggi ed ho sempre una strategia buona per ogni occasione. Però “Capitano” era troppo formale, quindi ecco il motivo del “Cap”.»
L’imbarazzo del biondo lo potevano sentire anche gli inquilini del piano terra, Stark ne era sicuro.
«Quindi…vi vestite anche, tipo?» Scoppiò a ridere quando Rogers abbassò lo sguardo con le gote ancora più rosse. Una parte di Tony gli chiedeva di smetterla, evidentemente era quella molto affezionata alla sua dentatura perfetta che gli fece portare istintivamente le braccia davanti al volto.
A Steve non sfuggì la cosa. Effettivamente nemmeno lui doveva aver fatto una bellissima impressione a Tony, soprattutto quando lo faceva innervosire -tipo durante Risiko. Però, quella volta, non si sentì ribollire la voglia di sferrargli un pugno in pieno volto. Era un buon segnale, voleva dire che poteva iniziare a pensare seriamente di vederlo come amico e non più come una presenza fastidiosa.
«Sono avvantaggiato per la festa di Clint, se ci pensi.» La risata si fermò di colpo esattamente come il cuore di chi la emetteva.
«Vieni alla festa?» Domanda lecita. Se non si ricordava di averlo chiamato “Stebe” figuriamoci se ricordava altro.
«Me l’hai fatto promettere ieri sera. Hai detto che avrebbe fatto piacere a Clint e te saresti stato buono, ti ho detto che non l’avresti fatto e tu hai confermato.» Tony arricciò le labbra di lato mentre guardava la tazza. Moriva dalla voglia di sapere altro sulla serata, ma era troppo orgoglioso per chiedere. Però Steve sembrava aver individuato il binario dei pensieri del moro. «Dopo esserti scusato di avermi colpevolizzato a cavolo e ti sei dato dell’idiota.»
Stark sbagliava un sacco di volte, sembrava una cosa insita nel DNA della famiglia, però non si era mai dato dell’idiota. Forse solo mentalmente e giusto un paio di volte. «Wow, dovevo aver bevuto parecchio.»
L’aveva detto in un modo sbagliatissimo, con un sorrisetto divertito alla fine che poteva benissimo essere frainteso. Doveva recuperare prima di ritrovarsi cacciato fuori da quell’appartamento con uno Steve sbraitante al seguito.
Si schiarì la voce mentre metteva la tazza nel lavabo. «Però mi dispiace davvero per ieri mattina. A volte sono…»
«…un idiota?» Il biondo si beccò un’occhiata simile a quella di mezz’oretta prima.
«…troppo paranoico.» Accese l’acqua e prese la spugna sistemata nella ciotolina azzurra sotto gli occhi stupefatti di Steve. «Sai, non è facile quando tutti si avvicinano solo perché sei uno Stark e…» L’altro ragazzo cambiò espressione appena Tony ebbe finito di lavare la tazza, sicuro non avesse visto la sua reazione. «…essere figlio di un miliardario non vuol dire che sia maleducato e cafone.» ed invece l’aveva visto.
«Scusa.» Si riportò una mano a grattarsi la nuca con lo sguardo imbarazzato mirato da un’altra parte.
Smettila di fare così, santissimo Newton!
Tony fece spallucce guardando da un’altra parte. La scelta migliore di tutta la mattinata.
«Come sta la testa, comunque?»
Male, malissimo. Ci sei tu, tipo, ovunque.
«Bene, le medicine sono miracolose.» Steve annuì, per poi guardare l’ora sull’orologio della cucina.
«Se vuoi ti porto a casa.»
Già, doveva assolutamente andare a casa. Puzzava di alcool da capo a piedi e quei vestiti corrispondevano all’idea di “pulito” di pochissime persone. Però voleva anche stare lì un po’ di più, e voleva conoscere la piccola Wanda.
«Vuoi venire anche tu da lei, oggi?» Tony si era girato verso il dipinto senza rendersene conto. «Sono sicuro le farebbe piacere, più gente c’è più si diverte.»
Sì, gli sarebbe piaciuto dare un volto alla bambina e vedere la sua reazione al dipinto, ma sarebbe stata una buona idea? Poteva contarle sulle dita di una mano mozzata le volte che l’avevano lasciato da solo con un bambino: era suo cugino ed aveva pianto dopo neanche dieci minuti. Non ricordava bene il motivo, ma era abbastanza convinto fosse stata colpa sua. Con i bambini non era proprio capace. In effetti con nessun essere vivente era capace.
Ora lo sguardo del moro era sul terreno. Non sarebbe stata per niente una buona idea.
«Facciamo che ora ti porto a casa, così ti lavi e decidi se venire qui o meno?»
Tony alzò gli occhi ed una volta incrociati quelli azzurri dell’altro tutti i problemi che si stava facendo sembravano essere inutili e stupidi. Per una volta si concesse quel momento, rispondendo solo con un leggero movimento di testa ed un sorriso.



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Note dell'autrice: Buondì cari lettori. 
E' arrivato il momento che i battibecchi si plachino un po' e questi due si conoscano un po' di più -yeeeeh. Non so a quanti possa piacere l'idea dei Maximoff non gemelli e di una piccola Wanda, ma lei dovevo metterla.
Non ho moltissimo da dire, volevo solo ringraziare chi ha commentato, i nuovi "follower" della storia e chi ancora la segue. Grazie davvero. <3

Un bacio, 
BR.
   
 
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