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Autore: nikita82roma    01/04/2017    3 recensioni
È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà con gli altri prima di andare al cimitero. Riceve, però, una telefonata che cambierà la sua vita.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Terza stagione
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Castle non sapeva se in quel momento odiava più il traffico o quel tassista che guidava come una ripresa alla moviola.

- Per favore, potrebbe andare un po’ più veloce? - Gli chiese cortesemente Castle dal vetro che li separava, senza però nascondere tutta l’urgenza che aveva.

- Sa cosa diceva sempre mia madre? “Dio ha fatto il tempo e l’uomo ha fatto la fretta”. Non voglio certo prendermi una multa.

Rick benedisse il vetro tra di loro. Vedeva solo il profilo di quell’uomo con i capelli rossi e la pelle chiarissima che guidava con un sorriso sul volto che non capiva da dove venisse. Gli buttò 100 dollari della fessura.

- Per favore, con il resto ci paga la multa se la prende, se no ci avrà guadagnato di più. La… la mia ragazza sta male, devo andare da lei, subito. - L’uomo non notò l’imbarazzo di Castle nel parlare di Beckett ma dopo uno sguardo alla banconota accelerò sensibilmente.

 

Lanie sentì qualcuno armeggiare alla porta ed aprì trovando Castle con le chiavi in mano.

- Mi ero dimenticato di lasciargliele. - Disse giustificandosi e poggiandole sul mobile, ma di certo a Lanie la cosa non importava, guarda anzi Rick impacciato che aspettava che le dicesse qualcosa.

- È in camera, sta dormendo profondamente. Non so da quanto non lo faceva. Sono gli effetti degli antipiretici. Vai da lei, Castle, che aspetti?

Lanie lo strattonò per un braccio e Rick entrò piano in camera da letto. Rimase ad osservarla dalla porta, appoggiato sullo stipite. Notò che dalla sua parte del letto, c’era l’elefantino che le aveva regalato. Aveva dormito lì per qualche manciata di giorni e già considerava quella la sua parte, gli fece ancora più male. 

Si avvicinò piano, sedendosi vicino a lei, facendo attenzione a non far sobbalzare troppo il letto, ma lei non si accorse di nulla. Prese la stoffa che aveva sulla fronte e la bagnò di nuovo, appoggiandogliela con cura. Si prese l’ardire di accarezzarle il volto e sentì come era veramente tanto calda. Passò qualche minuto a tracciare il contorno del suo viso e si intristì nel vedere come anche quando dormiva aveva i lineamenti contratti in un’espressione di muto dolore. Aveva passato ore ad osservarla dormire, avrebbe riconosciuto ogni suo impercettibile cambiamento.

 

- Castle, cosa ci fai qui? - Kate si era appena svegliata ed aveva visto il suo viso dove un forzato sorriso si sforzava di renderlo meno teso, ma non le sfuggirono i suoi occhi troppo scuri e troppo rossi.

- Mi prendo cura di te. Come avrei dovuto fare sempre, senza andarmene.

- No, Castle. Non dovevi tornare. Non devi essere qui.

- Dammi un motivo valido, Kate.

- Tra noi non c’è più niente e non potrà esserci più niente. - Lo disse come se fosse una sentenza alla quale Rick voleva tremendamente ribellarsi.

- Non è vero. Io ti amo. È dura Kate. Fa male. Ma insieme… - C’era dolore e speranza nelle sue parole ed era troppo per lei che non vedeva nulla oltre il nero che ammantava tutti i suoi pensieri.

- No Castle. Non possiamo fare nulla insieme. - Kate si rese conto solo in quel momento che lui le stava tenendo la mano e quando provò a sfilarla via dalla sua presa, Rick la strinse ancora di più.

- Non è vero, e lo sai anche tu, da qualche parte lo sai. Possiamo ricominciare.

- Che vuol dire ricominciare Castle? Fare finta che non sia successo niente? Come se non ci fosse stato niente? 

- No, Kate. Vuol dire andare avanti nonostante quello che è successo. Insieme.

- Io vorrei solo tornare indietro. Vorrei dimenticare tutto. Anche noi. - Rick allentò la presa dalla sua mano e lei si ritirò dal suo contatto: le sembrava di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.

- Non credo potrei mai dimenticarmi nulla di noi, anche se volessi. 

Kate si voltò dall’altra parte per non vederlo, mentre cercava di tirarsi su per mettersi seduta. Rick in un gesto istintivo la prese sotto le braccia aiutandola e i loro volti si trovarono troppo vicini. Il bacio, inevitabile, che ne seguì fu un disperato tentativo di Castle di convincerla che c’era sempre un “noi” da qualche parte, e di Beckett di convincersi che avrebbe vissuto meglio senza tutto questo. Lei, ma soprattutto lui, perché non sopportava quegli occhi arrossati dal pianto che aveva davanti, soprattutto perché sapeva che era lei la causa di tutto quello. 

- Non voglio soffrire ancora e non voglio far soffrire più nemmeno te, Castle. - Si concesse il lusso di accarezzarlo e forse per la prima volta lo sentì molto più fresco di lei, lui che era sempre tanto più caldo.

- Non sei tu che mi fai soffrire Kate, non lo hai mai fatto… 

- Ti prego Castle, basta. Io non posso. Lo vedi? Non riusciamo nemmeno a parlarne, a dire nulla, per paura di farci male, non riusciamo a dire quello che è successo, a dargli un nome, il suo nome. - Si staccò da lui e dal suo sguardo che la trafiggeva e non le dava tregua.

- Abbiamo bisogno di tempo Kate e di capire come fare. 

- Ogni volta che ti guardo penso a tutto quello che è successo. Ti amo Castle, ma fa troppo male ed io voglio solo dimenticare tutto e non posso farlo con te vicino. - Ce l’avrebbero fatta, insieme, Rick ne era convinto, ma quelle parole di Kate lo gelarono. Era lui che la faceva star male, era la sua presenza a rinnovarle dolore. Non voleva questo, non voleva farla soffrire.

- Mi dispiace Kate. Non voglio farti stare male, io… proprio non voglio questo… 

- Allora vai Castle. Dimenticami. Dimentica tutto questo anche tu. Mi dispiace che stai soffrendo per colpa mia, per non essere stata abbastanza, per tutto.

Avrebbe voluto ancora una volta essere più forte e rimanere, imporgli la sua presenza. Sapeva che si sarebbe arrabbiata, avrebbero discusso, si sarebbe forse finalmente sfogata e dopo sarebbe stata meglio, ma ancora una volta non ce la fece. Si sentiva piccolo e vigliacco davanti al suo dolore, alle sue richieste di solitudine e di voler dimenticare. Si chiese guardandola mentre gli dava le spalle, quanto fosse forte il suo amore per lei, quanto sarebbe stato in grado di sopportare. Tutto, forse, tranne sapere di farle male, non sopportava il suo dolore se era lui che glielo causava. Si sentì ancora una volta svuotato e sconfitto da se stesso. Avrebbe avuto ancora tante cose da dirle, ma non sapeva da dove cominciare: a cosa serviva lavorare con le parole se poi quando doveva parlare con la persona più importante della sua vita gli sembrava di possedere il vocabolario di un bambino di tre anni? Le accarezzò il capelli, prima di alzarsi e allontanarsi, ma si fermò sulla porta.

- Tu non hai colpa di nulla Kate, di nulla. Io non l’ho mai pensato e non lo penserò mai e non devi pensarlo nemmeno tu.

Chiuse piano la porta di camera e si ritrovò Lanie davanti.

- Non volevo spiarvi Castle, ma… - Disse sottovoce la dottoressa allontanandolo dalla camera di Beckett

- Non ho niente da nascondere Lanie, nulla che poi non avresti saputo in ogni caso.

- Che fai Castle? Te ne vai? Non ti ho chiamato per farti vedere come stava ed andartene, ma per farla ragionare. Sai cosa accadrà se Kate si chiuderà in se stessa, non è vero?

- Non posso farle niente. Hai sentito? Sono io che le faccio male. Le ricordo quello che vuole dimenticare. Non voglio essere il suo costante carnefice.

- Io non so tra voi due chi è più stupido, Castle, veramente. - Gli disse sconsolata.

- Io, credo. Kate non è stupida, è solo distrutta ed io non ho abbastanza forza per aiutarla a rimettere insieme i suoi pezzi se lei non vuole. Non ce la faccio. Stalle vicino tu, di te si fida e fammi sapere come sta, per favore.

- Certo Castle. - Provava una naturale compassione per quell’uomo che era impotente davanti a quella situazione che non riusciva a gestire. Vedeva la sua voglia di stare vicino a Beckett, aveva sentito dalle sue parole il suo amore sincero, eppure si faceva da parte, perché non era capace di vederla soffrire.

- Grazie, Lanie. So che lei non vorrà, ma se ha bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi. Non è necessario che lei lo sappia, voglio solo aiutarla. - Lanie annuì, sapeva che non lo diceva per secondi fini, Castle era estremamente generoso con tutti.

- E tu? Che farai? - Gli chiese preoccupata.

- Aspetterò che faccia meno male. Ma di sicuro non dimenticherò mai nulla. Dì a Beckett che le chiavi sono lì sopra.

- Mi dispiace Castle. 

- Già, anche a me. Dì ai ragazzi che un giorno passerò a salutarli al distretto.

 

Uscito dall’appartamento di Kate, Rick vagò senza meta per quel quartiere dove non aveva punti di riferimento. Cinese, pizzeria, caffetteria e fioraia, il suo giro si era sempre limitato a questi posti e la donna circondata dai fiori lo salutò con un gran sorriso che ricambiò sforzandosi, per gentilezza.

- Rose bianche o rosse oggi, mio caro? - Gli chiese quando fu vicino. Rick si sentì spiazzato dalla domanda.

- Una, bianca, la più bella che ha. - Le rispose un po’ frastornato.

La donna scelse con cura la rosa tra quelle nel suo cesto e quando stava per confezionarla, Castle la fermò, dicendo che andava bene così, senza niente. Insistette solo per poterci mettere un fiocco.

- Almeno questo ragazzo! - Gli disse in un bonario rimprovero e lui acconsentì a quel nastro dello stesso colore dei petali.

Tornò al loft con la sua rosa, con molta meno fretta di quando era uscito. Fu grato che non ci fosse nessuno ad aspettarlo, aveva bisogno anche lui di stare un po’ da solo. In camera c’era ancora il letto sfatto, testimone di una notte insonne passata a girarsi e rigirarsi senza sosta, senza dormire. Aprì il cassetto del comodino e sospirò alla vista di quella scatolina blu. L’aprì e guardò ancora una volta quell’anello che aveva comprato la sera stessa quando Kate gli aveva detto che lo amava. Era stato più forte di lui, doveva farlo. Così era andato nella sua gioielleria di fiducia, erano anni che non metteva più piede lì. Prima ne era un frequentatore abituale, viste le pretese di Gina di gioielli in regalo per ogni occasione. Trovò Paul, il commesso che lo serviva abitualmente, che lo salutò mostrandogli tutto il sua piacere di rivederlo lì. “Mi serve qualcosa di speciale e di semplice”. Fu la sua unica richiesta, dopo aver specificato che non era per la sua ex moglie, ma per una ragazza straordinaria. La sua scelta ricadde sul più classico, semplice e luminoso anello che avevano. Una montatura in platino con un diamante purissimo. Era lui quello giusto per lei, non aveva bisogno di vederne altri.

Sapeva che doveva aspettare, che non era ancora il momento, che doveva contenere il suo slancio ed il suo entusiasmo per non banalizzare il gesto. Sarebbe arrivato il momento giusto, si diceva. Forse ora non sarebbe arrivato più. Prese in mano l’anello sentì il diamante duro ed il metallo liscio, lo vide brillare con la luce della stanza: era sempre convinto che quello fosse perfetto per lei e che loro, insieme, sarebbero stati perfetti, se solo gli avesse dato una possibilità. Non le avrebbe mai fatto dimenticare quello che gli era accaduto ma era certo che insieme sarebbero potuti essere ancora felici, ma aveva capito da come gli aveva parlato che Kate non voleva la felicità, non la voleva più.

Sciolse il nastro della rosa e legò l’anello a quel cordino, riponendo tutto dentro al cassetto. Spense la luce e contemplò il buio della sua stanza cercando un motivo per riuscire a rimettersi in piedi, ma ne trovò solamente tanti per piangere ancora.

   
 
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